CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 358

Anna Tatangelo racconta il matrimonio di Arianna e Livio a Montaldo

Al centro della puntata le nozze di Arianna e Livio nel Castello di Montaldo Torinese

 

Domenica 17 aprile, alle ore 14:20, su Canale 5 nuovo appuntamento con la seconda edizione di “Scene da un Matrimonio“. Anna Tatangelo racconta il matrimonio di Arianna e Livio a Montaldo Torinese.

Arianna e Livio si incontrano per la prima volta nel 2007 presso il centro estetico dove lui lavora come massaggiatore ed estetista. Lei vi si è recata per fare la prima pulizia del viso della sua vita. L’inizio promette malissimo perché Arianna si presenta con mezz’ora di ritardo e l’agenda di Livio non consente deroghe. Dopo le antipatie iniziali però capiscono che qualcosa di forte li accomuna. Da quel momento in poi,  Arianna  si apre con Livio come non aveva mai fatto con nessuno prima di allora.

Il matrimonio e il ricevimento si svolgeranno nel giardino del Castello di Montaldo Torinese.

“Scene da un Matrimonio” è un format di Gianni Ippoliti prodotto da Pesci Combattentila società di produzione di Cristiana Mastropietro, Riccardo Mastropietro e Giulio Testa. La Regia della puntata è affidata a Jovica Nonkovic. Produttore Esecutivo Pesci Combattenti Marianna Capelli. Produttore Esecutivo Mediaset Francesca Gioia.

Viaggio alla scoperta dell’Alchimia

Dopo la scoperta del fatto che l’Alchimia nell’Ottocento fosse ancora ben studiata, anche in un’epoca sempre più dominata dalla Scienza, approfondiamo quali siano le cause di tanto interesse.

Cosa è dunque l’Alchimia? È opinione comune che sia quell’Arte che insegna la tecnica volta a ottenere la Pietra Filosofale, una pietra che permette di tramutare i metalli vili in argento e in oro. Alcune correnti di pensiero sostengono ancora oggi che sia vero, ma non è questo che interessa chi la studia per avvicinarsi al mondo invisibile. Quale è il vero modo di pensare dell’alchimista?Chi segue tale tipo di studio ha una visione metafisica, che è sostanzialmente la stessa riconoscibile alla base dello yoga, del taoismo, di varie tradizioni esoteriche e così via. Questa visione parte dall’assunto che il fenomeno vita, che nessuno osserva mai perché viene dato per scontato, sia associato al movimento, perché ormai abbiamo questa visione meccanica, ovvero riteniamo che solo tutto ciò che si muove sia vivo. In realtà il fenomeno vitainteressa tutto l’universo, quindi anche le pietre e i minerali sono vivi e in continua evoluzione, al pari dei vegetali, degli animali e dell’uomo.

Sappiamo che esiste una entità che, per definizione, è inconoscibile, cui si può dare il nome di “Principio Originario”, dacui emana una potente energia creatrice; questa energia comincia gradualmente a corporificarsi; la sua prima manifestazione, la più elementare, è rappresentata dalla luce, subito dopo segue la più bella, il cristallo. Dopo il cristallo vengono subito i minerali e i vegetali. Questi cominciano a strutturarsi in molecole più complesse, il vegetale si complica, si raffina, si formano gli aminoacidi e le molecole. Queste si aggregano in forme più complesse, nasce il mondo animale, poi il mondo animale si complica ulteriormente, si raffina, fino alla comparsa dell’essere umano, ma ci si è allontanati notevolmente dal Principiooriginario. Il cristallo è assai più vicino alla Energia Creatrice”dell’uomo. Allora l’assunto dell’Alchimia è: se io voglio avvicinarmi all’inconoscibile, debbo passare per il regno che gli è più vicino e devo farmi aiutare da lui. Perché è meno corrotto, è più in contatto, è spirito corporificato al primo livello di semplicità, è probabilmente la base più semplice tramite cui riuscire a stabilire questo contatto.

Cos’è l’Alchimia, conosciuta anche come Arte Sacra? È un’Arte che rende l’uomo capace di costruire una macchina per entrare in contatto con il Principio Originario. L’alchimia è lo studio che rappresenta il grande polo originario della Tradizione, dal quale originano tutte le altre Tradizioni, ma non è solo questo l’obiettivo dell’alchimia, non è la sua unica giustificazione. Perché finora abbiamo capito come funziona, quale sia l’assunto di base, senza specificarne l’obiettivo. L’Alchimista può trasformare il metallo vile in oro, ma è un obiettivo poco importante per lo studioso. Pforse essere interessante sul piano scientifico, ma non è certo il piùimportante. E’ interessante notare che tutte le Tradizioni hanno un concetto ben preciso in comune, quello di un errore iniziale nell’atto della creazione, un “peccato originale”. Il Tao dice: all’inizio era il Tao, poi venne la virtù, poi si perse la virtù e venne la giustizia, poi si perse la giustizia e venne la morale, una rottura iniziale che spezza l’unità. Nella Tradizione indù Shiva s’innamora, si addormenta, cala il velo di Maia e così via. Tutte le tradizioni hanno il loro modo per raccontare come, alla base di questo mondo, ci siano un dramma cosmico, un errore di fondo. E ecco allora che la Pietra Filosofale è conosciuta con un altro termine ancora: Medicina Universale, il presidio terapeutico, in grado di curare la malattia universale, Farmaco Catholicon. Il farmaco universale, capace di curare l’errore di fondo e regalare la salute perfetta con conseguente allungamento della vita fino al massimo consentito all’uomo. Ottenere un simile vantaggio non poteva non incuriosire gli studiosi di epoche passate, lontane dalla nostra, benedetta dalla presenza di strutture sanitarie efficienti e farmaci in grado di tenere sotto controllo e risolvere la maggior parte delle malattie. Ne furono interessate le principali famiglie nobili di tutta Europa, che ospitarono nelle loro ricche dimore filosofi e maghi sedicenti, in grado di ottenere il “Donum Dei”, la pietra miracolosa capace di offrire il triplice dono: la ricchezza perpetua, la salute perfetta e l’accesso all’Assoluto. Potendo fabbricare l’oro a proprio piacimento, era risolto il problema della ricchezza. Godere di una salute perfetta rappresentava un regaloassai ambito in unepoca in cui l’età media della popolazione era molto bassa e chiunque, anche se ricco e potente, non aveva le difese congrue di fronte anche a una banale infezione. Ma, almeno nelle fasce più evolute degli studiosi, il dono desiderato ardentemente era il terzo, ovvero il contatto con l’assoluto, che avrebbe garantito al fortunato possessore della Pietra la Conoscenza Universale. In virtù di tale contatto, nulla sarebbe rimasto più nascosto alla sua mente.

Forse si trattava solo di una leggenda, un’idea, un’immagine consolatoria per sopperire a quella che era l’ignoranza percepita dagli eruditi di ogni epoca, compresa l’attuale, nei confronti di quale possa essere il significato ultimo della nostra vita. Eppure, per risolvere l’unico autentico enigma che accompagna l’umanità dalla comparsa sul pianeta, nelle biblioteche di ogni nazione, è presente una sterminata quantità di testi che, ovunque, ripetono i medesimi concetti complicati e le stesse indicazioni per ottenere il “Donum Dei”, la Pietra in grado di offrire una via d’uscita all’umanità dolente, rendendo lo studioso in grado di vivere serenamente, ricco, privo di ogni malattia e in grado di rispondere a ogni domanda riguardante qualsivoglia quesito, operando di nascosto perché, per lunghi secoli, il voler contattare il Divino al di fuori degli insegnamenti canonici della Chiesa era perseguito con tenacia, essendo una chiara forma di eresia.

Questo pensiero ha assillato le famiglie nobili più in vista,compresi i Reali ben noti della nostra città, al punto che Torino, considerata magica, debba tale fama proprio all’alchimia che concorre, più di ogni altra scienza alternativa, ad alimentare tale fama, grazie alla passione della famiglia Savoia per questo studio. Secondo la leggenda, Maria Cristina, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia, costruì Palazzo Madama seguendo i consigli dei maestri alchimisti. A quanto pare, quando divenne reggente, dopo la morte del marito nel 1637, gli alchimisti le rivelarono il segreto dell’ubicazione degli ingressi di alcune grotte che si vuole fosserosituate in un labirinto sotterraneo, nelle vicinanze di Palazzo Madama e piazza Castello, grotte in cui si narra vi fossero stati costruiti laboratori ben attrezzati in cui gli alchimisti, provenienti da tutta Europa, lavoravano alacremente alla ricerca della Pietra Filosofale. Si mormora che addirittura Apollonio di Tiana, un filosofo dellantica Grecia, sia stato in grado di ottenere e nascondere la Pietra Filosofale nella terza grotta, quella più segreta. Secondo la leggenda le Grotte Alchemiche sono tre ed è possibile entrarvi solo a chi sia Iniziato al segreto e sia stato messo al corrente dell’esatto percorso da seguire, poiché la Torino sotterranea abbonda di cunicoli e passaggi segreti, che sono stati scavati per creare confusione e proteggere le grotte. La narrazione tradizionale recita che, se si rintraccia la giusta via e si raggiungono le grotte, si materializzeranno per incanto i propri pensieri e le speranze, ma potranno anche realizzarsi le proprie paure. Si dice, infatti, che il principe Umberto di Savoia sia riuscito a raggiungere la prima e, quando riuscì ad entrarvi, purtroppo per lui, pensò al timore da cui più era ossessionato: quella di essere ucciso, pensiero incauto, perché venne poi ucciso a Monza solo pochi giorni dopo.

Apollonio non fu l’unico personaggio famoso a passare per Torino. Anche molti altri furono attratti dalla città, come Paracelso, Cagliostro, Erasmo da Rotterdam e Nostradamus. Questo veggente, astrologo e alchimista, pare sia venuto a Torino nel 1556, su richiesta di Emanuele Filiberto e Margherita di Valois, rimasti senza figli. Volevano l’aiuto di Nostradamus per generare un erede al trono. Il veggente rimase in giro per un po’, probabilmente cercando di realizzare la Pietra Filosofale e lasciando scritte ogni sorta di profezie. Si dice che, quando abbandonò il palazzo, nacque Carlo Emanuele I. I personaggi citati, fra i più famosi studiosi di Alchimia, erano in possesso di numerosi segreti, fra i tanti quelli relativi alla metodologia operativa, conoscenza indispensabile a effettuare la corretta sequenza di azioni all’interno di fumosi laboratori, in cui veniva utilizzata la sostanza segreta da utilizzare, per realizzare l’Opera,ed è proprio questa sostanza l’arcano principale dell’Opera.

Quale materia è necessaria per iniziare il lavoro in laboratorio? E’il segreto principale; nessun alchimista lo rivelerà mai, anche se èben celato nei libri, il cui studio costante ne permette l’identificazione . Non per nulla una delle principali raccomandazioni date dai Maestri è la seguente: Ora Lege Lege Lege Relege labora et invenies”, prega, leggi, leggi, leggi, lavora e troverai, sottinteso tutto quello che ti serve ad iniziare il cammino, percorrendo un sentiero impervio che Fulcanelli, il misterioso Alchimista del XX secolo, ha definito “coperto di spine e delimitato da rovi”, per indicare le difficoltà cui andrà incontro chiunque voglia tentare di svelare il mistero dell’Arte Regale e ottenere un prezioso dono, capace di renderlo immune a tutte le difficoltà,  che quotidianamente, nel corso della nostra breve esistenza, incontriamo in questa valle di lacrime.

Rodolfo Alessandro Neri

Pasqua e Pasquetta, due giorni di musica al Bunker

TUM

LUOVO Open Air

Pasqua e Pasquetta – 2 giorni di musica

Bunker, Torino

Dal Grand Rodeo a LUOVO con Leo Mas e Alfredo Fiorito

25 ore di musica, 20 djs, 2 live, 22 anni di festa!

 

 

Forse è la prima volta che vengono a Torino, insieme. Forse eravamo troppo piccoli e ignari di quello che stava succedendo nei dancefloor di tutta Europa mentre loro erano dietro la consolle. Forse sono le scintille che hanno fatto scoppiare la club culture a cui dobbiamo decenni di feste, nottate e mattinate. L’unica cosa certa è che Leo Mas e Alfredo Fiorito verranno a Torino per partecipare ad uno dei più grandi raduni che da ormai ventidue anni si tiene a Pasqua e Pasquetta in città. Nata come festa illegale nei boschi della Val di Susa, poi è diventato il Grand Rodeo, oggi, dopo più di due decenni nasce LUOVO. 25 ore di musica: techno, house, sfumature baleariche, ritmi lenti, suoni acidi. Si balla e si ascolta, con più di 20 djse 2 live provenienti dalla scena underground torinese. Ci sarà il duo Voodoos & Taboos, Pippo della storica crew Acid Dro Department, i live di Humanoid Gods e RVSSIA, Yashin da Radio Blackout, Andre Passenger di Jazz Re:Found, Stefano Murgia, l’eredità elettronica di Backdoor di via Pinelli, Seven Sins, Sick Advisor e molti altri. A Pasquetta si potrà anche grigliare, perché le tradizioni vanno rispettate. E noi sono 22 anni che lo facciamo.

LUOVO Open Air

Domenica 17 e Lunedì 18 aprile 2022

Leo Mas & Alfredo Fiorito – Pippo Acid Drop – Voodoos and Taboos

Sick Advisor – Pho Bho Crew – Stefano Primo Amore – Yashin

Humanoid Gods live – Seven Sins – Rvssia live – K4Breakfast

Sandwich – Hot Lines – Andrea Passenger – Awer – Marco Mou Alessandro Gambo

Bunker, Torino

Area food & bbq, veg truck

Ticket Online DOMENICA 17 aprile:

▶︎ dalle 16.00 alle 18.00 ☞ 10 € + Ddp

▶︎ dalle 18.00 alle 05.00 ☞ 15 € + Ddp

Ticket Online LUNEDÌ 18 aprile:

▶︎ dalle 11.00 alle 15.00 ☞ 10 € + Ddp

▶︎ dalle 15.00 alle 01.00 ☞ 15 € + Ddp

Abbonamento due giorni ☞ 20€ (valido in tutti gli orari) + Ddp

Ingresso alla porta: 15€ (al giorno)

Programma:

Domenica 17 aprile (area Bunker):

16.00 Hot Lines

18.00 Sick advisor

19:30 Voodoos & Taboos

21.00 K4breakfast

22:30 Rvssia live

23:30 Seven Sins

01.00 Humanoid Gods live

02.00 Yashin

03:30 Pippo Acid Drop

Lunedì 18 aprile (area Lago):

11.00 Sandwich

13.00 Pho Bho Records

15.00 Awer

16.30 Andrea Passenger

18.00 Leo Mas & Alfredo Fiorito

21.00 Stefano Primo Amore

22.30 Marco Mou & Alessandro Gambo

L’uovo è una cellula germinale femminile.

Le uova forniscono una quantità significativa di proteine e di altri elementi nutritivi.

L’uovo è un ingrediente che entra in innumerevoli ricette di dolci, gelati, piatti sapidi grazie alle sue proprietà emulsionanti, coagulanti e schiumogene.’

DaCasaCon, la rubrica facebook di Laura Pompeo festeggia i due anni

 … #i punti di svolta e il libro fresco di stampa

 

Pompeo, politica, Assessore alla Cultura e al Turismo della Città di Moncalieri (TO), archeologa ed esperta di valorizzazione dei beni e delle attvità culturali, ha ideato e avviato nel 2020,  all’inizio  della pandemia,  una  serie di incontri in diretta FaceBook con ospiti noti, nomi rappresentativi di ambiti diversi della società, invitati da casa… non a caso!

Nel settembre 2021 e’ iniziata la nuova serie: nuova impostazione e nuovo calendario (un appuntamento a settimana: ogni mercoledì ore 19.00) che vede al centro i punti di svolta delle vite dei grandi ospiti.

Laura Pompeo dichiara: “Mi piacciono molto le storie personali e sono sempre affascinata quando le persone riescono a esprimere il loro potenziale, o quando trasformano una “debolezza” in un punto di forza, o addirittura nel “segno distintivo” della loro vita.

Ora, dopo la breve pausa estiva,  #DaCasaCon ha lasciato alle spalle la pandemia – occasione del suo avvio e tema dei dibattiti –  e dato nuova forma alla rubrica: e’ emersa  l’ Importanza del racconto di momenti cruciali del percorso di personalità della nostra società.

Mi entusiasma l’idea di mettere in luce il punto di svolta nella  vita di ciascuno: quello che ha determinato il momento attuale, o il momento di massima espressione  personale e professionale. Le conversazioni si agganciano  sempre  anche a fatti di attualità.

Abbiamo aperto con il Professor Valentino CASTELLANI, già Sindaco di Torino e docente al Politecnico e poi tantissimi altri importanti ospiti.

La trasmissione e’ nata nell’aprile 2020, quando L’isolamento a cui eravamo costretti  dal lockdown aveva messo in pausa le relazioni sociali in presenza.

“La necessità di rimanere in contatto, ma anche l’esigenza di condividere il nostro vissuto nell’emergenza sanitaria, mi ha fatto pensare a  conversazioni virtuali informali, chiacchierate in diretta sui social, cercando di  attivare risposte positive a una situazione drammatica”, spiega ancora Laura Pompeo.

Ne è nato un vero e proprio format, con personaggi noti, riferimenti nel proprio settore di attività, che hanno raccontato come stavano vivendo – a livello personale e professionale – l’emergenza sanitaria e l’isolamento.

La serie  ha avuto immediatamente un grandissimo successo: il consistente coinvolgimento di pubblico (sinora quasi due milioni di visualizzazioni) ne ha decretato la prosecuzione  oltre i mesi di clausura.

Gli appuntamenti hanno creato un’ importante occasione di identificazione legata all’esperienza comune, e sono  stati uno strumento  di condivisione e incoraggiamento.

Si è fatto incontrare a migliaia di amici – inizialmente confinati in casa – figure rappresentative di ambiti diversi, dal livello locale all’internazionale, “persone che, per vita e per mestiere, sono attenti osservatori e portatori di opinioni utili”, che  potessero raccontare la propria esperienza in quel tempo surreale; e aiutare a guardare al futuro con spirito propositivo; si è creata un clima di partecipazione attiva tra ospiti e pubblico.

E così “Da casa con” è passata… di casa in casa, coinvolgendo migliaia di persone su Facebook, con una diretta di circa mezz’ora  (fino a  4 puntate alla settimana, in alcuni periodi): è una conversazione “a cuore aperto”, in cui l’interlocutore, dalla propria abitazione, svela al pubblico anche il suo lato “meno noto”.

Spazia  tra temi diversi, sempre calati sull’attualità: cultura, istruzione, arte, architettura, spettacolo, scienza, innovazione, ricerca, imprenditoria, lavoro, accoglienza e solidarietà, ambiente e verde, storia, attualità, politica, letteratura, turismo, comunicazione, medicina, pari opportunità, sport e altro ancora.

Ad  oggi, sono quasi  200 gli ospiti accolti nel salotto virtuale di Pompeo.

In questi ultimi mesi, poi,  la rubrica e’ cresciuta ulteriormente diventando sempre più crossmediale: oltre a fb e YouTube, le conversazioni vengono trasmesse tre volte alla settimana su Radio Moncalieri (www.radio moncalieri.net) e verranno lanciati i podcast.

 

E’ fresco di stampa il libro che raccoglie le prime 40 conversazioni realizzate durante la quarantena: pubblicato dall’editore Pintore, sarà presentato sabato 21 maggio ore 16,30 al Salone Internazionale del Libro di Torino nel prestigioso Spazio

Con l’autrice, Presenta  Sara D’Amario; letture di  Mario Zucca.

Saranno presenti e interverranno  i 40 ospiti  del periodo della quarantena e l’editore Pietro Pintore.

15 aprile 1912, l’affondamento del Titanic

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A cura di crp Medium

Tra le vittime anche tredici piemontesi

di Marco Travaglini

La prima classe costa mille lire,la seconda cento,la terza dolore e spavento;e puzza di sudore dal boccaporto,e odore di mare morto…E gira, gira, gira l’elica.. e gira, gira che piove e nevica per noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America”.

16 aprile 1912, la notizia sui giornali

Francesco De Gregori nel suo “Titanic”, ottavo album da cantautore, narrò in musica il triste viaggio dell’arcinota nave passeggeri britannica che affondò nelle gelide acque dell’oceano Atlantico dopo la collisione con un iceberg. Un disco memorabile, molto bello che propose attraverso la storia del Titanic un’amara e sarcastica metafora di un’umanità divisa in classi che si dirige verso il disastro. La storia vera e sventurata del Titanic trovò il suo tragico epilogo nella notte tra domenica 14 e lunedì 15 aprile 1912 con il tremendo impatto e il conseguente affondamento in una apocalittica sequenza:la massa dell’iceberg come uno spettro bianco nel buio della notte, il violento impatto e l’incontenibile avanzata dell’acqua nello scafo sventrato.

Domenica del Corriere, 1912. Il naufragio del Titanic

Erano le 23.40 e il supertransatlantico, salpato il 10 aprile dal porto britannico di Southampton nella contea dell’Hampshire per il suo viaggio inaugurale, si trovava quattrocento miglia a sudest della costa di Cape Race sull’isola canadese di Terranova. E’ lì che la nave più grande del mondo in quell’epoca si scontrò con l’enorme massa di ghiaccio. La vedetta Frederick Fleet l’avvistò quando era ormai a una distanza di mezzo chilometro, più o meno due volte la lunghezza dello scafo. Gridò allarmato “Iceberg di prua, signore!” e il primo ufficiale William M.Murdoch ordinò subito il timone “tutto a dritta” e le macchine “indietro a tutta forza”.

Il libro di Claudio Bossi

Ma era tardi e la repentina virata a sinistra si rivelò inutile. Trentasette secondi dopo l’avvistamento avvenne l’urto a prua, sulla fiancata destra della nave e più di un terzo dei sedici compartimenti stagni rimasero danneggiati. A una profondità di sei metri la nave iniziò ad imbarcare acqua e in poche ore quello che si credeva un colosso inaffondabile si spaccò in due, inabissandosi per sempre sul fondo dell’oceano.

Il varo del Titanic

Fu un colpo terribile al mito dell’infallibilità del progresso della scienza e della tecnica e molti vi intravidero il De profundis del sogno della Belle Époque prima ancora che la Grande guerra mandasse definitivamente in frantumi l’illusione di un nuovo secolo segnato da pace e benessere. La costruzione del Titanic aveva rappresentato il guanto di sfida lanciato dalla compagnia navale britannica White Star Line ai rivali della Cunard Line che in quegli anni dominavano le rotte oceaniche con i transatlantici Lusitania e Mauretania.

L’iceberg che affondò il Titanic, immortalato dal marinaio ceco Stephan Rehorek il 20 aprile 1912

La nuova nave, completata in tre anni nei cantieri Harland and Wolff di Belfast e costata 7,5 milioni di dollari (equivalenti a più di 160 milioni di dollari di oggi), lunga 269 metri e larga 28, aveva una stazza complessiva di 46.328 tonnellate. Dotata di un motore a vapore alimentato da 29 caldaie venne salutata come un “gioiello di tecnologia e di sicurezza”, al punto da ritenerla “praticamente inaffondabile”. Per il primo viaggio venne stabilita la rotta da Southampton a New York, via Cherbourg e Queenstown. Preceduto il nome dalla sigla RMS (che indicava la funzione di servizio postale), il Titanic iniziò la navigazione mercoledì 10 aprile 1912. A bordo 1.423 passeggeri più 800 unità di equipaggio agli ordini del capitano Edward John Smith. Tra questi anche 37 italiani, la maggior parte dei quali lavorava come personale del ristorante. Le cabine erano divise in tre classi ( come sintetizzato bene nella canzone di De Gregori). Nella prima, la più lussuosa e costosa (il biglietto costava 4.350 dollari pari a oltre 80mila odierni dollari statunitensi) si accomodarono esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia dell’epoca, come il milionario Jacob Astor IV e l’industriale Benjamin Guggenheim, fratello del titolare dell’omonima fondazione artistica. Nella seconda presero posto gli appartenenti alla classe media.

Una cartolina sul Titanic

L’ultima si riempì di emigranti che con un biglietto da 32 dollari cercavano fortuna nel “nuovo mondo”. Pare che nella fretta della partenza, rispettando i tempi previsti (sempre una cattiva consigliera, la fretta..) e per alcuni cambi negli ufficiali avvenuti all’ultimo momento, vennero dimenticati i binocoli, costringendo i marinai di vedetta a svolgere a occhio nudo la loro attività. Un elemento che si rivelò fatale nel corso degli eventi. La frenesia di raggiungere la destinazione nel più breve tempo possibile obbligò il mantenimento dei motori costantemente al massimo e la velocità non venne ridotta nemmeno dopo la segnalazione fatta pervenire al capitano Smith, nella tarda mattinata di domenica 14 aprile. L’avvertimento preventivo sulla possibile presenza di ghiaccio sulla rotta del Titanic non venne tenuto nella considerazione necessaria e dieci ore più tardi, nel fitto buio di una notte senza luna, quando le vedette lo avvistarono l’iceberg era ormai di fronte alla nave. A quella distanza e alla velocità di crociera di 20 nodi ( più o meno 37 chilometri all’ora) ogni tentativo di evitare l’impatto si rivelò inefficace. Alle 00.27, compreso che la prua del Titanic stava lentamente affondando, venne lanciato un SOS dal marconista Jack Phillips, raccolto dal piroscafo Carpathia, distante 58 miglia dal luogo dell’impatto. La fase delle operazioni di salvataggio fu drammatica. Le scialuppe a disposizione erano soltanto sedici e ognuna poteva contenere al massimo una sessantina di persone. Vuoi per inesperienza e cattivo coordinamento tra gli ufficiali nel caos del naufragio, in molti casi ne salirono un numero inferiore. Delle 2.223 persone a bordo ne sopravvissero 705, poco più di una su tre. Dei 37 italiani solo 3 degli undici passeggeri si salvarono. Gli altri perirono nelle acque dell’oceano. Tra questi 13 erano piemontesi, quasi tutti alle dipendenze di Gaspare Antonio Pietro “Luigi” Gatti, direttore e gestore del ristorante “A’ la carte” del transatlantico. Quasi tutto il territorio piemontese pianse delle vittime: due erano cuneesi (di Guarene e Roccabruna), quattro del torinese (di Burolo,San Germano Chisone,San Sebastiano Po e Tina, oggi frazione di Vestignè), un astigiano di Canelli e un vercellese di Alice Castello, due alessandrini di Fubine e del capoluogo, tre novaresi di Borgomanero, della città all’ombra della cupola di San Gaudenzio e l’ultimo di Cannobio, a ridosso del confine elvetico sul lago Maggiore. La storia di questi uomini è stata ricostruita dallo storico Claudio Bossi, uno dei massimi esperti sulla vicenda del Titanic, autore di molti libri sull’argomento tra i quali l’importante “Titanic.Storia,leggende e superstizioni sul tragico primo e ultimo viaggio del gigante dei mari”, edito da De Vecchi. Nei giorni immediatamente successivi al naufragio la notizia del disastro scioccò il mondo intero, creando le premesse per una profonda riflessione sull’episodio tant’è che venne convocata la prima conferenza sulla sicurezza delle persone in mare. Il 10 giugno 2001 morì nella molisana Isernia Antonio Martinelli: aveva ottantanove anni ed era ritenuto l’ultimo sopravvissuto del disastro del Titanic. Si era salvato, neonato in fasce, con la madre. Spentasi l’ultima voce a “parlare” sono rimasti migliaia di oggetti recuperati nel tempo, dai piatti al vasellame, dai documenti alla campana della nave. Ma il Titanic non sarà mai recuperabile, destinato a consumarsi lentamente nella silenziosa profondità dell’oceano.

Le donne di Tiziano, tra arte e affermazione sociale

Nelle sale di palazzo Reale, a Milano, sino al 5 giugno

Quella che Milano, nelle sale di Palazzo Reale, offre sino al 5 giugno è una mostra
gradevolissima e complessa al tempo stesso, fatta di rimandi continui e decisamente
apprezzabili, di spunti che richiamano ad un continuo intreccio tra tematiche, figure,
colori, collocazioni sociali e religiose; importante nel suo intero sviluppo, che rende
piena giustizia e smagliante entusiasmo ad un Maestro della pittura e ad altri
importanti artisti della sua epoca, preziosa per gli addetti ai lavori e spazio pressoché
inesauribile costruito non soltanto sulla curiosità ma altresì elegante e prelibata
occasione per quanti, spettatori meno o più abituati alle visite museali, cerchino un
totale appagamento culturale ed estetico. “Tiziano e l’immagine della donna nel
Cinquecento veneziano” – racchiusa in undici sezioni, oltre un centinaio di opere in
esposizione, targata Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e Skira Editore e
avvalorata dalla collaborazione del Kunsthistorisches Museum di Vienna, main partner
la Fondazione Bracco, a cura di Sylvia Ferino con gli interventi di numerosi studiosi –
non è soltanto l’autentica bellezza di entusiasmanti capolavori, goduti l’uno appresso
all’altro, sala dopo sala, bensì in una ricercata completezza di intuizioni e di pensiero e
di studi uno sguardo lucido sulla figura femminile del XVI secolo, nella riappropriazione
critica del ruolo culturale e sociale di essa, legata non in primo luogo al campo
artistico ma rivendicatrice di un’immagine che ben si posiziona nella società, nel
costume, nella cultura, nella letteratura, nella libertà di pensiero e di espressione, sino
a farle quasi rivestire il ruolo a lungo negato di protagonista.
A scorrere i vari interventi della politica e dell’industria milanese votata agli interventi
culturali, di “progetto artistico ambizioso” parla nella presentazione il sindaco
Giuseppe Sala, del coinvolgimento di musei e collezionisti private di tutta Europa, ad
evidenziare “la proiezione internazionale dell’offerta culturale cittadina”; mentre
Tommaso Sacchi, Assessore alla Cultura, sottolinea come “Tiziano, inserendosi in un
tessuto culturale che, nel Cinquecento, vide umanisti e poeti rivolgere la loro
attenzione in maniera crescente a questi temi, dedicò infatti molti suoi dipinti alla
rappresentazione muliebre che egli interpretò come una sorta di ‘celebrazione della
femminilità’”. Diana Bracco, Presidente Fondazione Bracco, mentre pensa ad una
“dignità” riscontrata nelle opere quale mai s’era vista prima nella storia della pittura,
ribadisce come “la nostra Fondazione promuove con tenacia l’ingegno delle donne in
tutti i campi, dando visibilità a figure femminili del passato e del presente. Il nostro
progetto pluriennale “100 donne contro gli stereotipi”, dedicato a scienziate,
economiste, filosofe, storiche e declinato in una collana editoriale, in mostre
fotografiche e in tanti eventi in Italia e all’estero, ci sta dando grandi soddisfazioni”.
Ad avviare la mostra la “Madonna col Bambino” di Tiziano, datata 1510 circa,
proveniente da Vienna e ancora squisitamente legata ai moduli belliniani, e “La
tentazione di Adamo ed Eva” del Tintoretto dall’Accademia veneziana, cupa nelle sue
nudità e nella descrizione della tentazione offerta dalla donna, ovvero la presentazione
delle due figure femminili capisaldi della religione cristiana, la purezza e il peccato
nonché gli esempi forse primi e apripista di quella “querelle des femmes” che tanta
parte ebbe nei dibattiti dell’epoca. Di quella “dignità” di cui si diceva, si ha la certezza
nei vari ritratti che impreziosiscono le sale, dalla matronale “Eleonora Gonzaga della
Rovere” (1537 ca), elegantemente vestita e ornata di preziosi gioielli, con a lato,
contro un cielo aperto, un orologio e un piccolo cane a significare l’eterna fedeltà, a
“Isabella d’Este in nero” (1534 – 1536 ca), entrambi opera di Tiziano; come non si può
non restare affascinati dagli sguardi e dalle fattezze delle “belle veneziane”, dalla
“Giovane donna con cappello piumato”, proveniente dall’Hermitage di San
Pietroburgo, ancora un capolavoro di Tiziano, al “Ritratto di donna in rosso” del
Tintoretto, sino alla femminilità di Palma il Vecchio, la pensierosa “Giovane donna in
abito verde” e la “Giovane donna in abito blu” che pare nello sguardo attento e nella
posizione delle mani prendere le distanze e le difese da chi le sta rivolgendo
attenzione. Sono donne dai nomi a noi sconosciuti, dovutamente lontane dalle
certezze dei ritratti, esempi di una bellezza idealizzata e raffinata, esempi di spose
novelle o di cortigiane dedite ad una professione legata ai più bei nomi della classe
nobiliare e borghese, in grado non solo di obbedire agli inviti erotici e d’intrattenere
ma anche di eccellere nella vita culturale (Veronica Franco e Tullia d’Aragona ne sono
due esempi), abituate a comporre versi e a recitarli. Una vita culturale intervallata
d’erotismo che affondava le proprie radici nella riscoperta del Petrarca e che si
specchiava negli scritti di Pietro Bembo (il preciso richiamo agli “Asolani”), di Giovanni
della Casa e del Castiglione, che sottolineava il ruolo che la donna conservava nella
famiglia di compagna e di procreatrice. La donna che ricercava (anche se il discorso
non può essere certo ampliato su panorami generali) una propria affermazione e quasi
una propria indipendenza, poggiata sull’istruzione, avvalorata dal fatto che la donna
sposata mantenesse una stretta relazione con la propria famiglia e che potesse gestire
lei stessa la notevole dote che i genitori le avevano messo a disposizione; che nella
figura di Moderata Fonte poteva nei decenni successivi affermare “Il merito delle
donne” e in quella di Lucrezia Marinelli “La nobiltà et l’eccellenza delle donne”, dando
alle stampe pensieri che in altre città e stati italiani erano ben lontani dal vedere la
luce. Una ribellione che invadeva anche il campo religioso, se pensiamo al pamphlet
”crudele”, “La tirannia paterna”, che Arcangela Tarabotti scriveva nel 1642 (verrà
pubblicato postumo nel 1654), a condannare quelle minacciose coercizioni di certi
padri alla monacazione di quelle figlie che non rientrassero nei loro disegni di redditizi
accasamenti.
Un altro curioso capitolo della mostra è quell’”Apri il cuore” che cerca di mettere
ordine in un panorama artistico che ancora presenta i propri dubbi. Se proviamo a
considerare la “Laura” di Giorgione (1506), uno dei capolavori più apprezzati della
mostra, vediamo che quel capezzolo di una giovane ragazza, inghirlandata da rami
d’alloro e avvolta da un ampio collo di pelliccia può non essere considerato come il
segno di una più o meno lasciva proposta, come d’abitudine s’è pensato, bensì come
una profferta amorosa che una giovane sposa o promessa sposa offre al proprio
innamorato. Ci aiutano in questa più aggiornata lettura, divenuto anche per alcuni il
seno “metafora non solo del nutrimento e della vita ma anche della luce interiore”, gli
studi rivolti all’”Arte de’ cenni” di Giovanni Bonifacio (1616): per cui l’abito
d’abbondante scollatura non è simbolo di spregiudicatezza sessuale ma vuole
significare la sincera apertura del cuore, una dedizione totale all’amato, un gesto
affettuoso di reciproca intesa. Con “Laura” nascono “Giovane donna con il suo
promesso sposo” di Bernardino Licinio, con l’atteggiamento della mano sinistra di lui
portata al cuore pronta ad attestare il completo sentimento di fedeltà, o ancora del
medesimo il “Ritratto di donna che scopre il seno”.
S’allineano nell’allestimento sante (“Maria Maddalena”, firmata ma considerata con
aiuti di bottega, teschio e ampolla da precetto, un ampio panorama alle spalle della
santa rappresentata con le braccia ad incrocio sul petto, proveniente dalla
Staatsgalerie di Stoccarda), dee e ninfe (“Venere e Adone”, 1557-1559, ancora Tiziano
e bottega; “Ninfa e pastore” datata 1570-1575; “Venere, Marte e Amore”, un
intrecciarsi di forme maschili e femminili di assoluta sensualità, con la luce a invadere
armature e corpi; “Il ratto d’Europa” di Paolo Veronese, dalla magnifica ricchezza delle
vesti, “Venere e Adone” di Paris Bordon, coppia di antichi e assuefatti amanti
incoronati da Amore), eroine (sarebbe sufficiente l’immagine della romana Lucrezia,
esempio di onestà e fedeltà coniugale, due prove di Tiziano, una prima sotto lo
sguardo del marito Collatino (del 1515), una seconda ad esprimere tutta la violenza a
cui la donna deve sottostare da parte di Tarquinio che sta per trafiggerla, databile
intorno al 1575 e messo dinanzi ai nostri occhi a dimostrare l’excursus nell’arte del
grande pittore e la sua modernità nell’affrontare il calore delle pennellate, il sanguigno
e la candida leggerezza delle vesti dei personaggi: da confrontare con la sconfortata
solitudine del personaggio rappresentato dal Veronese, di pochi anni posteriore
(1580/1583), ancora non dimentico dei propri gioielli e della ricchezza delle vesti, una
comunione perfetta di verdi dalle differenti tonalità in primo piano accomunati a quelli
​del tendaggio che è alle spalle della donna), personaggi biblici (del Tintoretto
“Susanna e i vecchioni”, il candido corpo di lei, una gamba immersa in una vasca tra
acqua e morbidi riflessi, lo specchio e i gioielli, la parete di erbe e fiori e il resto del
giardino, mentre una coppia di vecchi, uno alla sinistra anche in maniera pressoché
comica, cerca voluttuosamente di ammirare le sue forme).
Ancora uno sguardo alla “Ninfa e pastore” di Tiziano, la donna dal corpo morbido e
lucente ad occupare la scena, al centro di un paesaggio tormentato, gli occhi rivolti a
chi guarda e al giovane a fianco che tiene un flauto tra le mani, lei padrona di tutto
quanto la circonda, potente e sicura dominatrice. “All’inizio di questa mostra – ci viene
suggerito in uno scritto -, la Eva dipinta da Tintoretto invita il visitatore a percorrere
“la via della conoscenza”; questa “ninfa” gli chiede ora di comprendere quanto Tiziano
e i suoi colleghi pittori e poeti abbiano contribuito ad esaltare l’importanza della donna
nella società, sulla via di un domani femminile”.
Elio Rabbione
Nelle immagini, nell’ordine: Tiziano, “Tarquinio e Lucrezia”, 1570 – 1576, olio su tela,
Vienna, Akademie der bildenden Künste; Tiziano, “Ninfa e pastore”, 1570 – 1575 ca,
olio su tela, Vienna, Kunsthistorisches Museum; Jacopo Tintoretto, “Susanna e i
vecchioni”, 1555 – 1556 ca, olio su tela, Vienna, Kunsthistorisches Museum;
Bernardino Licinio, Giovane donna con il suo promesso sposo”, 1520 ca, olio su tavola,
Parigi, Galerie Canesso; Giorgione, “Laura”, 1506, olio su tela su legno di abete,
Vienna, Kunsthistorisches Museum

A Claudio Magris il “Premio Speciale Lattes Grinzane 2022”

Annunciati i nomi dei cinque finalisti, fra cui l’italiana Simona Vinci. Saranno 400 studenti di 25 Giurie Scolastiche a decretare il vincitore

Monforte d’Alba (Cuneo)

Auður Ava Ólafsdóttir (Islanda) con La vita degli animali” (Einaudi), Pajtim Statovci (Kosovo/Finlandia) con Gli invisibili” (Sellerio), Simona Vinci con L’altra casa” (Einaudi), Jesmyn Ward (Cina/Usa) con Sotto la falce” (NN Editore), C Pam Zhang (Usa) con Quanto oro c’è in queste colline” (66thand2nd): sono loro i cinque finalisti del “Premio Lattes Grinzane 2022”, riconoscimento internazionale organizzato dalla “Fondazione Bottari Lattes” di Monforte d’Alba e intitolato a Mario Lattes, editore, scrittore e pittore, fra gli intellettuali più prestigiosi del nostro Novecento. Giunto alla sua XII edizione, obiettivo del Premio – rivolto ai migliori libri di narrativa pubblicati nell’ultimo anno – è quello di far concorrere insieme autori italiani e stranieri e di coinvolgere attivamente nella lettura e nella scelta del romanzo vincitore il mondo della scuola italiana, con una piccola finestra dedicata ogni anno agli studenti residenti all’estero, rappresentati quest’anno dalla “Scuola Statale Italiana” di Atene. In attesa, dunque, del verdetto finale che andrà a scremare la cinquina finalista, da parte della “Giuria Tecnica” – presieduta da Gian Luigi Beccaria, linguista, critico letterario e saggista – è stato assegnato all’oggi 83enne scrittore triestino Claudio Magris (germanista e fra i più grandi critici letterari contemporanei) il “Premio Speciale Lattes Grinzane”, attribuito ogni anno a un’autrice o autore internazionale di fama riconosciuta a livello mondiale, che nel corso del tempo abbia raccolto un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico. Qui i giochi finora compiuti. Ora toccherà proseguire con l’ardua scelta di assegnare il podio a uno dei cinque romanzi in pole position. A farlo (nel senso di darne lettura e giudizio) saranno i  400 studenti delle “Giurie Scolastiche”, avviate in 25 scuole superiori, da Aosta a Catania (passando per Torino – Liceo Classico “Massimo D’Azeglio” – Alba, La Spezia, Assisi, Campobasso, Foggia, Crotone e altre ancora), fino ad Atene. Con i loro voti, i giovani giurati decreteranno il libro vincitore tra i cinque in gara, che sarà proclamato sabato 15 ottobre 2022, nel corso della cerimonia di premiazione al “Teatro Sociale Busca” di Alba.

 In questa occasione il “Premio Speciale” Claudio Magris terrà una lectio magistralis su un tema a propria scelta e sarà insignito del riconoscimento. Inoltre, nel corso della mattinata i finalisti incontreranno gli studenti delle scuole coinvolte. Gli appuntamenti del “Premio” saranno anche trasmessi in diretta streaming sul sito e sui canali social della “Fondazione Bottari Lattes”, permettendo così di raggiungere pubblici diversi e lontani e mettendo a disposizione di tutti importanti contenuti della grande narrativa contemporanea.

“Come sempre – ha spiegato la ‘Giuria Tecnica’ – i soli criteri che abbiamo adottato nella scelta dei romanzi finalisti sono stati la qualità letteraria delle opere e la loro capacità di parlare ai giovani che dovranno giudicarle, raccontando storie, idee, realtà umane poco note o del tutto sconosciute: ma a posteriori è quasi sempre possibile rinvenire un filo. E quest’anno il filo sembra rappresentato dall’esperienza traumatica della perdita e dalla volontà, ostinata, di ritrovare e ritrovarsi”.

E sul perché del “Premio Speciale” a Claudio Magris, spiegano ancora il giurati (docenti, intellettuali, critici e scrittori): “Magris è oggi il narratore che più di altri ci sa trascinare verso alcuni stabili valori umani che se ne stanno al riparo dai mutamenti, valori che egli ha saputo mettere in rilievo soprattutto attraverso personaggi vissuti all’ombra dei grandi e che hanno fatto loro da spalla; personaggi travolti dalla vita, che non hanno fatto ma subìto la Storia, e non per questo deboli, ma di singolare forza nella loro malinconia o nella loro irriducibile vitalità”.

g.m.

Per info: “Fondazione Bottari Lattes”, via G. Marconi 16, Monforte d’Alba (Cuneo); tel. 0173/789282 o www.fondazionibottarilattes.it

Nelle foto:

–       Claudio Magris (Ph. Yuma-Martellanz)

–       Cover cinque romanzi finalisti

“Play 2022” Sarà un anno tutto da giocare alla Reggia di Venaria

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Due mostre “giocose”, tanto per iniziare, in programma fino al 18 settembre

Venaria Reale (Torino)

Che bell’idea festeggiare un piacevole anniversario sotto il segno del “gioco”! Tanto più se gli anniversari sono due. E dunque giochi d’ogni tipo e genere, d’ogni età e provenienza, giochi “da nobili” e giochi da “comuni mortali”, giochi d’acqua e di strada o giochi sotto il tendone di un circo. Capita alla Reggia della Venaria Reale, che quest’anno festeggia i suoi primi 15 anni di apertura al pubblico e i suoi 25 dalla dichiarazione Unesco di “Patrimonio Universale dell’Umanità”. Dunque: “Reggia! Liberi tutti”, come recita lo slogan del ricco programma di iniziative riunite sotto il titolo di “Play 2022. Un anno tutto da giocare”. Del resto, si sa che, storicamente, Regge e Residenze Reali sono state (eccome!) anche paciosi “luogo di svago e loisir” oltre che centri importanti e severi di “pouvoir”. E allora, dicono i responsabili, “in un momento in cui la pandemia obbligava se non a rinunciare, almeno a ridefinire fortemente l’attività ludica, ci è parso che fosse opportuno riflettere proprio su di essa”.

In che modo? Tanto per iniziare si è pensato di partire con due, davvero suggestive, mostre – play director e voce narrante l’eterno ragazzo col ciuffo all’insù, Arturo Brachetti – visitabili nelle “Sale delle Arti” fino al prossimo 18 settembre. “Dalle piazze alle Corti. Storie di giochi e spettacoli tra ‘700 e ‘800”, la prima, e “Foto in gioco! Un racconto di 18 fotografi italiani” la seconda. Curata da Silvia Ghisotti e Andrea Merlotti – la magistrale ambientazione scenica è per entrambe, di Peter Bottazzi – in collaborazione con il “Museo Nazionale del Cinema” di Torino e la “Biblioteca del Seminario Vescovile di Asti”, la prima rassegna propone alcune significative rappresentazioni di giochi e spettacoli tra Corti, teatri e piazze da Torino capitale sabauda alla provincia, presentando rare testimonianze iconografiche del ‘700 e ‘800. Corti e piazze. In tempi di pace, il gioco non conosceva prescrizioni di spazi.

Proprio a Torino, capitale dello Stato Sabaudo, in piazza Castello, di fronte all’attuale Palazzo della Regione, capitava non di rado di assistere (allora come oggi!) all’esibizione di attori e cantanti, giocolieri e funamboli, e c’erano anche i cantastorie che recitavano nei pressi dell’antistante Palazzo Madama. Gazzette e diari dell’epoca raccontano che i più bravi ed originali potevano esser chiamati addirittura a recitare a Corte per i sovrani e per divertire i principini: un variegato universo di uomini e donne di spettacolo, raccontato in mostra utilizzando preziose opere conservate nelle “Residenze Reali Sabaude” e in collezioni pubbliche e private piemontesi.

Accanto a dipinti, provenienti da “Palazzo Madama” e dai “Castelli” di Racconigi e di Agliè, sono esposti rarissimi manifesti conservati nella “Biblioteca del Seminario Vescovile” di Asti, esemplari di quelle prime locandine pubblicitarie che acrobati, giocolieri, cavallerizzi e artisti di strada o di “circo” (che proprio allora muoveva i primi passi) affiggevano nelle città dove si esibivano.

Fra le opere esposte, ricordiamo un affollato calligrafico “Spettacolo in piazza Castello”, opera di un seguace di Giovanni Michele Graneri, un importante “teatrino di marionette” del XVIII secolo e la sezione della mostra dedicata alle “lanterne magiche”, alle “scatole ottiche” e ai “fantascopi”, provenienti dal “Museo Nazionale del Cinema” di Torino. Sono invece 120 gli scatti realizzati da 18 firme fra le più grandi della fotografia italiana degli ultimi decenni, assemblate alla Reggia nella seconda mostra “Foto in Gioco!”, curata da Giangavino Pazzola ed organizzata insieme a “CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”. Immagini in bianco e nero e a colori, la scena resta l’Italia “ma con un salto di tre secoli” da quella dei sovrani assoluti a quella del boom economico fino al nostro presente”.

Dal fantastico “Paese dei Balocchi” di Luigi Ghirri, solo per citarne alcune, alle immagini di sapore neorealista del bolognese Nino Migliori fino all’orientaleggiante trompe l’oeil di “Super Show 2” di Giovanni Gastel o all’acrobatico “Circus 2000”della siciliana Roselena Ramistella. Ma sempre gioco é. E lo sarà per tutto l’anno, con mostre già programmate, insieme a conferenze, eventi e spettacoli che proseguiranno fino all’inverno 2022-’23.

Gianni Milani

 

“Play 2022. Un anno tutto da giocare”

Reggia di Venaria, piazza della Repubblica 4, Venaria Reale (Torino); tel. 011/4992300 o www.lavenaria.it

Fino al 18 settembre

Orari: dal mart. al ven. 9,30/17 – sab. dom. e festivi 9,30/1830

Nelle foto (Fonte: “Consorzio Residenze Reali Sabaude”)

–       Seguace di Giovanni Michele Graneri: “Spettacoli in piazza Castello”, olio su tela, 1750 ca.

–       Arturo Brachetti

–       Pittore bambocciante piemontese: “Spettacolo di lanterna magica”,1740-’60 ca.

–       Roselma Ramistella: “Circus 2000”, Courtesy l’artista a “Studio Trisorio”

–       Nino Migliori: “Bimbi al mare”, stampa pigmenti puri su carta, 1954, Fondazione Nino Migliori

Da Gershwin a Morricone: musiche da film per le voci dell’Opera di Torino in Osteria

Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino

Mercoledì 13 aprile, ore 21.30

Musiche da film

Da Gershwin a Morricone: musiche da film per le voci dell’Opera di Torino in Osteria

La musica della cinematografia mondiale proposta dalle voci leggere e liriche dell’Opera di Torino. Da “Cheek to Cheek” a “A woman in love”, da “Singin in the Rain” a “Moon River”, da “Stardust” a “Nature Boy”: in scaletta gli evergreen della storia del cinema, con il soprano Paola Lopopolo e il baritono Marco Tognozzi, al pianoforte il Maestro Enrico Perelli.

Ora di inizio concerto: 21,30

Ingresso:

15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)

Possibilità di cenare prima del concerto con il menù alla carta

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it

Al Collegio “San Giuseppe” la passione e la morte del Cristo come destino universale dell’Umanità

“Crocifissioni”

Fino al 14 aprile

“Guardando Gesù nella sua passione, noi vediamo come in uno specchio le sofferenze dell’umanità e troviamo la risposta divina al mistero del male, del dolore, della morte”: con queste parole Papa Francesco sintetizza nel suo più intimo significato il tema della morte in croce del Cristo Redentore. Passione e morte per la salvezza dell’Uomo, che pure partecipa, nella sua avventura terrena, all’inciampo del dolore, dell’emarginazione, della tortura, della passione e della morte. Su questa linea intende proporsi la riedizione aggiornata della mostra “Crocifissioni” nuovamente ospitata, in periodo quaresimale – dopo lo stop imposto nel marzo del 2020 dalla pandemia – nelle sale espositive del Collegio “San Giuseppe” di Torino, oggi certamente fra i più importanti centri di promozione culturale cittadina.

Curata da Fratel Alfredo Centra (direttore dell’Istituto lasalliano), da Francesco De Caria e da Donatella Taverna, la rassegna si articola in oltre sessanta opere, a firma di una buona quarantina di artisti. Dipinti, sculture, disegni e grafiche, in cui “si vuole proporre all’attenzione del pubblico – sottolinea De Caria – il triste fenomeno presente in ogni società, in ogni epoca, in ogni cultura, della sopraffazione del fratello sul fratello, del potere violento, della politica deviata”. E Dio sa quanto oggi, più che mai, il nostro mondo affoghi nella barbarie vigliaccamente generata da simili situazioni. Non dunque “Crocifissione”, ma “Crocifissioni”.

Cui partecipa l’intera umanità. E la Chiesa. Come, in mostra, ammonisce “La Chiesa Cattolica” seconda variante di quattro imponenti dipinti (dalla fervida lezione rinascimentale) realizzati dal torinese Ottavio Mazzonis (Torino, 1921 – 2010) fra il ’90 e il ‘98. Appeso alla Croce non il corpo del Cristo, ma solo il freddo “sudario”, a simboleggiare il “calvario” della Chiesa odierna, e intorno il dolore senza fine di Maria e discepoli. Dolore in cui si fa luce intensa il grande disco lunare, monito di attesa Risurrezione, proposto dal disegno “Nel buio la luce” di Carla Parsani Motti, mentre dolore assoluto senza fine resta quel Cristo “lanciato in una dimensione di profondità atemporale, in cui la Maddalena è ridotta ad un volto rovesciato indietro” del “Jesu, dimitte nobis” di Luigi Rigorini.

Così come passione terrena affondata nella storia è anche l’orrore dei lager nazisti (mirabile l’“Arbeit macht frei!” dell’alessandrino Franco Pieri) e dei gulag sovietici, non meno che dell’ignobile genocidio armeno. E qui come non pensare all’immagine ormai divenuta iconica del ligneo “Cristo Salvatore” della Cattedrale armena di Leopoli, nascosto nei giorni scorsi in un bunker per sfuggire alla meschina brutalità della guerra russo-ucraina? Sul tema, troviamo in mostra anche una bellissima “Croce armena” di Isidoro Cottino, con bracci fioriti in oro su un fondo di un intenso azzurro lapislazzuli e il Cristo dalla figura quasi astratta in una tela di sacco dorata. E ancora i dettagli. Gli oggetti del martirio.

Singolari i “Chiodi”, tracciati con lievissimo segno da Eugenio Gabanino che si associano per dolorosa intensità espressiva al bronzeo “Crocifisso” di Adriano Alloati (Torino, 1909 – 1975). Senza la figura del Cristo anche le tre croci, simili ai primissimi “patibula” del IV secolo posti in lontananza su un atipico Golgota (“Luogo del cranio”) da Pippo Leocata e sorvegliati dai suoi indefiniti guerrieri dell’antica etnea Adranon, sua città natale. Svariati gli stilemi. Estremamente eterogenee le impostazioni narrative.

Di nome in nome, fra i molti artisti presenti in mostra ricordiamone ancora alcuni: da Guido Bertello a Stefano Borelli a Pietro Canonica alla Luisa Porporato, accanto a Laura Maestri a Jean-Louis Mattana e a Renzo Igne. Originale la visionaria leggenda del “pettirosso” di Nick Edel e la complessa narrazione di Rosanna Campra. E poi, il tradimento, preludio al martirio, nel cupo “Bacio di Giuda” di Giovanni Taverna e ancora il dolore estremo negli inchiostri di Giacomo Soffiantino, nell’uccello trafitto di Sandro Lobalzo come nei rami e spine di Franco Sassi e nelle pagine famigliari di Michele Tomalino Serra, fino all’immagine in acquaforte di Lucia Caprioglio del mandylion (il panno con cui la Veronica asciugò il volto di Gesù grondante sangue e sudore) e allo straniante surrealismo di Vito Oliva, di Giorgio Viotto e di Sergio Saccomandi.”Gesù sarà in agonia – ricorda Fratel Alfredo, citando Pascal – fino alla fine del mondo: non bisogna dormire fino a quel momento”. Saggio monito. Di innegabile, drammatica attualità.

Gianni Milani

 

“Crocifissioni”

Collegio San Giuseppe, via San Francesco da Paola 23, Torino; tel. 011/8123250 o www.collegiosangiuseppe.it

Fino al 14 aprile

Orari: dal lun. al ven. 10,30/12 e 16/18; sab. 10,30/12

Nelle foto

–       Ottavio Mazzonis: “La Chiesa Cattolica”, seconda variante

–       Luigi Rigorini: “Jesu, dimitte nobis”

–       Isidoro Cottino: “Croce armena”

–       Pippo Leocata: “La lancia 1”

–       Adriano Alloati: “Crocifisso”