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CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 362

Le installazioni realizzate dagli studenti del Passoni decoreranno l’Enoteca Rabezzana

Martedì 28 giugno, alle 18, l’Osteria Enoteca Rabezzana inaugurerà con un aperitivo musicale le installazioni artistiche che gli allievi dell’Istituto d’Arte Passoni hanno realizzato per i suoi locali.
Mercoledì 29 giugno, alle 21.30, avrà luogo la serata dedicata ai “Decades con Ottosottountetto”.
Gli Ottosottountetto costituiscono un gruppo vocale formatosi durante il lockdown, composto da amici che abitualmente facevano già parte di formazioni corali polifoniche.
Durante il lockdown hanno cantato ognuno sotto il proprio tetto un brano che hanno poi diffuso su piattaforme digitali.
Visto il consenso ottenuto, hanno poi deciso di riunirsi sotto lo stesso tetto per cantare un repertorio che, partendo dal pop italiano, sconfina nello spiritual e nei brani più classici del repertorio corale. Il gruppo ha, all’attivo, con le rispettive formazioni corali, un’intensa attività concertistica in Italia e all’estero.

MARA MARTELLOTTA

Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/C, Torino
Tel 011543070 info@osteriarabezzana.it

Gli spari di Gavrilo e la scintilla che incendiò il ‘900

Se, come dicono, la memoria è fatta anche di lapidi, cippi, tombe e di luoghi-simbolo, uno di questi è senza alcun dubbio il ponte Latino di Sarajevo che attraversa da una riva all’altra, la Miljacka

Lì, al numero uno di Zelenih Beretki c’è il Muzej Sarajevo 1878-1918 , nelle cui sale si racconta la storia dell’impero asburgico e dell’influenza che esercitò in quest’angolo del mondo fino al suo esaurimento che coincise con la fine del primo conflitto mondiale. Il museo non si trova in un luogo qualsiasi, visto che lì davanti, a pochi metri,venne assassinato nella tarda mattinata del 28 Giugno 1914 Francesco Ferdinando, l’erede al trono imperiale. Tutto partì da lì e come la storia ci ha insegnato nulla è casuale a Sarajevo. Seguendo una certa logica e per diverso tempo nell’era della jugoslavia di Tito, il ponte Latino venne ribattezzato Principov most, in onore di Gavrilo

 

Princip. Fu lui, diciannovenne studente e fervente nazionalista serbo, ad esplodere i due colpi mortali che posero fine alla vita del principe Franz Ferdinand e di sua moglie Sofia, innescando la scintilla che provocò, in breve, la prima guerra mondiale. Con un piccolo esercizio di fantasia basta mettersi sul ponte, all’incrocio con la Obala Kulina bana, la strada che costeggia la riva destra della Miljacka e immaginare il caos di quel giorno, con il corteo di auto che, dopo il primo attentato fallito, sbagliava strada così che il mezzo su cui viaggiava l’arciduca si trovò per caso a tiro della mano di Gavrilo che, impugnando una Browning calibro 7.65 di fabbricazione belga, lasciò partire gli spari che riscrissero la storia. Un colpo di fortuna per Gavrilo Princip; un destino amaro e tragico per Francesco Ferdinando. Ha scritto Paolo Rumiz su “La Repubblica”: “L’evento che farà la storia del secolo si consumerà in poco più di un’ora.Alle 11.30 il medico accerta la morte della coppia reale. I collegamenti telefonici con l’estero sono tagliati. Le campane di Sarajevo suonano a morto, la voce si diffonde, si espongono le bandiere abbrunate. L’esercito entra nei quartieri serbo-ortodossi, compie centinaia di arresti, cattolici e musulmani improvvisano vendette, un demone si impossessa della città, finché nel tardo pomeriggio scatta lo stato d’assedio e le strade si svuotano. Alla prime stelle Sarajevo è già una città fantasma. Il mondo scivola verso la catastrofe”.Nemmeno la scelta del 28 giugno fu casuale. Per gli ortodossi è il giorno del Vidovdan, quando si celebra San Vito. Per i serbi è festa nazionale. Ciò che accadde dopo è tristemente noto. L’attentato fece esplodere le tensioni e , in breve, l’intera storia europea subì una frattura. L’assassinio dei reali fornì il pretesto all’Austria per regolare i conti con la Serbia, eliminando alla radice la minaccia separatista che stava alla base delle rivendicazioni dei nazionalisti. Quando nelle cancellerie degli altri Stati europei si conobbe il testo dell’ultimatum in molti scuoterono la testa, immaginando le conseguenze nefaste di una guerra che stava “per cominciare”. A nessuno sfuggì un particolare agghiacciante: non si trattava di un conflitto locale, circoscritto. Il gioco delle alleanze ( da una parte quella franco-russa e dall’altra quella austro-tedesca) disegnò uno scenario che apparve subito agli occhi delle élites europee come l’annuncio di una catastrofe. Un mese dopo l’attentato tutto era compromesso:la Russia ordinava la mobilitazione del proprio esercito, la Germania dichiarava guerra alla Russia e alla Francia, convinta di potere avere rapidamente la meglio su entrambi i fronti. In breve, il vecchio continente, e di seguito il mondo intero, si trovarono invischiati nel fango delle trincee prima di contabilizzare lo spaventoso bilancio di un conflitto che vide impegnate ventotto nazioni divise in due grandi schieramenti. Da una parte la Triplice intesa e i suoi alleati, con Gran Bretagna, Francia, Russia, Italia e Stati Uniti, e dall’altra gli Imperi Centrali con Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria. Con un bilancio di milioni di morti, un disastro economico, sociale e culturale si spalancarono le porte all’avvento dei regimi totalitari che hanno insanguinato il Novecento. La responsabilità di quest’enormità , com’è ovvio, non può essere

 

gettata   sulle spalle di Princip e degli irredentisti slavi. Resta il fatto che, per i   serbi, l’attentato ordito dall’associazione Mlada Bosna (la Giovane Bosnia),il gruppo ultranazionalista e indipendentista che mirava all’unificazione di tutti gli “jugoslavi”, venne celebrato – dopo la seconda guerra mondiale – intitolando il ponte al giovane Gavrilo, la cui immagine venne sfruttata e rappresentata come quella di un eroe nazionale. Nel punto esatto in cui Princip esplose i due colpi mortali, venne posata una lapide di marmo con un epitaffio che, più o meno, si poteva tradurre così: “Da questo posto il 28 giugno 1914 Gavrilo Princip sparò per esprimere la propria protesta contro una tirannia secolare ed il perenne desiderio dei nostri popoli verso la libertà”. Poi, sparita la lapide e ridimensionato il significato nazionalista del gesto in un contesto storico più sobrio ed equilibrato, è stato inaugurato il museo che racconta la storia dell’attentato e dell’attentatore. Ma cosa accadde, a Gavrilo Princip, dopo quel giorno? Che fine fece? Una volta arrestato tentò per due volte il suicidio, con il cianuro e con la sua pistola. Nessuno dei due tentativi andò a buon fine. Non ancora ventenne, venne giudicato troppo giovane per poter subire la condanna a morte e pertanto la sua pena venne commutata in vent’anni di prigione. Rinchiuso nella Piccola fortezza di Terezìn (in tedesco Theresienstadt), sessanta chilometri a nord di Praga, Princip vi morì di tubercolosi, a 23 anni, il 28 aprile 1918. Tracciati sull’intonaco del muro della cella i suoi ultimi versi, apparvero come un sinistro presagio, una sorta di maledizione per l’Impero: “Emigreranno a Vienna i nostri spettri. E là si aggireranno nel Palazzo a incutere sgomento nei sovrani”. Sempre a Terezìn, alcuni decenni dopo, furono deportate decine di migliaia di ebrei dai nazisti. Fra i prigionieri ci furono all’incirca quindicimila bambini, compresi i neonati. La maggior parte di essi morì nel ‘44 nelle camere a gas di Auschwitz.Tornando a Sarajevo da allora, come si dice, ne è passata d’acqua sotto i ponti. Anche sotto le quattro arcate di pietra e gesso di quello che è tornato a chiamarsi con l’antico nome di ponte Latino. Comunque, piaccia o no, questo resta uno dei crocevia dove la storia ha subito uno scarto, un balzo netto e doloroso. Assume un significato del tutto particolare in una città come questa che è stata, durante l’assedio nella prima metà degli anni ’90,un crocevia di drammi e di speranze per quattro inverni. Un luogo dov’era una scommessa viverci a lume di candela, correndo agli incroci sotto il fuoco dei cecchini per andare a prendere l’acqua, rischiando la vita e trovando la morte mentre si era in fila per un pezzo di pane. Sotto il tiro continuo dei cecchini e il fischio delle granate. I caschi blu francesi hanno persino tenuto il conto dei cessate-il-fuoco in quegli anni. Il record venne stabilito il 13 giugno 1993: “Tredici secondi e 65 centesimi”. Una contabilità allucinante. Di quelle scritte che celebravano il gesto di Gavrilo Princip resta a malapena una indecifrabile impronta sul muro. La storia non si può cancellare ma la cattiva memoria sì, perché se il giovane attentatore di Franz Ferdinand era e in parte rimane un eroe per i serbi e per i nazionalisti serbo bosniaci, la nuova Bosnia che ha provato sulla sua pelle l’onda nera e il delirio dei nazionalismi preferirebbe dimenticarlo.

Marco Travaglini

Bardonecchia. Al Sommeiller, a 3009 metri di altitudine, il Centro della Cultura di Alta Quota

Partiranno nelle prossime settimane i lavori per la realizzazione del Centro della cultura di alta quota. Bivacco colle del Sommeiller a 3009 metri di altitudine.

L’intervento è stato presentato, nel corso di un incontro al Palazzo delle Feste di Bardonecchia, dal sindaco Chiara Rossetti e da Devis Guiguet del pool di progettisti locali, che curerà l’opera. ” Un progetto- ha detto il sindaco Chiara Rossetti- che abbiamo a cuore. Il Sommeiller è all’apice di una Valle a cui teniamo tanto e su cui stiamo investendo molto”. ” Si va nella direzione di vedere compiuto un sogno” ha aggiunto Francesco Avato, sindaco quando l’intervento, finanziato con fondi europei Alcotra, fu avviato. Ed eccolo il progetto,  spiegato da Denis Guiguet, : ” sarà un piccolo edificio prefabbricato di 100 metri quadrati,  realizzato con legno locale da aziende locali. Una struttura non gestita,  con più funzioni tra cui quella di Centro di documentazione della storia e del futuro della montagna”. La struttura,  che dovrebbe essere ultimata prima dell’inizio della stagione autunnale,  reinterpreta quella del precedente rifugio Ambin nella forma e con la stessa tonalità di colore rosso. È progettata per offrire 14 posti per dormire e sarà accessibile a tutti, anche alle persone con difficoltà motorie. ” La montagna è e deve essere di tutti – ha concluso Devis Guiguet- Il 2022 si può certamente definire l’anno della ripartenza del Sommeiller”.

La verità e la scienza, il presente e il passato sul palcoscenico dell’Astra

Presentata la stagione 2022/2023 del TPE Teatro Piemonte Europa


Un progetto artistico triennale, a firma di Andrea De Rosa, nuovo direttore del TPE Teatro Piemonte Europa, nominato nel dicembre scorso – classe 1967, ha calcato i palcoscenici della prosa, con Euripide e von Hofmannsthal, con Shakespeare e con Koltès, e dell’opera lirica, con Mozart e con Azio Corghi, con Donizetti e con Maderna, con “Fedra” ha vinto nel 2015 il Premio dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro per il miglior spettacolo dell’anno, nel 2021 il Premio Hystrio alla regia -, progetto intimamente legato al proprio contenitore, a quel Teatro Astra che è casa e intima residenza sino al 2039, grazie alla convenzione rinnovata nel 2019 con la Città di Torino. Un progetto che pone le proprie radici e intercetta un insperato spazio in un presente che attraverso la pandemia e la guerra e la crisi non soltanto economica è piombato in coni d’ombra e in ampi angoli di minaccia. Con quel contorno di immagini e di parole e di resoconti che alimentano in noi, negli altri, nello spettatore un “evidente sensazione di confusione e stordimento” che prende sempre più piede. Si avverte la mancanza di un luogo di verità, una verità spinta verso i settori più personali o lontani, e il teatro può essere ancora (o illudiamoci con tutte le nostre forze che lo possa essere) quel rifugio, prevalentemente di fine giornata, dove sia possibile interrogarsi all’interno di una esperienza collettiva di conoscenza e di confronto.

Un progetto che si confronterà dunque con la mancanza di certezze e con la ricerca della verità, un confronto che, per la stagione che si estenderà sino al maggio 2023, si intitolerà “Buchi neri” e guarderà alla verità scientifica, uno dei punti e delle visioni più importanti di questi ultimi mesi che hanno accompagnato la vita privata e pubblica di noi tutti. Materia per molti tratti imperscrutabile, dai contorni oscuri, labili, confusi, quasi reclamizzata con buoni tratti di personalismo, una materia capace di confondersi a volte con quella stessa che è all’origine di ogni fatto teatrale: ecco perché De Rosa “ha chiesto ai registi e ai drammaturghi di confrontarsi con questa chiara e specifica direzione artistica, chiedendo loro di farsi parte attiva, di contribuire con le loro creazioni a un programma che, almeno nelle sue principali produzioni, cercherà di dare un contributo di riflessione e di approfondimento, oltre che artistico, su questo tema”.

Primo spettacolo della stagione, dal 12 al 20 novembre, “Processo a Galileo”, con Luca Lazzareschi e Milvia Marigliano, uno sguardo nuovo al di là del dramma brechtiano sul grande scienziato, dovuto alla regia a quattro mani di Carmelo Rifici e Andrea De Rosa, cui seguirà “Costellazioni” scritto da Nick Payne, per la regia di Raphael Tobia Vogel e l’interpretazione di Elena Lietti, in cui uno dei risvolti più bizzarri della fisica quantistica, secondo il quale potrebbero esistere infiniti universi, viene applicato ad un rapporto di coppia. Ancora “”Frankenstein”, tratto dal romanzo di Mary Shelley, riletto da Filippo Andreatta intorno al tema, intravisto e anticipato, della manipolazione del corpo e delle leggi della natura; “Principia”, con cui Alessio Maria Romano opererà su un linguaggio scientifico composto attraverso danza e suono, spazio e luce, al di là dei confini della logica, tuttavia con chiari riferimenti alla nostra realtà di ogni giorno. Chiudono le produzioni del TPE “Nottuari”, tra misteri e marionette inquietanti che trovano le proprie radici nei racconti horror e filosofici di Thomas Ligotti, e “La tecnologia del silenzio”, un testo affascinante sulla carta in cui Giorgina Pi pone la domanda se “le democrazie non abbiano strumentalizzato la scienza come pratica di sottomissione”. Titoli tutti che a molti potrebbero risuonare poco “teatrabili” e che avranno necessità, confortante e decisamente curiosa, di una serie di incontri con scrittori, divulgatori, scienziati e filosofi che si occupano di questi argomenti: decisamente un terreno nuovo su di un palcoscenico, ma altresì un terreno di fattiva discussione.

Nel corso della stagione verranno ripresi titoli che già hanno avuto un grande successo, “L’angelo di Kobane” di Henry Taylor con Anna Della Rosa, “Festen”, tratto dall’omonimo film di Thomas Vinterberg, Gran Premio della Giuria a Cannes, regia di Marco Lorenzi con Danilo Nigrelli e Irene Ivaldi, “Ciara. La donna gigante” di David Harrower, regia di Elena Serra e interpretazione di Roberta Caronia, “Brevi interviste con uomini schifosi” di David Wallace, interpretato da Lino Misella e Paolo Mazzarelli e regia di Daniel Veronese, argentino, classe 1955, capace di ricostruire sul palcoscenico mostri maschili con il loro falso rapporto con le donne, la violenza, il desiderio di possesso, le gelosie che sfociano nel delitto.

Tra le ospitalità, tra gli altri, Filippo Nigro in “Le cose per cui vale la pena vivere”, un testo di Duncan Macmillan e Jonny Donahoe, “La Gilda” di Giovanni Testori con Laura Marinoni nelle serate 20 e 21 dicembre, Umberto Orsini nelle “Memorie di Ivan Karamazov” da Dostoevskij (17 – 22 gennaio 2023), Fanny& Alexander che propongono “Storia di un’amicizia” da “L’amica geniale” di Elena Ferrante, Maddalena Crippa attrice e Peter Stein regista del “Compleanno” di Pinter e “Favola” con la Piccola Compagnia della Magnolia. Appuntamento per gli appassionati di cinema, e non soltanto, da non perdere, una serata in compagnia di Paolo Sorrentino (la data è in via di definizione), un’occasione in cui verranno proiettati i monologhi presenti nei suoi film, esplorando lo speciale rapporto tra il suo cinema e il teatro.

Elio Rabbione

Nelle immagini, il direttore Andrea De Rosa; Luca Lazzareschi e Milvia Marigliano in “Processo a Galileo”; scene tratte da “Costellazioni”, “Festen” e “Interviste con uomini schifosi”

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Gabriele Tergit “Gli Effinger” -Einaudi- euro 24,00

E’ monumentale, ma scorrevole e appassionante, questo romanzo della scrittrice e giornalista Gabriele Tergit (1894-1982), pseudonimo di Elise Hirschmann. Divenne famosa per i suoi reportage di cronaca giudiziaria, ma quando i nazisti salirono al potere nel 1933 e le SA fecero irruzione in casa sua, dovette interrompere la sua attività. Scappò con la figlia piccola ed il marito architetto dapprima in Cecoslovacchia, poi in Palestina e infine a Londra dove concluse la sua vita. Quando il testo fu pubblicato, nel 1951 in Germania, non riscosse successo, mentre oggi è considerato il suo capolavoro.

Gli Effinger” è una saga berlinese che copre l’arco di quattro generazioni e narra le vicende –tra successi e cadute- di due famiglie di ebrei tedeschi.

Gli Effinger radicati in provincia; i Goldschmidt esponenti della Berlino più raffinata, dinamica e industrializzata.

I primi puntano al riscatto sociale; capostipite è l’orologiaio Mathias, i suoi figli Paul e Karl si traferiscono dal paesino di Kraghsheim nella cosmopolita Berlino dove, ambiziosi, tenaci e abili, faranno fortuna.

Invece i Goldschmidt poggiano il loro potere sulla gestione oculata del denaro e il controllo del patrimonio.

Le due famiglie si incrociano grazie al matrimonio dei rispettivi rampolli Karl e Annette. Il romanzo racconta le vite di queste dinastie nell’arco di 70 anni, dal 1878 al 1948, dai tempi d’oro di Bismark a quelli tragici del nazismo e della persecuzione antisemita. E il romanzo è abitato da una carrellata di personaggi favolosi, alle prese con passioni, ambizioni e contrasti tra le generazioni dei padri -e dei loro valori- messi in discussione dai figli.

Dapprima la narrazione si concentra sul giovane Paul Effinger che nel 1884 apre nella periferia berlinese una piccola fabbrica di viti. In pochi anni amplia il raggio di azione avviando con successo una fabbrica di motori e poi, con l’aiuto del fratello Karl costruirà automobili, pensando a «la macchina del popolo».

Il successo economico spalanca le porte anche a quello sociale ed il romanzo regala puntuali descrizioni di interni di raffinate dimore, riti dell’alta società, l’edonismo e le feste, il clima dell’affascinante metropoli weimariana tra guizzi culturali e progresso.

Poi la storia cambia con il sopraggiungere repentino di periodi bui e pericolosi. Il nazismo spazzerà via i tempi sereni, ed ecco i tracolli economici, la confisca della ditta dei Goldschimdt, la deportazione e la tragica fine di Paul e di altri familiari. Tutto magistralmente raccontato in un crescendo di tensione che fa di questo romanzo un grande affresco privato, ma anche potentemente storico.

 

Anne Pauly “Prima che mi sfugga” -L’Orma Editore- euro 16,00

Come si affronta la morte di un padre con il quale si è avuto un rapporto parecchio conflittuale? Sicuramente aiuta la sottile e intelligente ironia con cui Anne Pauly ci racconta come ha vissuto quella del suo genitore. L’autrice, nata nel 1974 nella banlieu di Parigi, con questo libro ha vinto svariati premi ed è stata selezionata tra gli esordienti che concorrono al Goncourt.

La morte del padre è l’occasione per raccontare -con disincanto e una schiettezza feroce- il passato travagliato di una famiglia difficile. La narratrice-protagonista ha la capacità sopraffina di guardare attraverso la lente dell’ironia e così noi lettori ci sorprendiamo a sorridere mentre leggiamo pagine che dal dolore puro sconfinano nell’esilarante. Un clamoroso esempio è la descrizione di lei e il fratello alle prese con costi e servizi delle pompe funebri e il funerale da organizzare.

Dunque, se pensate che sia un libro triste perché al centro c’è la morte -oltre al disagio profondo di una famiglia altamente disfunzionale- non è così.

La protagonista e il fratello corrono al capezzale del padre morente, Jean Pierre, al quale sono legati anche da ricordi sgradevoli. Era stato un ubriacone che per nonnulla menava la madre, inseguendola con un coltello e accusandola di fare la scema con il prete. Invece la donna (morta anni prima) era stata una povera e santa vittima che aveva cercato un’oasi di pace nelle attività della parrocchia, pur non essendo particolarmente credente.

Mentre decidono bara, imbottitura e cuscino di fiori con cui accompagnare il genitore al cimitero e alle soglie dell’ultimo viaggio terreno, si affastellano scene indimenticabili del menage familiare devastato dalla violenza paterna.

Emerge la figura di un uomo cresciuto nella miseria di una famiglia di origine poverissima; disprezzato socialmente per la pericolosa abitudine ad alzare il gomito, capace di scatenare una furia devastante, un padre padrone che è stato un fardello più che un modello da emulare.

Mettendo mano nelle cose che gli appartenevano –libri e scartoffie varie, gamba di plastica ed altro- come sempre accade a chi sopravvive a un morto, Anne ricompone la storia di un fallimento esistenziale e le sue derive.

Tutto ammantato di una veste tragicomica che rende il romanzo una lettura profonda, anche dolorosa, ma intelligente, acuta e piacevolissima. Una storia intima ma anche universale.

 

Valeria Parrella “La fortuna” -Feltrinelli- euro 16,00

Perché Pompei ci affascina così tanto ancora oggi, 2000 anni dopo la colata di lava incandescente che ha cristallizzato la vita quotidiana di allora in statue di morte?

E’ quello che si è chiesta la scrittrice napoletana, figlia della direttrice di un laboratorio di botanica applicato all’archeologia che aveva lavorato negli scavi. Così, Valeria Parrella fin da piccola è diventata una profonda conoscitrice di quel luogo, dove si aggirava in attesa che la madre finisse di lavorare.

Durante la pandemia ha avuto l’idea di questo libro, “La fortuna”, che in latino si traduce con “sorte” e può essere sia buona che pessima. E’ la storia di Lucio, un ragazzino di Pompei che lì è cresciuto quando era un luogo ameno, verdeggiante e brulicante di vita, ignaro della tragedia che si sarebbe abbattuta su strade, case, intere famiglie.

Lucio, è nato a Pompei durante un terremoto che ha squassato la terra e provocato crolli anche ad Ercolano e Stabia. Appartenente alla nobiltà romana dell’epoca, cresce in una famiglia ricca e serena, poi viene mandato a scuola a Roma, da Quintiliano, e sogna di poter condurre una nave tutta sua.

E’ proprio Lucio a fare la cronaca della sua vita fìno all’eruzione del Vesuvio nel 79. Narra il sogno di navigare e scegliere il proprio destino, mentre invece per nascita è destinato a diventare senatore. Poi c’è la sua crescita sentimentale, in cui scopre la sua sessualità fluida. E’ attratto dall’amica d’infanzia Lavinia e da altre fanciulle; ma anche dallo schiavo Aulo conosciuto a Roma e con il quale avrà una lunga relazione.

Poi c’è il mare, che Lucio 17enne solca seguendo l’ammiraglia di Plinio il Vecchio proprio il giorno dell’eruzione; inaspettata, poiché non si sapeva che il monte in realtà fosse un vulcano, sul punto di eruttare il ventre della terra incandescente.

Lucio si trova di fronte una gigantesca nuvola, il mare riempito di pietre, le mappe stravolte e i marinai impazziti dalla paura scatenata da quel gigantesco fenomeno sconosciuto che inabissa le nave e semina la morte a Pompei.

Il giovane protagonista pensa ai suoi affetti che ancora vivono a Pompei e al fatto che ci siano solo due modi di vivere. Avere sempre paura, rischiare il meno possibile e rintanarsi al sicuro; oppure guardare verso la paura e attraversarla, ricordandoci che non siamo dei, ma solo uomini…e morire è il nostro destino. Lucio è convinto che «..ogni paura sia un piccolo gioco con la morte». E nelle pagine della Parrella ci sono la vita e i pensieri più profondi del personaggio al cospetto della tragedia.

 

De Bellis &Fiorillo “Il diritto dei lupi” -Einaudi- euro 22,00

In questo romanzo scritto da un informatico e un biologo, troviamo una commistione di generi che oscillano tra noir, legal thriller e giallo classico, sullo sfondo dell’Urbe dell’80 a.C. dove procedono due tipi di indagini che avvolgono nel mistero la città eterna.

Lo sfondo è storico, ambientato negli anni in cui Roma era una metropoli violenta, dove vizi e denaro si amalgamavano e sangue e potere viaggiavano di pari passo.

Nella Suburra irrompono 4 sicari assassini e compiono una strage nel lupanare in cui si stava facendo un festino. Tra i cadaveri lasciati nel bordello di lusso nel cuore malfamato dell’Urbe, c’è anche quello di un aspirante senatore. Chi ha ordinato questa carneficina? I sospetti cadono sul proprietario del locale, unico superstite che però non si trova.

Negli stessi giorni la potente matrona Cecilia Metella chiede al giovane Cicerone di prendere sotto la sua ala il suo protetto Sesto Rocio, accusato di parricidio per ereditare le immense ricchezze del genitore.

Le due vicende si riveleranno collegate; man mano che si procede nella lettura entriamo in un periodo storico denso di guerre di potere, risse e agguati, ma anche questioni sentimentali in cui le donne giocheranno un ruolo di primo piano. E Cicerone si accorgerà che in pericolo c’è il futuro della Repubblica e non solo …..

Arjan Shehaj in mostra alla galleria Raffaella De Chirico

 Le opere dell’artista albanese 

 

La galleria d’arte Raffaella De Chirico Contemporary Art, accanto alla mostra dedicata all’artista Bruno Marrapodi, apertasi il 9 giugno scorso a Milano in via Farini, propone a Torino un’esposizione di Arjan Shehaj dal titolo “Patos”, nella sua sede di via Barbaroux 16, dove inaugurerà il 23 giugno prossimo.
Di origine peripatetica, la parola greca “pathos” indica quel senso di passione e di concitazione tipico della tragedia. Tuttavia l’evoluzione moderna e contemporanea del termine ha rivolto l’accento soprattutto sulla capacità da parte di un’opera d’arte di suscitare emozione e compartecipazione estetica nello spettatore.
Si tratta di un risultato frutto di una commistione irripetibile di sentimenti, legati al senso primigenio della parola “pathos”, quello che fa riferimento alla sofferenza. Questo effetto vorticoso e al tempo stesso cangiante permane in un luogo liminale che si interpone tra opera e spettatore, in un groviglio indefinito e diafano che coinvolge tutti gli elementi in un gioco. L’artista in questione, Patos, proviene da una città natale, un comune albanese situato nella prefettura di Fier, ricettacolo di influssi tragici apportati dalla parola sovrastante, di cui è diventata matrice indiscussa.
L’investigazione artistica di Arjan Shehaj è costituita dalla ricerca della struttura dell’essere, dell’essenza quasi evanescente e spoglia di ogni cosa. Per ‘essere’ egli intende la linea bidirezionale che intercorre tra realtà e percezione umana. Il tratto è impercettibile e smisurato, al di fuori di qualunque caratterizzazione spaziale. Sembra che Shehaj si prenda beffa dello spazio e del tempo, in quanto le sue opere appaiono scivolare su queste coordinate, che sono capaci di attraversare con estremo agio e in maniera cadenzata. Si tratta di nodi sfuggenti ad una collocazione spazio temporale, in grado, però, di rendere possibile quel pathos liminale e complesso, frutto di sangue estratto dalla reale essenza della realtà e dalla leggerezza dell’esistere.
Le opere dell’artista sono create da una ragione intuitiva, emancipata dalla forza di gravità terrestre, con una vocazione allegoricamente olografica e antropometrica, incentrate su forme pure, irriflesse e libere a base geometrica, che si presentano quali basi reticolari encefaliche e labirintiche, in grado di sprigionare una conturbante energia, la cui potenza, propria della materia informe, permette agli elementi medesimi di assumere una realtà formale con grande forza e vigore.
Arjan Shehaj, nato nel 1989 nel Comune di Patos, il cui nome deriva da quello dell’antico villaggio vicino a cui è sorto, situato nell’Albania Sud Occidentale, è attivo a Milano, dove ha conseguito la laurea Triennale in pittura con Laude presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e nel 2015 la laurea magistrale presso la medesima Accademia, con lode.

Mara Martellotta

“Bellezza tra le righe” Quando la letteratura incontra la bellezza nelle dimore storiche

Da domenica 26 giugno a domenica 23 ottobre

E’ dedicata alla “libertà” – “Libertà: di luoghi, di azioni e di pensieri”– l’edizione 2022 di “Bellezza tra le righe”, la rassegna organizzata da “Fondazione Casa Lajolo” e “Fondazione Cosso” con il contributo della Regione Piemonte. Rassegna che  torna, per il terzo anno, in due luoghi davvero speciali: il giardino di “Casa Lajolo”, a Piossasco (via San Vito, 23), e quello del “Castello di Miradolo”, a San Secondo di Pinerolo (via Cardonata, 2). Un’occasione diversa per vivere due dimore storiche del Piemonte. Tra antichi vialetti e alberi secolari, “la volontà – dicono gli organizzatori – è quella di condurre il pubblico in luoghi di pace e rara bellezza, proponendo delle conversazioni con scrittori, giornalisti, architetti, registi, docenti universitari, filosofi e manager culturali”. Voci del tempo presente, coniugate e intrecciate e confrontate fra loro per dialogare su temi di stringente attualità: gli incontri sono in programma tra domenica 26 giugno e domenica 23 ottobre“La libertà, al centro di quest’edizione – proseguono gli organizzatori – è intesa nel senso più ampio e l’obiettivo è guardarla e indagarla volgendosi verso la concretezza della terra e delle montagne del territorio circostante, ma anche verso il pensiero e le modalità di comunicarlo”. Così, domenica 26 giugno, data di inizio, sono previsti due appuntamenti quasi in contemporanea nelle due dimore storiche: a Piossasco arriva Luca Crippa (ore 18) con il suo ultimissimo romanzo “La bambina di Kiev”, che, scritto a quattro mani con Maurizio Onnis, intreccia sapientemente, alla dimensione narrativa, importanti testimonianze e resoconti d’attualità di profughi e vittime della guerra in Ucraina; a Miradolo (ore 21,15), in un appuntamento in collaborazione con “Piemonte Movie”, inserito all’interno della rassegna “CineVillaggio” del “Cinema delle Valli” di Villar Perosa, è in programma una serata omaggio a Gianni Celati, scrittore, professore, traduttore, critico e documentarista scomparso nel gennaio scorso, che, con grande libertà, ha sempre raccontato il territorio in cui viviamo. Protagonisti il regista Davide Ferrario e Franco Prono, docente di “Storia del Cinema Italiano” presso il DAMS dell’Ateneo torinese..

A luglio poi la libertà diventa quella rigenerante che nasce prendendosi cura del verde: ne parla l’architetta paesaggista Monica Botta nel suo ultimo libro “Caro giardino, prenditi cura di me” (è ospite il 31 luglioore 18 a Piossasco) mentre, ad agosto, sempre a Piossasco (ore 18), tocca allo scrittore torinese Enrico Camanni dipingere quella libertà che diventa presenza vitale per chi ama la montagna e come racconta il suo ultimo libro “La discesa infinita. Un mistero per Nanni Settembrini”, edito da “Mondadori”.

Due gli incontri settembrini.  Domenica 18 settembre a Miradolo (ore 15) arriva un’altra scrittrice torinese, la blogger Enrica Tesio, con il suo ultimo “Tutta la stanchezza del mondo”, un diario privato di fatiche collettive con una domanda di fondo: ma nella vita quotidiana la libertà di essere stanchi esiste ancora? Domenica 25 settembre a “Casa Lajolo” (ore 17Paolo Verri presenta, invece, il suo libro “Il paradosso urbano”, sulle metamorfosi emblematiche di “Nove città in cerca di futuro”.

L’agenda di ottobre, infine prevede un incontro a Miradolo (1 ottobreore 15) con Matteo Saudino, autore di “Ribellarsi con filosofia. Scopri con i grandi filosofi il coraggio di pensare”, e con Daniele Zovi, sempre a Miradolo (23 ottobre, ore 15), e il suo “In bosco. Leggere la natura su un sentiero di montagna”.

Dichiara Alberto De Vecchi Lajolo, presidente della “Fondazione Casa Lajolo”“Abbiamo cercato di guardare con fiducia al futuro con l’edizione del 2020 e rivendicato l’importanza della gentilezza verso le persone e le cose nel 2021. Di fronte a un iniziale allontanamento da un incubo sanitario se ne manifesta subito un altro di carattere umanitario, per questo motivo è venuto naturale scegliere il tema della ‘libertà’ come ‘fil rouge’ dell’edizione 2022 della rassegna per interrogarci sui modi di affrontare le limitazione della libertà stessa, apprezzando le opportunità che la vita ci offre quotidianamente, per continuare a goderne”.

Per ulteriori info su ingressi e programma: “Castello di Miradolo”, San Secondo di Pinerolo (Torino), via Cardonata 2, tel. 0121/502761 o www.fondazionecosso.it – “Casa  Lajolo”, via San Vito 23, Piossasco (Torino); tel. 333/3270586 o www.casalajolo.it

g.m.

Concerto d’Estate all‘alba nel Parco del Castello di Miradolo

Domenica 26 giugno, ore 4

 

Dalla notte al giorno, dal buio alla luce: con l’inedita rilettura di “Music for 18 musicians” di Steve Reich si aspetta l’alba, domenica 26 giugno, su un plaid nel parco del Castello di Miradolo (TO). Il Concerto d’Estate è il tradizionale appuntamento organizzato dal 2010 dalla Fondazione Cosso e dal progetto artistico Avant-dernière penséeLa performance, che accoglie l’arrivo dell’estate, dialoga con il grande spazio aperto disegnato dal prato centrale del Parco del Castello, con il cielo, che dall’oscurità della notte si apre al nuovo giorno con l’alba, e con il pubblico che attraverso le cuffie silent system luminose può creare delle “stanze d’ascolto” e concentrarsi sullo sviluppo della partitura in relazione ai mutamenti che la natura offre all’arrivo dell’alba.

Nel minimalismo, un’idea musicale viene ripetuta all’infinito e variata, impercettibilmente, in ogni ripetizione e questo senso di costante e continuo cambiamento lega, in modo profondo, musica e natura. Mentre il pianoforte, la marimba e il toy piano, sparsi nel grande prato, creano la cadenza e l’impianto regolare e meccanico della composizione, l’elasticità delle corde degli archi, il violino, il violoncello e soprattutto la voce contrappongono un’altra pulsazione: da una parte, quindi, il tempo che si crede oggettivo e dall’altra la soggettività della presenza. Grazie a un sistema complesso di sovra incisioni e di loop e alla particolare natura del brano, che ha nella ripetizione una sua caratteristica strutturale, i 5 esecutori compongono tutte le 18 linee originarie: il pubblico può ascoltarle sia nell’atto della loro esecuzione dal vivo e senza alcuna mediazione e sia contemporaneamente nella loro registrazione e riproduzione. In cuffia è possibile ascoltare l’intera composizione o scegliere i solisti e gli strumenti arrivando a confondere il suono con i rumori della natura. Non sono disponibili sedie e il pubblico è invitato a portare un plaid da casa.

Al termine del concerto, una guida all’ascolto curata da Roberto Galimberti, ideatore del progetto artistico. Per l’occasione è prevista un’apertura straordinaria della mostra “Oltre il giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone” che segue il corso delle stagioni, che accompagna il trascorrere del tempo, che muta prospettive, colori, luci e ombre, come un giardino.

Gli esecutori

Roberto Galimberti, violino e direzione

Francesca Lanza, voce

Laura Vattano, pianoforte

Marco Pennacchio, violoncello

Alberto Occhiena, marimba

I tecnici: Marco Ventriglia, audio e supervisione tecnica; Edoardo Pezzuto, luci

 

INFO

Castello di Miradolo, via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo (TO)

www.fondazionecosso.com

Biglietti: intero 25 euro, ridotto under 30 15 euro, ridotto Abbonamento Musei 22 euro, bambini fino a 6 anni gratuito

Posti limitati. Prenotazione obbligatoria: 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

 

“I racconti della Caffettiera”, un’emozione corale

Giovanni Mattia presenta 8 narratori incontrati a Torino e con lui autori dei “I racconti della Caffettiera”

Il giorno 20 Giugno è uscita l’antologia “I racconti della caffettiera” ed è stata per noi un’immensa soddisfazione, una grande emozione. Un’emozione, oserei dire, corale e condivisa. Quello che vogliamo raccontare e trasmettere è l’amore per la scrittura con uno scenario meraviglioso come la città di Torino dove tutto è nato.

Sono arrivato a Torino a fine 2018. Lavoravo a Grugliasco, zona industriale. Le mie giornate piene e stancanti. Ma Torino è magica. Ogni volta che uscivo scoprivo posti. Ma la più scoperta la feci verso ottobre 2019. Ho voluto farmi un regalo. Scelsi un corso di scrittura creativa con l’Operarinata. Fu un successo. Conobbi un gruppo, dove io siciliano, mi amalgamavo alla perfezione. Ci conoscemmo e frequentammo fuori. Poi arrivò l’idea. Ci guardammo e al parco del Valentino, uno dei luoghi per me più magici della città (in realtà tutto il lungo Po’ torinese), nacque l’idea. E poi la caffettiera, il filo conduttore. E iniziammo a scrivere. Si sta bene tra chi parla la stessa lingua. Ed eccoci qua, insieme per una nuova avventura nata a Torino. E ora Torino chi se la scorda? Mi ha fatto scrivere e conoscere. Ho già avuto la fortuna di pubblicare due libri, una raccolta di poesie racconto nel 2012 dal titolo “Il girotondo del millantatore” e un romanzo Western, “Fragile Reverendo nel west”. La mia “caffettiera rubata” presenta nell’antologia è un ritorno da amante del West. Da buon siciliano amo i ritorno. Ritorno a Torino, ritorno in Sicilia, ritorno nel vecchio West. Chapeau!

Luca Navone, autore de “Il malloppo”

Una via secondaria della Crocetta, uno dei famosi palazzi signorili di una Torino che non c’è più, trasformato in un luogo speciale, dove si imparano danza, teatro, yoga e… scrittura. In questo centro culturale, custodito da una burbera, ma gentile, signora, un gruppo variegato di donne e uomini (tra i quali un geologo appassionato di storie) hanno iniziato il loro viaggio tra i segreti della parola scritta. Mostrare e non raccontare, virgole al posto giusto; le regole da imparare sono tante. Dopo tutto questo lavoro, quel gruppo di donne e uomini, ora amici, ha deciso di rilassarsi con un buon caffè.

Il Malloppo ci mostra un piccolo noir, dolce amaro, all’italiana, dove la speranza di cambiare vita si scontra con un destino beffardo, o semplicemente con la iella.

Egle De Mitri, autrice di “Agenzia Reperio”

Durante il corso di scrittura si era creato fra noi un forte affiatamento, non volevamo che quell’esperienza andasse perduta, volevamo darle una continuità, una prospettiva. Così sono nati i racconti della caffetteria. Per Agenzia Reperito è stata fonte di ispirazione una certa atmosfera nebbiosa e un po’ inquietante vissuta al Valentino, ai bordi del Po.

Monica Ferrari, autrice de “La caffettiera”

A volte accadono fatti imprevisti.

E così, andando a un corso di scrittura, si incontrano persone senza alcun denominatore comune eccetto la voglia di raccontare, di lasciare segni indelebili con le parole scritte.

E così, sul prato del Valentino, ci si trova per il saluto di fine anno e si concepisce l’idea di fare qualcosa insieme per inventare una ricetta con ingredienti mai accostati tra loro.

Degustate questi caffè, assaggiate questi racconti.

Ne varrà la pena.

Maria Rosa Arena, autrice de “La caffettiera di Mrs Jeanny”

D. È il Primo racconto pubblicato?

R. No, sono uscite 3 antologie con la pubblicazione di miei racconti. E tutti diversi da questo che ha un contesto, diciamo “magico”.

D. Come mai la magia?

R. Perché lavoro nella zona più affascinante e magica di Torino: Porta Palazzo. Non potevo non esserne contagiata…

D. Come ha conosciuto i suoi compagni di avventura?

R. A un corso di scrittura creativa. Poi è nata un’amicizia, e da lì, l’idea di cimentarsi in un progetto dove ciascun racconto avrebbe dovuto avere la presenza d’una caffettiera. Una specie di staffetta, che ci siamo passati l’ una con l’ altro, per arrivare al finale di questo bella sfida.

Patrizia Zaccara, autrice di “Pausa Caffè”

D. Questo è stato il suo primo libro pubblicato? Com’è stato iniziare lavorando con altri?

R. Sì il primo; è stato stimolante, divertente e incoraggiante. E’ stato bello avere dei compagni di viaggio che mi hanno trascinata in questa avventura e mi hanno fatto germogliare delle idee.

 

D. Ha avuto difficoltà a inserire il proprio racconto nel tema della caffettiera?

R. L’idea della caffettiera come filo conduttore è nata davanti a un caffè. Fra uno scherzo e una battuta ci siamo detti: “ma se scrivessimo dei racconti con una caffettiera?” E poi, diversi come siamo, ognuno ha dato libero sfogo alla fantasia e sono saltati fuori racconti molto diversi.

 

D. Nel suo racconto c’è molto del mondo della scuola; è tutta fantasia o ci sono anche vicende personali?

R. Io non so mentire quindi è tutto vero, camuffato e mescolato, ma vero.

 

D. Nel suo racconto a un certo punto, in un sogno, compaiono le valli di Lanzo. Sono un suo luogo del cuore?

R. Si, come tanti torinesi io e mia sorella trascorrevamo il mese d’agosto ad Ala di Stura e si viveva di corse sui prati, lucciole, caccia alle farfalle, lamponi, capanne traballanti e fuochi proibiti, castighi e reclusioni; era una parentesi di natura e di libertà dagli inverni e dalle case cittadine, sempre troppo chiuse, sempre troppo grigie. Sono certa che la mia voglia di natura è nata lì.

Emanuela Di Novo, autrice di “Anna sulla collina”

Agosto 2019: “Non sto andando da nessuna parte, devo cambiare la mia vita, devo afre qualcosa di nuovo”. Dopo un mese passato ad arrovellarmi su cosa fare per riprendere in mano la mia vita, ecco che mi ricordo della mia maestra delle elementari, Marisa Bossa, che mi diceva sempre che, da grande, avrei dovuto scrivere un libro. Fin da bambina, la penna è stata la mia migliore amica e così, armata di mille penne colorate, mi iscrivo a un corso di scrittura creativa. La scrittura mi ha fatto conoscere otto compagni di viaggio che sono rimasti in questo tempo della vita, ci siamo emozionati per i nostri racconti, per le nostre storie e per i nostri personaggi. E poi, per gioco, l’idea di un’antologia: al Parco del Valentino, dopo mesi di lockdown, con due bottiglie di vino per festeggiare, decidiamo di scrivere nove racconti su una caffettiera che viaggia con noi e dentro di noi. Insieme ci sentiamo vivi e la scrittura che ci accomuna cresce e ci fa crescere. Io ho trovato una strada che mi ha anche un po’ salvato: scrivere, leggere, insegnare scrittura, editare sono diventate azioni quotidiane che mi fanno stare bene, mi rendono felice e soddisfatta. E, come concludo sempre le mie lezioni di scrittura, non mi resta che dire: “Scrivete, scrivete sempre e siate folli!”

Francesco Delfino, autore di “Cafè Noir”

Sono Francesco, 44 enne, capello sul grigio e barba ormai bianca. Sono nato a Torino con genetica del Sud. Sono un naturopata con la passione per la medicina complementare, praticante e insegnante di arti marziali e sport di contatto.

Un sogno ricorrente da sempre? Il viaggio a Cuba. E così è stato, in un caldo marzo di qualche anno fa. Il Malecon Habanero, quella musica, i colori di un’isola dove la vita scorre potente. La malinconia del tramonto sul mare, mi fa pensare a Torino, da qualche parte sul Po’. Un noir, il mio, che racconta una storia di passione e mistero, di appartenenza e di nostalgia. Un racconto che parla di uomini e donne, di conflitti e paure. Un altro viaggio di sola nel delicato animo umano cullato dal sole cubano.

Giovanni Fedele, detto “Cortés”, autore di Moka Express

Signor Cortés, esiste qualche analogia tra la borgata alpina dove lei vive, alle pendici del monte Freidour, in provincia di Torino e il villaggio andino, location suggestiva dei protagonisti del suo racconto?

Beh, non direi. Loro del diavolo grattano solo il naso, la parte più carnosa per far transitare la Cafetera; noi invece sfruttiamo anche il rognone, le frattaglie e le interiora, per farne un bollito nella olla. Paese che vai, usanze che trovi. GAUTE DA SÜTA, diablo!

Una collezione senza confini. Incroci alla Gam

INCROCI =||= CROSSROADS

PUBLIC PROGRAM per la mostra Una collezione senza confini

Sabato 25 giugno ore 15:30 durata 2 ore

LA MAGIA DEI CRISTALLI, MEMORIA E VIBRAZIONI

INCONTRO CON ELISA TESTACRISTALLOTERAPEUTA

The Communicator di Marina Abramović, 2012, cera con lapislazzuli, malachite, aragonite, cristalli, quarzo, ossidiana, vetro. Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT

 

                     

 

La GAM di Torino organizza un ciclo di incontri legato alla mostra Una collezione senza confini. Arte Contemporanea Internazionale dal 1990 dedicato all’inclusione sociale e al coinvolgimento di nuovi pubblici. INCROCI nasce nell’ambito del programma “La democratizzazione della cultura” ideato e promosso dalla Phillips Collection di Washington DC e dalla Missione Diplomatica degli Stati Uniti in Italia, iniziato lo scorso maggio con due giornate che hanno visto protagonista l’artista Marcos Lutyens.

Il progetto prevede un focus sulle opere di quattro artisti: William Kentridge, Marina Abramović , Antony GormleyChen Zhen scelte tra le 57 esposte in mostra.

Questo ciclo di appuntamenti permette a culture e idee differenti di incontrarsi. L’arte è una pratica terapeutica, ha effetti sulla salute e sul benessere della psiche, dello spirito e del corpo. Le opere scelte per il Public Program contengono il racconto di un’esperienza personale dell’artista che rimanda ad altri insegnamenti per un confronto intellettuale, emotivo e fisico. Tutti gli appuntamenti prevedono una presentazione dell’opera da parte del curatore della mostra, un approfondimento a cura dello specialista di altra disciplina e una attività pratica. I temi includono il disegno e l’intessitura, la cristalloterapia, la meditazione la pratica yoga e l’uso delle erbe per la cura del corpo.

Il programma nasce da un’idea di Antonella Angeloro, Arianna Bona con Roberta Lo Grasso, il Dipartimento Educazione GAM e Angela Benotto – Ufficio Relazioni Internazionali di Fondazione Torino Musei.

 

Sabato 25 giugno ore 15:30

LA MAGIA DEI CRISTALLI, MEMORIA E VIBRAZIONI

INCONTRO CON ELISA TESTA, CRISTALLOTERAPEUTA

Dialogo con l’opera di Marina AbramovićThe Communicator, 2012

 

Elisa Testa si occupa di cure naturali e in particolare di trattamenti energetici. Ha conseguito il diploma di abilitazione in Pranopratica con approfondimenti in altre tecniche, che utilizza in modo complementare alla cura energetica, quali la cristalloterapia, l’oligoterapia e l’erboristeria. Nel 2015 ha conseguito l’attestato di terzo livello nel metodo “La via dei Cristalli – livello 3 Pratictioner”, percorso di formazione teorico-pratica di tre livelli sulla Cristalloterapia. Ha seguito numerosi corsi di formazione sulle tradizioni sciamaniche, formandosi con Sciamani del centro e sud America e con Medicine Men nativi americani. Come docente conduce corsi di cristalloterapia presso l’Università Popolare “A.E.ME.TRA”. Oltre a numerose conferenze sui temi delle sue specializzazioni, conduce corsi di base e seminari sullo sciamanesimo, cultura celtica, equilibrio energetico ed altre tematiche affini. Nel mese di febbraio è uscito il suo nuovo libro “Guarire il Karma” (Decima Musa Edizioni).

Con l’aiuto di Elisa Testa si esploreranno tutte le proprietà curative e le caratteristiche energetiche dei cristalli e delle pietre che fanno parte dell’opera The Communicator di Marina Abramović, oltre all’utilizzo per il benessere personale. Seguirà una meditazione guidata con i cristalli.

 

Camminando per 2.500 km lungo la Grande Muraglia, Marina Abramović riflette sul terreno che calpesta: argilla, terra, minerali e rocce svelano una connessione con energie fisiche e mentali. In seguito a questa esperienza, nel 1989 giunge in Brasile dove si concentra su nuovi lavori con i cristalli, i Transitory Objects creati nelle miniere di Maraba. Queste opere includono cristalli che, come connettori, ci riportano alla Terra, alla natura, trasmettono energie, generano percorsi mentali; sono come computer che contengono la storia del pianeta e le nostre memorie. Così descrive The Communicator: «ho deciso di creare una replica del corpo umano, associando i minerali agli organi vitali» e ancora, «penso ai cristalli come a un’agopuntura alla testa, puoi tenere la scultura sul comodino e mentre dormi, avviene la cura. L’idea è di usarli come un voodoo benefico.» Durante l’incontro scopriremo che ogni minerale possiede caratteristiche specifiche e proprietà terapeutiche particolari.  I cristalli hanno una valenza importante, in quanto vengono attraversati dalla luce che assorbono e in parte rilasciano, di conseguenza hanno la possibilità di immagazzinare energia e trasmetterla lentamente ai nostri corpi sottili. Tale caratteristica, unita alle proprietà tipiche di un determinato cristallo, permette di intervenire sulle cause energetiche che danno origine a quegli stati di disagio emotivo che in ciascuno di noi si possono manifestare in modo differente.

 

Costo: 15 € compresa visita al museo

Posti limitati prenotazione obbligatoria infogamdidattica@fondazionetorinomusei.it

 

I prossimi appuntamenti:

 

Sabato 2 luglio ore 15:30

CORPI IMMAGINATI E CORPI PERCEPITI: LE DIVINITÀ DEI SENSI

INCONTRO CON DEVIDATTA (DAVIDE BERTARELLO), INSEGNANTE DI YOGA

Dialogo con Here and There di Antony Gormley, 2002GhisaAcquisto da White Cube, London, 2002

 

Sabato 9 luglio ore 15:30

I TÈ E LE ERBE MEDICINALI CINESI: TRADIZIONE E CURA DEL CORPO

INCONTRO CON ZHEN ZHEN ZHU, ESPERTA DI MISCELE DI ERBE E TÈ PREGIATI

Dialogo con Diagnostic Room di Chen Zhen, 2000

6 disegni: inchiostro di china su carta, legno, vasi da notte, metallo, vetro, paglia, cenere di giornali, 378 erbe medicinali cinesi, zucche. Acquisto da privato, 2000