CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 427

Gozzano, la Storia continua

Armano Luigi Gozzano prosegue la ricerca sulla nobile famiglia austriaca Von Gozani, al servizio del Kaiser, rappresentato mentre  distingue i suoi generali a Schönbrunn, residenza estiva degli Asburgo nel castello di Vienna,il 7-5-1908.

La genealogia di questa famiglia, che con le proprie generazioni ha attraversato per secoli la storia,si potrebbe definire ” carsica “,in quanto le vicende e i rami si intrecciano con altre famiglie importanti, non solo per l’Italia ma per l’Europa 
L’intera ricostruzione é stata possibile tramite i documenti e i ritratti originali di casa Gozani in Germania. Il Marchese Felice Maria Pio Venanzio Ignazio (1745-1824), uno dei sette figli di Antonino , Marchese di San Giorgio Monferrato,si trasferì in Carniola (Slovenia), dove diede origine alla sua discendenza con il matrimonio del 1781 con Caterina de Weiss di Gorizia, celebrato a Lubiana. A Kranjska Gora un loro discendente diventò  governatore. Capitano a servizio dell’Imperatore d’Austria,fu decorato con diploma della nobiltà austriaca il 13-5-1817, con autorizzazione alla trasmissione del titolo di Marchese Von Gozani di San Giorgio  per tutti i suoi discendenti di ambo i sessi, con didascalia in tedesco allegata allo scudo araldico originale della famiglia. Il titolo fu abolito nel 1918 alla caduta della monarchia
con Carlo l d’Austria.
Il fratello Giovanni Battista (1727-1791) edificò il bellissimo palazzo San Giorgio nel 1778 a Casale Monferrato,ora municipio,su disegno del Robilant,e apparteneva alla società dei sedici Cavalieri che costruirono nel 1781 il nostro teatro,definito da Sua Maestà il più bello dopo il teatro Reale di Torino.Nel 1769 ospitò nel suo palazzo San Giorgio a Torino l’Imperatore Francesco Giuseppe ll . Questa famiglia ebbe sviluppo a carattere militare nell’ impero austriaco. La linea di Felice e Caterina ebbe inizio con i due figli nati a Lubiana :
Felice (1786-1861) colonnello austriaco e comandante di piazza ,nobile dell’impero austriaco, sposato nel 1819 con Anna Maria
Pfeiffer.
Giovanni Nepomuceno (1782-1836) assistente alle costruzioni, nobile impero austriaco.
Sposato nel 1808 con Eva Carolina Aloisia
Trokenbrodt,ebbe due figli :
Felice Carlo detto l’Alman ,il tedesco  (1810-1879).Era in impiegato amministrativo quando fu chiamato alla successione del marchesato di San Giorgio Monferrato dal cugino Marchese Carlo Giovanni, figlio di Carlo Antonio e di Maria Sofia Electra Doria. Il palazzo dei Marchesi di Cirié passò nel 1576 dal Duca Emanuele Filiberto di Savoia al Principe di Oneglia Gerolamo Doria (D’Oria in antichità),dopo aver concordato uno scambio con i Savoia per avere un secondo sbocco al mare oltre a Nizza.La figlia di Felice Carlo,Paolina (1835-1906) abitante nella splendida “villa Paolina” fatta costruire dal padre accanto al castello Gozzani di San Giorgio per il suo matrimonio con il Conte  Alessandro Cavalli d’Olivola,diede origine a  questa nobile casata monferrina ancora esistente e abitanti nella Abbazia del Principato di Lucedio,appartenuta nel 1818 dal cugino Marchese Carlo Giovanni Gozzani e dal Marchese Michele Benso di  Cavour,cedute dal Principe Camillo Borghese, governatore del Piemonte.
Ferdinando l Bartolomeus Felix (1819-1879) Marchese di San Giorgio ,al servizio dell’Imperatore Francesco Giuseppe l, capitano dell’Imperial-Regio esercito austriaco.Era proprietario di una contea a
Wolfsbüchel,Stein Krain,che durante la seconda guerra mondiale fu occupata e divenne sede Gestapo,poi distrutta dall’esercito iugoslavo.
Tra i sette figli avuti con Anna Maria Donati sposata nel 1845 :
Arthur Josef Valentin Johann (1856-1917)
generale aiutante di campo dell’Imperatore
Francesco Giuseppe l,sposato con Anna
de Tomcsanyi.
Ferdinando ll (1847-1903) consigliere di prefettura, sposato nel 1876 con Emilie Fritz.
Ebbe tre figli ,tra i quali :
Leo Ferdinando lll ( 1893-1971).Abitava a  Marburg, Maribor in sloveno,che in quell’epoca faceva parte della Germania,e anche la Slovenia in seguito diventò tedesca.
Marchese, avvocato, ufficiale dell’esercito tedesco.A Vienna frequenta il liceo nel 1912 e ottiene il dottorato in legge il 5-12-1919.
Durante la prima guerra mondiale fu interprete in Italia dal Serbo-Croato-Sloveno . Con i suoi due figli e la moglie Emilie Muschik sposata nel 1933 si trasferì in Austria Superiore a Vöcklabruck ,a nord di Salisburgo,per sfuggire alla guerra . Fece visita nel 1963 a Casale Monferrato in palazzo Gozzani  San Giorgio e conobbe il nostro giornalista Idro Grignolio, eccellente storico e ricercatore del nostro territorio monferrino,che pubblicò una guida di Casale ancora oggi molto apprezzabile. La figlia Iolanda (1933-2020) si trasferì nel 1953 in Massachusetts (Usa).Sposata con  George Brooks Ferguson nel 1955 ,fece visita a Casale Monferrato in palazzo Gozzani San Giorgio nel 1973. Il figlio Titus George Friedrich Ferdinand  Emmo Roger Karl (1943) ultimo Marchese vivente della linea Von Gozani di San Giorgio Monferrato, ingegnere elettrotecnico minerario,abitante a Kamp-Lintfort in Germania ,a nord di Dusseldorf ,Basso Reno. Sposato dal 1969 con Eva Maria Friese (1947).Gli illustri coniugi furono nostri ospiti in Monferrato il 3-10-2019 in visita nel castello Gozzani di San Giorgio e nei palazzi di Casale Monferrato edificati dai loro
antenati, guidati dal nostro storico e responsabile del FAI ,prof.Dionigi Roggero.
La Marchesa Sidonia Von Gozani, sorella di Ferdinando ll nonno di Titus, nel 1863 sposò
un membro della famiglia Gerliczy, nobili
d’Ungheria e della regione Balcanica.
Giuliana Romano Bussola

Un Risorgimento speciale

FRECCIATE  Al Museo del Risorgimento di Torino il 17 marzo è stato festeggiato da suore,  religiosi ed esponenti musulmani, parlando di ius solis. Un Risorgimento davvero molto speciale.

L’arciere

160° dell’Unità d’Italia con la Carrozza del Re

Dalle Collezioni Presidenziali del Quirinale

 

Da mercoledì 17 marzo, in occasione del 160° anniversario della nascita dello Stato italiano, il percorso dei Musei Reali, nella Rotonda dell’Armeria Reale, si arricchisce con la carrozza di Vittorio Emanuele II, protagonista con Cavour e Garibaldi del Risorgimento, primo Re d’Italia dal 1861 al 1878 e di cui è stato celebrato, nel 2020, il duecentesimo anniversario della nascita.

 

L’arrivo a Torino della carrozza rappresenta un importante tassello del percorso dei Musei Reali, in una delle sezioni che maggiormente colpiscono l’immaginazione dei visitatori. Il mezzo sarà infatti collocato a pochi passi dalla loggia dalla quale Carlo Alberto annunciò, il 4 marzo 1848, la promulgazione dello Statuto. Appartenente alle Collezioni Presidenziali del Quirinale, la carrozza denominata Mylord, ricordata negli inventari con la definizione antica di ‘Polonese’ o ‘Polacca’, era uno dei mezzi di trasporto preferiti da Vittorio Emanuele II per le sue uscite private a Roma. È un modello aperto e basso, privo di portiere, a quattro ruote e a due sedili con cassetta di guida per il cocchiere, realizzata dalla ditta romana dei fratelli Casalini. Oggi la carrozza fa parte del nucleo più antico e prezioso della Collezione Presidenziale. Nell’inventario del 1882 figura una nota manoscritta a fianco che recita: “Le Polonesi erano le carrozze di cui abitualmente si serviva il Gran Re Vittorio Emanuele II [….]”. Il brano prosegue sottolineando che “questa seconda fu l’ultima adoperata in Roma avanti la sua morte” a ricordare, quindi, come questo mezzo fosse particolarmente amato dal re.

 

In tale occasione viene presentato anche il nuovo allestimento Le armi del Re, una selezione di 21 oggetti di notevole pregio e importanza storica, recentemente restaurati, che facevano parte delle ricche raccolte personali di Vittorio Emanuele II. Oltre alle armi, la collezione comprende bandiere, uniformi, onorificenze e altri oggetti strettamente personali: alcuni si collegano al ruolo pubblico del sovrano, come i doni diplomatici o le armi che ricordano le battaglie del Risorgimento, altri sono da mettere in relazione con gli interessi personali di Vittorio Emanuele II, primo fra tutti la caccia, documentata da una spettacolare collezione di fucili e coltelli.

 

L’allestimento include anche due armature giapponesi, la B. 53 e la B. 54, entrambe donate al sovrano dall’imperatore Meiji nel 1869 e nel 1871, a pochi anni di distanza dalla firma del trattato di amicizia e commercio che apriva le relazioni diplomatiche tra il Regno d’Italia e l’Impero giapponese. Si trattava di doni prestigiosi come testimoniano la cura nel realizzarle e la scelta dei materiali impiegati che indicano la destinazione a personaggi di rango elevato. La prima armatura è un apparato difensivo leggero utilizzato per lo scontro a piedi. A differenza della B. 53, montata già nell’Ottocento su un manichino, l’armatura B. 54 è stata riproposta nel suo insieme solamente ora, per sottolinearne l’aspetto unitario e facilitarne una più immediata lettura. Le due armature, con le collezioni extraeuropee, vennero allestite nella Rotonda dell’Armeria Reale, sala in cui furono sistemate anche le raccolte di Vittorio Emanuele II.

 

Oggi l’Armeria Reale conserva oltre 5.000 opere, collocate in ambienti di raro fascino e pregio, finemente decorati e affrescati.

 

“La collezione dell’Armeria Reale di Torino occupa un posto di riguardo nel contesto europeo, ma la sua valorizzazione non è né facile né scontata, dato l’impianto fortemente storicizzato degli spazi e l’impronta ottocentesca che contraddistingue il suo primo ordinamento – dichiara Enrica Pagella,  Direttrice dei Musei Reali –. Esprimo, quindi, un sincero ringraziamento alla Presidenza della Repubblica per questo prestito che costituirà un elemento inedito di attrazione e di leggerezza nel severo circuito delle vetrine palagiane, contribuendo anche a rafforzare il legame simbolico tra la nostra capitale attuale e il Palazzo Reale di Torino, prima sede della casata sabauda e luogo in cui prese forma la prima carta costituzionale della nazione.”

 

“Il nuovo allestimento Le armi del Re si propone di valorizzare un nucleo di oggetti poco noti ma di particolare rilievo, sia dal punto di vista storico sia per il loro pregio – dichiara Giorgio Careddu, curatore delle collezioni d’arte dell’Armeria Reale -. Le sciabole e le spade, per lo più di rappresentanza, furono offerte al Re come segno di gratitudine per il ruolo avuto nel processo storico che portò all’unificazione dell’Italia.  Le armi da fuoco sono invece, nella maggioranza dei casi, doppiette da caccia realizzate da Filippo Panataro, armaiolo personale di Vittorio Emanuele II, e dai più importanti produttori europei dell’epoca.”

“Atelier en francais” è online

Dall’arte, al gioco, alla costruzione di un “taumatropio”. Da Palazzo Madama attività online per famiglie

Dal 20 al 31 marzo

Ricorrenza istituita nel 2010 dal Dipartimento delle Informazioni Pubbliche dell’ONU “per celebrare il multilinguismo e la diversità culturale, nonché per promuovere la parità di utilizzo di tutte e sei le lingue uffuciali in tutta l’Organizzazione”, il prossimo sabato 20 marzo (data ricorrente ogni anno, scelta per ricordare la nascita dell’Organizzazione Internazionale della Francofonia) si celebra la “Giornata della Lingua Francese”. Occasione colta al volo, in tempi cupi di Musei chiusi al pubblico, dal torinese Palazzo Madamaper costruirvi intorno, fino al prossimo mercoledì 31 marzo, un progetto didattico, curioso e saggio sotto il profilo storico-artistico, rivolto ai più piccoli, bambine e bambini, e alle loro famiglie. A loro sarà data la possibilità di incontrare la cultura francese attraverso le vicende del magnifico “baule” realizzato intorno al 1200 in una bottega orafa di Limoges e un tempo appartenuto al diplomatico e cardinale Guala Bicchieri,o anche Giacomo Guala Beccaria (Vercelli, 1150 ca. – Roma, 1227) che fu  legato pontificio in Francia nel 1208 e in Inghilterra dal 1216 al 1218.

Tramite l’acquisto su Vimeo del video in lingua italiana Blu e Oro, i colori del Medioevo al costo di € 3,50, sarà possibile scoprire cosa custodiva il prezioso cofano esposto a Palazzo Madama, con quali materiali e tecniche venne realizzato, quali creature fantastiche sono state poste a guardia di questo splendido scrigno e perché il blu, che è stato adottato anche nella bandiera francese e che oggi è uno dei colori più usati e amati, è una delle tante e preziose eredità che ci ha lasciato il Medioevo. Dopo aver guardato il video, i bambini potranno giocare con le creature fantastiche che lo sorvegliano, attraverso un quiz, durante il quale si ascolteranno brevi brani descrittivi in lingua francese e bisognerà mettere in atto le migliori capacità di osservazione per rispondere correttamente alle domande. Alla fine del quiz sarà possibile scaricare una scheda per disegnare la propria creatura fantastica e un modello per costruire un taumatropio (dal greco “girare delle meraviglie”), un singolare gioco ottico – di epoca vittoria, inventato nel 1824 dal fisico inglese Mark Roget – che permetterà di dare movimento a due degli animali presenti sul cofano.

In sintesi,come partecipare?

1) Si può svolgere autonomamente l’attività, acquistando e guardando il video entro le 48 ore dopo l’acquisto.
2) Per ricevere il materiale dell’atelier occorre inviare la ricevuta di pagamento del video a madamadidattica@fondazionetorinomusei.it. Vi sarà mandato un link che permetterà di accedere al gioco-quiz e ad altri materiali creativi da svolgere in autonomia.
3) Condividete con gli educatori di Palazzo Madama e con l’aiuto di un adulto i disegni delle vostre creature fantastiche o un breve video del vostro taumatropio in movimento, taggando sul vostro profilo social di Facebook e Instagram @PalazzoMadamatorino e @palazzomadama oppure inviateli a madamadidattica@fondazionetorinomusei.it.

Ci penseremo noi – dicono da Palazzo Madama – a pubblicarli sui nostri profili social.

g. m.

“C’è il sole fuori”. Il libro di Silvia Cavallo parla di rinascita

Nel libro di Silvia Cavallo C’è il sole fuori, (entrato fra i 100 Bestseller Amazon nel primo weekend di vendita) il tema della rinascita, della consapevolezza e della capacità di “attraversare il dolore” per ricominciare a vivere è affrontato con profondità, così come alcuni argomenti di attualità tra cui quello dei pregiudizi, del lavoro vissuto come passione o al contrario come pura e sterile fonte di guadagno e infine il valore rivestito degli anziani, sono osservati con consapevolezza e volontà di comprendere.

Questo lavoro è nato anche grazie all’apprezzamento di un lettore che ha sottolineato come i libri dell’autrice non si limitano unicamente a narrare storie ma sono ricchi anche di spunti di riflessione e capaci di lasciare tracce, in linea perfetta quindi con lo spirito e il proposito letterario. C’è il sole fuori racconta di Vera, una donna fragile ma determinata, una maestra appassionata del suo lavoro che, a seguito di una cocente delusione, si dedica a ciò che rimane della famiglia che ha costruito.

Nell’estate del 2017, in una Torino affascinante e assolata, il ricovero del padre e la paura di perderlo per sempre obbligano la protagonista a riflettere sull’essenza della vita stessa. Solo allora, grazie all’esempio dell’amica Stella e all’incontro col misterioso Nicola, Vera riuscirà a rispondere alla domanda che per troppo tempo ha nascosto a se stessa: “Vuoi ricominciare a vivere?”.
Il romanzo, abilmente costruito su piani temporali alternati capaci di creare attesa e suscitare partecipazione lungo il dipanarsi della storia, consente al lettore di entrare in sintonia con la protagonista, comprendere il suo vissuto ed assistere al suo percorso di crescita.

C’è il sole fuori trasmette un messaggio positivo e di speranza in un periodo distopico come quello attuale, “il momento storico che stiamo vivendo”, spiega infatti Silvia Cavallo, “è delicato e complesso, ciononostante credo che continuare a parlare di buio ci tolga la possibilità di intravedere la luce e affrontare con coraggio le difficoltà. Come scrivo nelle pagine del libro, credo che la vera sfida, in un’esistenza fatta anche di ombre e di momenti bui, sia attraversare il dolore e trasformare i rischi in opportunità di crescita e realizzazione. Perché attraverso il buio, ed oltre la sua ombra, tornerà il sole fuori”.

Maria La Barbera

 

In difesa di Villa Giolitti a Cavour

L’architetto Donatella d’Angelo e’ da tanti anni la punta di diamante della battaglia a tutela dei Beni Culturali con la sua attività di architetto sensibile alla storia e al bello che molti suoi colleghi trascurano, per non dire che contribuiscono a devastare.

E’ stata autorevolissima e rimpianta Presidente di “Italia nostra “ che sotto la sua guida aveva perso la patina vecchiotta di un gruppo di attempati signori e madamine un po’ snob , che ha sempre caratterizzato la pur nobilissima associazione . Solo ai tempi remoti di Valdo Fusi ebbe la grinta battagliera che è stata anche quella di Donatella D’Angelo che ha al suo attivo tantissime benemerite battaglie per la tutela non a parole del nostro patrimonio storico – artistico. Adesso tocca alla storica Villa Giolitti di Cavour.  Il testo redatto dall ‘architetto D’Angelo ci esime da commenti . Fa parte della storia d’Italia che forse gli eredi dello statista di Dronero non valutano abbastanza. Sono stato a visitare la villa qualche anno fa dopo un convegno a cui avevo partecipato con l’indimenticabile senatore Giuseppe Fassino. Appare incredibile che i due sodalizi dedicati a Cavour di cui uno ha sede proprio a Cavour , tacciano. E il Sindaco del piccolo centro del Pinerolese famoso anche per la Locanda della posta dove era solito andare Giolitti con Croce e Soleri , forse e giustamente troppo occupato dal COVID ( Cavour e ‘ stata la prima zona rossa del Piemonte) per potersi dedicare alla villa in vendita .
Ma esiste oltre che un presidente della Regione, anche un assessorato regionale alla cultura appare anch’esso silente . C’è da augurarsi che il documento predisposto dall’architetto D’Angelo smuova le aque e soprattutto la Sovrintendenza .La stessa “Italia nostra dovrebbe svegliarsi dal torpore in cui è caduta da gran tempo , diventando la succursale di un vecchio e polveroso club inglese. La villa è una pagina di storia piemontese e italiana da tutelare proprio nell’anno centenario della fine del V Governo Giolititti del 1920-21. Anche quanto resta della cultura liberale non sedicente deve attivarsi per portare in Parlamento questo tentativo di trattare quella villa come un affare da agenzia immobiliare. Pubblichiamo il testo dell’appello.

Pier Franco Quaglieni

***

Al sig.Ministro della Cultura
Al Sig Ministro delle Infrastrutture
Al Sig Ministro delle Finanze
e pc Al Presidente del Consiglio dei Ministri
pc Al Presidente della Repubblica

Abbiamo appreso con sgomento della imminente vendita della villa che fu di Giovanni Giolitti sita a Cavour, luogo già evocativo di un altro grande Statista, Camillo Benso.
La Villa, di per sé pregevole per l’indubbio valore architettonico, è una gradevolissima costruzione del XVIII. Sec., ed ambientale, essendo dotata di un parco di oltre 25.000 mq di piante rare, ha un inestimabile valore documentario/politico/storico. Giolitti ci passava molto tempo, vi riceveva i più illustri personaggi dell’epoca, che qui elaboravano leggi e trattati. Ci rimase in maniera permanente negli ultimi anni sino alla sua morte qui avvenuta nel 1928. Oltretutto è posta in vendita con tutti i preziosi arredi, testimoni muti della Storia d’Italia.
Chiediamo pertanto che questo patrimonio di Cultura, Storia e di Conoscenza non venga disperso ma lo Stato eserciti il Diritto di Prelazione ai sensi del D. Lgs 42/04,tenuto conto dell’interesse Nazionale che il Decreto richiama.
Certi in una Sua cortese attenzione, attendiamo fiduciosi.

I Firmatari.
Donatella D’Angelo
Angelo Argento
Alberto Improda

 

 

E anche quest’anno Sanremo è andato!

Ve ne faccio una breve sintesi per la Storia.

Ho guardato il Festival dal BUGO della serratura, poiché non si poteva entrare a teatro…

Siamo stati controllati dai RAPPRESENTANTI DI LISTA mandati dallo STATO SOCIALE, bardati con mascherine e camici verdi che hanno controllato che non avessimo MALIka ai denti o “ERMAL de testa”, sintomi di Covid.
Nonostante tutto, è stata una serata GAIA, chiusa con una bella cena.
Era un buffet, ognuno si serviva RANDOM (a caso, per chi non sapesse le lingue…)
Squisito il colaPESCE al forno, pescato dal figlio DI MARTINO (un pescatore sanremese); un mio amico è arrivato in ritardo e quando ne ha chiesto una razione e gli han detto che era finito ha gridato: “NOoo! E MI?” (per chi non sapesse il genovese: Nooo, e io?”). Si è dovuto accontentare di un’aRENGA affumicata.
Dopocena, due salti, ballando un EXTRALISCIO con MADAME ANNALISA, una veneta tenutaria di bordelli (data l’età avanzata, la chiamano “Mona Lisa”…). Doveva essere una bella dona, ai tempi che BERTI filava…
Un gruppetto che aveva bevuto troppo ha litigato, e sono venuti alle MANESKIN; purtroppo uno è caduto malamente ed è andato in COMA.
Alcuni si sono messi in un angolo per una partita di backGHEMON.
Altri infine si sono guardati cartoni animati con Bip Bip, il Wil Coyote e Willie PEYOTE; grandi scoppi di ARISA sulle scenette più divertenti.
Fuori la luna illuminava una splendida quercia con I RAMA pieni di gemme; su uno c’era un bel nido di GAZZE’.
All’improvviso il cielo si è oscurato, è scoppiato un temporale con tanti tuoni e FULMINACCI. Una tregenda: nell’ombra qualcuno ha visto apparire un F(ant)ASMA…
Terrore, ma è poi tornato l’ottimismo: bisogna avere FEDEZ nel futuro!

PS C’era pure AIELLO, ma non l’ha visto nessuno…

Gianluigi De Marchi

demarketing2008@libero.it

 

Riccardo Muti: concerto straordinario con l’ Orchestra e il coro del Teatro Regio

Streaming sul sito del Regio da giovedì 18 marzo 2021 ore 20

Grande successo – con quasi 27.000 spettatori – per la prima del Così fan tutte diretta da Riccardo Muti, trasmessa ieri sera in streaming sul sito del Teatro Regio. Si ricorda che l’opera di Mozart resta disponibile gratuitamente on-demand fino al 30 settembre 2021.

A una settimana esatta dal Così fan tuttegiovedì 18 marzo alle ore 20 sul sito del Teatro Regio, l’appuntamento in streaming è nuovamente con il Maestro Riccardo Muti sul podio dell’Orchestra e del Coro del Teatro Regio in un programma interamente dedicato a Giuseppe Verdi, che prevede la Sinfonia da Giovanna d’Arco Stabat Mater Te Deum da Quattro pezzi sacri per coro e orchestra. Il Coro del Teatro Regio è preparato dal Maestro Andrea Secchi. Soprano solista nel Te Deum è Eleonora Buratto.

Riccardo Muti è il più grande interprete vivente della musica di Giuseppe Verdi, applaudito dalla critica e dal pubblico in tutto il mondo e Giuseppe Verdi è un autore profondamente legato al percorso artistico dell’Orchestra e del Coro del Teatro Regio. Questo è un concerto che si preannuncia strepitoso, senza mezzi termini. Con la direzione di Riccardo Muti, i nostri musicisti si uniranno in un abbraccio virtuale al pubblico lontano, celebrando la “liturgia” dello stare insieme nel canto e nella musica.
Composta per la Scala di Milano nel 1845, Giovanna d’Arco è un’opera di guerra, di grandi passioni amorose, di ossessioni mistiche, di affetti familiari e conflitti interiori. La sua Sinfonia rispecchia, condensandoli, questi caratteri, ed è tra le più evolute e sviluppate tra quelle scritte da Verdi nei suoi “anni di galera”, gli anni giovanili di produzione a ritmo serrato che gli fecero conquistare il primato tra gli operisti italiani ed europei. Divisa in tre parti, nella prima si assiste a una sorta di tempesta di ascendenza rossiniana; la seconda è un’oasi pastorale che vede gli strumenti a fiato concertare fra loro, e nella terza si sviluppa una grande rielaborazione del materiale tematico che conduce a un finale esplosivo. All’indomani della prima, il suo autore la valutò come la sua opera migliore «senza eccezione e senza dubbio».

Quattro pezzi sacri sono composizioni che hanno visto la luce singolarmente e che furono pubblicati insieme nel 1898. Verdi scrisse il suo Stabat Mater, per coro misto e grande orchestra, nel 1896-97. L’approccio alla preghiera, attribuita a Jacopone da Todi, è quello dell’autore di musica per il teatro: Verdi, interessato al dramma umano della madre ai piedi del figlio al patibolo, ne restituisce lo strazio in un affresco cupo e dolente, in un gesto espressivo senza pause e senza respiro. Al realismo drammatico dello Stabat Mater si contrappone l’austero contegno del Te Deum, per doppio coro e grande orchestra. L’esecuzione «senza misura» del tema gregoriano, eseguito a cappella dalle voci maschili all’inizio del lavo­ro, diffonde sull’intera composizione un’aura di severa compostezza. Verdi evita qui il gioioso trionfalismo che solitamente caratterizza l’inno di ringraziamen­to al Signore; questa pagina, dal respiro grandioso e dalla singolare bellezza, si pone invece come una solenne meditazione pervasa da dubbi, più che sorretta da certezze: l’estremo lascito creativo del Maestro si chiude nell’ombra malinconica che il breve, dolente postludio strumentale proietta retrospettivamente sulle pa­role di speranza affidate al soprano solista: «In te, Domine, speravi», interpretato da Eleonora Buratto.
Il concerto si avvale del contributo di Reale Mutua, Socio Fondatore del Teatro Regio.

Si ringrazia RMMusic (www.riccardomutimusic.com), società che detiene i diritti di registrazione e immagine di Riccardo Muti.

I biglietti per assistere al concerto sono in vendita al costo di € 3. Lo streaming resterà on-demand fino al 30 settembre 2021.

Per informazioni, vendita e streaming: www.teatroregio.torino.it.
Per scaricare le foto del Concerto straordinario, clicca qui
Per scaricare il comunicato stampa del Concerto straordinario, clicca qui

88 Poetesse per cambiare il Mondo

Per la Giornata Mondiale della Poesia

con Alessandro Baricco, Roberto Saviano, Nicola Lagioia, Beatrice Venezi,
Mario Brunello, Ilaria Gaspari, Paolo Giordano, Giulia Caminito, Chiara Tagliaferri, Federica Manzon, Antonella Lattanzi.

Hypercriticpiattaforma che connette mondi culturali e artistici in uno spazio digitale condiviso, celebra la Giornata mondiale della Poesia con una maratona di letture lunga una settimana su Facebook e Instagram dedicata a 88 poetesse del passato e contemporanee.

Dal 15 al 21 marzo scrittori, autori e testimonial da tutto il mondo si alterneranno nella lettura di una poesia l’ora in 24 lingue, come greco antico, polacco, svedese, portoghese, turco, arabo, russo, persiano, giapponese e cinese.

Tra i lettori, che daranno voce alle poetesse di 40 Paesi saranno presenti Roberto Saviano, che leggerà il Premio Nobel per la Letteratura 2020 Louise Glück, Nicola Lagioia con una poesia di Amelia Rosselli, Christian Greco, che leggerà in geroglifico dei versi che celebrano la figura femminile, Beatrice Venezi (Margaret Atwood), Savina Neirotti (Sylvia Plath), Giovanni Caccamo (Alda Merini), Emiliano Poddi (Wisława Szymborska), Antonella Lattanzi (Patrizia Cavalli), Federica Manzon, Chiara Tagliaferri, Paolo Giordano, Chiara Valerio, Fabio Geda, Mauretta CapuanoSerena Danna, Ezio Mauro, David Frati, Mario De Santis, Francesca Angeleri, Alessandro Colombo, Claudio Petronella, Ilaria Gaspari, Andrea Tarabbia, Marco Belpoliti, Eleonora Sottili, Mauro Berruto, Nicola Campogrande, Giulia Caminito, Mario Brunello, Camilla Ronzullo, Paolo Maria Noseda (che leggerà Patti Smith).

Il fondatore di Hypercritic Alessandro Avataneo leggerà Cristina Campo e Emily Dickinson. A conclusione della maratona poetica, Alessandro Baricco leggerà Saffo in greco antico.

Faranno parte della Hypercritic Poethon 2021 le opere di poetesse italiane come Alda Merini e Patrizia Cavalli, dei Premi Nobel per la Letteratura Wisława Szymborska e Louise Glück, delle poetesse latino americane, tra cui Carmen Yáñez e Gioconda Belli, le americane, da Emily Dickinson, Sylvia Plath, Maya Angelou fino alla giovane Amanda Gorman, di poetesse politiche come Yasar Nezihe, poetesse erotiche come Patrizia Valduga e Saffo e poetesse-influencer come Rupi Kaur.

Domenica 21 marzo sarà il giorno clou: inviteremo gli amici, i follower e tutti coloro che vogliono partecipare a condividere la loro poesia del cuore, in forma di reading, accompagnata da un’immagine o pubblicandone solo il testo, con l’aggiunta dell’hashtag #postapoem e taggando le pagine social di Hypercritic.

Ernesto Zucconi e la storia dalla parte dei vinti

Ernesto Zucconi, ricercatore storico torinese, ma ormai di casa a Boves al punto da essere considerato bovesano adottivo, ha al suo attivo diverse pubblicazioni di vario genere, che rispecchiano la vasta gamma dei suoi interessi culturali: cinema, sport, storia.

Ma, in particolare, Zucconi è conosciuto per una serie di libri che si occupano del fascismo visto in un’ottica non convenzionale, ed assolutamente non revisionista, ma piuttosto, come la definisce lo stesso autore obiettiva.
La storia è dunque il suo principale filone di ispirazione?
Certamente, attualmente sto lavorando ad un libro sulla Francia di Vichy che uscirà probabilmente il
prossimo mese. In questo verrà analizzata la faccia nascosta dell’adesione che, sino al 1944, il
maresciallo Pétain ha avuto dal popolo francese, argomento di cui si parla molto poco, dei
lavoratori che andarono in Germania, della Milizia volontaria, della divisione Charlemagne
costituita da volontari. E anche di quanto avvenne dopo la liberazione dell’agosto del 1944, con il
ritorno da Londra di de Gaulle e l’inizio delle epurazioni, dei processi, delle esecuzioni. Il titolo è
‘La Francia di Vichy: una storia rimossa’, edito da NovAntico.
Quando è nato il suo interesse per il periodo fascista?
In casa nessuno lo era, né mio nonno, che ha combattuto nella Grande Guerra ed era di idee
socialiste-nenniane, né mio padre. Ma della seconda guerra mondiale me ne parlavano sin da
piccolo: un fratello di mia mamma, aiuto macchinista del 1924, è morto il 26 dicembre 1944 per un
bombardamento degli Alleati. La spinta decisiva me l’ha data Boves.
D’estate andavo con la mia famiglia a Boves, eravamo ospitati da contadini che ci affittavano dei
locali, erano gli anni a cavallo tra la fine dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta e ho avuto allora i
primi sentori, ascoltando i nostri ospiti, di discrepanze tra quello che si diceva nelle celebrazioni e si
scriveva nei primi opuscoli scritti a cura del Comune, e quello che sarebbe avvenuto. In quel
periodo Boves ottenne una Medaglia d’Oro al Valor Civile ed una Medaglia d’Oro al Valor Militare,
grazie all’impegno dell’allora sindaco democristiano Giovanni Allasia.
Nel 1964 uscì un bel libro dove c’erano le foto dei Caduti della Resistenza. E ci fu chi sollevò dei
dubbi proprio su alcune fotografie di persone indicate come decedute nella Resistenza, e mi feci
delle domande sul perché nell’assegnazione della Medaglia d’Oro fossero enumerate 45 persone tra
i Caduti del 19 settembre, quando nel sacrario se ne contavano 23. Passati gli anni, laureando in
giurisprudenza, preparai la mia tesi in statistica, facendo un’introduzione storica e iniziai a leggere
libri che parlavano dell’argomento, oltre a quelli del Comune celebrativi del tragico evento. Tra
questi c’era ‘Boves Kaputt’ di Donato Dutto, l’ultimo commissario prefettizio che obiettivamente
ripercorre il profilo storico del paese.
E con gli anni si arrivò a ‘Boves 1943-1945 le verità a confronto’, del 1995. Come venne accolto?
Da alcuni ambienti non bene, come si può pensare. A Boves su questo argomento la popolazione era
divisa in due. Dopo l’uscita del libro ricevetti una telefonata da un ex partigiano cuneese, Livio
Toselli che mi chiese di fargli visita. Lo feci, mi aspettava a casa sua. Era del 1926 e mi disse che
avevo in qualche modo anticipato quello che avrebbe voluto pubblicare. Era un appartenente delle
Sap che operavano nella Provincia Granda e mi disse che avrebbe rifatto tutto quanto era stato il suo
operato a 18 anni, ma con il passare degli anni si era spostato su posizioni liberali. Dopo la sua
scomparsa il figlio mi diede il materiale del padre – documenti, foto, immagini spesso inedite – e
grazie alla sua collaborazione è nato ‘Verità Nascoste’ con la ricerca della verità storica su quanto
accadde in Provincia di Cuneo.
Queste opere risalgono alla metà degli anni Novanta, ai primi Duemila, e riguardano una
città, una provincia dove la lotta partigiana è stata più intensa che altrove e le reazioni non si
sono fatte attendere. Ha mai corso il rischio di essere ostracizzato?
Dalle amministrazioni precedenti che erano di centro-sinistra, sì; ora decisamente meno. Ho
registrato reazioni calunniose e critiche infondate da parte della sinistra, di chi rappresenta il mondo
del partigianato, purtroppo anche da persone che conoscevo sin da ragazzino.
Ho scritto molto su Boves, su Cuneo, poi sull’Europa e sulla guerra in generale, anche un libro sul
maggiore Peiper che comandò le truppe tedesche in occasione della strage, ‘Una vita sotto accusa’.
Lei si colloca politicamente a destra?
Non ho mai pensato ad una personale collocazione politica, semplicemente mi sono occupato di
comprendere le ragioni dei vinti, di chi ha perso.
Quindi ha percorso, con qualche anticipo la strada di Giampaolo Pansa, che pure si è sempre
dichiarato antifascista. Con lo scrittore originario di Casale Monferrato, ha avuto dei
contatti?
Pansa era interessato soprattutto a quanto accadde alle donne dopo il 25 Aprile ed ai fucilati a
Cuneo dove su una trentina di giustiziati dieci, appunto, erano donne, caso unico in Italia. Prima
dell’uscita de ‘Il sangue dei vinti’ mi contattò per telefono. Ero a San Giacomo di Boves. Mi disse,
con voce decisa che aveva interesse ad avere notizie per un capitolo che riguardasse le esecuzioni
dopo la Liberazione. Aveva saputo che mi ero interessato a questo aspetto e che avevo scritto in
materia. Nel corso della conversazione telefonica passammo al tu; mi sentii gratificato e gli inviai la
documentazione che aveva chiesto; nel suo testo citò il libro, l’autore e l’editore; poi quando è
uscito ‘Il sangue dei vinti’ mi ha inviato una copia con la sua dedica. Ed altrettanto è avvenuto
quando ha scritto il secondo libro sui vinti. Non ci siamo mai incontrati di persona, ma sentiti più
volte, reciprocamente per scambiarci gli auguri a Natale e Pasqua.
Ritiene si possa arrivare ad una memoria condivisa della guerra civile?
No perché ci sono troppi preconcetti da entrambe le parti, da una parte il reducismo che non cala la
bandiera, dall’altra Anpi, Istituto per la Resistenza, Partito democratico che si sentono eredi di
determinati ricordi e condizionati da una storiografia propagandistica. E se si parla non per
giustificare, ma anche solo per capire, si va sempre a finire su fronti contrapposti.
Massimo Iaretti