CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 420

Un “Abito” per la musica classica contemporanea

I tanti appuntamenti del “EstOvestFestival” dal 4 ottobre al 19 dicembre

Torna “EstOvest Festival”, il più importante appuntamento dellautunno per la musica classica

contemporanea. Dal 4 ottobre al 19 dicembre si terrà la ventesima edizione, promossa

dallAssociazione EstOvest Festival, a Torino e in diversi luoghi del Piemonte, con più di 20 eventi.

Sono attesi ospiti da tutto il mondo, dal violoncellista finlandese Anssi Karttunen al violinista

polacco Rafal Zambrzycki-Payne, e al violoncellista tedesco Lucas Fels, oltre a talenti italiani di

livello internazionale come Francesco Dillon e il Quartetto Maurice. Ci saranno poi la violinista Eilís Cranitch, presidente onorario del festival, ed Elizabeth Wilson, fondatrici del festival e dello Xenia Ensemble, nucleo artistico da cui è nata la manifestazione. La crescita di EstOvest ha portato alla contaminazione fra diverse arti, aspetto che questanno sarà declinato non solo attraverso lalto numero di collaborazioni, ma con il contributo di grafici, video editor e persino macchine. Il 4 ottobre, alle ore 18, lAula Magna del Politecnico di Torino ospiterà “Intelligenze”, evento in cui una macchina, Sally, «dipingerà» dei quadri «lasciandosi ispirare» dalle musiche di Arnold Schoenberg, Enno Poppe, Jörg Widmann, Bernd Alois Zimmermann e Friedrich Gulda.

Nei progetti innovativi proposti da “EstOvest” rientra “Inhubita”, al Polo del 900 per tutta la durata

della manifestazione, creato da Andrea Gerratana e Riccardo Perugini. Fra elementi videoludici

e musica, lobiettivo è indagare, con quattro installazioni, il rapporto fra esseri umani e case. A proposito di contaminazioni, molta attenzione sarà riservata al rapporto fra arte musicale e

fotografia. Claudio Pasceri, musicista e direttore artistico di “EstOvest”, lavorerà con il fotografo Luca Del Pia per trasformare in immagini un preciso numero di lemmi che rappresentano la musica classica contemporanea. L’ultima novità è la creazione di un evento interamente dedicato al repertorio contemporaneo del violoncello. Nasce a Torino la Contemporary Cello Week, che dal 21 al 24 ottobre porterà incittà importanti violoncellisti a livello internazionale. Sarà offerto uno spaccato della sconfinata produzione realizzata per questo strumento, con esibizioni affiancate da tavole rotonde e masterclass, organizzate al Camplus Bernini con il Conservatorio G.Verdidi Torino. Sono rivolte a compositori e giovani di talento da tutta Europa, ma anche il pubblico potrà accedere. Il calendario concertistico, poi, coinvolge anche Politecnico, Circolo dei lettori e Museo Ettore Fico.

“Il ventesimo anno di EstOvest Festival – dichiara Adrian Pinzaru, presidente dell’Associazione

EstOvest Festival – ci porta a proiettare lo sguardo sul percorso intrapreso. Dagli esordi nel 2001,

grazie all’impegno costante del gruppo di lavoro e al sostegno e accompagnamento dei

finanziatori, “EstOvest” è cresciuto anno dopo anno in termini quantitativi, di eventi, e qualitativi, nella proposta artistica. Vent’anni di continue trasformazioni e rimodulazioni”. “Il tema è da sempre caro alla manifestazione – commenta Claudio Pasceri, direttore artistico di EstOvest Festival – e il luogo della musica e dei musicisti nella comunità è in questa edizione assolutamente centrale. Il titolo del 2021, “Abito”, intende le molte declinazioni e i suggestivi e sfaccettati significati del concetto di abitare. Leghiamo la presenza di artisti giovani a quella di musicisti riconosciuti a livello internazionale, cercando di mettere tutto sempre sullo stesso piano. Intendiamo così creare nel pubblico che frequenta il festival l’habitus, l’abitudine, a una proposta rilevante sul piano musicale, ma innanzitutto inclusiva e omogenea”.

Il cromatismo simbolico di Rolando Rovati

In mostra alla Galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia

La galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia  dedica una mostra personale, aperta fino al 2 ottobre prossimo, all’artista Rolando Rovati, le cui opere sono espressione di un intimo simbolismo, dove la creatività si unisce a una magistrale ricerca di forti valori estetici.

Nei suoi dipinti la calibratura della luce si accompagna ad un preciso rigore formale, capace di suscitare nello spettatore riflessioni e emozioni ricorrenti. Le sue opere sono rese vive dai colori, testimonianza di una fervida fantasia creativa e compositiva, oltre che di un’affascinante resa scenografica, in cui l’elaborazione meticolosa non conosce soste e vive nell’opera attraverso una precisa tessitura grafica e cromatica di grande originalità.

Le opere di Rolando Rovati esprimono una sinfonia suggestiva di rossi e di verdi, capaci di manifestare un originale timbro cromatico e un’armonia ritmica ricca di equilibrio, di spiritualità e di un’altrettanto originale impronta descrittiva.

Le immagini di questo artista esprimono una meticolosità che accompagna la costante elaborazione di forme inedite e di nuove progettazioni strutturali. Il segno pittorico di Rovati, nativo del Bresciano, risulta di forte impatto sia dal punto di vista cromatico sia sotto il profilo materico; i suoi quadri sono vere e proprie finestre sull’anima e mosaici capaci di coniugare antico e moderno, attraverso la valorizzazione della materia, in cui le campiture ottengono un effetto tridimensionale a rilievo. L’artista pare seguire una melodia, che viene tradotta in pittura, capace di catturare lo sguardo dello spettatore attraverso strutture labirintiche, tracciate con segni nitidi e al tempo stesso decisi.

La mostra è visitabile presso la galleria d’arte Malinpensa by LaTelaccia in corso Inghilterra a Torino.

Tel 0115628220.

Orario 10.30-12.30; 16-19. Chiuso lunedì e festivi.

Mara Martellotta 

Il “profe” Monti e Giaveno

Un incontro al Pacchiotti per commemorare i 140 anni dalla nascita di Augusto Monti

“Bella la mia Valle dell’Armirolo: che cos’è quest’onda di tenerezza che mi sale al cuore sempre che io ti riguardi offerta al cielo, casa dove io torno ogni anno richiamato dal desiderio di te? Dimmi che cos’è che mi fa impeto al sospirare di tenerezza, cos’è? Se non è amore, che cosa sia io non so”
Augusto Monti, Val d’Armirolo. Ultimo amore

GIAVENO — Sabato 2 ottobre alle ore 16 presso l’Aula Magna della Fondazione Pacchiotti di Giaveno (Via Pacchiotti, 51) si terrà un incontro, patrocinato dalla Città di Giaveno, per commemorare Augusto Monti (29 agosto 1881 – 11 luglio 1966), scrittore e intellettuale antifascista, nel 140 anniversario della sua nascita.
Per l’occasione interverranno il critico letterario e biografo di Monti Giovanni Tesio, già docente di Letteratura Italiana all’Università del Piemonte Orientale; la giornalista e Presidente dell’Unitre Giaveno Val Sangone Alessandra Maritano; Fabrizio Dutto, titolare della casa editrice cuneese Araba Fenice, che ha ristampato le opere di Monti; Livio Lussiana, vicepresidente del CAI sezione di Giaveno, e Luca V. Calcagno, che ha realizzato un documentario autoprodotto di mezz’ora dal titolo “Le voci e i silenzi. Augusto Monti e la Valle dell’Armirolo”. Nel video viene spiegato il rapporto tra Monti e Giaveno, attraverso i contributi del prof. Tesio e della dott.ssa Maritano. Compaiono anche alcune fotografie d’epoca fornite da Roberta Giai Via Biggio con l’aiuto di Michele Rege e il gruppo “Racconti e ricordi della Val Sangone”.
Il celebre professore, insegnante tra gli altri anche di alunni come Cesare Pavese, Massimo Mila, Giulio Einaudi e Vittorio Foa, ha avuto rapporto con Giaveno fin dal suo debutto nel mondo della scuola appena laureato. Infatti ha insegnato presso l’Istituto Pacchiotti negli anni scolastici 1902/03 – 1903/04, riportando le sue impressioni anche nella sua “autobiografia” I miei conti con la scuola.
Torna in Giaveno alla fine degli Anni Venti, dapprima in borgata Sala, poi alla Côrdia che è eletto suo luogo di villeggiatura fino all’arresto per antifascismo nel 1936. Dal 2006 in quei

luoghi si snoda il percorso escursionistico del Sentiero Augusto Monti con partenza da borgata Mollar dei Franchi.
«Visto il rapporto che Augusto Monti ha avuto con il Pacchiotti e con Giaveno abbiamo subito accolto la proposta di realizzare questo incontro — spiegano dal Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Pacchiotti, il presidente Fulvio Roattino con Patrizio Sgarra e Vladimiro Colombo — Si inserisce nell’opera di riscoperta e valorizzazione della nostra storia e di quella del territorio che il nostro CdA sta portando avanti».
«La figura di Augusto Monti riveste un ruolo di primo piano nella storia di Giaveno e il suo legame con la nostra città è motivo di orgoglio, oltre ad esercitare un indiscusso richiamo anche a livello culturale e turistico — interviene Edoardo Favaron, Assessore alla Cultura del Comune di Giaveno — Negli anni sono state numerose le iniziative dedicate a questo grande scrittore, a cui Giaveno ha anche dedicato il suo sentiero escursionistico più celebre. Ringrazio la Fondazione Pacchiotti per aver organizzato questa pregevole iniziativa che riporterà la meritata attenzione sulla figura di Monti in occasione di questa importante ricorrenza».
«L’iniziativa organizzata nel 140° anniversario della nascita di Augusto Monti consente di riprendere  il cammino  nella riscoperta della sua vita, dei suoi scritti,  del suo mestiere  nella scuola  e del suo antifascismo — dichiara Maritano — Di intrecciare l’esperienza  concreta e fisica  da  compiere passo passo dopo  passo sul Sentiero giavenese a lui dedicato alla lettura di Val D’Armirolo. Ultimo Amore, delle Lettere a Luisotta, ma anche ad altri testi. Assaporando i colori, la vegetazione, i rumori e i silenzi del paesaggio e del posto è possibile cogliere alcune chiavi di contatto, per quanto altre non esistano più,   con l’atmosfera vissuta da questo intellettuale del Novecento, nel suo tempo di vacanza a la Côrdria».
«Araba Fenice, allo scoccare dei suoi 30 anni di vita, è lieta di continuare la battaglia editoriale per far conoscere e tener viva l’opera di Augusto Monti, nonostante non sia un autore di grande mercato e sia un autore di nicchia — racconta Dutto — Continuiamo a pubblicare soprattutto Val d’Armirolo. Ultimo amore che abbiamo sempre in catalogo. E probabilmente per l’anno prossimo faremo una nuova edizione de i Sansôssì, perché stiamo finendo l’edizione storica rilegata. Abbiamo anche l’intenzione di ripubblicare I miei conti con la scuola, che forse è il suo libro più significativo a livello storico ed educativo».
Racconta Livio Lussiana Vicepresidente del CAI sezione di Giaveno e appassionato lettore di Monti: «Realizzare il Sentiero Augusto Monti è stata una bellissima esperienza. A partire dalla proposta della nostra sezione, il gruppo di lavoro si è allargato ad Amalia Girotti e al Circolo Ricreativo Culturale di Giaveno, che ha ottenuto un finanziamento dall’allora Provincia di Torino, il prof. Bartolomeo Vanzetti, alla scuola superiore “Blaise Pascal”, i cui studenti hanno scelto i testi, al prof. Giovanni Tesio e alla dott.ssa Alessandra Maritano. Poi abbiamo realizzato anche un convegno insieme al Comune di Giaveno. Il Sentiero ci ha dato grosse soddisfazioni, anche se la sua manutenzione è molto impegnativa. Oltre che di molti escursionisti, negli anni è stato meta anche di gite di fine corsi da Unitre da tutto il Piemonte. Per questo ci piacerebbe che venisse riconosciuto come percorso letterario alla maniera di quello nelle Langhe dedicato a Beppe Fenoglio».
«In Val d’Armirolo Monti dà dignità letteraria a un luogo, già di per se splendido, che tutti noi giavenesi abbiamo sotto gli occhi» chiosa Calcagno.
L’iniziativa avverrà nel rispetto delle misure vigenti di prevenzione dalla pandemia da Covid – 19 e richiederà l’accesso con Green Pass.

La Cappella Sistina delle Alpi

Martedì 28 settembre gli Amici della Fondazione Ordine Mauriziano ci raccontano, in presenza e online, “La Cappella Sistina delle Alpi Marittime”

Ore 18 – Fondazione Educatorio della Provvidenza, Corso Trento 13; in presenza e online

Per il collegamento online: Piattaforma Zoom ID: 99669430915 – PW: 981707

AFOM – AMICI DELLA FONDAZIONE ORDINE MAURIZIANO

Conferenza dal titolo “Notre Dame des Fontaines (sottotitolo: La Cappella Sistina delle Alpi Marittime), a cura di Mario Busatto, socio AFOM.

Il santuario di Notre Dame des Fontaines è stato definito “La Cappella Sistina delle Alpi Marittime” in virtù degli splendidi affreschi tardo quattrocenteschi che coprono interamente le sue pareti e che illustrano episodi dei vangeli apocrifi, una coinvolgente Passione di Cristo che contiene, tra l’altro, la pubblica denuncia di un contemporaneo assassinio e un imponente Giudizio Universale pieno di messaggi simbolici.

Info: info@afom.it – www.afom.it

Lettera aperta a padre Antonio Menegon camilliano

Caro padre Antonio,
Seguo dai tempi più duri della pandemia la Messa delle 10,30 che Ella celebra nella chiesa di San Giuseppe di Torino e trasmette su Facebook.

Il prof. Quaglieni

Ascolto con attenzione le sue omelie, sempre molto vivaci sul piano intellettuale, oltre che cariche di valore messianico sotto quello religioso.
La sua omelia domenicale è quanto di meno clericale si possa ascoltare anche perché a volte assume accenti che non esiterei a definire addirittura anticlericali.

Vorrei che La ascoltassero certi cretini, atei e sbattezzati, che hanno nel loro piccolo cervello solo un laicismo furioso che ,come diceva il mio amico Bobbio, è l’esatto opposto della laicità. C’è chi dice che Lei è un seguace di Papa Francesco, ma io posso testimoniare che certe idee Lei le ha sempre professate ben prima dell’arrivo dell’attuale Papa. In una Messa che feci celebrare per il centenario della nascita di mio Padre ebbi il piacere di apprezzare il suo “anticonformismo” ed anche nei brevi discorsi che ci scambiammo quando venni a fare qualche iniezione in passato, apprezzai il suo modo d’essere fuori dagli schemi. Così, d’altra parte, è l’Ordine dei Camilliani dediti alla cura degli ammalati. Io stesso ho contribuito alla periodica raccolta di medicine attuata dalla chiesa di San Giuseppe e non posso dimenticare un episodio di grande significato etico e religioso: l’aver sgombrato i banchi della chiesa per accogliere a dormire i senza tetto. Un episodio che fece scalpore, ma non fu di esempio. Io apprezzo la profondità delle sue omelie e anche la loro concisione perché esse toccano sempre e subito il cuore del problema.

A volta c’è persino un po’ di ironia nelle sue parole, ma soprattutto c’è una visione di Chiesa che è agli antipodi di quella tramandata dalla tradizione. Non so cosa mi direbbe se sapesse che amo il latino e la Messa tridentina senza per questo essere un nostalgico parruccone della Controriforma di cui da storico ho studiato limiti ed errori. In Lei, qua e là, ma non vorrei dire un’eresia, c’è anche qualche venatura di pensiero che alcuni fedeli potrebbero definire protestante. Io La seguo sempre con interesse, anche quando dissento o non sono totalmente d’accordo con Lei perché le Sue parole trovano conferma nelle opere di carità cristiana di cui è promotore ed artefice. Lei non si limita a dire, ma fa concretamente ciò’ che dice.

Durante l’omelia di domenica 26 settembre ha voluto accennare alle grandi tragedie del ‘900, ignorando una delle più terribili: il comunismo. Si è limitato al nazismo e alla shoah che restano insieme al comunismo le tre grandi aberrazioni del secolo passato. Da credente io ho solo da imparare dalle sue omelie, ma io da storico ho il dovere di ricordare i milioni di morti provocati dal comunismo nelle sue diverse versioni. Non credo che un uomo colto e intelligente come Lei possa credere al comunismo come ad una forma di cristianesimo ateo, ad un impazzimento dell’idea cristiana, come si diceva un tempo.

Queste erano cose che biascicava un mio professore di ginnasio che non aveva il coraggio delle sue idee perché insegnava in una scuola cattolica. L’egualitarismo marxista che ha soffocato nella violenza più atroce ogni libertà e ogni dignità umana,  trae origine dal giacobinismo sanguinario dell’ egalite’ senza liberte’.

Non ritengo indenne da colpe, anche molto gravi, il liberismo oggi praticato nella Cina comunista, la cui origine è indiscutibilmente europea. Non nascondo e non giustifico le crudeltà di un liberismo senza regole. Comprendo invece come il socialismo possa trovare affinità con la dottrina cristiana, malgrado la sua matrice laica perché il socialismo ha un’anima umanitaria e libera. Il comunismo invece non può’ trovare il favore di persone che abbiano fatto i conti con la realtà e la storia. Le utopie a cui credevano Marx e Gramsci si sono rivelate fallaci e le violenze atroci di Lenin e di Mao sono profondamente anticristiane, anzi sono inumane.

Mi scusi se mi sono permesso di esprimere il mio pensiero, ma le ragioni della storia hanno un valore che non può essere ignorato. Le posizioni di via Vandalino a Torino o dell’Isolotto a Firenze, tanto per citare due esempi sessantottini dimenticati, rimangono forme di ribellismo che non ha lasciato nulla dopo di se’ .

Mi creda, con cordiale deferenza

Suo Pier Franco Quaglieni


P.S.  Mia moglie, di origini russe che ebbe l’intera famiglia tra cui suo nonno massacrata dai bolscevichi nel 1918, e’ rimasta esterrefatta, credo con qualche ragione, nel non sentire nominato il comunismo tra le tragedie del ‘900.

De Fornaris, 15 opere dalla Fondazione Fico

La Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris, presieduta da Piergiorgio Re, ha ricevuto in questi giorni 15 opere come lascito della Fondazione Ettore Fico, dopo che questa è stata sottoposta nel corso del 2020 alla procedura di liquidazione con la nomina di un commissario da parte del Tribunale di Torino. Lo Statuto della Fondazione Fico prevede infatti, all’art. 12, che “in caso di scioglimento della Fondazione per qualunque causa, il patrimonio sarà devoluto alla Fondazione De Fornaris”.

 

Sono arrivati in via Magenta lavori di Ra di Martino, Luca Trevisani, Luca Pozzi, Petrit Halilaj, Lili Reynaud-Dewar, Mimosa Echard, David Douard, Paola Angelini, Alberto Scodro, Jonas Wijtenburg, Nicolas Milhé, Rossella Biscotti, Alis/Filliol, Gian Maria Tosatti.

 

In particolare, di Ra di Martino entra nelle raccolte De Fornaris “The Focus of Attention” (2010), di Luca Trevisani “Flyinfishing” (2011), di Rossella Biscotti “Ideological Artifact” (2006). Tra i nuovi ingressi anche “Mofocracy” (2014) di Alis/Filliol, “Senza titolo” (2009) e “L’ospite” (2010) di Gian Maria Tosatti.

 

Maurizio Scandurra interviene su Canale Italia

Questa sera il giornalista cattolico interviene in diretta dalle 20.00 a ‘Piazza Libertà’ su ‘Canale Italia 83’.

Maurizio Scandurra ritorna a ‘Piazza Libertà’. Questa sera il giornalista radiotelevisivo e saggista cattolico è fra gli ospiti in diretta dalle 20.00 alle 21.00 di Armando Manocchia (Direttore del portale d’informazione ‘ImolaOggi.it’) su ‘Piazza Libertà’, il talk-show d’informazione libera in onda ogni domenica su ‘Canale Italia 83’, su Sky 937 e in streaming su Facebook.

“Al centro della puntata, – commenta Scandurra – strategie e risposte concrete per arginare la deriva democratica posta in essere dalla pandemia da Covid-19.”

Maurizio Scandurra, spesso opinionista a ‘La Zanzara’ di ‘Radio24’ con Giuseppe Cruciani, Alberto Gottardo e David Parenzo, a ‘Radio Radio’ con Francesco Vergovich e commentatore per primarie agenzie di stampa italiane quali ‘Ansa’ e ‘Adnkronos’, interverrà con il consueto piglio deciso e argomentato, come nel suo stile.

Che l’ha portato in pochi mesi a rivelarsi una delle figure televisivamente più seguite da quell’ampia fascia di pubblico che non si riconosce nelle logiche della narrazione mainstream e politically correct al tempo del Covid-19, riscuotendo larghissimi consensi sull’onda lunga di personaggi di grande calibro e spessore quali Alessandro Meluzzi, Diego Fusaro, Maria Giovanna Maglie, Gianluigi Paragone e Vittorio Sgarbi.

Maurizio Scandurra, già nel cast di programmi di punta di Raiuno e Raidue come ‘Mattina in Famiglia’, ‘Telethon’ e ‘Scalo 76’, ha esordito per la prima volta anche al cinema interpretando sé stesso accanto a Sebastiano Somma e Remo Girone nel film ‘Lupo Bianco’, dedicato alla storia straordinaria del filantropo Carlo Olmo e premiato alla 78° Mostra D’Arte Cinematografica di Venezia con l’ambito ‘International Starlight Cinema Award’.

La regia è di Tony Gangitano, la produzione di Antonio Chiaramonte per ‘CinemaSet’, la sceneggiatura di Stephanie Beatrice Genova e Alessandro Ferrara con i costumi di Tina Monello. L’opera è attesa nelle sale cinematografiche a Febbraio 2022.

Sono gratissimo a Carlo Olmo, magistralmente protagonistail 25 Settembre scorso su Raidue di una delle più belle puntate di ‘Tg2 Storie’ con tutta la sua eccezionale carica caritatevole, per avermi permesso di partecipare a un lungometraggio così significativo. Capace di insegnare con l’emozione e la concretezza qual è la strada giusta per amare. E aggiungere un tocco di magia in più al mio mestiere di cronista, facendomi scoprire tutta la suggestiva efficacia e altrettanto profonda bellezza della macchina da presa messa al servizio del cuore”, dichiara entusiasta e riconoscente Maurizio Scandurra.

Quando Kṛṣṇa visita Torino. L’esotica mostra al MAO

È piccolissima la mostra “Kṛṣṇa, il divino amante”, adibita presso il MAO di Torino, su questo non c’è dubbio. Ma è altrettanto vero che si tratta di un’occasione imperdibile, quindi, se qualcuno non l’avesse ancora visionata, sarebbe opportuno che si affrettasse, poiché l’esibizione, iniziata lo scorso 28 aprile, terminerà il 26 settembre 2021.

L’esposizione occupa giusto una sala, quella che si trova a destra del Buddha d’ingresso; l’aprirsi di una semplice porta scorrevole ci proietta in una dimensione lontana, vagheggiata, dal sapore speziato, un solo passo ed eccoci nell’esotica India.

Sulle pareti nivee si tagliano quattro dipinti religiosi (“picchavai”) incentrati sulla figura di Kṛṣṇa, il dio indiano generalmente raffigurato con la carnagione blu – Kṛṣṇa o Krishna, lo “scuro”- l’ottava e la più venerata tra le incarnazioni di Viṣṇu, solitamente ritratto mentre suona il flauto.
Alle pitture si affiancano alcuni componimenti poetici, ascrivibili alla corrente della “bachti”, termine che indica la devozione completa e fidente verso la divinità, per immedesimarsi con essa e ottenere la salvazione, un atteggiamento emotivo che stabilisce fra il dio, che è dio di amore e di grazia, e il suo fedele un rapporto diretto a carattere universalistico, ricchissimo di umanità.
Tali componimenti hanno lo scopo di essere chiave di lettura evocativa e di esaltare il concetto tutto indiano di “rasa” ossia un particolare stato emozionale secondo cui una qualsiasi opera visiva suscita nel fruitore un sentimento che non può essere descritto; ci si riferisce all’essenza entusiasmante elaborata nell’opera dall’autore e apprezzata da uno “spettatore sensibile” (“sahṛdaya”, ossia “colui che ha cuore”) in grado di connettersi a tale opera con trasporto.
Una volta entrati nella piccola stanza dobbiamo fare lo sforzo di immedesimarci in un universo fatto di intricati precetti, di numerosissime divinità, in cui la materia e lo spirito, la sensualità e il misticismo fanno parte di un medesimo cosmo.

I quattro “picchavai” – grandi dipinti devozionali su tela, tipici delle scuole del Rajasthan – colpiscono per la quantità di dettagli, per i colori accesi ma armoniosi, per la sinuosità delle forme e per quel peculiare modo di percepire l’amore come qualcosa di totalizzante, che non può dividere l’aspetto fisico da quello spirituale.
Nell’ “Adorazione di Madana Mohanji presso il tempio di Karauli” osserviamo un cielo trapuntato di stelle, che avvolge un’architettura dorata riccamente adorna di lampade elaborate, mentre individui dai ricchi mantelli raggiungono il dio, posto al centro dell’opera, intento a suonare il flauto, come la tradizione iconografica vuole.
Nelle altre pitture, fanno capolino affascinanti fanciulle, vicine al nostro immaginario stereotipato, esse fanno fluttuare con grazia i veli con cui si abbigliano, mentre i gioelli indossati brillano e si confondono con i dettagli floreali di una natura che richiama il sogno.
La tela “Kṛṣṇa suona il flauto omaggiato da due gopi” mostra il dio, inconfondibile per la sua colorazione epiteliale, è posto al centro della composizione, nell’atto di deliziare le giovani mandriane – le “gopi” – con il suono delicato dello strumento. L’opera avvampa di un rosso passionale, reso ancora più avvolgente dall’abbondante utilizzo della foglia d’oro su cotone.
Tre le pitture esposte vi sono ancora “Kṛṣṇa, Rādhā, e le gopi”, in cui dominano i toni del verde, i tratti decisi che definiscono gli occhi truccati delle giovani fanciulle e il brillio delle perle da loro indossate; vi è poi “Gopi in attesa”, in cui l’ “horror vacui” dei dettagli assorbe l’osservatore in un dedalo di foglie, frutti, monili, strumenti musicali e persino un inaspettato uccellino rosso vermiglio.
I quadri affissi sono inscrivibili nell’iconografia delle “Raslila”, immagini dedicate alla giovinezza del dio e in particolare ai giochi amorosi intessuti tra lo stesso Kṛṣṇa e le giovani fanciulle incontrate tra i boschi di Vrindavan; la parola “lila” (“gioco”), nell’ambito della “bhakti”, assume significato simbolico ed esprime lo specifico concetto secondo cui le anime umane sono viste come “amanti” passionali del dio “amato”.

Le “picchavai” sono solitamente esposte all’interno di templi dedicati alla stessa divinità e hanno come tematiche la vita terrena di Kṛṣṇa, gli episodi raffigurati variano nel corso dell’anno, seguendo il calendario delle festività relative al dio.
Tra i versi poetici che accompagnano le iconografie, il più antico risale alla “Bhagavad-gita”, il più importante dei testi sacri della tradizione hindu, che celebra la maestosità del “Beato”, epiteto di Kṛṣṇa; gli altri componimenti invece risalgono al XV-XVI secolo, quando l’India settentrionale è sotto la dominazione islamica.
Come poter gustare a pieno questa breve ma intensa mostra? Forse con l’indicazione di qualche piccola nota.
“Hare Kṛṣṇa Hare Kṛṣṇa/ Kṛṣṇa Kṛṣṇa Hare Hare/ Hare Rāma Hare Rāma/ Rāma Rāma Hare Hare”.
Questa è la ripetizione dei sedici nomi per distruggere il male del Kali-yuga.
Il mantra upaniṣadico predicato nella “Kalisaṃtaraṇopaniṣad”, è praticato in numerose scuole visnuite, soprattutto in quelle conosciute come “gauḍīya”, di origine bengalese. Nel “mahā-mantra” (“mahā” significa “grande”) vengono citate diverse divinità come Hare, Rāma, Bhagavat e Kṛṣṇa, tutte figure appartenenti all’affollato pantheon induista, che vanta ben trentatré milioni di nomi tra dei e dee.

Difficile leggere queste parole senza tramutarle di primo acchito in una nenia priva di significato, che si intrufola fastiosa nella nostra mente e si piazza lì come rumore di sottofondo.
A diffondere questo mantra in occidente è il maestro spirituale indiano A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, fondatore, a partire dal 1966, del “Movimento Hare Kṛṣṇa”, meglio noto come “International Society for Kṛṣṇa Consciousness”. L’associazione ha sede a New York e porta avanti la medesima dottrina della scuola gauḍīya: si tratta di un credo religioso assai complesso, basato sull’idea di una continua e attiva azione missionaria; al centro di tale pensiero vi sono: Kṛṣṇa, inteso come “Bhagavat” (“persona suprema”), e la sua “paredra” Rādhā. “Paredra” è termine di origine greca, traducibile con “chi siede accanto” e va ad indicare una divinità il cui culto è associato a un’altra, generalmente di sesso opposto.
Proviamo ora ad analizzare più da vicino questi pochi versi. Nel “grande mantra” viene citato Kṛṣṇa, qui inteso come avatāra della “Persona suprema”, questa indicata come Viṣṇu; Rāma corrisponde invece all’ avatāra di Kṛṣṇa/Viṣṇu, celebrato nel Rāmāyaṇa, ma può intendere anche Balarāma, il fratello di Kṛṣṇa e avatāra o “espansione” di Kṛṣṇa/Viṣṇu; vi è poi Hare, termine dalle diverse interpretazioni, tra cui quella di “Hari” (il“Fulvo”), epiteto di Kṛṣṇa o “Hara” (“affascinante”) vocativo collegato a Rādhā.
Cari “semplici” monoteisti occidentali, un po’ di confusione, nevvero? Benissimo, ora assaporate questa sensazione di totale caos, moltiplicatela per trentatré milioni e canticchiate un “Hare Kṛṣṇa” a testa in giù, e avrete solo una lieve percezione della complessità della cultura dell’India, meravigliosa e intrigante ma davvero distante da noi.
È opportuno specificare che quando si parla di “cultura indiana” ci riferiamo ad un insieme di sub-culture, assai differenti tra loro e molto arcaiche. Gli studiosi indicano tale bacino culturale come “la più antica civiltà della Terra”, che affonda le sue radici ai tempi dei Veda, i cui testi sembrano risalire dalla prima metà del II millennio al V-IV sec. a.C.
Vediamo di districarci in questo dedalo di tradizioni, divinità e spezie, esplicando per sommi capi le nozioni essenziali per comprendere – almeno un po’ di più – questo mondo così colorato, che ancora oggi rimane avvolto da un’aura di magia mistica, apparentemente impermeabile al grigiore industriale che sta inghiottendo il globo.

Data l’ampiezza della materia, mi affretto a restringere il campo e sottolineo fin da ora che in questa sede vedrò di fornirvi alcune brevi indicazioni riguardanti l’arte indiana, tralasciando, per ovvi motivi, le altre questioni.
L’arte antica del subcontinente indiano comprende le architetture, le sculture e i dipinti dei territori della Repubblica dell’India, del Pakistan, del Bangladesh, dell’Afghanistan, del Nepal, del Bhutan e dell’isola di Sri Lanka; ad oggi l’organizzazione “Archaeological Survey of India” afferma di tutelare all’incirca tremilaseicento monumenti. La maggior parte dei reperti sono architetture e sculture ben conservate, che manifestano con chiarezza le caratteristiche dei vari periodi storici. Della pittura ci rimane invece ben poco, le condizioni climatiche avverse hanno reso i pochi dipinti pervenuti difficilmente classificabili, sia per quel che riguarda la cronologia che lo stile; altre cause che hanno portato alla perdita della produzione pittorica sono state le molte guerre fra regni rivali e, in seguito, le invasioni islamiche.
Quasi la totalità delle opere d’arte indiane antiche può essere classificata come arte religiosa, si tratta di produzioni il cui scopo principale è quello di veicolare significati metafisici. Sculture, monumenti e dipinti si ispirano a tematiche induiste, buddhiste e jainiste.
Buddhismo e Jainismo si diffondono sul territorio a partire dal VI sec. a.C., più complicata è la questione dell’Induismo, che si presenta come un fenomeno articolato e complesso, le cui prime manifestazioni sono riconducibili al culto della Grande Madre, tipico della civiltà della Valle dell’Indo. Alla Grande Madre si affianca successivamente uno sposo; nel periodo Arya, invece, iniziano a fiorire divinità multiple, spesso associate a fenomeni cosmici.

Le diverse filosofie orientali, basate su un rapporto intimo ed emozionale con la divinità, offrono da sempre numerosi stimoli e spunti raffigurativi.
Tali concezioni si incentrano sulla ricerca della soluzione al paradosso dell’esistenza, in base al quale tempo ed eternità, immanenza e trascendenza operano in modo opposto ma come parti integranti di un unico processo. Secondo questo ragionamento la creazione non può essere distinta dal creatore e il tempo diventa comprensibile solo come eternità. Trasponiamo ora il concetto all’ambito artistico, l’esperienza estetica si divide in tre elementi tra loro distinti ma correlati: i sensi, le emozioni e lo spirito.
La produzione artistica indiana non distingue tra materia e spirito, al contrario, attraverso un complesso simbolismo di forme volutamente sensuali e voluttose, fonde insieme i due elementi. In questo modo, il profilo serpentino di una danzatrice diviene espressione del mistero della creazione, e colei che nell’iconografia appare una semplice sposa, diviene in realtà rappresentazione dell’Eterna Madre.
I motivi che ricorrono nell’iconografia indiana sono pochi e semplici: la silhouette femminile, l’albero, l’acqua, il leone, l’elefante. Gli elementi si costituiscono in composizioni elementari ma vigorose, che esprimono vitalità sensuale, energia, realismo e ritmo.
La fase classica dell’arte pittorica indiana è quella del periodo “gupta”. Le produzioni artistiche di tale fase sono caratterizzate da componimenti insieme sereni e spirituali, ma anche energici e voluttuosi.
Particolarmente apprezzate sono le tematiche riguardanti le azioni malevole e benevole e le rispettive conseguenze.
Vi sono poi le miniature, diffuse soprattutto nel periodo “moghul”, d’impronta persiana e gradite particolarmente presso le corti. I soggetti miniati sono di varia tipologia e comprendono ritratti, scene storiche e momenti di vita secolare; lo stile si fa in queste produzioni più drammatico, come testimoniano i dettagli realistici di matrice occidentale.
Verso l’Ottocento la pittura tradizionale è surclassata da opere di stampo sempre più europeo, che devono rispondere ai gusti della nuova classe dominante, gli Inglesi.
Discorso a sé stante si dovrebbe affrontare a riguardo dell’arte moderna e contemporanea, ora incentrata sulla riscoperta di quella che è la più antica delle civiltà, complice di questa rievocazione è l’archeologia, con i molti cantieri adibiti a riscoprire le origini del mondo indiano.

Al contrario dei reperti pittorici, i reperti scultorei sono assai numerosi. Si tratta di sculture in pietra, terracotta, avorio, rame e oro, i soggetti sono i più disparati, tra cui animali, attrezzi agricoli, sigilli, divinità femminili e maschili.
Nel III secolo a.C., con l’affermarsi del Buddhismo e con il conseguente sviluppo di architetture monumentali, la scultura diviene un importante elemento decorativo, le composizioni si fanno affollate, vivaci e ritmiche: si sviluppa lo stile tipico della scultura indiana.
Il dominio musulmano (IX-XIII sec.) obbliga ad alcune modifiche, non solo a livello politico e sociale ma anche artistico e culturale. Le composizioni tendono alla linearizzazione e piano piano la scultura in genere viene messa in subordine rispetto all’architettura.
È proprio l’architettura infatti la tipologia artistica meglio conservata e anche la più conosciuta, un esempio per tutti il maestoso Tāj Maḥal, mausoleo di indescrivibile bellezza, edificato nel 1632 per volere dell’imperatore moghul Shāh Jahān in memoria dell’amatissima moglie Arjumand Banu Begum.
Gli stili storici compaiono a partire dal 250 a.C., quando il re Aśoka si converte al Buddhismo e inizia a dare grande importanza all’architettura religiosa.
L’edificio tipico buddhista è lo “stupa”, una costruzione emisferica o a forma di campana, in pietra, generalmente recintata, adibita a tempio o reliquiario. A partire dal V secolo il gusto comune predilige le decorazioni a bande, mentre le scene che adornano le pareti si gremiscono di figure ad alto rilievo.

I diversi credo religiosi influiscono sulle tipologie costruttive, facendo sì che i vari edifici siano visivamente riconducibili alle filosofie. Gli edifici jainisti sono caratterizzati da alte cupole concentriche edificate in pietre a modiglioni; lo stile indù si contraddistingue per un vasto impiego della decorazione, coperture piramidali, pinnacoli e porte a torre (“gopura”).
A partire dal XIII sec. l’architettura islamica si amalgama con gli elementi locali, dando vita ad edifici cinti da colonnati, balconi sorretti da mensole e riccamente ornati. L’Islam introduce inoltre l’uso dell’arco a tutto sesto, i motivi geometrici, i mosaici e i minareti. L’architettura musualmana e quella indiana si fondono in una sintesi armoniosa, particolarmente individuabile in alcuni stili regionali.
Anche in questo ambito l’occidente, impietoso, scalza le arcaiche abitudini tradizionali, l’influsso eurocentrico porta alla costruzione di imponenti edifici pubblici, industriali e alberghi, strutture che ormai non presentano più nulla delle antiche forme architettoniche. Un caso evidente, e particolare, è quello della città di New Delhi, interamente progettata in stile neoclassico dagli archietetti britannici tra il 1912 eil 1929.
I tempi cambiano, il mercato, l’economia, il consumismo divorano i vecchi mondi, talvolta il misticismo del passato si mescola con l’industrializzazione, e così il luogo dove ancora vengono venerati trentratré milioni di dei è anche il secondo paese al mondo per la produzione di cellulari.
Eccoci dunque, cari lettori occidentali, arrivati alle riflessioni finali di un lungo pezzo, attraverso cui vorrei solo consigliarvi di andare a vedere una mostra che ci conduce in un’altra realtà, non solo culturale o geografica, ma anche temporale. Lasciamoci allora trasportare in un passato di difficile datazione, a metà tra storia e magia, dove sicuramente i telefoni non prendono e il dolce suono del flauto di Kṛṣṇa ci potrebbe accompagne tra gli ombrosi alberi del Vrindavan.

Alessia Cagnotto

 

Musica ebraica, cristiana e islamica domenica in San Massimo

Per iniziativa del Centro Federico Peirone domenica 26 settembre alle ore 20,30 nella chiesa di San Massimo, via Mazzini angolo via San Massimo, a Torino, si terrà il concerto: Tre fedi, un solo Dio, con musiche delle tradizioni Ebraica, Cristiana e Islamica. Creato a conclusione delle due mostre sulle “Tre religioni del libro” e “I luoghi di pellegrinaggio” questo unico e raffinato concerto unisce la tradizione musicale vocale delle tre grandi religioni monoteiste per esplorare rispettivamente la musica della parte mistica, sufica, dell’Islam, della Chiesa cristiana maronita d’Oriente e della tradizione ebraica sefardita. Si esibiranno Françoise Atlan voce, percussioni, Patrizia Bovi voce, arpa, direzione, Fadia Tomb El Hage, voce, Gabriele Miracle, percussioni salterio, Peppe Frana, oud, liuto. Ingresso a inviti, per invito scrivere a info@centro-peirone.it (Offerta libera per parrocchia San Massimo). Per l’ingresso saranno osservate le norme anti-Covid.

La serata sarà introdotta da don Tino Negri presidente del Centro Pejrone e da Giampiero Leo portavoce del Coordinamento interconfessionale del Piemonte 
“Noi siamo con voi”.

La Bellezza delle piccole cose nei versi di Graziella Provera

Infusi di intimismo e sincerità,

i versi di Graziella Provera, delicata poetessa di Casale Monferrato, da lei definiti piccole cose, nugae di poco conto, in realtà sono pregni di ricchezza emotiva sia attraverso immediate intuizioni scaturite dalla visione di fenomeni della natura, trasformati in immagini poetiche, sia nell’affidarsi alla poetica del trascorrere del tempo e della brevità della vita.

L’accorata introspezione l’avvicina ai Crepuscolari senza però condividerne l’estenuato rinchiudersi in sé e la rinuncia del vivere vanificando ogni aspirazione.

In lei non c’è compiacimento nel considerare l’infelicità umana ma sempre è presente la consolazione della fede e la concezione panteistica della natura pervasa dal divino di cui si può far parte affidandosi alla Bellezza.

Bellezza, che si può trovare anche nelle piccole cose quotidiane, è l unico modo per lenire gli affanni e che si possiede se si ha disponibilità di cuore.

Giuliana Romano Bussola
(nella foto: Nuvole e girasoli di Mario Mazza)

 

ANIMA

Aneli il ritorno alla casa del Padre, Anima mia,

e brami l’unione con l’Infinito Tutto che fu tua culla.

Ancor credi, però, trovar ragione di gioia

in questo mondo: felicità senza dolore,

e virtù, compassione, amore.

Così vivendo in questa lotta tra l’andare

e il restare, ancora tornerai a posare

i tuoi passi sulla Terra; a gustare il piacere

che in veleno si tramuta, frutto

dolceamaro del vivere nostro;

finchè il richiamo

del Primo Amore soverchierà

ogni umana illusione, ed ogni terrena voce

non sarà che un bisbiglio,

e più non tratterrà il tuo volo.

Libera infine, ritornerai

alla casa natia, alla Gioia infinita

che ti creò, e che da sempre, o Amata,

ti aspettava..

8 giugno 2018

 

BELLEZZA

Ovunque intorno a te la puoi scoprire,

se hai occhi per vedere e il cuore aperto.

La trovi nella luce che svela i colori delle foglie

in un giorno d’autunno,

con le piccole vite, che tutt’intorno danzano.

La vedi nelle opere dell’uomo,

o nel canto di un uccello solitario,

in un freddo mattino.

Nell’anima tua infine la intuisci,

poiché scoprir non la potresti,

se non fosse già parte di te.

Ti celebro e canto un inno a Te,

Bellezza sublime, attributo divino,

discesa dai regni della Luce

a fecondar l’anima di gioia.

Cosa sarebbe quest’aspra vita senza te?

Attraverso i sensi tu penetri nel cuore

e il tuo soave balsamo lenisce e consola

lo spirito afflitto dagli affanni

e dalle pene.

Perciò ti rendo grazie con le mie povere parole

che mai potranno rendere

ciò che nell’intimo si cela.

Novembre 2013

 

NUVOLE

Nuvole a cumuli, bianche scogliere lontane all’orizzonte

ad arginare l’azzurra marea del cielo.

Nuvole candide, ovattate, silenti.

Nuvole grigie…incombenti…,

arrivano da occidente gravide di pioggia.

Nuvole a gruppi, nuvole sparse, nuvole a pecorelle,

nuvole solitarie a piccoli fiocchi trasparenti.

Nuvole che solcano il cielo notturno come velieri,

in un oscuro mare infinito.

Ritorna un po’ bambino, ti prego, e guarda lassù,

lo vedi un drago che insegue un coniglio ?

Guardare le nuvole fa tornare bambini,

quando i giorni erano eterni e non soffrivi gli addii.

Le nuvole passando salutano e dicono: addio….addio…

Così, nel loro svaporare, ti ricordano quanto poco

Dura ogni cosa.

Lungamente anch’io dico: addio…addio…

salutando questo breve giorno di  vita,

e questa ultima estate

che non vuole morire.

Settembre 2013