CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 380

In mostra alla Reggia di Venaria, le immagini fotografiche di Elena Givone

“Profumo di vita #neldirittodelbambino” Contro la “violenza assistita” da parte dei minori

Fino al 9 gennaio 2022

C’è il candore dominante del bianco che accomuna mamme e bambini, che è purezza, poesia e “profumo di vita” (come recita il titolo) negli scatti fotografici che Elena Givone – fotografa, artista visuale e “sognatrice” torinese – presenta, fino al 9 gennaio dell’anno prossimo nella “Sala delle Arti” della Reggia di Venaria. La mostra che accompagna la realizzazione della quinta edizione del Calendario “Profumo di vita #neldirittodelbambino”, realizzato per il 2022 proprio nell’incantevole cornice barocca della Reggia, si presenta come installazione multisensoriale attraverso un suggestivo itinerario fatto di immagini, profumi e note musicali. Itinerario non solo estetico, ma fortemente didattico-sociale, in quanto focus di riflessione sulle crudeltà spesso inflitte ai minori vittime di maltrattamenti familiari o spettatori obbligati di atti di violenza fra adulti all’interno delle mura domestiche,di cui a fatica (e non sempre) riusciranno a cancellare i ricordi e i traumi nel corso della loro vita.

La rassegna espositiva ed il Calendario si inseriscono dunque all’interno di un articolato progetto – il cui obiettivo si racchiude per l’appunto nella definizione unica di “Profumo di vita”– nato nel 2017 dalla collaborazione fra l’Associazione “Legal@rte”, costituita da un gruppo di appartenenti alla Polizia di Stato e la fotografa Elena Givone, il cui  lavoro (svolto a livello internazionale e che l’ha portata addirittura ad aprire una scuola di fotografia per i ragazzi dello Sri Lanka) ha  “una forte componente etica e sociale, in cui spesso si mette in scena la voce di un’umanità la cui parola è stata tolta”. Curata da Roberta Di Chiara, la mostra si propone di guidare il visitatore all’interno di uno speciale percorso nel quale le immagini s’intrecciano e s’accompagnano con le note musicali di Stefano Cannone e con quelle olfattive della fragranza appositamente realizzata da Diletta Tonatto, dell’omonima Maison torinese. Parte integrante del progetto espositivo è anche il cortometraggio “Il Silenzio del Dolore”, presentato al 36° Torino Film Festival. Un QR Code permette di visionare il racconto interpretato dall’attrice Elena Ruzza che ne ha curato la regia con Matteo Cantamessa. Tratto da un testo autobiografico della poliziotta e psicoterapeuta Katia Ferraguzzi, il video pone il visitatore di fronte a una realtà spesso invisibile, quella di minori vittime di “violenza assistita”, “problema sociale che coinvolge tutti – sottolineano i promotori – tenuto conto che gli adulti, che da bambini assistono a violenze, corrono un alto rischio di trasmissione intergenerazionale delle condotte maltrattanti e abusanti”.  Problema postoci di fronte con grande sensibilità e coinvolgente passione da Elena Givone che ha scelto la fotografia Newborn (dedicata all’infanzia) attraverso scatti realizzati all’interno dei reparti maternità di ospedali italiani, nei primissimi giorni di vita del bambino, cogliendo al meglio il momento magico ed irripetibile del sonno profondo del neonato nella sua fragilità, protetto dall’abbraccio dei genitori. L’edizione del Calendario 2022 ha il privilegio di avere un set fotografico d’eccezione: quella Reggia di Venaria, che già nel giugno 2021 aveva ospitato la “Festa della nascita”, gioiosa festa di “benvenuto alla vita” legata al progetto “Nati con la Cultura – Passaporto culturale”.

La distribuzione dei Calendari verrà effettuata attraverso l’iniziativa del “Latte sospeso”. Il Calendario verrà infatti donato con l’acquisto di latte in polvere per neonati presso alcune farmacie del Torinese, che si sono messe a disposizione con confezioni a prezzo calmierato. Il latte acquistato verrà lasciato in farmacia per essere distribuito a neomamme in difficoltà tramite la “Caritas diocesana”. Per ulteriori informazioni: www.profumodivita.info

Gianni Milani

“Profumo di vita #neldirittodelbambino”

Reggia di Venaria, piazza della Repubblica 4, Venaria Reale (To); tel. 011/4992300 o www.lavenaria.it

Fino al 9 gennaio 2022

Orari: dal mart. al ven. 9,30/17 – sab. e dom. 9,30/18,30; lun. chiuso

Nelle foto: immagini di Elena Givone

Teatro dialettale a Moncalieri

Sabato 8 gennaio 2022

XXXIII RASSEGNA TEATRALE DIALETTALE
La cosa pi’ bela

Moncalieri, ore 21

Teatro Matteotti, via Matteotti 1

Sabato 8 gennaio, alle ore 21, la 33a Rassegna teatrale in lingua piemontese propone il suo terzo spettacolo in cartellone: una commedia in due atti di Tonino Ranalli. Sul palco del Teatro Matteotti di Moncalieri, in arrivo da Mondovì, c’è la Crica del Borgat con “La cosa pi’ bela”.

Letizia ed Enrico, già genitori di una creatura, stanno per sposarsi. Sul coronamento del loro sogno d’amore incombe l’ombra della mamma di lui, donna di vecchio stampo che sta per arrivare a conoscere la famiglia della nuora e anche la nipote nata fuori dal matrimonio, di cui non sa ancora nulla. Sui singolari componenti di questa famiglia sta per posarsi un turbine di novità e colpi di scena, con sorpresa finale. La rassegna è a cura delle compagnie moncalieresi Gruppo Amici di San Pietro, Siparietto di San Matteo e J’Amis del Borg, con il patrocinio della Città di Moncalieri e il sostegno della Pro Loco Moncalieri.

La nostra rassegna della commedia in lingua piemontese al Matteotti è da 33 anni uno degli appuntamenti fissi più amati anche ben oltre i confini di Moncalieri – commenta soddisfatta l’assessore alla Cultura Laura Pompeo – Ed è un’iniziativa che sosteniamo convintamente, nell’ottica di valorizzare quel che Moncalieri ha di peculiare, gli echi più profondi e caratterizzanti della sua storia. Ben lungi dal rimanere ancorati al passato, l’obiettivo è prima di tutto far vivere e diffondere, grazie all’intenso, metodico lavoro di rete con le compagnie del territorio, quanto c’è di più vivo nella cultura e nell’identità moncalierese”.

Abbonamento a 8 spettacoli: € 50,00

Biglietto singolo: € 8,00 (ridotto per under 12: € 6,00)

Info e prenotazioni: tel. 328.6894390 dalle ore 15,30 alle 19 Mail: annafalconieri50@gmail.com

 

“Animals”, due appuntamenti “family friendly” alla Palazzina di Caccia di Stupinigi

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Giovedì 6 e domenica 30 gennaio

L’idea nasce in occasione della mostra “Animals”.  Una sessantina di scatti a firma del gigante della fotografia, l’americano di Philadelphia Steve McCurry, realizzati nel 1991, in giro per tutti e sei i continenti del Pianeta, e ospitati fino al prossimo primo maggio – per la prima volta in Piemonte – nelle antiche cucine della Palazzina di Caccia di Stupinigi. Luogo ideale per una simil mostra. Gli animali e la Palazzina juvarriana rappresentano infatti, da sempre, un binomio indissoluble, se si pensa che la residenza sabauda (proclamata nel 1997 dall’UNESCO “Patrimonio dell’Umanità”) fu eretta fra il 1729 ed il 1733 proprio per per essere adibita alla pratica tanto amata dai Savoia dell’attività venatoria. Cosa di meglio dunque che abbinare alla visita della mostra di McCurry, i primi appuntamenti  family friendly del nuovo anno, alla scoperta di animali quali soggetti di decorazione pittorica propria  da secoli della Palazzina o quali mirabilia ambientali da osservare con tanto di illustrazione scientifica in un’apposita passeggiata birdwatching che non mancherà di interessare grandi e piccini? Due gli appuntamenti: giovedì 6 gennaio “Ma quanti sono? Fritz, il cervo e tutti gli altri”, visita guidata sul mondo animale fortemente presente nelle decorazioni della Palazzina,  e domenica 30 gennaio “Birdwatching, in Palazzina!” una passeggiata con laboratorio di birdwatching, guidata da un ornitologo, alla scoperta degli uccelli, dei loro canti e dei loro habitat. Ma andiamo con ordine.

Il primo appuntamento è, dunque, per giovedì 6 gennaio, ore 15,45, con “Ma quanti sono? Fritz, il cervo e tutti gli altri”. Ripercorrendo le immagini classiche di cervi, cani e cavalli, ci si accosterà a storie di terre lontane e si troveranno simpatiche scimmiette e uccelli dai piumaggi variopinti. Senza dimenticare che alla Palazzina di Stupinigi nel 1820 circa fu costruito il “Serraglio delle Belve” destinato ad ospitare una gran varietà di animali esotici, molti dei quali mai visti prima a Torino. Una sorta di giardino zoologico ante-litteram in cui trovò posto anche Fritz, l’elefante indiano regalo del viceré d’Egitto al re Carlo Felice, la cui storia a corte è ricca di aneddoti.

A fine mese, domenica 30 gennaio, sempre alle ore 15,45, sarà la volta di “Birdwatching, in palazzina!”, visita guidata realizzata in collaborazione con l’“Ente Parco” e un ornitologo alla scoperta degli uccelli, dei loro canti e dei loro habitat, negli apparati decorativi del percorso di visita.

Interessante è anche ricordare che la Palazzina di Caccia di Stupinigi ha aderito al progetto “Nati con la cultura” per distribuire ad ogni nuovo nato il “passaporto culturale” che permette un ingresso libero al Museo aderente al progetto al bambino/a con il nucleo famigliare (fino a 2 accompagnatori) fino al compimento del suo primo anno d’età.

Info: entrambe le attività costano 5 euro. In dettaglio: fino a 6 anni e possessori di “Abbonamento Musei”: 5 euro (biglietto d’ingresso al Museo gratuito); da 6 a 18 e maggiori di 65 anni: 5 euro + 5 euro (biglietto d’ingresso al museo ridotto); adulti: 5 euro + 8 euro (biglietto d’ingresso al museo ridotto). E’ consigliata la prenotazione della visita: tel. 011/6200634 o www.ordinemauriziano.it /biglietteria.stupinigi@ordinemauriziano.it

  1. m

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria


Elisabetta
Rasy   “Le indiscrete”    -Mondadori-     euro  20,00

 

La Rasy è maestra nel raccontare le vite di donne artiste e dopo “Le disobbedienti” (del 2019) dedicato a 6 pittrici ora si concentra su 5 grandi fotografe il cui sguardo dietro l’obiettivo ha cambiato l’immagine del mondo.

Tina Modotti, Dorothea Lange, Lee Miller, Diane Arbus e Francesca Woodman sono le straordinarie  indiscrete diversissime tra loro per carattere, traiettoria di vita e destino– che seppero invadere  in senso positivo le altrui riservatezze e immortalarle con un linguaggio nuovo e personalissimo.  La Rasyè riuscita a raccontarle concentrando in poco più di 200 pagine il vissuto, gli affetti e come si sono destreggiate tra carriera e vita privata.

Tina Modotti era figlia di operai e a 12 anni già lavorava in fabbrica a Udine. Poi la famiglia emigra in California dove Tina viene notata dall’industria del cinema per la sua bellezza; però quello che le interessa non è essere raccontata, piuttosto è lei a voler raccontare il mondo. E’ quello che farà nel Messico post rivoluzionario, scegliendosi una vita avventurosissima, ma anche drammatica.

Dorothea Lange era figlia di immigrati tedeschi, a 7 anni si ammala e rimane segnata dalla zoppia per tutta la vita. Negli anni 30 è colei che immortala la povertà e la depressione di quel difficile periodo storico. La sua carriera è avviata, ma molla tutto per sposarsi e diventare madre.

Poi torna dietro l’obiettivo e instancabile va alla ricerca dei suoi soggetti, quelli di cui sente forte il richiamo. Sono le vittime della grande depressione interna americana; di fatto i personaggi di cui scriveva Steinbeck, alle prese con fame, mancanza di lavoro, vita stentata alle soglie della miseria più nera, i nuovi straccioni.

Famiglie intere, bambini e madri, come quella fotografata nel 1956  in California “Migrant mother di una bellezza struggente e tra le sue  opere più famose.

Lee Miller è lo splendore che occhieggia dalla copertina del libro;donna bellissima, piena di fascino e coraggio. Fin da bambina la sua avvenenza sembra condannarla ad essere un trofeo da esposizione; a 8 anni subisce l’abuso di un familiare e viene spinta sulle passerelle delle sfilate.

A 22 anni vola a Parigi dove diventa l’idolo, la modella e musa prediletta dei surrealisti. Man Ray se ne innamora perdutamente e la ritrae quasi ossessivamente.

Ma a Lee va stretto il ruolo di top model; osserva il lavoro dell’amante e mira a passare dietro l’obiettivo che vuole puntare come un mirino sul mondo. Nel 1932 sbarcando a New York, ai giornalisti in attesa risponde con freddezza «Non voglio essere una fotografia, voglio fare una fotografia».

Diventa una delle più famose e intraprendenti fotografe di guerra, la prima ad entrare in un campo di concentramento e a fissare per sempre immagini devastanti. Famosa la sua foto che ha allestito come un set in cui fa il bagno nella vasca di quella che era la casa di Hitler.  

Anche la sua vita affettiva sarà avventurosa; un po’ di stabilità arriverà con Roland Penrose  nella loro grande fattoria nel Sussex e la nascita del figlio Anthony. Ma le esperienze l’hanno profondamente segnata nel fisico sempre più dolorante, nei nervi e nell’anima che cerca di tenere a bada con sonniferi e psicofarmaci. A 39 anni della modella più bella del mondo è rimasto ben poco…sembra sepolta sotto il peso della guerra.

Diane Arbus nasce in una ricca famiglia di ebrei russi emigrati in America, che ha fatto fortuna aprendo  grandi magazzini di abbigliamento femminile,  ed è a quel lavoro che Diane viene avviata. Ma ad appena 15 anni si innamora di Allan Arbus, giovanotto dipendente dei magazzini; si impunta e quando compie 18 anni lo sposa. Con lui inizia a lavorare come fotografa di moda; è tecnicamente bravissima, ma si sente insoddisfatta perché la sua vocazione è un’altra. Indifferente al lusso che la circonda,avverte profondamente “l’imperfezione umana” anche dentro di sé. Ecco la sua via: immortalare creature altamente imperfette e difettose che normalmente si preferisce non vedere. Lei invece gli dà voce, è alla ricerca costante di fenomeni da baraccone, barboni, nudisti con brutti corpi, figure al margine non solo della società, ma anche dello sguardo. Li cristallizza nelle foto con un’empatia fuori dal comune e che in un certo senso la divora. Negli 11 anni della sua carriera fotografa anche personaggi famosi, come Norman Mailer. Gli anni 60 sono per lei una stagione ininterrotta di successi, ma anche separazioni, la più dolorosa è quella dal marito. La sua fine è tragica; viene trovata morta nella vasca da bagno dove si è tagliata le vene dopo aver inghiottito dosi massicce di barbiturici.

Francesca Woodman oggi è considerata un genio della fotografia del 900, anche perché ha saputo guardare il  corpo umano, nello specifico il suo, in modo assolutamente inedito. Nata in una famiglia con il culto dell’arte, fin da piccola viene trascinata dai genitori per musei, dove scorrazza per ore tra i quadri. Arte è sinonimo di Italia, dove la famiglia soggiorna nei pressi di Firenze ogni estate, mentre il resto dell’anno vive in Colorado.

Francesca ha un forte legame con il bel paese; nel 1977 ottiene una borsa di studio a Roma ed è lì che scatta le sue foto migliori. Ritrae sempre e solo se stessa. A chi le chiedeva spiegazioni,rispondeva con somma ironia «E’ una questione di convenienza….io sono sempre a disposizione».

Prepara ogni immagine con estrema cura; in bianco e nero, per sottrazione, nascondendo all’obiettivo parti di sé, incarnando la bellezza fragile del corpo femminile che si sottrae allo sguardo. Dimolteplici scatti ne sceglie solo uno e distrugge tutti gli altri.

Quando torna a New York si scopre sempre più estranea alla città delle 1000 luci e delle donne in carriera; non trova accoglienza, né attenzione e nemmeno concentrazione. Diventa l’emblema della solitudine dell’artista, una serie di eventi le rema contro e per un po’ cerca rimedio nei psicofarmaci. A soli 23 anni

pone fine alla sua vita buttandosi nel vuoto da  un palazzo  di New York. Un angelo caduto che otterrà riconoscimento e successo postumo.

La fotografia agli albori del 900 aveva il vantaggio di essere un’arte nuova, un mestiere che non doveva scrollarsi di dosso il predominio maschile e che vide l’affacciarsi di molte donne, alcune grandissime come quelle che ci racconta la Rasy.

Shirley Jackson “La meridiana”   -Adelphi-    euro  19,00

E’ esilarante questo piccolo gioiello forgiato dalla genialità di Shirley Jackson –nata a San Francisco nel 1916 e morta nel Vermont nel 1965 a soli 48 anniautrice magistrale nell’imbastire storie gotiche.

Scrisse la maggior parte dei suoi racconti dell’orrore (che pare abbiano influenzato anche Stephen King) negli anni Cinquanta/Sessanta del 900. Eppure conquistò la notorietà come moglie del critico letterario Stanley Edgar Bennigton, e per gli articoli di economia domestica e di vita familiare pubblicati su riviste femminili. Era affetta da agorafobia e raramente metteva il naso fuori di casa, ed ecco perché le dimore sono centrali nelle sue opere, che la casa editrice Adelphi sta riproponendo.

In questo romanzo la Jackson è riuscita a legare insieme e senza sbagliare un colpo commedia brillante e paura; facendo scendere in campo due ossessioni ricorrenti nei suoi scritti, la casa stregata e lo scetticismo di chi non crede ai fantasmi.

Scenario è una vecchia villa costruita da un antenato smanioso di sfoggiare la sua ricchezza. E’ circondata da un alto muro che la separa dai comuni mortali; è di un’opulenza ridondante tra pareti affrescate e materiali di pregio come oro, argento e madreperla.

Nel giardino c’è la meridiana del titolo fatta costruire dal fondatore e con incisa una massima peculiare «Che cos’è questo mondo?».

La gotica magione è abitata da una famiglia che definire disfunzionale non rende neanche lontanamente le sue bizzarrie. Su tutto tira un’aria sinistra che prelude a una vicina fine del mondo,mentre i personaggi trasudano veleno l’uno contro l’altro.

Il romanzo inizia con il ritorno della famiglia dal funerale del padrone di casa, Lionel Halloran, deceduto in seguito a una rovinosa caduta dallo scalone di casa.

Secondo sua moglie Maryjane  sarebbe stato ucciso dalla madre di lui; la dispotica Orianna Halloran  che  l’avrebbe fatto per impossessarsi della casa e poter comandare su tutti. Lei che avevasposato l’erede Richard  solo per i soldi e la villa, ed ora si ritrova il marito in sedia a rotelle.

A pensarla come Maryjane è anche la sua figlioletta Fancy, viziatissima bambina che odia cordialmente la nonna Orianna.

Poi a complicare le cose ci si mette pure Fanny, sorella di Richard, che nella nebbia si perde nel giardino e si  sente chiamare niente meno che dal padre defunto da tempo, che le annuncia «Dal cielo, dalla terra e dal mare c’è pericolo, dillo a quelli che sono in casa. Ci saranno fuoco nero e acqua rossa e la terra si rivolterà urlando…».

E come ci si prepara alla fine del mondo? Intanto cambiandosi abito per cena per presentarsi nel nuovo mondo in modo armonioso e non sfigurare. Ecco un assaggio dell’ironia dirompente di questo romanzo in cui si avvicendano altri personaggi strampalati; dalla servitù all’incontro con una setta, quella dei Veri Credenti. Un romanzo che è una chicca tutta da scoprire.

Piero Armenti   “Se ami New York”       -Mondadori-     euro 18,00

 

Piero Armenti ha 35 anni, ed è uno degli italiani che a New  Yorkha trovato e saputo cogliere la sua occasione. Arrivato subito dopo l’università è rimasto folgorato dalla Grande Mela dove se ti dai da fare tutto sembra possibile. Lui l’idea vincente l’ha avuta; ha iniziato a raccontare le sue avventure, bellezze, stravaganze, curiosità e angoli particolari di New York con divertenti filmati sui social, che ci permettono di entrare più a fondo nella dimensione Big Apple. E’ diventato il giornalista urban explorerpiù famoso e seguito del web, ed è pure un imprenditore di successo con “Il mio viaggio a New York”  tour operator che offre esperienze uniche e inedite  nella Grande Mela.

Gli inizi nella città unica al mondo li ha raccontati nel suo libro precedente “Una notte ho sognato New York”, ora ci regala questo romanzo in cui c’è lui a tutto tondo. Oggi è proprietario di un bellissimo appartamento a Manhattan, guadagna bene …ma nel romanzo avverte una certa precarietà. Perché in fondo nella città che non dorme mai, quando tutto sembra andarti bene….lei ti spiazza e rimescola le carte.

Il protagonista sta attraversando una fase un po’ apatica, un periodo di disagio esistenziale, e la mancanza di entusiasmo e di un piano B nel caso le cose non andassero più tanto bene. Perché a New York il successo non concede stalli o momenti di pausa. Tuttavia è la città dove tutto è possibile, soprattutto quando hai messo insieme un bel carnet di conoscenze. Piero approda a lavorare per un po’ nella galleria d’arte dell’amico Rocco e lì ecco che il destino gli fa incontrare Elena, aspirante pittrice spagnola dal talento ancora in erba. E la vita del protagonista sta per prendere una certa piega ………in cui entrano amore, convivenza e scelte  definitive su dove stare e come proseguire.  Piero cosa sceglierà?

 

Lydia Sandgren   “La famiglia Berg”  -Mondadori-    euro 25,00

E’ il romanzo di esordio della psicologa svedese Lydia Sandgrened ha vinto due premi letterari.

Siamo nella Svezia degli anni settanta /ottanta e al centro del libro si avvicendano 3 personaggi principali di cui l’autrice racconta le vite, con continui salti nel tempo, un mistero da svelare e una famiglia tutta da conoscere.

Protagonista è Martin Berg proprietario ed editore di una piccola casa editrice di Göteborg che sta subendo la crisi del settore. Alla soglia dei 50 anni, fin dalle prime pagine, Martin annaspa in una fase di bilanci e smarrimento.

Da giovane sognava di scrivere una grande romanzo; poi la vita l’ha spinto a più miti consigli e comunque continua a pensare a un poderoso saggio su uno scrittore poco noto, William Wallace, che lui reputa all’altezza di Hemingway e  F. Scott Fitzgerald.

Il romanzo ricostruisce la sua crescita ed evoluzione nell’arco degli anni, incluso un periodo bohemien a Parigi in gioventù, insieme all’amico del cuore Gustav Becker, genio introverso diventato un pittore affermato.

Ora Martin è un uomo a metà percorso ed è riuscito a portare a casa i suoi successi, a partire da un’azienda tutta sua. Ha formato una famiglia con due figli ma …anche un grande vuoto….

E già perché un bel giorno di anni prima sua moglie Cecilia se n’era andata, lasciandosi alle spalle anche i figli Rackel, che all’epoca aveva 12 anni, e Elis di 3.

Una fuga improvvisa e inspiegabile quando aveva 32 anni ed era stata la fanciulla più brillante della scuola, autrice di saggi e traduzioni visto che parlava la bellezza di 5 lingue. Era la migliore amica di Gustav, la sua musa e al centro dei suoi quadri più riusciti e famosi.

Poi sullo sfondo ci sono le famiglie di origine, gli amici, gli anni di gioventù tra notti brave e feste; una vita sregolata in cui sguazza ancora allegramente Gustav.

Invece Martin e Cecilia avevano dovuto affrontare un’inaspettata gravidanza, ed ecco che Martin aveva dovuto mettere da parte sogni velleitari e trasformarsi in marito, padre, editore responsabile e adulto.

Ora la figlia maggiore Rackel è avviata a una carriera di studiosa sulle orme di quella materna, ma non ha mai metabolizzato la scomparsa della madre e pensa di averne trovato traccia in un romanzo tedesco che sta traducendo per la casa editrice di famiglia.

Inoltre è in programma un’importante retrospettiva in omaggio al grande pittore Gustav Becker e le strade della cittadina sono tappezzate da manifesti in cui una giovanissima Cecilia campeggia al centro delle tele.

Poco più di 800 pagine che narrano una complessa storia familiare, per vari aspetti misteriosa e originale, attraverso il dibattersi due generazioni. E non mancano colti riferimenti a letterature, arte e filosofia.

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Museo del Cinema, un’ottima annata

Sono 237.000 i visitatori che hanno visitato il Museo Nazionale del Cinema di Torino alla Mole Antonelliana (+45% rispetto al 2020), mentre il Cinema Massimo, la multisala del museo, ha avuto 36.000 spettatori, festival esclusi, in linea con i risultati del 2020.

 

Ottimi risultati per un anno ancora profondamene segnato dalla pandemia, che ha obbligato il museo a spostare due dei suoi festival e a reinventarsi per trasformare le opportunità in nuove sfide in un momento di profonda trasformazione culturale, sociale e tecnologica che la situazione mondiale ha notevolmente velocizzato. In questo contesto, la fondazione nella sua interezza (museo, multisala, bibliomediateca, 3 festival e Torino Film Lab) ha organizzato mensilmente e in maniera continuativa uno o più eventi di importanza nazionale o internazionale.

 

Il museo ha riaperto al pubblico il 19 maggio con l’inaugurazione di CineVR, la nuova area dedicata alla realtà virtuale. Realizzata in collaborazione con Rai Cinema, nasce con l’obiettivo di rafforzare la divulgazione della cultura digitale, dell’innovazione e delle nuove tecnologie legate al cinema. È la prima sala cinematografica italiana permanente completamente dedicata al VR, con una programmazione giornaliera continuativa che propone film ideati e concepiti con questa tecnica. La programmazione si arricchisce ogni mese con nuovi contenuti che mai avrebbero potuto avere questa visibilità e da maggio a dicembre ci sono state più di 53.000 visioni. Nel 2021 il museo è stato anche una delle città satelliti di Venice VR Expanded, ospitando temporaneamente una selezione di contenuti della sezione della Biennale Cinema, così come accade in occasione di festival ed eventi.

 

Il 20 luglio, giorno del 21° compleanno del museo alla Mole Antonelliana, viene inaugurata Photocall. Attrici e attori del cinema italiano, la mostra fotografica – a cura di Domenico De Gaetano e Giulia Carluccio, con la collaborazione di Roberta Basano, Gianna Chiapello, Claudia Gianetto, Maria Paola Pierini – ripercorre oltre un secolo di cinema italiano attraverso i corpi e i volti delle attrici e degli attori che lo hanno reso famoso in tutto il mondo.

 

Il 16 dicembre Diabolik alla Mole – a cura di Luca Beatrice, Domenico De Gaetano e Luigi Mascheroni – inaugura il nuovo spazio espositivo al piano di accoglienza della Mole Antonelliana, finora mai utilizzato e recentemente rinnovato nella struttura e nell’allestimento e che completa il percorso di visita tradizionale rendendo il museo flessibile e in continua trasformazione. Diabolik alla Mole, inaugurata il giorno di uscita del film Diabolik dei Manetti bros, è stata preceduta da uno straordinario spettacolo di videomapping sui 4 lati della cupola della Mole e completata da un contenuto VR esclusivo proposto nel CineVR del museo. Non solo una mostra-evento, ma anche film, videomapping, VR, un concetto visivo attorno a cui si aggregano cinema, fumetto, virtual reality, arte e design.

Nel corso del 2021 il Museo Nazionale del Cinema ha portato avanti il programma di Masterclass alla Mole Antonelliana, eventi unici che hanno come protagonisti i grandi nomi del cinema contemporaneo internazionale e legati alla mostra Photocall. Gli ospiti di quest’anno sono stati Tim Roth, Barbara Bouchet, Monica Bellucci, Matilda De Angelis, Paola Minaccioni e Francesco Montanari.

 

Anche nel 2021, in alcuni periodi dell’anno, i quattro lati della Mole Antonelliana si sono animati con spettacoli di videomapping, dei veri propri eventi realizzati appositamente da artisti di fama internazionale, come Luca Tommassini e David Cronenberg, e presentati in anteprima mondiale. Uno spettacolo molto suggestivo, che ha coinvolto anche la realtà virtuale, visibile da buona parte della città e il cui audio è disponibile in sincrono tramite l’applicazione MNC XR.

 

Il Cinema Massimo, la multisala del museo, ha riaperto il 29 aprile, offrendo una programmazione di qualità di prima visione affiancata da omaggi, retrospettive, incontri, appuntamenti con le scuole, rassegne. Oltre a diversi festival cittadini, il Cinema Massimo ha ospitato i tre appuntamenti festivalieri che afferiscono al museo e che quest’anno si sono svolti tutti in presenza: Lovers Film Festival, Festival CinemAmbiente e Torino Film Festival.

De Chirico, Savinio e Campigli ovvero “Les Italiens de Paris”

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Nelle sale della Fondazione Accorsi – Ometto, sino al 30 gennaio 2022

Cinque anni soltanto, un quinquennio d’oro, dal 1928 al 1933, un pugno di estati e di inverni, l’inizio di un’avventura e il suo immediato declino, lo spazio ed un clima “artistico, propositivo, dialogante e provocatorio” in cui operarono sette artisti, il loro contrapporsi alle tendenze allora imperanti, il cubismo, l’espressionismo, nella vita sfrenata della capitale francese che in quel periodo era divenuta il cuore pulsante, il centro cosmopolita per eccellenza, l’immagine della cultura artistica e letteraria e lo specchio del fermento del pensiero, la culla di ogni movimento avanguardista. Erano “Les Italiens de Paris”, pronti a dimostrare che “Parigi era viva”, come oggi suona la mostra ospitata nelle sale della Fondazione Accorsi – Ometto (sino al 30 gennaio 2022 – titolo che si rifà all’omonima autobiografia di Gualtieri di San Lazzaro, scrittore, editore e critico d’arte, emigrato a Parigi -, a cura di Nicoletta Colombo e Giuliana Godio, con il ricco apporto di alcuni tra i maggiori musei e Fondazioni italiani, dalla Collezione di Palazzo del Montecitorio – Camera dei Deputati alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia ai Civici Misei di Udine, dalle Gallerie degli Uffizi al Mart di Rovereto, dal Museo Revoltella di Trieste al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Filippo de Pisis” di Ferrara alla Banca Monte dei Paschi di Siena, sottolineando altresì la presenza di numerose collezioni private, molte decisamente contrarie a staccarsi dai propri tesori ma alla fine – dietro le affettuose premure delle curatrici – pronte ad acconsentire, alla luce della rarità e della bellezza del progetto.

Il quarantenne Giorgio de Chirico e il fratello Alberto Savinio di tre anni più giovane (greci per nascita), Massimo Campigli (nacque in Germania, a Berlino, come Max Ihlenfeldt, figlio naturale della giovanissima Anna Paolina Luisa, appartenente all’alta borghesia) e Mario Tozzi nati nel 1895, Filippo de Pisis nel ’96 e René Paresce, svizzero, dieci anni prima, il più vecchio Gino Severini, nato a Cortona nel 1883. Uniti – comunque – da una comune radice italiana, vissero una vicenda artistica che per essi inizia ufficialmente in quel 1928, anche se il loro soggiorno nella Ville Lumière – per ognuno sogno, traguardo e mito – risale ad alcuni anni prima: Severini vi si era stabilito sin dal 1906, mentre de Chirico vi risiedette per la prima volta nel ’11 per tornarvi nel ’24 e suo fratello nel ’10 e nel ’26; Paresce arriva nel 1912, Tozzi e Campigli nel ’19 e de Pisis nel ’25. Ognuno alla ricerca di una propria personale strada, dando concretezza a tematiche differenti e a cifre stilistiche individuali, ma tutti nell’indirizzo di un nuovo classicismo mediterraneo, tra voci surrealiste e trasporti neometafisici, creando un movimento, un grumo artistico che cercava un proprio territorio, guardando alla storia e al mito, alla tradizione e all’avanguardia, al reale e al fantastico. Per ognuno lo studio e la vicinanza del critico George Waldemar, scopritore di talenti, ognuno sotto l’ala protettrice di Léonce Rosenberg, affermato mercante d’arte, che la Grande Depressione americana del ’29, fatta sentire tutta la propria debolezza anche al di qua dell’oceano, mise in grave difficoltà, causa non superficiale e non ultima dell’affievolirsi, a poco a poco, del movimento.

Sette sezioni compongono la mostra. Il percorso inizia con de Chirico, allineando i tanti temi, i rimandi metafisici (“Le muse in villeggiatura”, 1927) e le memorie classiche rivisitate ironicamente (“Pericle”, 1925, gli occhi bendati, con tanto di canottiera multicolore!), i gladiatori e i nudi femminili, taluni immersi nella scia di Renoir (“Bagnante”, 1928/’30), il ricordo dell’antica Grecia e i reperti archeologici (“Cavalieri e guerrieri in riva al mare”, 1931). Lo sguardo antico si unisce a quello moderno nella ”Fille de la statue” degli anni 1926/’27 di Alberto Savinio – personaggio importante, non soltanto pittore ma romanziere e drammaturgo, collaboratore de “La Stampa” e del “Corriere della Sera”, fondatore nel ’24 con Pirandello della “Compagnia del Teatro dell’Arte” -, i suoi paesaggi fantastici dove trovano spazio elementi geometrici che fluttuano nell’aria come giocattoli, tra scogli e vele (“Le navire perdu”, 1928), le sue “ibridazioni metamorfiche”, sberleffo e cruda irrisione ad una società, la divertente (ma è soltanto divertimento?) “Papera”, 1930/’31, imponente, chiusa sullo sfondo del cielo azzurro tra balaustra e tendaggi. Si prosegue con Massimo Campigli, una sala che vale l’ingresso alla mostra, la figura femminile al centro dell’opera dell’artista, il fascino subito dall’arte etrusca a seguito di una visita estiva al Museo di Villa Giulia a Roma con la moglie Dutza, l’avvicinarsi alla tecnica dell’affresco, alla scelta di una pittura maggiormente vissuta tra figure geometrizzate, uno svelamento che portò l’artista a ripudiare come “tentativi contraddittori” le precedenti esperienze pittoriche: da sottolineare capolavori come “Le arciere” del 1933, che sembrano uscite da un ipogeo dell’Italia centrale, “Le spose dei marinai” (1934) fino a spingerci al 1949 con “Ondine al sole”, dove “le donne si sono tradotte in simboli, in segni di una scrittura pittografica che rappresenta l’eternità della vita”.

Nella quarta sezione Filippo de Pisis e la sua pittura frammentaria – “a zampa di mosca”, come ingegnosamente la definiva Eugenio Montale -, nature morte e paesaggi parigini (“Viale di Parigi”, 1938), tra la luminosità dei colori e l’uso sapiente dei neri e dei grigi; René Paresce che spicca in successione con il suo potente “Autoritratto” del 1917, i tratti duri e malinconici, lo sguardo smarrito all’interno dello studio, con “Natura morta” del ’26, dove gli elementi geometrici posti su differenti piani rimandano al cubismo di Georges Braque. Gino Severini, che occupa la sesta sezione, mostra i personaggi della Commedia dell’Arte entro scenografie neopompeiane, in un susseguirsi di temi amorosi, musicali (“Pulcinella con il clarino”, 1929, una maschera assurta a sovrano, dove lo strumento è lo scettro) e poetici, ma continua a guardare come i suoi colleghi ai reperti archeologici (“Natura morta con maschera” del 1929). Affascinante capolavoro “Maternità – Natura morta” (1927-’28), dove la madre e il figlio sono ridimensionati in una quinta laterale, tra pareti sghembe e gli oggetti, il tavolo i libri la fruttiera lo strumento musicale, racchiusi entro una scatola “architettonicamente perfetta”, riaffermano la loro giusta importanza nella composizione delle linee geometriche.

Infine le opere di Mario Tozzi, forse il più teorico dei Sette, l’artista che fin dal 1924 si propone di divulgare nella capitale francese la conoscenza e l’apprezzamento della pittura italiana dell’epoca, guardando, attraverso i propri dipinti, fonte di suggestiva quanto intensa originalità, ad un ordine ricostituito, ad un classicismo ripensato in una rinascita vitale; guardando altresì a maestri come Cézanne (“Table garnie”, 1922) o spingendosi alla linearità esasperata e all’idealizzazione (“Le bonnet basque”, 1928, altro capolavoro della mostra), sino a contaminare, con differenti materiali, le proprie opere (“Personaggi in cerca d’autore”, 1929), illuminando una stagione che le stanze dell’Accorsi propongono al pubblico in tutta la sua intrigante bellezza.

Elio Rabbione

 

 

Nelle immagini: Giorgio de Chirico, “Pericle” (1925), olio su tela, coll. privata; Alberto Savinio, “Papera” (1930-’31), tempera su cartone, coll. privata; Massimo Campigli, “Le arciere” (1933), olio su tela, coll. privata; René Paresce, “Autoritratto” (1917), olio su tela, coll. Banco BPM; Mario Tozzi, “Le bonnet basque” (1928), olio su tela, Siena, coll. Banca Monte dei Paschi di Siena.

Addio a Martinotti, protagonista della musica tradizionale

Se n’è andato a sessantotto anni Maurizio Martinotti, uno dei nomi più noti nella storia della musica tradizionale italiana.

Nato a Casale Monferrato nel 1953, dopo aver frequentato il liceo classico ‘Balbo’ ha dedicato gran parte della sua vita alla ricerca ed alla musica. Nel 1977 fondò ‘ La Ciapa rusa’, in piemontese ‘La pezza rossa’ soprannome con cui veniva chiamata una famiglia di cantori tradizionali di Bozzole. Neglianni il gruppo, ha raccolto registrazioni e filmati degli anziani cantori e suonatori, effettuando così una notevole operazione di recupero della memoria delle tradizioni musicali che altrimenti sarebbe andata perduta, soprattutto nell’area delle Quattro Province (Alessandria, Piacenza, Pavia e Genova). Nei vent’anni di attività, sino al 1997 ha prodotto 7 dischi, uno dei quali ‘Ten da chent l’archet che la sunada l’è lunga’ ha ottenuto nel 1982 il premio della critica discografica italiana. E Roberto Leydi, critico ed etnomusicologo italiano di grandissimo spessore già negli anni Settanta aveva scritto che ‘La Ciapa Rusa’ era uno dei principali e maggiormente meritevoli di attenzione gruppo di musica tradizionale a livello italiano. Il gruppo fu apprezzato anche a livello internazionale con tournee in Europa ed in Nord America. Maurizio Martinotti fu anche il motore della ‘Folkermesse’, rassegna internazionale di musica tradizionale nata nel 1983 quando assessore alla cultura era Guido Cattaneo (un politico casalese che pose le basi delle tante iniziative culturali di cui la città ha goduto negli anni successivi, dalla Gipsoteca Bistolfi, al Museo Civico, alla riapertura del Teatro e, appunto alla Folkermesse). La rassegna, collegata con il festival francese di Lorient ha calato definitivamente il sipario nel 2020.

Maurizio Martinotti è mancato nel giorno di San Silvestro all’ospedale di Alessandria. Era malato da tempo. Lascia la moglie Maura Guaschino che aveva conosciuto anni fa proprio durante delle ricerche sulle tradizioni musicali e con cui aveva effettuato anche diversi altri lavori. Lascia anche il fratello Massimo, che vive all’estero da diversi anni e la sorella Marina. E proprio grazie a Marina, mia compagna di scuola, avevo conosciuto ‘Martinez’ come lo chiamavano una vita fa, nella loro casa vicino al Duomo di Casale tanti anni fa, quando entrambi frequentavamo il Ginnasio ed il Liceo. Maurizio lo ricordo nella sua grande stanza, piena di dischi e libri , una prima volta che ero stato a casa loro per studiare insieme con Marina non ricordo se latino o greco. Ci siamo poi sentiti diverse volte negli anni Ottanta quando per ‘Vita Casalese’ seguivo le prime Folkermesse. Storie di altri tempi e dei primi anni Ottanta. Poi negli anni ci siamo, via via, persi di vista come sovente accade, anche se i nostri sporadici incontri sono sempre stati all’insegna della reciproca stima e cordialità. Sino ad aver appreso la notizia la mattina del 1 gennaio. La sua dipartita si farà sentire per tutto quello che di buono e di bello ha fatto in tutti questi anni nel campo della cultura e della musica.

 

Massimo Iaretti

È stato un anno di cultura nei musei della Fondazione

Il 2021 ha visto un sostanziale ritorno ai luoghi della cultura e alla frequentazione dei musei. Nonostante i mesi di chiusura (fino al 2 febbraio e poi dall’1 marzo al 27 aprile) gli orari ridotti e le capienze contingentate per gran parte dell’anno, il pubblico ha premiato GAM, MAO e Palazzo Madama: sono state 241.498 su un totale di 221 giorni di apertura – oltre 100 giorni in meno rispetto a un anno “normale” – le persone che hanno visitato le mostre e le collezioni permanenti, hanno partecipato alle attività didattiche, hanno seguito le conferenze e le attività collaterali realizzate dai nostri tre musei. La percentuale di crescita rispetto al 2020 si attesta a più del 20%.

 

 

I DATI DEI MUSEI

I visitatori registrati nel corso del 2021 sono stati 84.711 alla GAM, 54.863 biglietti staccati al MAO e 101.924 sono stati i visitatori di Palazzo Madama, per un totale di 241.498 in tutti i musei della Fondazione.

 

L’esperienza maturata nel corso del 2020 in ambito digitale è stata messa a frutto anche nel 2021: accanto alla modalità “in presenza”, i musei hanno infatti continuato a proporre attività e contenuti disponibili da remoto, per consentire al pubblico, in particolare alle scuole, di accedere al patrimonio e ai laboratori didattici limitando gli spostamenti. Per questo il progetto In Onda, partito lo scorso anno, ha ulteriormente ampliato l’offerta disponibile con nuovi video e con nuove tipologie di contenuto, destinati alle scuole ma anche alle famiglie e agli adulti.

L’attività sui canali social si è concentrata sul coinvolgimento del pubblico nelle attività dei musei attraverso la produzione di video di approfondimento sulle mostre e sulle collezioni, testimonianze dei restauri in corso, rientri o partenze delle opere in prestito, allestimenti e disallestimenti e tutte le attività di ricerca, formazione e didattica.

 

I DATI DEL WEB E DEI CANALI SOCIAL

Per tutti e quattro i siti internet di Fondazione Torino Musei nel 2021 la ricerca organica continua a essere la modalità più diffusa di generazione del traffico. Al 22 dicembre 2021 le visualizzazioni di pagina sono state 164.194 per il sito di Fondazione Torino Musei, 537.022 per la GAM, 271.762 per il MAO e 524.885 per Palazzo Madama.

Per quanto riguarda i canali YouTube, la GAM ha raggiunto le 56.295 visualizzazioni, il MAO 17.768 e Palazzo Madama ha toccato quota 38.874.

La GAM al 22 dicembre 2021, ha raggiunto 43.833 followers su Instagram, il MAO 17.700 e Palazzo Madama 25.812, per un numero totale di followers sui 3 musei di 87.395.

Il totale dei like sulla pagina Facebook della GAM è di 44.404, 29.214 su quella del MAO e di 25.45 per Palazzo Madama.

Il canale Twitter della Fondazione Torino Musei conta 14.295 followers, mentre Linkedin 10.531.

 

I PROGETTI SPECIALI DEL 2021

Oltre alla consueta attività di tutela e ricerca, organizzazione di mostre ed eventi dei musei, la Fondazione continua a gestire progetti di collaborazione con altre importanti realtà locali e internazionali.

Anche nel 2021 Artissima ha trovato spazio al MAO e a Palazzo Madama: Hub India | Classical Radical ha portato nelle due sedi museali un progetto espositivo legato all’arte contemporanea del subcontinente indiano, messa in dialogo con le collezioni permanenti dei musei. Un’occasione per riflettere sui lasciti del passato e su come sono sopravvissuti nelle diverse culture per arrivare fino a noi.

 

Grazie a un accordo tra il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude e la Fondazione Torino Musei, in base al quale oltre 90 opere della GAM sono diventate il nucleo centrale di una rassegna che riunisce capolavori provenienti dai più importanti musei italiani e da prestigiose collezioni private, alla Reggia di Venaria si è aperta la mostra Una infinita bellezza. Il paesaggio in Italia dalla pittura romantica all’arte contemporanea a cura di Virginia Bertone, Guido Curto e Riccardo Passoni. Alla GAM è stata inoltre esposta Sinfonia, di Alessandro Sciaraffa, una delle opere vincitrici della nona edizione del bando Italian Council 2020 promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura: Sinfonia, che è entrata a far parte delle collezioni della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, sarà esposta nei prossimi mesi alla Fondazione TSE Art Destination di Nur Sultan, una delle realtà più dinamiche nel panorama artistico contemporaneo del Kazakhstan.

Tappa estera anche per il MAO, che ha esportato la mostra Goccia a goccia dal cielo cade la vita. Acqua, Islam e Arte nell’Emirato di Sharjah, dove è stata presentata dal 9 giugno all’11 dicembre 2021 al Sharjah Museum of Islamic Civilization. Nell’ambito dei legami bilateriali tra gli Emirati Arabi Uniti e l’Italia, la Fondazione Torino Musei ha avviato una stretta collaborazione con la Sharjah Museums Authority per proporre la mostra in una versione rinnovata. Attraverso l’esposizione di oltre 120 opere provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private italiane, con contributi importanti dal MAO, da Palazzo Madama, dalla GAM e dalle collezioni permanenti del Sharjah Museum of Islamic Civilization, la mostra illustra lo sviluppo storico dei tanti ruoli ricoperti dall’acqua e l’incarnazione dei suoi significati nella produzione artistica arabo-islamica.

 

Continuano le collaborazioni di Palazzo Madama con il territorio, con le mostre Tesori del Marchesato di Saluzzo. Arte, storia e cultura tra Medioevo e Rinascimento, a cura di Simone Baiocco, organizzata nelle tre sedi di Saluzzo: il Monastero della Stella, il Museo Civico Casa Cavassa e La Castiglia, e Fantastiche Grottesche. Giovanni Caracca e i Duchi di Savoia, a cura di Clelia Arnaldi di Balme, che si è svolta al Castello degli Acaja di Fossano. Il Museo d’Arte Antica ha inoltre proseguito la pubblicazione della sua rivista, giunta al numero 5, Palazzo Madama. Studi e notizie, disponibile gratuitamente in versione digitale: il magazine, scaricabile in PDF, racconta l’attività del museo e offre approfondimenti su vari temi relativi agli studi, alla ricerca, alla conservazione e all’innovazione.

 

 

I musei hanno partecipato alla vita cittadina offrendo aperture straordinarie e ingressi gratuiti o a tariffe agevolate in occasione della festa di San Giovanni, della Notte Europea dei Musei, del Ferragosto, delle Giornate Europee del Patrimonio, della Notte delle Arti Contemporanee e della giornata AMACI.

I tre musei hanno inoltre celebrato lo scorso 18 dicembre la giornata in ricordo della prima Presidente della Fondazione Torino Musei, Giovanna Cattaneo Incisa, offrendo a tutti i visitatori l’ingresso gratuito alle collezioni permanenti.

 

Proseguono le importanti collaborazioni avviate lo scorso anno, in particolare quella siglata con la scuola Madre Mazzarello e Slow Food: il 2021 ha segnato l’avvio delle lezioni del primo anno del nuovo Liceo Linguistico Artistico ed Enogastronomico. La FTM infine ha collaborato con l’Area Attività Culturali della Città di Torino nella realizzazione del Public Program “Incontri illuminanti con l’Arte Contemporanea” in relazione a Luci d’Artista.

L’amore secondo Stefano Montanari e Toni Servillo Boieldieu, Bizet e Berlioz per Orchestra e Coro del Regio

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OGR Torino, sabato 8 gennaio 2022 ore 20.30

Il nuovo anno si apre sabato 8 gennaio alle OGR Torino dove Stefano Montanari sarà alla guida dell’Orchestra e del Coro del Regio in un programma che prevede l’ouverture da La Dame Blanche di François-Adrien Boieldieu, la Sinfonia in do maggiore di Georges Bizet e, clou della serata, Lélio, ou Le retour à la vie di Hector Berlioz, con Toni Servillo che, narratore d’eccezione, darà voce alle inquietudini sentimentali del compositore che ritorna alla vita, dopo aver pensato al suicidio per amore, grazie alla musica e alla letteratura. Andrea Secchi istruisce, come di consueto, il Coro del Regio.

Il concerto sarà disponibile sulla piattaforma IT’S ART a partire da venerdì 28 gennaio 2022.

Nella foto: Il direttore d’orchestra Stefano Montanari
Sul podio dell’Orchestra e del Coro del Regio è Stefano Montanari. Protagonista al 39° Torino Film Festival come direttore d’orchestra nel film Gianni Schicchi di Damiano Michieletto. Montanari è diplomato in violino e pianoforte, affianca all’attività di direttore quella di solista – già primo violino concertatore dell’Accademia Bizantina di Ravenna – al violino e al fortepiano. È Direttore musicale dell’ensemble barocco I Bollenti Spiriti di Lione ed è ospite regolare dei più importanti teatri e delle più prestigiose istituzioni musicali italiane ed europee. Insegna alla Civica Scuola di Musica Claudio Abbado e ha pubblicato il “Metodo di violino barocco”. Collabora stabilmente con il jazzista Gianluigi Trovesi.
Nella foto: l’attore Toni Servillo (foto Getty Images)
Toni Servillo è la voce recitante in Lélio, ou Le retour à la vie di Hector Berlioz. Attore e regista, Servillo si divide tra teatro e cinema: ora è nelle sale con È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino e ha appena terminato di girare Nostalgia di Mario Martone. Ha firmato sette regie liriche, avendo alle spalle autori come Beaumarchais, Da Ponte, Hofmannsthal, l’ultima, nel 2005, Fidelio al Teatro di San Carlo di Napoli. Ha recentemente dichiarato: «Scoprii che la musica classica è testo organizzato in suoni. Fu come la scoperta della letteratura, che cioè dentro Mozart, Beethoven e Brahms abita lo stesso infinito paesaggio di pensiero, miserie, ambizioni, interrogativi che ci sono in Tolstoj, Dostoevskij, Proust, Mann… Penso alle quattro Ballate di Brahms o agli Interludi marini del Peter Grimes di Britten, dove non siamo di fronte alla descrizione del mare, sostituito invece da un mare organizzato secondo il linguaggio del suono».

La Dame Blanche rappresentò una svolta decisiva all’interno della produzione di François-Adrien Boieldieu e aprì la strada alla grande stagione ottocentesca dell’opéra-comique. Un successo epocale per l’Opéra Comique, con oltre mille repliche dopo la prima assoluta del 10 dicembre 1825, ed ebbe un’influenza su numerosi lavori e compositori nei decenni a venire. I contemporanei ne furono affascinati e uno straordinario successo accompagnò l’opera per tutto l’Ottocento. La ricetta? Un soggetto preso a prestito da Walter Scott e l’ambientazione scozzese. La trama, ingenuamente “romantica”, offrì il pretesto per una musica lieve e brillante, qua e là appena venata di malinconia.
Il programma della serata prosegue con la Sinfonia in do maggiore di Georges Bizet.  Composta nel 1855 a soli diciassette anni, ne conferma il talento precocissimo. Rivela una netta personalità, avvertibile nel limpido trattamento dei temi, e singolari doti di melodista. La “prima” ebbe luogo solo nel 1935, a Basilea, quando l’autore era morto da sessant’anni. Rinvenuto tra le sue carte, il manoscritto era stato donato dalla vedova al compositore Reynaldo Hahn, che restò indifferente; approdò poi al Conservatoire di Parigi, dove fu “scoperto” nel 1933.

Ha raccontato Toni Servillo qualche anno fa in occasione della presentazione di Lélio, ou Le retour à la vie di Hector Berlioz al Teatro di San Carlo: «Testo eccentrico, che costituisce una vera e propria drammaturgia musicale. La traduzione in italiano è stata realizzata per l’occasione dallo scrittore Giuseppe Montesano che, della letteratura francese dell’Ottocento ha fatto il suo territorio di ricerca appassionata. Il testo rimanda a un viaggio con continui cambi di stati d’animo tra l’euforia e la tristezza. Il finale è un inno alla musica quale unica salvezza». All’origine della composizione, vi è una vicenda di natura amorosa. Respinto dall’attrice irlandese Harriet Smithson, Berlioz ebbe una relazione con la giovane pianista Camille Moke, che scelse però di sposare il facoltoso costruttore di pianoforti Camille Pleyel. Il musicista pensò di uccidere entrambi e di suicidarsi, ma fortunatamente mutò i suoi piani. Ecco nascere Lélio, Berlioz stesso: «Un attore – osserva Della Seta – che, sopravvissuto all’oppio, ripercorre la propria vicenda interiore ritrovando, nel fervore della creazione artistica, sotto il duplice segno di Beethoven e Shakespeare, un senso positivo alla propria esistenza».

Regio Metropolitano si realizza con il fondamentale sostegno di Intesa Sanpaolo, Socio Fondatore del Teatro Regio e con il patrocinio della Città di Torino.

Vi ricordiamo che dal 6 dicembre 2021 l’ingresso ai luoghi di spettacolo è consentito esclusivamente alle persone munite della certificazione verde Green Pass che attesti la vaccinazione anti Covid-19 o la guarigione da Covid-19.

Il prossimo appuntamento è sabato 15 gennaio al Conservatorio “Giuseppe Verdi”: Alvise Casellati dirige per la prima volta l’Orchestra del Teatro Regio. In programma Malédiction di Franz Liszt e nel Concerto n. 2 di Fryderyk Chopin, con Giuseppe Albanese pianoforte solista; chiude la serata la Sinfonia in re maggiore K 196 (Ouverture da La finta giardiniera) di Wolfgang Amadeus Mozart.

BIGLIETTERIA
I biglietti e le card sono in vendita alla Biglietteria del Teatro Regio
Tel. 011.8815.241/242 – biglietteria@teatroregio.torino.it
Orario di apertura: da lunedì a sabato 13-18.30 e domenica 10-14
Un’ora prima del concerto alla Biglietteria delle OGR Torino, in corso Castelfidardo 22
Giorni di chiusura: sabato 1, domenica 2 e giovedì 6 gennaio 2022

È inoltre possibile acquistare i biglietti anche presso i punti vendita Vivaticket e online su www.teatroregio.torino.it e su www.vivaticket.it

PREZZI BIGLIETTI
Concerti: € 20 – 15 – Under 30 € 8

PREZZI CARD
Card 4: € 60 – 4 concerti a scelta in qualsiasi settore.
Card Giovani 4 € 20 – Riservata agli under 30; 4 concerti a scelta, in qualsiasi settore. Le stesse card possono anche essere utilizzate da più persone per lo stesso concerto.

Per l’acquisto dei biglietti e delle card è possibile utilizzare i voucher ottenuti a titolo di rimborso per gli spettacoli e i concerti del Teatro Regio annullati causa Covid-19.

SERVIZIO INFORMAZIONI
da lunedì a venerdì ore 9-17.30 – Tel. 011.8815.557 – info@teatroregio.torino.it

Per tutte le informazioni sul Regio Metropolitano: clicca qui

In mostra al “Mastio” della Cittadella dieci fotografi per cento “storie al limite dell’umanità”

“Strappi. Tra violenza e indifferenza”

Fino al 16 gennaio 2022

“Dieci fotografi si riconoscono unicamente nel fermare il tempo, documentare la colpa, chiedere giustizia. E stanarci dall’indifferenza”.

Sono parole di Domenico Quirico, giornalista e inviato di guerra de “La Stampa” (che il senso di quelle parole ha vissuto sulla propria carne e che oggi con dolore porta ancora con ogni probabilità sotto pelle) poste a introduzione della mostra “Strappi. Tra violenza e indifferenza”, promossa dall’A.N.Art.I – Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia quale primo evento dei numerosi in programma fino al 2023 per la celebrazione del Centenario dell’Associazione nata proprio a Torino il 23 giugno del 1923. Ideata e curata da Tiziana Bonomo (fondatrice della torinese “ArtPhotò”) per il Museo Storico Nazionale d’Artiglieria, la  rassegna, visitabile fino al 16 gennaio del prossimo anno nel “Mastio” della Cittadella, vede esposti cento scatti tratti da dieci reportages (che spaziano dal Messico alla Siria, dal Sud America al Myanmar, fino al Congo e all’Afghanistan) accompagnati e commentati proprio dalle parole di Domenico  Quirico, prigioniero nel 2013, per ben cinque mesi, in Siria.


E che bene pone l’accento sull’obiettivo primo della mostra: “La cronaca – scrive – propone ogni giorno in varie parti del mondo conflitti e crisi a cui reagiamo, per l’assuefazione alle immagini, con l’indifferenza. Ricordare situazioni dimenticate o non conosciute – gli strappi della Storia – è invece la parola d’ordine di giovani e pluripremiati fotoreporters e lo scopo della mostra. Non la violenza o la guerra come esibizione estetica ma narrazione di come gli uomini cercano di difendersi e costruire la loro quotidiana fragile normalità”. Fotoreporters d’eccezione. Coraggiosi. Abili. Che hanno il mondo per casa. Che nella cruda e crudele realtà sanno ancora vedere, attraverso la frazione minimale di uno scatto, la possibilità di un sogno, di un arcobaleno di pace e l’impercettibile spazio di un possibile futuro. Fotoreporters come “testimoni tenaci – sottolinea Tiziana Bonomo – che, nonostante l’assuefazione paludosa della nostra civiltà, continuano a raccontare ciò di cui è capace l’uomo, a fare la Storia, la sconcertante Storia”. Dieci, dicevamo, per dieci fotografie a testa. Cento immagini messe lì davanti a noi per ricordarci di esistere. Noi e gli altri. Da non dimenticare. Da portarci addosso, non per cambiare il mondo (lo volesse il Cielo), ma  almeno noi stessi. Per trasformare l’io indifferente nell’io partecipante. In qualche maniera. Ad ognuno la propria fetta di personale quotidiano eroismo. A chiedercelo sono le foto di Ivo Saglietti che da oltre un decennio ci mostra cosa significhi convivere con le conseguenze di un genocidio attraverso il fermo immagine sulla cerimonia di riconoscimento delle vittime di Srebrenica. E con lui Derek Hudson che nei suoi drammatici bianchi e neri ci fa rivivere l’esodo inarrestabile di popoli perseguitati documentato durante la fuga degli Hutu dai Tutsi. “Estado de Guerrero” è invece il racconto visivo realizzato da Alfredo Bosco (fra il 2018 e il 2019) in Messico in cui si denunciano le nefaste ripercussioni del narcotraffico su villaggi, città, persone adulte e bambini; di femminicidi in America Latina ci parlano poi le terribili immagini di Karl Mancini, così come sui diritti delle donne s’è concentrato in questi ultimi anni il lavoro della giovane Chloe Sharrock attraverso toccanti reportages nel campo di prigionia di Al-Hawl nel nord della Siria. E il percorso espositivo prosegue con un focus sul popolo yemenita raccontato da Mattia Velati, mentre Laura Secci ci svela la sua esperienza in Afghanistan all’interno della missione ISAF – International Security Assistance Force e Francesca Tosarelli, oggi diventata video maker, ha deciso di riprendere, nella Repubblica Democratica del Congo, le donne stanche di subire violenze che combattono all’interno di gruppi ribelli.

La sofferenza procurata da anni di guerra sui civili  è infine tangibile nelle immagini in Nagorno Karaback di Roberto Travan, mentre la resistenza dei giovani ribelli che lottano per la libertà in Myanmar è una silente denuncia che il giovane umbro Fabio Polese è riuscito a documentare come unico reporter italiano. Immagini che non possono non toccare e ferire le coscienze. Con la definizione visiva di “strappi” – guerre e violenze – difficili da ricucire. Non meno che da ricordare. Ecco dunque l’importanza e il valore di una mostra come questa che “si propone – conclude Quirico – di ridare alla sofferenza la sua vita di simbolo, di riportarne la presenza nella Città”.

Gianni Milani

“Strappi. Tra violenza e indifferenza”

Museo del Mastio della Cittadella, corso Galileo Ferraris 0, Torino; tel. 335/1889451 o www.artphotobonomo.it

Fino al 16 gennaio 2022

Orari: dal mart. alla dom. 11/19; lun. chiuso, ingresso libero

–         Ivo Saglietti “Il dolore di Srebrenica”, 2009

–         Derek Hudson: “Hutu Exodus”, 1997

–         Roberto Travan: “Nagorno Karaback, la pace può attendere”, 2020

–         Fabio Polese: “In Myanmar tra i giovani ribelli armati per la libertà”, 2021