Il cammino in Afghanistan di un uomo che, nel 2010, ha salvato la vita a centinaia di bambini. Sentimenti di paura, rabbia, amore che si celano dietro la maschera dei combattenti, dei “cattivi giusti” che, con ferocia, proteggono gli innocenti.
E’ una storia di fratellanza, di colpi di scena sorprendenti, il romanzo “Spektre. Fantasmi in Afghanistan”, scritto da William Marras Nash, nato a Ivrea (in provincia di Torino), nel 1988, ma che, attualmente, vive ad Azeglio, un paesino dell’Alto Canavese in Piemonte. Il titolo dell’opera – pubblicata nella collana “I Diamanti della Narrativa”, edita da Aletti – nasce durante la stesura del romanzo che parla, appunto, della squadra Spektre, guerrieri ma, soprattutto, uomini che provano emozioni, fatica e anche amore verso le loro famiglie e le loro donne a casa. «Descrivendo questi uomini – spiega l’autore – ed informandomi su quelli come loro, ho compreso che sono realmente come dei fantasmi. Operano in teatri di guerra e in nazioni nelle quali non dovrebbero essere, se “cadono” vengono archiviati come turisti scomparsi o mai esistiti, fanno cadere governi e lasciano i meriti ad altri, da loro può dipendere lo scoppio o meno di una guerra ma nessuno sa chi siano e, in questo caso, la Spektre era una squadra di fantasmi in Afghanistan».
Nessuno sa i loro nomi; nessuno sa chi sia l’uomo protagonista del romanzo, ma tutti dovrebbero conoscerne la storia ed esserne grati. Un turbine di emozioni apparentemente contrastanti, dalla guerra all’amore, dalla rabbia alla fratellanza incondizionata, trattate con un linguaggio semplice e alla portata di qualunque età se non fosse per il limite portato dagli argomenti trattati. Questo consente anche al lettore più “frettoloso” di poter comprendere la storia, anche se dura, e coglierne anche le più intime sfaccettature. «Passaggi – afferma lo scrittore – che devono essere come sfumature per lasciare alla mente del lettore il tempo per cambiare mood emozionale ma senza che se ne accorga, così anche la singola emozione si rivela una piccola sorpresa che renderà difficile interrompere volontariamente la lettura». Il segreto per l’autore è immedesimarsi il più possibile nel personaggio che si racconta, avendo la storia impressa nella mente sin dall’inizio. «Ho descritto passo dopo passo tutto ciò che mi è stato riportato. Ci ho messo quattro anni per scriverlo e mi sono immedesimato nel protagonista al punto che ho iniziato a vivere come lui. Quando riuscivo ad addormentarmi facevo i suoi incubi, avevo le sue paure. Ero stanco, stremato verso la fine del romanzo. Ero diventato freddo, inespressivo molte volte. Per scrivere e sciogliermi sorseggiavo liquore e alcuni passaggi li ho scritti piangendo, così bevevo ancora, proprio come lui. Mi sembrava di aver vissuto la sua storia e in parte è come se l’avessi provata sulla mia pelle, un po’ credo, come un attore entra nel suo personaggio». Un rapporto empatico che, alla fine, quasi manca, quando il libro è terminato, lasciando un senso di nostalgia e solitudine. «Voglio trasmettere – conclude lo scrittore – la coscienza e la testimonianza che quei guerrieri fuori dal comune, abituati ad affrontare inferni inimmaginabili, sono allo stesso tempo uomini comuni, con emozioni e sentimenti come tutti gli altri».
Federica Grisolia
A Sampeyre-Piasso, Rore, Calchesio e Villar è tutto pronto per dare il via alla Baìo di Sampeyre, l’antica festa occitana che ogni cinque anni, a febbraio, rievoca la cacciata dei Mori dalle vallate alpine e la libertà riconquistata. Un evento storico che si ripete da dieci secoli. Al grido baìo..baìo…libertà, libertà, gli uomini delle borgate di Sampeyre e frazioni si armano con fucili, sciabole, asce, mannaie e fiaschetti di vino, pronti a respingere i maomettani arrivati dalle coste della Provenza per incendiare, distruggere e uccidere. Domenica 5 febbraio il primo atto della rievocazione storica. Le origini della festa sono molto antiche e risalgono alla fine del decimo secolo quando i saraceni raggiunsero i paesi della valle per saccheggiarli e incendiarli ma vennero respinti e messi in fuga dai valligiani. È una delle più importanti feste delle Alpi che unisce storia, cultura, musica e folklore di tutta la valle. È in pratica il carnevale della Val Varaita, senza maschere e coriandoli. Anticamente la Baìo era una cerimonia primaverile propiziatoria dei nuovi raccolti ma con il passar del tempo si è trasformata nella rievocazione, tra storia e leggenda, delle incursioni dei saraceni avvenute nel X secolo e la loro cacciata da queste montagne. Baìo è un termine occitano che tra le sue origini da “Badia” che significa abbadia, non però in senso religioso ma nel senso di associazione popolare di tipo paramilitare molto diffusa nelle valli nei secoli lontani. Oggi con la parola Baìo si intende pertanto una festa di libertà e di unione nel mese di carnevale che quest’anno animerà la Val Varaita nelle prime due domeniche di febbraio, il 5 e il 12 per concludersi nel giorno di giovedì grasso, il 16 febbraio. Oltre 400 sono i personaggi che
danno vita alla grande festa alpina e quattro le brigate popolari che si riuniscono per fronteggiare il pericolo saraceno. Alla sfilata in costume che attraversa le vie di Sampeyre accompagnata da gruppi di suonatori non possono partecipare le donne, come vuole la tradizione da secoli, anche se il loro contributo all’organizzazione dell’evento è determinante. I protagonisti sono gli uomini di ogni borgata che si esibiscono con i costumi preparati dalle donne e impersonano anche i ruoli femminili. Danze, musica, cibo e vino concludono la Baio mentre i saraceni prigionieri sfilano in catene con i costumi orientali. Nella prima domenica, il 5 febbraio, la Baìo di Calchesio va in visita a quella di Sampeyre con gli Abà, i capi milizia, nella seconda domenica le quattro Baìe si riuniscono a Sampeyre mentre il giovedì grasso si celebra un singolare processo durante il quale le Baìe mettono sotto processo i propri Tesorieri accusati di furto ai danni della comunità.
Mercoledì primo febbraio alle 20.30 al Conservatorio, per l’Unione Musicale, i Singer Pur eseguiranno musiche di Sting, van Dijk, Monteverdi, Silcher, Hassler, Corea, Gershwin, Joel. Giovedì 2 alle 20.30 e venerdì 3 alle 20, all’auditorium Toscanini , l’Orchestra Rai diretta da Fabio Luisi e con Alessandro Taverna al pianoforte, eseguirà musiche di Richard Strauss. Sabato 4 alle 18 al Teatro Vittoria, il quinto episodio de “I Bemolli Sono Blu con il Quintetto Aulos (fiati e pianoforte) e con Antonio Valentino. Martedì 7 alle 20.30 per LingottoMusica, all’auditorium Agnelli Il Pomo d’Oro diretto da Maxim Emelyanychev e con Ivan Podymov all’oboe, eseguirà musiche di Mozart. Mercoledì 8 alle 20.30 al Conservatorio per l’Unione Musicale, il pianista Bruce Liu eseguirà musiche di Chopin, Ravel e Liszt.
Chiara De Carlo


RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA
La trama è semplice e narra le semplici vicende della famiglia Stevens, il cui capofamiglia da 20 anni porta i suoi cari alla pensione “Vistamare” dove aveva trascorso la luna di miele. Condito da piacevoli e ampie dosi di ironia tutta inglese, il romanzo si muove intorno alla pensione che negli anni è sempre rimasta uguale a se stessa e immutabile; persino i centrini sono gli stessi da un ventennio, anche se tutto è invecchiato e si è consumato.
Inoltre Wiener è stato l’autore di un libro sul Perù, paese dal quale aveva portato via circa 4000 reperti archeologici, con il sogno di essere riconosciuto per i suoi meriti.
Il figlio Anthony in questo libro racconta la grande artista ma anche la donna, e lo fa attraverso le parole e le immagini.
Spesso i lettori più appassionati non si limitano a divorare pagine e pagine dei loro autori preferiti. La simbiosi che si crea è tale che nasce anche un forte desiderio di ripercorrerne le tappe fisicamente, in prima persona. Irresistibile il fascino che si subisce visitando i luoghi in cui hanno vissuto i propri idoli, entrare nelle case o nelle canoniche in cui i grandi letterati hanno abitato.


