CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 39

“Bellezza tra le righe”: Quanta poesia negli alberi!

L’autunno porta un nuovo appuntamento in cinque dimore storiche del Piemonte

Domenica 26 ottobre – Già aperte le iscrizioni

Piossasco / Bricherasio (Torino)

Arrivata alla sua sesta edizione, “Bellezza tra le righe” (l’iniziativa culturale nata in seno ad alcuni Comuni e Associazioni piemontesi, con il patrocinio di “Adsi – Associazione dimore storiche italiane – sezione Piemonte”, con l’obiettivo di coniugare letteratura e iniziative culturali di vario genere con il paesaggio) si ripresenta oggi in veste autunnale, coinvolgendo, prima del sopraggiungere del “Signor Inverno”, cinque fra le più prestigiose dimore storiche della Regione.

Abbandonata, dunque, la consueta “cornice estiva” la Rassegna inviterà a godere appieno della “magia dei colori dell’autunno”, spingendosi senza fretta fino all’inverno. Non solo, la proposta autunnale promette anche di ampliare il numero e la qualità delle iniziative. “Alle tradizionali presentazioni di libri – dicono infatti gli organizzatori – si aggiungeranno in questo periodo, nella magica cornice del ‘foliage’, letture, passeggiate a tema e vari laboratori pensati per i più piccoli”.

La prima giornata in calendario, domenica 26 ottobre, esemplifica perfettamente questo spirito.

Il primo appuntamento è a Piossasco (Torino), in via San Vito 23 (ore 15), a “Casa Lajolo”, magnifica villa di campagna di metà Settecento, che conserva ancora intatto il suo antico fascino,  con un giardino all’italiana articolato su tre livelli, un’alta siepe di tassi che custodisce un giardino all’inglese e un orto-giardino in cui perdersi fra colori e profumi. Qui è in programma “Leggere gli alberi”, una passeggiata poetica a cura della “Fondazione Casa Lajolo” che guiderà i visitatori intorno agli alberi secolari della dimora storica.

Grazie ad una “mappa poetica” a tappe tra gli alberi del giardino i visitatori andranno alla scoperta della poesia che si cela nei fiori e nelle piante d’autunno, tra “letture ad alta voce”, “libri da sfogliare” e citazioni ad hoc. Obiettivo: “riflettere sul rapporto tra uomo e natura, radici e cielo, tempo e memoria”.

L’esperienza sarà arricchita dalla “visita alla dimora”, inclusa la cantina di casa, e si concluderà con una degustazione a cura dell’azienda vinicola pinerolese l’“Autin”.

Costo 15 euro (compreso l’ingresso con visita alla dimora) con prenotazione su: https://www.casalajolo.it/prenota

Il secondo appuntamento, quasi in contemporanea (ore 15,30), ci porta invece a Bricherasio (Torino), in via Vittorio Emanuele II 11, ospiti del “Palazzo dei Conti di Bricherasio”, costruito fra il ‘600 e il ‘700, ai piedi della collina del Castello, dove sorgevano le fortificazioni distrutte nel corso dell’assedio del 1594 in cui Bricherasio, occupata dai Francesi, venne riconquistata dalle truppe dei Savoia, dopo quaranta giorni di bombardamento. Nota storica di importante rilievo: a cavallo fra Otto e Novecento, prese a frequentare la nobil Dimora bricherasiese, anche il secondogenito del cavaliere Luigi dei Conti Cacherano di Bricherasio, quell’Emanuele Cacherano di Bricherasio(tra i primi esponenti della nobiltà italiana ad intuire le potenzialità dell’industria meccanica volta alla produzione di automobili ad uso privato) nel cui Palazzo di famiglia in via Lagrange a Torino, un gruppo di nobili e notabili subalpinim guidati da Giovanni Agnelli, si ritrovarono per siglare l’accordo costitutivo di una prima Società, che prese poi il nome di F.I.A.T. Erano i primi passi di quella che sarebbe diventata la gloriosa (almeno per un secolo!) “Fabbrica Italiana Automobili Torino”. E, per l’occasione, Bricherasio convocò anche il famoso pittore biellese di Pollone Lorenzo Delleani, amico di famiglia, per abbozzare il soggetto di un quadro che ritrasse lo storico evento.

Parentesi storica, degna d’essere ricordata.

Venendo invece a noi, ricordiamo che nel “Palazzo” di Bricherasio, il secondo appuntamento autunnale di “Bellezza tra le righe”, domenica 26 ottobre, alle 15,30, prevede l’incontro con Fabio Marzano, che presenterà il suo libro “Il ritorno delle piante”(“Edit 2024”). Giornalista, scrittore e co-ideatore del “Festival del Verde” di Torino, Marzano accompagnerà il pubblico in un viaggio in giro per l’Italia alla scoperta di un nuovo e appassionante fenomeno: il “ritorno della vegetazione” in quegli spazi urbani dai quali l’uomo aveva cercato di allontanarla. Duecentoventiquattro pagine che raccontano di orti e vigneti urbani, specie tropicali e spazi industriali dismessi diventati “parchi protetti”. A moderare  l’incontro, Sante Altizio, presidente dell’“APS BookPostino”, Associazione Culturale torinese tesa a promuovere la lettura e la piccola editoria indipendente.

L’ingresso costa 10 euro e permette di seguire l’incontro, visitare la dimora e il giardino e scoprire “Le delizie del Dahu”, gruppo di piccoli produttori e negozianti delle Valli Chisone e Germanasca, nel Pinerolese, unito per promuovere i prodotti del territorio.

Per info: https://palazzocontidibricherasio.com

g.m.

Nelle foto:  “Passeggiata poetica” a Casa Lajolo e Fabio Marzano

Con le fabbriche del vento Alba è capitale italiana dell’Arte Contemporanea 2027

Alba è  ufficialmente capitale italiana dell’Arte Contemporanea 2027. La proclamazione è avvenuta nel pomeriggio di venerdì 17 ottobre al Ministero della Cultura  a Roma, il giorno successivo all’audizione delle quattro città finaliste. “Le fabbriche del vento” ha convinto la giuria per la sua visione diffusa e duratura, capace di rigenerare territori, comunità e linguaggi attraverso l’arte del presente.
La candidatura di Alba è stata promossa dal Comune di Alba e dal Comitato Alba Capitale Italiana dell’arte contemporanea 2027, composto dalla presidente Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, dal sindaco Alberto Gatto e da Nicolas Ballari,  che ha curato il dossier insieme a un vasto team. Il progetto diventerà ora un programma culturale permanente  che, attarverso le Capitali sorelle, sarà diffuso su tutto il territorio delle Langhe, Roero e Monferrato, un territorio riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità.

“Questa vittoria è il frutto di un grande lavoro di squadra e di territorio – ha dichiarato il sindaco di Alba Alberto Gatto – il dossier è nato dall’incontro tra artisti, professionisti del settore, istituzioni  e enti che hanno creduto nella forza propulsiva dell’Arta contemporanea. A tutti loro il nostro grazie. L’arte si affiancherà  ora alla bellezza del nostro paesaggio Patrimonio dell’Umanità e alle eccellenze enogastronomiche celebri nel mondo.  Con la prima Biennale delle Langhe daremo forma a un laboratorio permanente di idee e di cultura”.

“Quella di oggi è una giornata straordinaria da incorniciare per tutti i piemontesi – hanno affermato il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio e l’Assessore Marina Chiarelli – È una vittoria della squadra, di un dossier credibile come “Fabbriche del vento”, costruito da istituzioni pubbliche e private che hanno lavorato insieme. Sappiamo ora che c’è molto da fare e lo faremo insieme. Alba e il Piemonte hanno dimostrato che la cultura è un linguaggio condiviso e che l’arte è capace di unire energie e persone. Questo riconoscimento è un ulteriore passo prezioso per continuare a costruire un Piemonte dove l’arte non resta chiusa nei musei, ma innerva le comunità e le nutre quotidianamente. È la conferma che investire  nella bellezza e nel talento è una scelta che ripaga sempre”.
“Nel progetto “Le fabbriche del vento “ – spiega Patrizia Sandretto Re Rebaudengo,  Presidente del Comitato Alba Capitale 2027 – l’arte contemporanea è  come un seme, che può essere seminato, diffuso, moltiplicato. In un tempo complesso, Alba sceglie l’arte come energia capace di generare comunità,  senso e visione. È un onore condividere questo risultato con una squadra straordinaria e con un territorio che ha creduto nel valore del contemporaneo”.
“Abbiamo immaginato un dossier con l’ambizione di suggerire un nuovo modello per il sistema dell’arte contemporanea- spiega Nicolas Ballario, curatore del dossier. Un modello che assemblasse le eccellenze del settore artistico con industrie, fondazioni e altre discipline come il teatro e la musica. Assegnazioni così importanti devono lasciare un’eredità concreta. Abbiamo scritto un dossier ricco e complesso, adesso dobbiamo metterci al lavoro per attuarlo in ogni dettaglio.

La programmazione di Alba 2027 prenderà forma come Anno I della Biennale delle Langhe, manifestazione internazionale dedicata al dialogo tra arte, paesaggio e comunità,  che diventerà il lascito permanente della candidatura. Il progetto coinvolgerà artisti, curatori, studiosi italiani e internazionali  e darà vita a una rete di spazi espositivi, opere pubbliche e progetti educativi in dialogo con il territorio UNESCO delle Langhe, Roero e Monferrato.

Tra i progetti principali la mostra dedicata a  Pinot Gallizio, la retrospettiva su Roberto Longhi, il progetto Radis della Fondazione Arte Crt, Vigne d’Arte, con gli interventi artistici della Fondazione Ospedale Alba Bra e l’ampliamento della Biblioteca Civica G. Ferrero, con una sezione intitolata a Luca Beatrice.
La vittoria di Alba riconosce il modello delle Capitali sorelle, che unisce città e territori in una rete culturale e produttiva condivisa. Il progetto è sostenuto da una vasta rete di enti, fondazioni e realtà economiche, tra cui Fondazione CRC, Fondazione Ferrero, Fondazione CRT, Ente Turismo Langhe Monferrato e Roero, Ente Fiera di Alba, Confindustria,  Coldiretti, Confartigianato, Associazione Commercianti Albesi, Fondazione Radical Design e Cantine Ceretto.

Mara Martellotta

Battistoni guida il Regio tra inferni, purgatori e un Paradiso un po’ kitsch

Di Renato Verga

Dal buio dell’Inferno alla luce del Paradiso: così si apre la nuova serie di concerti del Teatro Regio di Torino, significativamente intitolata “Abissi”. A guidarci nel viaggio è Andrea Battistoni, che dopo aver inaugurato la stagione lirica con la Francesca da Rimini di Zandonai, torna ora sulla stessa figura dantesca nella “fantasia sinfonica” che Čajkovskij le dedicò nel 1876. Il compositore russo, suggestionato dal turbine di passioni e condanne del V canto, traduce in musica la tempesta che travolge i lussuriosi con un’orchestra che sibila e geme, mentre un clarinetto solitario — l’ottimo Antonio Capolupo — dà voce alla dolente Francesca. Poi l’amore si accende, cresce, divampa: il tema lirico dei legni e degli archi si trasforma in un vortice sinfonico di potenza quasi operistica. Dopo l’esplosione drammatica, il silenzio pietoso. Battistoni, che dirige a memoria con gesto ampio e teatrale, restituisce con entusiasmo la tensione emotiva di una delle pagine più travolgenti del sinfonismo romantico.

Dopo l’Inferno, il Purgatorio: Schicksalslied (il Canto del destino) di Brahms, composto nel 1871 su versi di Hölderlin. È la parte più raccolta, ma anche il cuore poetico del concerto. Brahms oppone due mondi — quello perfetto e luminoso degli dèi e quello fragile e dolente degli uomini — in un equilibrio miracoloso tra forma classica e emozione romantica. L’inizio è tutto purezza e sospensione: archi e fiati fluttuano in un’atmosfera quasi celeste, interrotta solo dai battiti lontani dei timpani. Poi irrompe la tempesta: la musica precipita, come la condizione umana, “da roccia a roccia”, e la coralità si fa drammatica, disperata. Ma il finale, un ritorno trasfigurato al tema iniziale, apre uno spiraglio di pace. Brahms, più ottimista del poeta, sembra dire che l’arte può salvare ciò che la vita spezza. Battistoni ne sottolinea i contrasti con una direzione piena di calore, che passa dal misticismo al furore con fluida naturalezza.

E infine, il Paradiso. È il “Prologo in cielo” dal Mefistofele di Arrigo Boito, quella folgorante pagina in cui Dio e il Diavolo si sfidano sul destino di Faust. Boito, librettista geniale e musicista diseguale, qui si supera: costruisce un affresco sonoro grandioso e megalomane, sospeso tra il sublime e il kitsch. Con un’orchestra in assetto da battaglia — quattro percussionisti, due arpe, organo, nove ottoni in scena e altrettanti fuori scena — il Regio risuona come una cattedrale.

Peccato che nella lettura di Battistoni, pur precisa e compatta, manchi quella punta di ironia che renderebbe giustizia alla visionarietà un po’ folle di Boito. Anche Erwin Schrott, Mefistofele di lusso, preferisce il canto alla caricatura: voce sontuosa, ma poco zolfo.

Il coro del Regio, guidato con consueta maestria da Ulisse Trabacchin, e quello di voci bianche preparato da Claudio Fenoglio (quasi tutto al femminile: cinque maschietti su trentaquattro) contribuiscono all’impatto spettacolare del finale, accolto da applausi entusiasti e meritati.

Così, tra i venti infernali di Čajkovskij, la struggente meditazione di Brahms e l’apoteosi celeste di Boito, il concerto si fa moderno viaggio dantesco. Non promette la salvezza, ma una consapevolezza più lucida: che gli “abissi” dell’anima, se attraversati con la musica, possono condurre almeno a un frammento di verità. O, per dirla con Dante, “a riveder le stelle”.

Rock Jazz e dintorni a Torino: Carmen Consoli e Marc Ribot

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Al Magazzino di Gilgamesh si esibisce Max Altieri & Friends.

Mercoledì. Al Teatro Colosseo per 2 sere consecutive è di scena Carmen Consoli.

Giovedì. Allo Ziggy si esibisce Bunuel +Guest. Al Folk Club suona il quartetto di Olivia Trummer. Allo Spazio 211 è di scena Adele Altro.

Venerdì. Al Circolino suona Giorgio Diaferia Ensemble. Al Cap 10100 si esibiscono I Legno. Al Circolo Sud sono di scena i Zagara. Alla Piazza dei Mestieri suona il quartetto Ionata-Tarenzi-Piccirillo-Fiore. Al Folk Club si esibisce Sam Outlaw & Band preceduto da Hannah Aldrige. Al Teatro Colosseo arriva Angelo Branduardi. Al Magazzino sul PO suona Vinnie Marakas + Androgynus. Allo Spazio 211  si esibisce Christian Coccia. Allo Ziggy sono di scena Di Notte+ Plastic Palms + Smart Pop.

Sabato. Al Folk Club suona il chitarrista americano Marc Ribot. Al Cap 10100 si esibiscono i Demons Bats. Al Magazzino di Gilgamesh è di scena la Travelin’ Band. Al Peocio di Trofarello suona Greg Koch e Koch Marshall Trio. Al Blah Blah si esibiscono i Retarded + Antares. Allo Ziggy per l’Electronational Festival suonano : I Nachtmahr +Stars Crusaders+Paolo Virdis After Show Party: Dj Lesley.

Domenica. Al Cap 10100 si esibisce il Shoshin Duo. Al Blah Blah suonano i Road Syndicate+ The Gentlemen.

Pier Luigi Fuggetta

Fuchsia Dunlop. Invito a un banchetto

La celebre food writer britannica Fuchsia Dunlop presenta al MAO di Torino il suo ultimo libro

MAO Museo d’Arte Orientale

Via san Domenico 11, Torino

Mercoledì 22 ottobre 2025 ore 18

Mercoledì 22 ottobre alle ore 18 al MAO Museo d’Arte Orientale di Torino, Fuchsia Dunlop, cuoca e autrice di fama internazionale specializzata in cucina cinese, dialoga con Davide Quadrio, direttore del MAO, in occasione della presentazione del suo ultimo libro Invito a un banchetto (add editore).

La conversazione è introdotta da Stefania Stafutti, sinologa dell’Università di Torino e direttrice dell’Istituto Confucio di Ateneo, che illustrerà la centralità della cultura del cibo e della convivialità in Cina, attraverso un percorso storico-letterario.

Legati da un’amicizia nata durante innumerevoli viaggi alla ricerca dei sapori più sorprendenti e autentici e accomunati da una trentennale passione per la Cina, Dunlop e Quadrio intavoleranno un racconto che condurrà i partecipanti alla scoperta della millenaria cultura cinese – gastronomica ma non solo-, in una narrazione coinvolgente che passa da ricette tradizionali, chef, metodi di cottura e riti.

Quella cinese è stata la prima cucina veramente globale. Eppure resta in gran parte una terra incognita, considerato che fino a poco tempo fa il resto del mondo conosceva perlopiù una variante semplificata della tradizione cantonese.

Fuchsia Dunlop accompagna il lettore in questo universo millenario: dal fuoco e dal riso fino ai metodi di cottura più sofisticati, dal cerimoniale conviviale ai piatti simbolo come il mapo tofu, il pollo piccante alla maniera di Chongqing o le ricette vegetariane buddhiste, dai cuochi dilettanti ai gourmet, in un racconto sospeso tra storia culturale e passione per il cibo.

“Invito a un banchetto” rappresenta un’opera unica nel panorama editoriale gastronomico: non un semplice ricettario o un “libro di cucina”, ma una vera esplorazione della cucina cinese come linguaggio universale capace di restituire la complessità di una civiltà millenaria.

Ingresso gratuito. Prenotazione su Eventbrite.

L’iniziativa è stata organizzata da MAO Museo d’Arte Orientale, add Editore e Istituto Confucio dell’Università di Torino.

 

 

FUCHSIA DUNLOP è una scrittrice e cuoca inglese specializzata in cucina cinese, in particolare quella del Sichuan. È stata la prima occidentale a studiare come chef all’Istituto superiore di cucina del Sichuan. Ha dedicato alla tradizione culinaria cinese trent’anni di viaggi e ricerche, oltre a diversi libri e articoli. Nel 2017 il suo Every Grain of Rice ha vinto il prestigioso James Beard Award per la scrittura gastronomica.

“Non ho paura della guerra che sei venuto a fare contro i miei peccati…”

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Music Tales, la rubrica musicale 

Non ho paura della guerra che

Sei venuto a fare contro i miei peccati

Non sto bene

Ma posso fare del mio meglio per fingere

C’è un pregiudizio diffuso, spesso inconsapevole, nei confronti del metal: per molti è solo rumore, un’esplosione caotica di chitarre distorte, urla graffianti e atmosfere cupe.

Lo scrive una che il metal non lo ama proprio.

Ma cosa succede quando una canzone metal viene spogliata dei suoi orpelli sonori, ridotta all’essenza più pura come voce e chitarra?

La risposta arriva sorprendentemente chiara ascoltando la versione acustica di “Just Pretend” dei Bad Omens, reinterpretata dal cantautore Nate Vickers.

La band americana, diventata un punto di riferimento nel panorama metalcore contemporaneo, ha sempre avuto una sensibilità melodica nascosta sotto la superficie aggressiva delle loro produzioni. “Just Pretend”, brano già emotivamente potente nella sua versione originale, si trasforma completamente nelle mani (e nella voce) di Vickers.

Il risultato è qualcosa che può toccare anche chi normalmente si tiene lontano da questo genere.

Vickers, con la sua chitarra acustica e un’interpretazione vocale intima, riesce a mettere in luce la bellezza malinconica del testo. La rabbia si fa malinconia, la potenza si converte in delicatezza, e la canzone assume una veste nuova, quasi fragile, ma incredibilmente umana. È una dimostrazione lampante di quanto spesso ci si fermi alla superficie dei generi musicali, senza coglierne la profondità emotiva.

Il metal, infatti, non è solo forza bruta. È un linguaggio, spesso estremo, certo, ma capace di trasmettere dolori, paure, desideri e speranze con un’intensità che pochi altri generi riescono a eguagliare.

La versione acustica di “Just Pretend” è la prova che, tolti gli “effetti speciali”, ciò che resta è una canzone d’amore, di perdita, di resilienza.

E in quel momento, diventa universale.

Questa reinterpretazione, dal mio punto di vista, non è solo un arrangiamento alternativo: è un ponte. Un collegamento tra mondi musicali, tra chi ascolta metal e chi no, proprio come me.

Perché la musica, quando è sincera, non ha bisogno di etichette. E forse, come dimostra questa versione, le barriere tra i generi esistono più nelle nostre teste che nelle nostre orecchie.

In un’epoca in cui tutto è categorizzato, “Just Pretend” ci ricorda che la musica è, prima di tutto, emozione. E che basta una chitarra e una voce per raccontare una storia che può toccare chiunque, anche chi, finora, pensava che il metal non facesse per lui.

La musica è l’arte di pensare con i suoni.”

Jules Combarieu

CHIARA DE CARLO

https://www.youtube.com/watch?v=nV5J5J-SXdk

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere

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Esplorare emozioni e relazioni attraverso il dialogo

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: In difesa della libertà di insegnamento – Landini – Lettere

In difesa della libertà di insegnamento
Non ho mai avuto grande simpatia per i dirigenti scolastici (quasi sempre finti manager se non professori demotivati) e neppure per i presidi che peccavano di burocratismo spesso ottuso. L’unico anno in cui ho svolto una funzione direttiva ho capito la difficoltà di esercitare il comando in una comunità  accademica che il ‘68  ha privato dell’ordine necessario ad una  equilibrata convivenza tra diritti e doveri. Oggi molti presidi o dirigenti che siano, sono inquinati dalla politica e dal conformismo. Potremmo citare presidi capaci e perfino coraggiosi rispetto a tanti presidi inetti, presuntuosi, incolti.  I capaci e coraggiosi sono una minoranza. Da quando si può passare a dirigere una scuola elementare per poi passare ad un liceo classico senza titoli specifici, la funzione direttiva ha perso ogni  prestigio e autorevolezza. Di recente ho avuto rapporti con l’ex preside di un istituto tecnico e mi sono reso conto del livello bassissimo di preparazione di parte di certi dirigenti promossi per meriti politico – sindacali. Quel signore avrebbe potuto, al massimo, fare il capo bidello.  In altra occasione sono stato testimone della viltà di una preside succuba dell’enclave rossa che si illude di dirigere, asservita  come è alla CGIL e ai  CUB.
Quindi la situazione è complessa ed articolata, ma la tendenza è verso il basso. Ho firmato convintamente una petizione  contraria alla proposta dell’Aran di stravolgere le garanzie nel mondo della scuola, dando ai presidi l’autorità di sospendere fino a 30 giorni i docenti. Questo potere era affidato all’ufficio scolastico regionale che dava una qualche garanzia di imparzialità. La possibilità da parte di un preside di sospendere direttamente dal servizio un suo sottoposto è in modo evidente incostituzionale. Certe sanzioni può irrogarle solo  un organo terzo. All’Università è stata fatta carne da macello di un professore stimato sol perché un’allieva avrebbe visto occhi “libidinosi“ durante un esame. Un episodio indegno dall’Ateneo torinese.  Ho conosciuto una insegnante elementare perseguitata in modo indegno a partire proprio dal direttore didattico, servilmente  prigioniero  di gruppi  esagitati di genitori arroganti. La libertà di insegnamento va sempre tutelata, anche se molti professori odierni (ad esempio, quelli dei cortei pro Pal) non rappresentano certo l’idea migliore possibile dei docenti perchè sicuramente inquinano le loro lezioni con l’ideologia e la faziosità. Dare ai presidi il  potere  di giudici  è  un grosso errore e una minaccia alla libertà che deve animare la scuola pubblica come scuola di tutti. Concordo con il fatto che nella scuola debba essere riportato l’ordine, ma non  posso condividere una versione autoritaria della scuola. La figura del preside ha più ombre che luci e mi viene spontaneo domandarmi chi debba poi  controllare i presidi, reclutati tra il resto per decine d’anni senza la selezione di veri concorsi e con l’appoggio della CGIL.
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Landini
Landini ha dato l’idea di essere  un uomo incolto dai toni volgari che crede di aver ragione solo perché alza la voce. E’ una figura di sindacalista incapace di fare l’interesse dei suoi iscritti che in verità sono in larga parte pensionati. E’ un  grigio uomo di apparato che incarna l’Emilia  Romagna rossa in modo così ovvio da far supporre che abbia un deficit totale di personalità. La presidente del consiglio non è certo una gentildonna dell’aristocrazia romana, ma assomiglia ad una borgatara con forte e persino fastidioso accento romanesco. Accusarla di essere una cortigiana (che certo non significa appartenente ad una corte) significa offenderla nella sua dignità di donna. E’ strano che sia consentito a Landini di essere sessista senza che la solita Boldrini non si metta a strillare le solite banalità. Cortigiana significa di fatto prostituta, traduzione italiana di escort, una cosa da cene eleganti e altre sozzerie. Se Landini è esentato dalla più elementare educazione  e soprattutto dalle regole ferree del politicamente corretto c’è qualcosa nel sistema che non funziona. Fare l’opposizione è un diritto e persino un dovere, ma la  beceraggine trucida è  un’altra cosa. Forse nessun operaio della Fiat con la tuta blu usava il linguaggio di Landini. C’era una aristocrazia operaia che studiava persino alcuni libri, pur parlando in dialetto. Oggi quel mondo è finito con la fine della fabbrica torinese realizzata compiutamente, fin nei minimi particolari, da nipoti che cinicamente badano solo a far cassa. La volgarità – al di là della cravatta – non è tanto diversa. Ed è  anche per questo che nei confronti dei nipoti distruttori dell’ impresa torinese, tace, magari compiaciuto dell’obiettivo  raggiunto che il sindacato, malgrado gli scioperi, non era riuscito a compiere nel corso degli  anni.
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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com
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La Cittadella di Alessandria
Ho avuto modo nei giorni scorsi di visitare la Cittadella di Alessandria, monumento della città, con indicazioni turistiche già sull’autostrada. La Cittadella ebbe ruolo rilevante nei moti insurrezionali del marzo 1821: lì Santorre di Santarosa chiese a Carlo Alberto la proclamazione di una costituzione liberale.
 L’intero sito, una delle fortezza più grandi e meglio conservate d’Europa, è in stato di gravissimo abbandono: gli edifici, parzialmente vandalizzati sono fatiscenti ed a rischio di crollo, al punto tale da essere transennati e chiusi al pubblico. I bastioni sono interamente ricoperti da boscaglia a significare che non vengono ripuliti da anni, se non decenni. Una vergogna, probabilmente dettata da ideologia antimilitarista, della nota solita vulgata, che ignora e vuole ignorare la Storia d’Italia. A titolo di confronto posso citare le fortezze di Elvas (Portogallo), patrimonio Unesco, perfettamente conservate, area museale, aperte al pubblico.   Paolo  Vieta 

Sono stato alla Cittadella di Alessandria a parlare qualche mese fa, ma tutto intento a partecipare all’iniziativa, non ho prestato attenzione al contesto. La sua denuncia spero smuova l’interesse di chi dovrebbe provvedere ad un bene culturale alessandrino così importante.

Termosifoni in ritardo
Da anni la ditta Campidonico fa il servizio di riscaldamento nel mio condominio in modo quasi sempre decente. Da alcuni anni l’accensione però non è mai puntuale al 15 ottobre e non si fa più neppure l’assemblea obbligatoria, aperta anche agli inquilini, per il riscaldamento. Cose che in passato erano ovvie, oggi diventano oggetto di contenzioso. L’idea prevalente in tanti è di accendere più avanti per risparmiare e ovviamente tutelare l’ambiente secondo i dettami di Greta, ignorando gli ammalati che vivono nel condominio. Un piccolo segno di barbarie condominiale. Lei cosa ne pensa?    Arturo De Tullio
Vorrei poter stare tutto l’anno al mare dove accendo e spengo senza dover chiedere al vicino. In un mondo sfasciato come questo l’idea stessa di condominio è cosa superata. Sempre piccole beghe da chi ha pochissimi millesimi e si crede padrone del mondo. Amministratori che puntano solo a far fare continuamente  lavori straordinari per lucrare la loro parte di utile, senza guardare alla conduzione degli edifici. Gli amministratori nel giorno in cui deve  iniziare il riscaldamento sono irreperibili. Un fatto che dice tutto sulla mancanza di responsabilità e di serietà di certi personaggi, quasi tutti  sedicenti ingegneri, architetti  o geometri.
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Le panchine di via Roma
Questo sarebbe un anticipo di via Roma vietata alle auto e rialzata, quanto apprendo dal “ Corriere della sera“ .Vedo spuntare panche in pietra che sembrano assurde: senza lo schienale non potranno essere utilizzate solo dalla solita marmaglia che ci sale sopra con le scarpe. Possibile che questi sapientoni che ci governano, non sanno che le panchine vanno fatte con lo schienale? Sembra di essere ad Albenga dove un sindaco mise panchine senza schienale sul lungomare destinate a rimanere sempre vuote. Torino come Albenga , città definita la “nescia“, cioè la sciocca.
Brigitte Zilli
Concordo con Lei . Sono convinto che il sindaco di Torino  Lo Russo non possa approvare le panchine senza schienale . Mi domando anche che senso abbiano tante panchine in via Roma  , essendo una via con i portici dove la gente continuerà a passare anche per vedere le vetrine , diventate meno attrattive a causa di una crisi del commercio che  ha costretto i migliori negozi e locali a chiudere . D’ora in avanti si andrà in via Roma a sedersi sulle panchine senza schienale . Davvero strano .

Tracce di Templari, da Ventimiglia a Seborga

Quel giorno, nel dedalo di viuzze a Ventimiglia Alta, tra chiese quasi millenarie, San Michele, la cattedrale di Santa Maria Assunta e la chiesa di San Francesco, un templare pugnalò a morte un capitano genovese. Templari e genovesi venivano spesso alle mani in città. Sovente si accendevano zuffe e risse anche per futili motivi e a volte finiva proprio male. L’ostilità tra i contendenti aveva raggiunto livelli molto alti dopo la conquista genovese della città più occidentale della Liguria. I ventimigliesi, gli antichi intemelii, non volevano finire sotto il controllo della Repubblica di Genova, cercarono di resistere con tutte le loro forze ma nel 1221 dovettero arrendersi al lungo assedio per mare e per terra. La durezza del dominio della Superba scatenò ben presto la reazione violenta degli abitanti che facendosi scudo dei templari, più energici e meglio armati, affrontavano spavaldi i genovesi e talvolta ci scappava il morto. Ebbene, quel giorno di otto secoli fa, le cronache del tempo riportano la notizia che il templare fra Raimondo Galiana scatenò la propria rabbia contro gli occupanti genovesi uccidendo un capitano della Superba. Perché i Templari si trovavano a Ventimiglia? La città dell’estremo ponente ligure era un importante centro commerciale e marinaro con un continuo viavai di gente.
I Templari assicuravano la scorta armata ai pellegrini diretti a Santiago di Compostela, nella Galizia spagnola, e ai mercanti in cammino verso le fiere di Arles e di Nimes. Tra templari e genovesi non correva buon sangue né in patria né nei territori d’Oltremare. Cavalieri rosso-crociati e genovesi erano schierati in due opposti partiti nel Vicino Oriente e le lotte tra di loro erano frequenti. I genovesi erano alleati con i cavalieri di Gerusalemme e con gli spagnoli mentre i templari erano insieme a veneziani e pisani, Ma accadeva anche qualcos’altro. Correva infatti la voce che nell’estremo ponente ligure, transitavano antiche reliquie sacre e altri oggetti misteriosi. Furono i Templari della vicina Seborga, piccolo borgo di meno di 300 abitanti nell’entroterra di Bordighera, a portarli via e a nasconderli? È solo leggenda o c’è qualcosa di vero? In fondo, sia l’Ordine del Tempio sia il fantomatico Principato di Seborga sono spesso avvolti in un’aura di mistero e non si può escludere che qualcosa potrebbe essere ancora nascosto nello stesso Principato ligure. E che dire di Ventimiglia che ancora oggi ospita i raduni mondiali di Templari del terzo millennio organizzati dal Gran Priorato del Principato di Monaco dell’Ordre du Temple de Jèrusalem? Perché proprio nell’antica Albintimilium, l’odierna Ventimiglia? Anche qui, nella parte più occidentale della costa ligure, la memoria dei cavalieri Templari è ancora viva. Quanti misteri…alla Giacobbo, il gigante di Freedom che li risolve…quasi sempre.
Eppure una spiegazione c’è anche in questo caso: qui i Cavalieri Bianchi ci sono stati davvero. E a Seborga? Non ci sono prove storiche concrete che dimostrino la presenza dei Templari in questo piccolo paese anche se la tradizione locale e alcune leggende mantengono in vita il legame tra il borgo e l’ordine cavalleresco. Un modo sicuro per arricchire il fascino storico e culturale della località collinare a nord di Bordighera. Si narra addirittura, secondo alcune leggende, che nel 1117 San Bernardo di Chiaravalle, monaco, abate e promotore della II Crociata (1147-1150) si recò a Seborga e consacrò i primi nove cavalieri templari nella chiesa a lui dedicata, prima della loro partenza per le Crociate. In paese si svolgono raduni che richiamano la presenza dei Templari e il Principato di Seborga, nato negli anni Novanta del secolo scorso per rivendicare una “favolosa” indipendenza, riconosce l’Ordine dei cavalieri bianchi. Secondo alcuni storici non si tratta solo di leggenda ma la tradizione templare di cui Seborga si vanta sarebbe suffragata da una documentazione di tutto rispetto. In effetti, camminando per il paese si vedono croci templari ovunque, nelle vie e sugli edifici. Perfino una birra locale riporta l’effigie dei cavalieri sulla bottiglia, Siamo nel cuore dell’Ordine del Tempio? Qualcuno dice di sì, tanti altri sono molto più prudenti anche se la tradizione seborghina vede proprio in questo borgo i primi passi compiuti dai mitici cavalieri templari.
Filippo Re
nelle foto, paese collinare di Seborga , Cattedrale di Santa Maria Assunta a Ventimiglia Alta, Templari a Seborga