CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 358

Estate nei musei della Fondazione

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15 – 21 luglio 2022

VENERDI 15 LUGLIO

 

Venerdì 15 luglio ore 16.30

BANCHETTANDO: CIBI, CUCINA E RICETTE NELLA POMPEI DI VENTI SECOLI FA

Palazzo Madama – visita guidata alla mostra Invito a Pompei

Immaginiamo di essere nella Pompei di I secolo a.C. Immaginiamo di essere invitati a un banchetto e di accomodarci sui letti disposti nel triclinium, la sala da pranzo del tempo. Immaginiamo di avere a disposizione cibo e pietanze da scegliere: quali succulenti vivande avremmo preferito?

Sicuramente avremmo trovato verdure in gran quantità: cavoli, legumi e cicoria serviti con cipolla e aglio in abbondanza. Certamente non sarebbero mancati piatti di carne da gustare con salse forti e molto saporite. Per antipasto forse ci avrebbero proposto uova con lattuga ma anche pesce, crostacei, ricette di mare. L’olio di qualità avrebbe condito i prelibati piatti e il miele avrebbe addolcito frutta e pane.

La visita in mostra racconterà tutto ciò, ispirandosi agli ambienti della domus, agli oggetti esposti e alle dettagliate narrazioni a noi giunte. Si scopriranno usi e abitudini di un banchetto di età romana e si potranno trarre spunti dalla gastronomia di venti secoli fa: una visita che darà idee per nuove ricette da proporre sulle nostre tavole.

Costo: € 6 a partecipante

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso al museo; gratuito per i possessori di Abbonamento Musei Piemonte Valle d’Aosta

Info e prenotazioni: 0115211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

DOMENICA 17 LUGLIO

 

Domenica 17 luglio ore 15

UGO DA CARPI. LA PALA D’ALTARE DEL VOLTO SANTO

Palazzo Madama – visita guidata

Nella città della Sindone è arrivata una tavola realizzata per l’altare del Volto Santo nella Basilica Vaticana da Ugo da Carpi, abile intagliatore di matrici xilografiche. La cita Giorgio Vasari che ebbe modo di vederla insieme a Michelangelo: la descrive riportando un particolare dettaglio, già specificato dall’artista accanto alla propria firma: “dipinta a olio senza adoperare pennello”.

La visita offre numerosi spunti: dalle analisi scientifiche condotte nei laboratori vaticani, agli approfondimenti sulle tecniche di esecuzione, fino al confronto con altre prestigiose opere accomunate dalla iconografia della Vera icona, fra cui, da citare, la xilografia del 1510 di Albrecht Dürer.

L’allestimento è coinvolgente: ci si trova infatti immersi fra le imponenti architetture dell’antica Basilica Vaticana. Al centro, e in diretta relazione con l’affresco sindonico della Corte Medievale, si presenta l’opera protagonista di Ugo da Carpi: la Veronica che dispiega il velo del Volto Santo tra gli Apostoli Pietro e Paolo. Anno Santo 1525.

Un nuovo viaggio nella Basilica Vaticana.

Costo: 6 € a partecipante

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso al museo; gratuito per i possessori di Abbonamento Musei Piemonte Valle d’Aosta

Info e prenotazioni: 0115211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

MERCOLEDI 20 LUGLIO

 

Mercoledì 20 luglio ore 16.30

IL GIARDINO AROMATICO: TRA STORIA E BOTANICA, MITI E LEGGENDE

Palazzo Madama – appuntamento con il curatore botanico Edoardo Santoro

Due chiacchierate all’ombra e al fresco della pergola nel Giardino Botanico Medievale di Palazzo Madama per scoprire curiosità e aneddoti di due piante aromatiche, che hanno fatto la storia e che continuano a essere largamente coltivate e usate in ambito alimentare, erboristico e cosmetico: artemisia salvia.

Artemisia è l’assenzio ma anche genepì, canfora o dragoncello. Di salvie nel mondo ce ne sono oltre 900, una diversa dall’altra, ma noi utilizziamo solo la Salvia officinalis; con una rapida e facile analisi botanica scopriremo di più su queste piante che, proprio per la grande varietà, ci consentono di sfruttare portamenti, fogliami e fioriture di ogni tipo per il giardino e il balcone.

Costo: 5€ ingresso in giardino (gratuito Abbonati Musei) + 5€ per la visita guidata

Info e prenotazioni: tel. 011 4429629; e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

Theatrum Sabaudiae propone visite guidate in museo

alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.

Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

 

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

 

Continua l’estate dei Musei Reali

Continua l’attività estiva dei Musei Reali di Torino, con tante attività per far scoprire a cittadini e turisti la bellezza di un luogo senza tempo.

 

 

 

Venerdì 15 luglio, dalle 19.30 alle 23.30apertura straordinaria del Museo di Antichità – Galleria Archeologica e Sezione Archeologia a Torino – con il Teatro Romano (ultimo ingresso ore 22.45).

Tariffa di ingresso speciale a 5 Euro.

Alle ore 19.30 visita tematica “Statue di divinità, re ed eroi” curata da CoopCulture; ingresso+visita: 10 Euro.

Per la rassegna Torino. Crocevia di sonoritàalle ore 21, nel Teatro Romano si terrà Archi in Concerto, a cura degli allievi del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino. Ingresso riservato ai visitatori dei Musei Reali, fino a esaurimento dei posti disponibili.

Per informazioni: Aperture serali e concerti estivi ai Musei Reali. Torino Crocevia di Sonorità – Musei Reali Torino(beniculturali.it)

 

Giardini della Cavallerizza Reale sono nuovamente aperti al pubblico. Il patrimonio verde del museo ritorna completamente accessibile grazie a iniziative e attività gratuite, rivolte a bambini e famiglie, realizzate in collaborazione con Xké? ZeroTredici, società consortile vincitrice della manifestazione d’interesse per l’assegnazione del servizio di valorizzazione dei Giardini della Cavallerizza.

Le modalità di accesso e il programma degli appuntamenti sono pubblicati sul sito dei Musei Reali al link

https://museireali.beniculturali.it/events/racconti-reali-unestate-per-giocare-con-la-cultura-nei-giardini-della-cavallerizza/

 

Contrariamente a quanto segnalato, giovedì 14 luglio l’appuntamento con il ciclo di conferenze “Chiamata alle Arti. Vite parallele. Storie di uomini e animali” non avrà luogo. La rassegna proseguirà il 21 luglio, alle ore 17, con l’incontro Esporre l’esotico. Dal serraglio dei Giardini Reali al Museo di Scienze Naturali, a cura di Luca Ghiraldi, referente delle collezioni ornitologiche del Museo Regionale di Scienze Naturali, in dialogo con Elisa Panero, archeologa curatrice dei Musei Reali.

Per informazioni: https://museireali.beniculturali.it/events/chiamata-alle-arti-vite-parallele-storie-di-uomini-e-animali/

 

Le attività con CoopCulture

Sabato 16 e domenica 17 luglio alle ore 11 e alle 15.30, appuntamento con Benvenuto a Palazzo. Le guide e gli storici dell’arte CoopCulture vi aspettano per condurvi in una visita guidata alla scoperta delle sale di rappresentanza del primo piano di Palazzo Reale e dell’Armeria, un itinerario per scoprire o riscoprire la storia e la magnificenza della prima reggia d’Italia.

Costo dell’attività: 7 Euro oltre al biglietto di ingresso ridotto ai Musei Reali (13 Euro ordinario, 2 Euro da 18 a 25 anni, gratuito under 18).

Biglietti online su Musei Reali di Torino | CoopCulture – e-mail info.torino@coopculture.it

 

Domenica 17 luglio alle ore 11.30 appuntamento con Tavole Imbandite. Una visita alla scoperta delle collezioni dei Musei Reali tra argenti, porcellane e cristalli per ricreare l’atmosfera di un tempo nelle splendenti sale di Palazzo Reale.

Costo dell’attività 20 Euro (13 Euro per Abbonamento Musei e To+Piemonte Card).

Biglietti online su https://www.coopculture.it/it/ – mail info.torino@coopculture.it

 

Domenica 17 luglio alle ore 16, a grande richiesta, torna “I magnifici 7 del Barocco”: in collaborazione con i servizi didattici dei Musei Reali e della Pinacoteca dell’Accademia Albertina, lo speciale di Torino Storia sul Barocco si trasforma nella mappa di una visita-gioco adatta a tutte le età! Con una guida esperta, e lo speciale di Torino Storia tra le mani, ci metteremo in cammino insieme agli architetti che hanno trasformato la nostra città in una meravigliosa capitale. Il punto di partenza è il bookshop del Palazzo Reale e il traguardo di arrivo è la Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle Arti, dove ci metteremo alla prova in un divertente quiz, preparato dalla visita guidata tra le vie e le piazze del centro storico di Torino.

Costo dell’attività 10 Euro. Biglietti online su www.coopculture.it – mail info.torino@coopculture.it

 

È possibile prenotare una visita ai percorsi speciali dei Musei Reali:

– venerdì 15 e domenica 17 luglio alle ore 16, visita agli appartamenti della regina Maria Teresa, al Gabinetto del Segreto Maneggio e alle Cucine;

– sabato 16 luglio alle ore 16, visita al secondo piano di Palazzo Reale.

Costo delle visite speciali: 20 Euro ordinario (13 Euro per Abbonamento Musei).

Biglietti online su Musei Reali di Torino | CoopCulture – e-mail info.torino@coopculture.it

 

Quattro mostre in corso ai Musei Reali

Ultimi giorni per visitare la mostra Nel segno di Raffaello. Fino al 17 luglio è possibile visitare l’esposizione in Biblioteca Reale. Frutto di un approfondito lavoro di studio e progettata in occasione del cinquecentesimo anniversario della morte del pittore e architetto marchigiano, l’esposizione è volta a individuare all’interno del nucleo dei disegni italiani del ‘500 posseduti dalla Biblioteca, quelli riconducibili alla cerchia di Raffaello. Grazie a un ricco apparato didascalico, contenente anche immagini di confronto, questa mostra conduce il visitatore alla scoperta dell’articolato mondo della tradizione disegnativa rinascimentale, fatta di citazioni, di copie e di lavori preparatori o studi per altre opere.

Informazioni: Nel segno di Raffaello – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Ultimi giorni per visitare anche Splendori della tavolaFino al 17 luglio, la Sala da Pranzo del Palazzo Reale ospita l’inedito allestimento curato da Franco Gualano e Lorenza Santa, incentrato sul fastoso corredo da tavola in argento realizzato a Parigi da Charles-Nicolas Odiot per re Carlo Alberto. Commissionato nel 1833 e trasferito al Quirinale tra il 1873 e il 1874, comprende oggi 1832 elementi ed è annoverato tra le maggiori committenze delle Corti europee dell’epoca.

Il nuovo allestimento Splendori della tavola è compreso nel biglietto ordinario dei Musei Reali.

Oltre alla visita della Sala da Pranzo, inclusa nel normale percorso, è possibile ammirare altre suggestive tavole apparecchiate, con visite guidate su prenotazione: il percorso Tavole imbandite è visitabile con CoopCulture.

Informazioni e prenotazioni: Tavole imbandite | CoopCulture; 011 19560449; info.torino@coopculture.it

 

Fantasmi e altri misteri – Fumetti in mostra. Fino a domenica 11 settembre, nello Spazio Scoperte al secondo piano della Galleria Sabauda, è visitabile la mostra Fantasmi e altri misteri – Fumetti in mostra. L’iniziativa del Ministero della cultura Fumetti nei Musei, in collaborazione con Coconino Press-Fandango, è stata realizzata per avvicinare i ragazzi al patrimonio artistico italiano. Le tavole originali della graphic novel “Io più fanciullo non sono” della fumettista e vignettista Lorena Canottiere, ispirata alla figura del Principe Eugenio di Savoia-Soissons, sono presentate con alcune opere dei Musei Reali legate al condottiero collezionista, con una selezione di lavori dei fumettisti che hanno partecipato al progetto e si sono confrontati con il tema del mistero e dei fantasmi.

L’ingresso alla mostra è compreso nel biglietto dei Musei Reali.

Informazioni: Fantasmi e altri misteri. Fumetti in mostra – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Animali a Corte. Vite mai viste nei Giardini Reali, curata da Stefania Dassi e Carla Testore, è la proposta con cui fino al 16 ottobre i Musei Reali intendono creare un percorso di visita innovativo nel quale le tecniche e i linguaggi dell’arte contemporanea dialogano con la cornice dell’antica residenza. Il percorso si snoda in parte nei Giardini Reali, elemento fondante dell’identità del museo, nonché prezioso luogo d’incontro e di socialità per cittadini e turisti. Le opere popolano non solo l’esterno, ma anche alcune sale di Palazzo Reale, Armeria e Galleria Sabauda per stabilire rimandi e connessioni tra le sculture e gli animali raffigurati nelle opere che costituiscono il patrimonio dei musei. Gli artisti in mostra sono Paolo Albertelli e Mariagrazia Abbaldo, Maura Banfo,

Nazareno Biondo, Nicola Bolla, Stefano Bombardieri. Jessica Carroll, Fabrizio Corneli, Cracking Art, Diego Dutto, Ezio Gribaudo, Michele Guaschino, Luigi Mainolfi, Gino Marotta, Mario Merz, Pino Pascali e Velasco Vitali.

L’ingresso alla sezione della mostra nelle sale dei Musei Reali è compreso nel biglietto ordinario.

Accesso gratuito per la sezione ospitata nei Giardini Reali.

Informazioni: Animali a Corte. Vite mai viste nei Giardini Reali – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Le novità digitali

Tra le novità che accompagnano la visita ai Musei Reali, l’inedita applicazione di gamification MRT Play è disponibile gratuitamente sui principali store. Ideata dai Musei Reali in collaborazione con Visivalab SL e il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, nell’ambito del bando SWITCH_Strategie e strumenti per la digital transformation nella cultura, l’applicazione di realtà aumentata offre una nuova esperienza di fruizione innovativa e accattivante, per approfondire la conoscenza delle opere della Galleria Sabauda attraverso giochi e indovinelli, in compagnia di personaggi storici e professionisti della cultura.

 

Per visitare Palazzo Reale, la Galleria Sabauda e il Museo di Antichità con curiosi personaggi pronti a raccontare le loro coinvolgenti storie è disponibile l’Audioguida Kids, realizzata dai Servizi Educativi dei Musei Reali in collaborazione con CoopCulture. Lungo il percorso sono presenti dei QR-code da scansionare per ascoltare gratuitamente le tracce audio pensate per i giovanissimi visitatori, per un’esperienza di visita coinvolgente e divertente (età consigliata: 5/12 anni).

 

La Biblioteca Reale

La Sala Lettura della Biblioteca Reale è aperta il lunedì, dalle 8.30 alle 18.30da martedì a venerdì dalle 8.30 alle 15.15 e il sabato dalle 8.30 alle 13.30: le consultazioni devono essere prenotate con almeno 24 ore di anticipo scrivendo all’indirizzo mr- to.bibliotecareale@beniculturali.it e indicando tutte le informazioni disponibili per la richiesta.

Per conoscere le modalità di accesso e registrazione consultare la pagina Orari e modalità di apertura della Biblioteca Reale – Musei Reali Torino (beniculturali.it).

 

Caffè Reale

Nella suggestiva Corte d’Onore di Palazzo Reale è possibile rigenerarsi con una pausa al Caffè Reale Torino, ospitato in una ambientazione unica ed elegante, impreziosita da suppellettili in porcellana e argento provenienti dalle collezioni sabaude.

Informazioni e prenotazioni al numero 335 8140537 o via e-mail all’indirizzo segreteria@ilcatering.net.

Ogni venerdì di luglio, il Caffè Reale resterà aperto anche dalle 19.30 alle 23 in occasione della rassegna Torino. Crocevia di sonorità.

 

Museum Shop

Per rimanere sempre aggiornati sulle pubblicazioni dei Musei Reali e per dedicarvi un pensiero, il Museum Shop è aperto. È disponibile anche online Musei Reali (shopculture.it).

 

Dal 1° aprile 2022 per l’accesso ai percorsi museali non è più richiesto il Green Pass (D.L. 24/03/2022 n. 24, art. 7). La mascherina chirurgica è raccomandata lungo i percorsi di visita, mentre il dispositivo di protezione FFP2 resta obbligatorio per partecipare agli eventi in luoghi chiusi.

Orchestra e Coro del Regio per una grande Festa in musica a ingresso gratuito

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CONCERTO D’ESTATE

Con il patrocinio di Ministero della DifesaMinistero della Cultura Città di Torino

REGIO OPERA FESTIVAL
Seconda edizione

Torino, Cortile di Palazzo Arsenale
Sede del Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito, Via dell’Arsenale 22

Venerdì 29 luglio 2022 ore 21

Il Cortile di Palazzo Arsenale, sede del Regio Opera Festival (foto Andrea Macchia © Teatro Regio Torino)
Venerdì 29 luglio alle ore 21 si terrà un concerto a ingresso gratuito, ultimo appuntamento del Regio Opera Festival prima della pausa estiva. L’Orchestra e il Coro del Teatro Regio si riuniscono per una grande festa in musica al Cortile di Palazzo Arsenale, sul podio il maestro Andrij YurkevichAndrea Secchi maestro del coro.

Il Sovrintendente Mathieu Jouvin afferma: «Abbiamo deciso di unificare i due ultimi appuntamenti del Regio Opera Festival, che vedevano protagonisti il Coro e l’Orchestra del Teatro, in un unico grande concerto per l’Estate e alle atmosfere di luoghi lontani. Un ringraziamento per il nostro affezionato pubblico che ci ha seguito con passione e che ritroveremo a settembre per gli appuntamenti con la danza internazionale».

In una Festa musicale d’estate, non può mancare il brano più conosciuto di Felix Mendelssohn-Bartholdy: Sogno di una notte di mezza estate, per soli, coro femminile e orchestra. Capolavoro romantico che il compositore tedesco scrisse per la commedia di Shakespeare A Midsummer Night’s Dream, con la sua celeberrima Ouverture, come introduzione del particolare clima espressivo, a metà strada tra fantasia e mistero, che connota la commedia di Shakespeare, in cui gli amori del mondo delle Fate e degli Elfi si intrecciano con quelli degli umani in una Grecia mitologica; e la famosissima “marcia nuziale”, ancora adesso suonata in tutto il mondo per il momento più atteso e commovente del matrimonio: quello in cui la sposa avanza solennemente verso lo sposo.

Dalle atmosfere del mondo fatato a quelle mistiche e delicate dei Veda indiani e delle pianure dell’Est, un suggestivo percorso che ci regala il compositore inglese Gustav Holst, viaggiatore entusiasta e studioso di astrologia, passione che lo portò a scrivere il suo brano più celebre, The Planets, composizione spesso citata nella colonna sonora di Guerre stellari. La magia del canto corale e della voce si fondono anche nei brani di Holst in programma: Two Eastern Pictures, “Spring” e “Summer” per coro femminile e arpa e gli Inni Corali dal Rig Veda (Hymn to the DawnHymn to the WatersHymn to VenaHymn of the Travellers). «Sono molto curioso di sentire come il canto delle rondini, che ho scoperto essere grande protagonista al Cortile di Palazzo Arsenale, si fonderà con le voci del nostro Coro e accompagnerà l’Orchestra in questa serata che abbiamo deciso di regalare per augurare a tutti una serena e gioiosa estate» questo l’augurio del Sovrintendente Mathieu Jouvin.

Sul podio il direttore ucraino Andrij Yurkevych: già Direttore musicale del Teatro di Odessa e attualmente del Teatro Nazionale di Chisinau (Moldavia), in ambito sinfonico vanta un repertorio che spazia da Mozart ai maggiori compositori russi, ed è stato protagonista in concerti a Milano, Amburgo, Monaco, Bonn, Varsavia e Santiago del Cile, dirigendo l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali, i Münchner Symphoniker, l’Orchestra Arturo Toscanini e l’Orchestra Sinfonica di Madrid.

L’ingresso al Concerto d’Estate è gratuito – fino a esaurimento dei posti disponibili – con biglietto da acquisire alla Biglietteria del Teatro Regio, sul sito www.teatroregio.torino.it o la sera stessa alla Biglietteria di Palazzo Arsenale.

Il concerto del 5 agosto è annullato.

Il Regio Opera Festival è realizzato con il patrocinio del Ministero della Difesa, del Ministero della Cultura e della Città di Torino. Media Partner è Publitalia ’80.

BIGLIETTERIA E INFORMAZIONI

Biglietteria
Piazza Castello 215 – Tel. 011.8815.241 e 011.8815.242
biglietteria@teatroregio.torino.it
Orario di apertura: da lunedì a sabato 13-18.30; domenica 10-14
Un’ora prima del concerto è aperta la Biglietteria
presso il Cortile di Palazzo Arsenale
Biglietteria online: www.teatroregio.torino.it

Informazioni
Ingresso Uffici del Teatro Regio, piazza Castello 215
da lunedì a venerdì: ore 9-17.30
Tel. 011.8815.557 – info@teatroregio.torino.it

La nuovissima forma d’arte di Stefano Bressani

Attraverso connotazioni evocatrici di risonanze, nel Museo di Moncalvo situato nell’ex convento secentesco in cui Orsola Caccia fondò una scuola di pittura ed ove ora si svolge la mostra di Stefano Bressani inventore di una nuovissima forma d’arte, avviene un virtuale incontro tra il geniale scultore e la monaca pittrice.

Le “Sculture vestite”, ottenute appoggiando su supporti la ricomposizione a mosaico di tessere di tessuto non prese da tagli a metro ma ritagliate da abiti, che contengono già una storia di vita, trovati in mercati e in negozi vintage piacerebbero ad Orsola che in queste stanze si era affrancata dai modelli paterni attraverso coloratissime nature morte autonome ancora cariche di simbologia sacra ma avviate al naturalismo oltre ad un curioso interesse per l’abbigliamento, ne fa testo il singolare vestito alla moda indossato da una intrigante Santa Margherita di Antiochia, alquanto inconsueto per una santa.

Tanti sono stati i movimenti d’avanguardia e gli artisti che hanno accolto suggestioni esercitate dalla stoffa, basti pensare alle lacerazioni dei sacchi di juta di Burri, agli stracci provocatori di Pistoletto, ai costumi batik di Yinka Shonibare, all’abito di feltro appeso di Beuys ma mai nessuno ha pensato di farne sculture.

Bressani è l’unico artista al mondo che, dopo un faticoso severo tirocinio di sperimentazioni, si è appropriato delle possibilità operative della stoffa intuendo che essa possiede qualità interne espressive e presagi di riuscita; nelle sue mani non è materiale inerte e inanimato bensì organismo vivente da trattare sia come faber che come artista conciliando indissolubilmente tecnica e idea con un dialogo fecondo che asseconda il tessuto e al tempo stesso lo dirige con rispetto.

Con le sue innovazioni nell’adattare i ritagli di stoffa, assemblati ad incastro, non cuciti e incollati per avere possibilità di cambiarli a piacere, dopo un faticoso tirocinio di sperimentazioni, ha stravolto l’immaginario collettivo del marmo come materiale e dello scalpello come strumento di michelangiolesca memoria.

Ora si serve di tessuti e forbici; proprie queste, da cui mai si separa, sono state motivo conduttore di belle immagini di tanti fotografi già noti o emergenti che lo hanno immortalato, mentre le indossa a modo di occhiali o cravatta oppure le usa come archetto mentre suona il violoncello o come stecca da biliardo,interpretandone la personalità giocosa e ironica in un suggestivo libro edito nel 2020.

Come non ricordare per associazione d’idee, essendo stato denominato “Il Sarto dell’arte”, il dipinto di Giovan Battista Moroni che dà dignità ad un sarto orgoglioso del proprio lavoro impugnando le forbici, con la differenza che Bressani trasforma l’arte applicata in arte vera e propria grazie ad una tecnica ed a uno stile inconfondibile.

Con la mostra PICASSO RE LOADED il museo si illumina di colorate sculture in stoffa talmente perfette e simili nella resa iconografica da sembrare a distanza dipinti picassiani.

Non si tratta di imitazione e ripetizione bensì di originalità nella continuità svolta da un artista che ha superato il concetto romantico di insularità dell’opera d’arte che interrompe i rapporti con artisti precedenti, mentre questa deve accoglierne i suggerimenti, in questo caso di Picasso, riaprendo e continuandone il discorso con nuove proposte, ripresa creatrice e slancio inventivo.

In tal modo la bionda Marie Thèrese e la bruna Dora Maar, la sensuale donna sul prato, l’ironica donna col brodo di gallo e la donna con il cappello, oltre alle teste tridimensionali, si specificano attraverso la morbidezza della stoffa che esclude la durezza delle linee taglienti cubiste assumendo un altro significato di tecnica e stile che è unicamente quello di Bressani.

Alla personalità artistica geniale, gioiosa, fuori dagli schemi corrisponde la personalità umana, delineata dall’abbigliamento surreale, che lo rende di volta in volta prestigiatore, mago o eccentrico Hatter di Carroll.

Così appare nelle fotografie di Aurelio Amendola mentre, in abito nero, camicia bianca, farfallino e cilindro, frantuma “La Donna che legge sul tablet, come provocazione del sempre più evidente abbandono della lettura su carta, nell’happening all’Arca di Vercelli, rinnovando serate futuriste e dadaiste, incontri del Cabaret Voltaire, Pop Art e performances in cui l’artista diventa egli stesso opera d’arte.

In modo paradossale ed estroso, stupisce l’unione di espressioni di rottura moderna, contemporanea e sentori di arte musiva bizantina oltre a splendori barocchi delle cornici dorate in cui sono rinchiusi i quadri cubisti.

Mai stanco di sperimentare nuove espressioni artistiche, ha trovato anche nella ceramica promesse di riuscita; nel laboratorio di Marco Tortarolo in una Albisola che ha visto l’avanguardia di Lucio Fontana, Giuseppe Capogrossi, Wifredo Lam, Asger Jorn, spalleggiati dal gallerista Carlo Cardazzo e da Milena Milani, Bressani porta avanti la grande stagione che ha aggiunto un aspetto intellettuale e concettuale alla tradizione artigianale della ceramica.

Sempre però affermando orgogliosamente il ruolo di artigiano poiché se c’è mestiere senza arte non esiste senza mestiere.

 

Giuliana Romano Bussola

Le statue “volanti” di Palazzo Madama

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ARTE. VOLANO” NEL CIELO DI TORINO LE 4 STATUE MONUMENTALI DI PALAZZO MADAMA PER TORNARE ALL’ANTICO SPLENDORE

Rimosse dalla sommità con un innovativo intervento di sezionamento, ingabbiate e calate a terra con uno spettacolare sistema di gru dall’altezza di 27 metri: saranno restaurate “live” in un padiglione trasparente visitabile dal pubblico
Indagini specialistiche con magnetoscopi e georadar hanno permesso di scoprire il “cuore” di questi speciali “guardiani” della città
Fase decisiva del grande cantiere di restauro e consolidamento della facciata interamente finanziato da Fondazione CRT

Foto, rendering e video al link:https://vcloud.ilger.com/cloud14/index.php/s/BXxC5w5ZW8ePbSL

Torino, 11 luglio 2022 Giustizia, Liberalità, Magnanimità e Abbondanza spiccano il “volo” nel cielo di Torino per tornare all’antico splendore. Inizierà domani l’operazione dispostamento a terra delle quattro monumentali statue in marmo di Brossasco, alte più di 4 metri e pesanti oltre 3 tonnellate ciascuna, che coronano la balaustra del corpo centrale di Palazzo Madama e raffigurano ermetiche allegorie del “Buon Governo”. Dopo un innovativo intervento di sezionamento, le statue saranno ingabbiate e calate con un eccezionale sistema di gru dall’altezza di 27 metri in piazza Castello, dove verranno restaurate “live” in uno speciale padiglione trasparente visitabile dal pubblico.

Lo spettacolare intervento condotto dalla Cooperativa Archeologia di Firenze e da Arte Restauro Conservazione di Arlotto Cristina Maria, sotto la direzione dell’arch. Gianfranco Gritella rappresenta un momento decisivo del grande cantiere di restauro e consolidamento strutturale della facciata juvarrianadell’edificio, grazie alla sinergia tra Fondazione Torino Musei, da sempre impegnata nella tutela, conservazione e valorizzazione dei beni museali, e Fondazione CRT, storico e principale sostenitore privato di Palazzo Madama (17,5 milioni di euro stanziati complessivamente), che finanzia interamente quest’ultimo intervento con un impegno straordinario di 2,4 milioni.

“Quattro capolavori, testimoni della storia e del ruolo di Torino nel Settecento europeo, che per la prima volta, grazie all’illuminato mecenatismo della Fondazione CRT, potremo ammirare da vicino, in un cantiere di restauro offerto all’attenzione e riflessione dei cittadini sul piano di piazza Castello. Un’occasione unica di incontro non solo per comprendere l’arte di uno dei massimi protagonisti della scultura tardobarocca, e i meccanismi della creazione, ma anche per riacquisire coscienza dei valori per secoli propugnati dalla nostra città capitale”, afferma il Presidente della Fondazione Torino Musei Maurizio Cibrario.

È certamente un evento più unico che raro vedere le statue volare: non è il set di un film, ma un’avveniristica e spettacolare operazione di recupero storico-artistico, che abbina la tecnologia più innovativa e le migliori maestranze per salvare la grande bellezza della cultura. Un risultato reso possibile dalla sinergia pubblico-privato tra la Fondazione Torino Musei e la Fondazione CRT, da sempre impegnata per la rinascita e la valorizzazione di Palazzo Madama”, dichiara il Presidente della Fondazione CRT Giovanni Quaglia.

Le statue – formate ciascuna da quattro blocchi marmorei scolpiti e sovrapposti e del peso di circa 3.200 kg – sono opera dello scultore carrarese Giovanni Baratta (1670-1747), chiamato a Torino da Filippo Juvarra a più riprese tra il 1721 e il 1730 per portare a compimento queste sculture e altre opere a Superga, Venaria Reale e nella chiesa torinese di S. Filippo. Furono sbozzate nel laboratorio dello scultore a Carrara, poi trasportate in pezzi separati via nave fino a Savona e, infine, condotte su carri trainati da buoi e muli a Torino, dove furono montate in opera e portate a compimento.

LO STATO DI SALUTE DELLE STATUE. Lo stato conservativo delle statue è oggi assai compromesso e molto eterogeneo. Quella che evidenzia maggiore degrado, anche strutturale, è la statua della Giustizia (la prima verso nord). L’opera fu già smontata e calata a terra una prima volta tra il 1846 e il 1847, in occasione dei lavori di consolidamento delle fondamenta del palazzo, diretti dall’architetto Ernesto Melano e realizzati per l’insediamento nell’edifico del Senato Subalpino.

L’aggressione degli agenti atmosferici, i danni bellici, gli antichi restauri incongrui, l’ossidazione dei perni in metallo che trattengono i singoli blocchi lapidei e i rifacimenti ottocenteschi in marmi diversi hanno causato un degrado diffuso e problematiche di conservazione evidenti anche nella tecnica costruttiva utilizzata dallo scultore settecentesco. Baratta, infatti, adottando una tecnica di antica tradizione, per alleggerire il peso e facilitare il trasporto e il montaggio in opera delle sculture, fece svuotare gran parte del lato posteriore non visibile di ciascuna figura. Il profondo incavo che ne derivò fu poi colmato con una muratura di mattoni e calce, nella quale è infissa una barra in ferro che assicura la stabilità delle statue alla sottostante balaustra alta circa 2 metri. Un complesso sistema di perni e staffe in ferro e bronzo, alcune visibili, altre nascoste all’interno delle statue, ma individuate mediante indagini specialistiche con magnetoscopi e georadar, rivela la tecnica costruttiva impiegata per garantire stabilità alle opere trattenendo intere parti lapidee, scolpite separatamente e poi applicate al corpo principale della statua.

IL SEZIONAMENTO. Il distacco e il trasferimento delle quattro Allegorie dalla base su cui appoggiano sarannoresi possibili dall’allestimento in quota, a 27 metri dal suolo, di speciali macchine operatrici, che utilizzano la tecnica del taglio murario mediante lo scorrimento di un filo diamantato e lubrificato ad acqua, tecnologia tradizionalmente utilizzata nelle cave di estrazione del marmo. Il processo di taglio avviene mediante una macchina a motore elettrico dotata di pulegge su cui scorre ad alta velocità uno speciale cavo metallico ad anello, dotato di uncini costituiti da diamanti artificiali, che avanza su un carrello collocato su guide in acciaio: queste ultime sono posizionate su una piastra di base che garantisce un avanzamento guidato assolutamente lineare e continuo. L’operatore agisce tramite un’unità di comando elettronica a distanza.

L’INGABBIATURA, IL “VOLO” E IL RESTAURO “LIVE”.Contestualmente alla progressione del taglio, che avverrà secondo due direttrici contrapposte e in due fasi operative, nelle fessure così ricavate verranno inserite due piastre in acciaio debitamente sagomate e rinforzate. Su queste piastre verrà fissata una “gabbia”, anch’essa in acciaio, che conterrà a sua volta una cassa lignea in parte aperta, che ingloberà e rende stabili le statue precedentemente pre-consolidate e protette. Al fine di non compromettere l’equilibrio statico dell’architettura marmorea, al posto delle statue rimosse verranno collocate sulla balaustra delle zavorre in calcestruzzo armato di peso equivalente alle statue, zavorre a cui saranno vincolate le ultime strutture del ponteggio superiore e della soprastante copertura provvisoria.

Sollevate da una gru, le statue e le loro imbracature, del peso complessivo di 6.000 kg, verranno calate a terra e poste su basamenti provvisori, in attesa di essere collocate in un padiglione ad hoc che sarà allestito dinanzi a Palazzo Madama, dove avverrà l’intero processo di restauro, visibile direttamente dal pubblico in piazza Castello, anche tramite visite guidate.

Il mistero di Dracula tra storia e leggende

La notte del 31 ottobre tra le maschere più diffuse per festeggiare Halloween esorcizzando le paure, accanto a un infinità di streghe, zombi e mostriciattoli vari , ci sono certamente quelle dei vampiri. E tra queste spiccano quelle del Principe delle Tenebre, figura che ha le sue radici nella realtà storica e personaggio reso leggendario grazie a opere letterarie e cinematografiche dal Nosferatu di Murnau a Francis Ford Coppola.

Il famigerato e crudele conte vampiro della Transilvania  conobbe il primo, grande successo di pubblico nel maggio del 1897 quando, a Londra,  venne pubblicato il più famoso dei libri dell’irlandese Bram Stoker. Si trattava di “Dracula”, un romanzo dalle atmosfere gotiche. In verità l’idea venne concepita da Stoker qualche anno prima, esattamente 131 anni fa, tra il luglio e l’agosto del 1890. “La bocca, per quel che si scorgeva sotto i folti baffi, era rigida e con un profilo quasi crudele. I denti bianchi e stranamente aguzzi, sporgevano dalle labbra, il colore acceso rivelava una vitalità stupefacente per un uomo dei suoi anni. Le orecchie erano pallide, appuntite; il mento ampio e forte, le guance sode anche se scavate. Tutto il suo volto era soffuso d’un incredibile pallore”. Una descrizione che non lascia dubbi sull’identità del personaggio e sulla sua natura sinistra, offrendo l’occasione al tema del vampirismo di acquisire, forse per la prima volta, una certa dignità letteraria.

Alle credenze popolari e alle superstizioni diffuse soprattutto nei paesi dell’Est e nei Balcani, il letterato irlandese – che nella Londra vittoriana alternava all’attività di giornalista quella di scrittore – venne introdotto dal professore ungherese Arminius Vambéry. Fu quest’ultimo a parlargli della Transilvania, raccontando la storia del principe Vlad III di Valacchia, noto con l’appellativo di Draculea (che si può tradurre come “figlio del dragone”, riferito al padre Vlad II, membro dell’Ordine del Dragone). Il principe Vlad Tepes, passato alla storia come Vlad l’Impalatore per i violenti e sadici metodi di tortura che riservava non solo agli odiati turchi ma anche ai cristiani, nell’immaginario di Stoker si sovrappose al protagonista del suo romanzo. Tra l’altro, nella lingua rumena, le parole “dragone” e “diavolo” (“drac”) sono molto simili. Così, Vlad vide trasformare il suo soprannome Draculea in Dracul il cui significato equivale a “figlio del Diavolo”. Stoker trovò anche un’altra fonte d’ispirazione in diversi articoli comparsi sui giornali dell’epoca in relazione a un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1892, nella cittadina di Exter, nel New England.

La morte di una ragazza diciannovenne scatenò l’immaginazione dei suoi concittadini sia per gli strani sintomi, pallore e inappetenza, sia per il fatto che a poca distanza morirono nello stesso modo madre, sorella e fratello. Ciò che per la medicina non poteva che trattarsi di tubercolosi, per la gente era un chiaro caso di vampirismo. Sommando una suggestione dopo l’altra, mescolando abilmente storia e immaginazione, lo scrittore costruì il romanzo come una raccolta di pagine di diario scritte dai protagonisti della vicenda. Dal giovane avvocato inglese Jonathan Harker, che si reca in Transilvania per definire l’acquisto di una casa londinese da parte del Conte Dracula, alla sua fidanzata Mina Murray, oggetto del desiderio del vampiro che in lei rivede la moglie morta, fino al professore olandese Abraham Van Helsing, scienziato e filosofo che crede nell’esistenza del soprannaturale. Fatto circolare prima tra gli amici e successivamente modificato, il libro venne stampato e posto in vendita nella tarda primavera del 1897.

Da allora, il successo è stato talmente ampio da creare un vero e proprio genere, con adattamenti teatrali e cinematografici come il già citato Nosferatu il vampiro nel 1922, capolavoro del cinema muto  espressionista firmato dal tedesco Friedrich Wilhelm Murnau, fino ai più recenti Dracula di Bram Stoker (tre premi Oscar nel 1993 per la pellicola di Coppola), Van Helsing (2004), i vari film d’animazione della serie Hotel Transylvania”, il Dracula 3D di Dario Argento e Dracula Untold  del 2014. Ovviamente un lungo discorso andrebbe dedicato anche a due degli interpreti storici del Conte assetato di sangue come i mitici Bela Lugosi e Christopher Lee ma c’è tutta un’altra storia che vale la pena raccontare. E qui dal racconto del libro si passa alla storia, o almeno a  qualcosa che gli assomiglia. Il voivoda Vlad III di Valacchia perse la vita in circostanze poco chiare. Si presume che Dracula morì com’era vissuto, cioè combattendo. Secondo alcuni la sua  testa, recisa dal corpo, venne portata a Costantinopoli come un trofeo e il suo corpo venne sepolto senza tante cerimonie dal suo rivale e vassallo dei Turchi, Basarab Laiota. Non si conosce l’esatta ubicazione della sua  tomba, anche se la tradizione popolare vuole che sia stato sepolto nella chiesa ortodossa dell’Assunzione, nel convento di Snagov, su un’isola nel bel mezzo di un lago situato a una quarantina di chilometri a nord di Bucarest. Alcune ricerche archeologiche risalenti agli anni ’30 del secolo scorso rinvennero in quel sepolcro solo ossa di cavallo.

Il priore di Snagov, ancora qualche tempo fa contestò questa versione, rivelando che la tomba posta di fronte alle porte dell’iconostasi è a tutti gli effetti la vera tomba di Vlad Tepes. Tuttavia, la maggior parte degli storici romeni pensa che il vero luogo di sepoltura sia invece il monastero-fortezza di Comana, fondato e costruito nel 1461 proprio da Vlad Tepes, in quello che oggi è il distretto di Giurgiu, nel sud della Romania, al confine con la Bulgaria. Durante alcuni scavi archeologici eseguiti nel 1970, si diffuse la notizia che il corpo senza testa di Vlad l’Impalatore fosse stato localizzato proprio nei sotterranei del monastero. Persino a Parigi vi è chi sostiene, ma qui siamo nel campo del puro gossip, che il Conte dimori in una cappella sconsacrata al Perè- Lachaise. Ma ecco che, al fine di rendere ancora più aggrovigliata la matassa, si è fatta strada una terza e clamorosa ipotesi: il conte Dracula non morì combattendo in Transilvania ma a Napoli, ed è stato sepolto nel cuore della città partenopea, nel chiostro di Santa Maria La Nova.

A sostenere quest’ardita tesi non sono dei fantasiosi “cacciatori di vampiri” ma alcuni studiosi dell’Università estone di Tallinn che, in collaborazione con studiosi italiani, hanno compiuto ricerche sulla principessa slava Maria Balsa, fuggita a Napoli nel 1479 a causa delle persecuzioni turche e accolta nella città all’ombra del Vesuvio da Ferdinando d’Aragona. La donna, che diventò in seguito moglie del  Conte Giacomo Alfonso Ferrillo, sarebbe la figlia del Conte Vlad III di Valacchia, meglio conosciuto ai più come il Conte Dracula. E parrebbe proprio che fosse stato il padre ad accompagnarla nella città sul Golfo, cercando e ottenendo l’anonimato. La prova fornita dagli studiosi a sostegno delle loro tesi è il fatto che il blasone formatosi in seguito alla fusione degli stemmi delle famiglie Balsa e Ferrillo presenta un drago, in tutto e per tutto simile a quello della casata dei principi di Valacchia. Sarà davvero così? Il conte Dracula riposa (?!) a Napoli? La storia è affascinante, ricca di sfumature e di colpi di scena, anche se sembra più la trama di un romanzo d’avventure che una realtà storica. Infatti, almeno per il momento, manca il particolare che la renderebbe clamorosa, il colpo di scena finale: il corpo di Vlad Tepes. Ed è ciò che gli studiosi scesi in campo sperano di ottenere. Nel dubbio, come il professor Van Helsing, attendiamo notizie tenendo ben stretto in una mano un appuntito paletto di frassino e nell’altra una boccetta di acqua benedetta.

Marco Travaglini

 

L’esperienza del grande cinema a “Estate in Circolo”

ESTATE in CIRCOLO 24 giugno – 18 settembre

Cortile dell’Anagrafe Centrale

Via Carlo Ignazio Giulio 14a – Torino

 

Torna per il terzo anno ESTATE IN CIRCOLO, la rassegna voluta e organizzata dal Centro Culturale L’ARTeficIO con la preziosa collaborazione di associazioni e organizzazioni del territorio interne al network ARCI Torino.

Dal 24 giugno al 18 settembre, in uno spazio nuovo e storico allo stesso tempo, sarà possibile l’esperienza del grande cinema con un programma che conta 12 film della rassegna l’Italia che non si vede, assistere a concerti di musica rock, pop, blues, jazz e a pièce teatrali e tanta social dance: dall’Hip Hop al Forrò Brasiliano, dal Lindy Hop al liscio per ritrovare il piacere di stare insieme, ballare e rilassarsi in totale sicurezza.

Estate in Circolo è un’idea nata tra le mura de L’ARTeficIO con la volontà di restituire al pubblico cittadino un luogo nel centro storico di Torino e resa possibile grazie al supporto della Fondazione per la Cultura che ha deciso di premiare per il terzo anno la progettualità culturale con il contributo del bando sostenuto dalla Città di Torino e Fondazione per la Cultura Torino, con i patrocini della Circoscrizione 1, Città Metropolitana, Camera di Commercio e Regione Piemonte.
Il giardino dell’Anagrafe Centrale in via Carlo Ignazio Giulio 14a si animerà 7 giorni su 7 con un cartellone volutamente multidisciplinare e destinato ai differenti appassionati che vorranno approfittare di un giardino aperto nel centro città.
Tanta attenzione ai più giovani: a Estate in Circolo tutti i giorni dalle 16 alle 19 sarà aperta un’area bimbi attrezzata. Un vero momento di relax e di ristoro per tutta la famiglia che potrà godere di un sano intrattenimento all’ombra dei grandi alberi praticando lo YOGA. Anche i più grandi potranno vivere lo spazio con il progetto di Campus Diffuso: grazie alla buona collocazione ed alle strutture messe a disposizione degli studenti questo angolo di città potrà essere una valida alternativa per studiare all’aria aperta con wifi gratuito e i servizi necessari.

Ma è durante la sera che nel cortile prenderà vita un vero e proprio festival di musica, teatro, cinema e social dance con i molti concerti che si avvicenderanno sul palco coperto per permettere le esibizioni anche in caso di maltempo e che ospiterà anche un grande schermo mq per le proiezioni curate dal Circolo Arci Sud, il Cadrega Fest e molti dj set. Una programmazione articolata che non è stato semplice definire in questo periodo post pandemico ma fortemente voluta dal capofila e da tutte le Associazioni coinvolte.

Estate in Circolo inaugura ufficialmente il venerdì 24 giugno alle 21.30 con il concerto dei Lovesick Duo, i polistrumentisti bolognesi Paolo Roberto Pianezza – chitarra elettrica, acustica e semiacustica, lap steel a manico singolo e doppio, chitarra resofonica e dobro – e Francesca Alinovi, che suona il contrabbasso con l’aggiunta del brush pad, una percussione incorporata nello strumento che le permette di segnare il tempo con una spazzola per batteria. Un loro concerto porta ad una totale immersione nelle atmosfere dell’America degli anni ’40 e ’50.
Sabato 25 giugno la grande musica dal vivo prosegue con GALAPAGHOST del progetto del songwriter statunitense Casey Chandler.
Domenica 26 il ballo liscio animato da Stefano CAPANO inaugura dalle 15 il fitto programma di social dance, mentre BELLA CIAO – PER LA LIBERTÀ per la regia di Giulia Giapponesi avvia alle 21:30 la stagione del cinema all’aperto.

Oltre all’intrattenimento L’ARTeficIO non poteva trascurare una delle sue anime, la creatività legata alla materia: per otto fine settimana sarà possibile curiosare e imparare i segreti degli artigiani legati al progetto HandMad: 20 Operatori del Proprio Ingegno trasformeranno il cortile di via Giulio in una maker fair grazie alla collaborazione con l’Associazione ARCI Creatori d’Ingegno APS.
Non è facile raccontare in poche parole il mondo di Estate in Circolo un progetto che vuole raccogliere le diverse anime del mondo delle Associazioni e dei Circoli ARCI e che ha nella sua filosofia progettuale l’apertura e il coinvolgimento del territorio e dei cittadini per una restituzione doverosa di spazio, arte, intrattenimento e aria aperta…

“L’edizione 2022 di Estate In Circolo costituisce una straordinaria occasione per ricominciare a stare insieme e a fare cultura in totale sicurezza. Abbiamo disegnato un intenso programma che punta a coinvolgere persone di ogni età e gusti artistici, comprese le famiglie e i bambini.
Per il terzo anno offriamo a tutta la cittadinanza la possibilità di riscoprire un luogo inedito e semi sconosciuto del centro cittadino: il giardino dell’

Volano le statue di Palazzo Madama

Torino, 11 luglio 2022 – Giustizia, Liberalità, Magnanimità e Abbondanza spiccano il “volo” nel cielo di Torino per tornare all’antico splendore. Inizierà domani l’operazione di spostamento a terra delle quattro monumentali statue in marmo di Brossasco, alte più di 4 metri e pesanti oltre 3 tonnellate ciascuna, che coronano la balaustra del corpo centrale di Palazzo Madama e raffigurano ermetiche allegorie del “Buon Governo”. Dopo un innovativo intervento di sezionamento, le statue saranno ingabbiate e calate con un eccezionale sistema di gru dall’altezza di 27 metri in piazza Castello, dove verranno restaurate “live” in uno speciale padiglione trasparente visitabile dal pubblico.

 

Lo spettacolare intervento – condotto dalla Cooperativa Archeologia di Firenze e da Arte Restauro Conservazione di Arlotto Cristina Maria, sotto la direzione dell’arch. Gianfranco Gritella – rappresenta un momento decisivo del grande cantiere di restauro e consolidamento strutturale della facciata juvarriana dell’edificio, grazie alla sinergia tra Fondazione Torino Musei, da sempre impegnata nella tutela, conservazione e valorizzazione dei beni museali, e Fondazione CRT, storico e principale sostenitore privato di Palazzo Madama (17,5 milioni di euro stanziati complessivamente), che finanzia interamente quest’ultimo intervento con un impegno straordinario di 2,4 milioni.

 

Quattro capolavori, testimoni della storia e del ruolo di Torino nel Settecento europeo, che per la prima volta, grazie all’illuminato mecenatismo della Fondazione CRT, potremo ammirare da vicino, in un cantiere di restauro offerto all’attenzione e riflessione dei cittadini sul piano di piazza Castello. Un’occasione unica di incontro non solo per comprendere l’arte di uno dei massimi protagonisti della scultura tardobarocca, e i meccanismi della creazione, ma anche per riacquisire coscienza dei valori per secoli propugnati dalla nostra città capitale“, afferma il Presidente della Fondazione Torino Musei Maurizio Cibrario.

 

È certamente un evento più unico che raro vedere le statue volare: non è il set di un film, ma un’avveniristica e spettacolare operazione di recupero storico-artistico, che abbina la tecnologia più innovativa e le migliori maestranze per salvare la grande bellezza della cultura. Un risultato reso possibile dalla sinergia pubblico-privato tra la Fondazione Torino Musei e la Fondazione CRT, da sempre impegnata per la rinascita e la valorizzazione di Palazzo Madama”, dichiara il Presidente della Fondazione CRT Giovanni Quaglia.

 

Le statue – formate ciascuna da quattro blocchi marmorei scolpiti e sovrapposti e del peso di circa 3.200 kg – sono opera dello scultore carrarese Giovanni Baratta (1670-1747), chiamato a Torino da Filippo Juvarra a più riprese tra il 1721 e il 1730 per portare a compimento queste sculture e altre opere a Superga, Venaria Reale e nella chiesa torinese di S. Filippo. Furono sbozzate nel laboratorio dello scultore a Carrara, poi trasportate in pezzi separati via nave fino a Savona e, infine, condotte su carri trainati da buoi e muli a Torino, dove furono montate in opera e portate a compimento.

 

LO STATO DI SALUTE DELLE STATUE. Lo stato conservativo delle statue è oggi assai compromesso e molto eterogeneo. Quella che evidenzia maggiore degrado, anche strutturale, è la statua della Giustizia (la prima verso nord). L’opera fu già smontata e calata a terra una prima volta tra il 1846 e il 1847, in occasione dei lavori di consolidamento delle fondamenta del palazzo, diretti dall’architetto Ernesto Melano e realizzati per l’insediamento nell’edifico del Senato Subalpino.

 

L’aggressione degli agenti atmosferici, i danni bellici, gli antichi restauri incongrui, l’ossidazione dei perni in metallo che trattengono i singoli blocchi lapidei e i rifacimenti ottocenteschi in marmi diversi hanno causato un degrado diffuso e problematiche di conservazione evidenti anche nella tecnica costruttiva utilizzata dallo scultore settecentesco. Baratta, infatti, adottando una tecnica di antica tradizione, per alleggerire il peso e facilitare il trasporto e il montaggio in opera delle sculture, fece svuotare gran parte del lato posteriore non visibile di ciascuna figura. Il profondo incavo che ne derivò fu poi colmato con una muratura di mattoni e calce, nella quale è infissa una barra in ferro che assicura la stabilità delle statue alla sottostante balaustra alta circa 2 metri. Un complesso sistema di perni e staffe in ferro e bronzo, alcune visibili, altre nascoste all’interno delle statue, ma individuate mediante indagini specialistiche con magnetoscopi e georadar, rivela la tecnica costruttiva impiegata per garantire stabilità alle opere trattenendo intere parti lapidee, scolpite separatamente e poi applicate al corpo principale della statua.

 

IL SEZIONAMENTO. Il distacco e il trasferimento delle quattro Allegorie dalla base su cui appoggiano saranno resi possibili dall’allestimento in quota, a 27 metri dal suolo, di speciali macchine operatrici, che utilizzano la tecnica del taglio murario mediante lo scorrimento di un filo diamantato e lubrificato ad acqua, tecnologia tradizionalmente utilizzata nelle cave di estrazione del marmo. Il processo di taglio avviene mediante una macchina a motore elettrico dotata di pulegge su cui scorre ad alta velocità uno speciale cavo metallico ad anello, dotato di uncini costituiti da diamanti artificiali, che avanza su un carrello collocato su guide in acciaio: queste ultime sono posizionate su una piastra di base che garantisce un avanzamento guidato assolutamente lineare e continuo. L’operatore agisce tramite un’unità di comando elettronica a distanza.

 

L’INGABBIATURA, IL “VOLO” E IL RESTAURO “LIVE”. Contestualmente alla progressione del taglio, che avverrà secondo due direttrici contrapposte e in due fasi operative, nelle fessure così ricavate verranno inserite due piastre in acciaio debitamente sagomate e rinforzate. Su queste piastre verrà fissata una “gabbia”, anch’essa in acciaio, che conterrà a sua volta una cassa lignea in parte aperta, che ingloberà e renderà stabili le statue precedentemente pre-consolidate e protette. Al fine di non compromettere l’equilibrio statico dell’architettura marmorea, al posto delle statue rimosse verranno collocate sulla balaustra delle zavorre in calcestruzzo armato di peso equivalente alle statue, zavorre a cui saranno vincolate le ultime strutture del ponteggio superiore e della soprastante copertura provvisoria.
Sollevate da una gru, le statue e le loro imbracature, del peso complessivo di 6.000 kg, verranno calate a terra e poste su basamenti provvisori, in attesa di essere collocate in un padiglione ad hoc che sarà allestito dinanzi a Palazzo Madama, dove avverrà l’intero processo di restauro, visibile direttamente dal pubblico in piazza Castello, anche tramite visite guidate.

Srebrenica, 11 luglio 1995. Il genocidio di fine secolo

di Marco Travaglini* 

Srebrenica, dall’antico nome latino Argentaria si può tradurre in “città dell’argento”. Prima del 1992 era conosciuta per le terme, l’estrazione di salgemma e le miniere. Poi, dissoltasi la Jugoslavia, la storia si è incaricata di consumare tra quelle montagne l’ultimo genocidio in terra europea dalla fine della seconda guerra mondiale. In quella località tra le terre alte della Bosnia nord-orientale circa diecimila musulmani bosgnacchi vennero trucidati dalle forze ultranazionaliste serbo-bosniache e dai paramilitari serbi. L’atroce crimine di massa venne consumato tra l’11 e il 21 luglio 1995, dopo che la città, assediata per tre anni e mezzo, il 10 luglio era caduta nelle mani del generale Ratko Mladić. Nel marzo del 1993 Srebrenica era stata proclamata enclave dell’Onu, in virtù della risoluzione 819. In pratica l’intera area doveva essere protetta, difesa. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, infatti, inviò un piccolo contingente di qualche centinaio caschi blu.

Dietro l’orrore, anche viltà e vigliaccheria dei caschi blu dell’OnuIn un primo momento erano canadesi, sostituiti poi dagli olandesi del terzo battaglione aeromobile. I soldati del “Dutchbat” si segnalarono soprattutto per il disprezzo verso la popolazione civile e per il mercato nero con gli assedianti. Una vergogna per la comunità internazionale tant’è vero che, quando i serbo-bosniaci misero in atto l’attacco finale, i soldati dell’Onu abbandonarono le loro posizioni, consegnarono le armi senza sparare un colpo e si acquartierarono nella loro base nel sobborgo di Potočari. Così, senza muovere un dito, affogando in un mare d’ignavia e disprezzo, la comunità internazionale volse lo sguardo altrove e quarantamila persone furono lasciate nelle mani delle forze serbo-bosniache e dei paramilitari che tra l’11 e il 13 luglio separarono le donne e i bambini dagli uomini considerati in età militare (dai dodici ai settant’anni), deportando le prime e massacrando in una decina di giorni di sangue e violenza tutti i maschi. Non risparmiarono nemmeno molte donne, soprattutto le più giovani, che vennero prima stuprate e in diversi casi uccise sotto gli sguardi spenti e vuoti dei caschi blu.

L’orrore di fine secolo
Seguendo la logica della cancellazione della memoria e delle identità, gli esecutori dell’eccidio privarono le vittime dei documenti, bruciandoli. Poi gettarono gli uomini, compresi quelli feriti ma ancora vivi, nelle fosse comuni. Alla fine del conflitto, per nascondere le prove del genocidio, queste fosse vennero riaperte con le ruspe dagli stessi carnefici e i resti delle vittime trasportati, orribilmente mutilati, in fosse comuni “secondarie”, più piccole, o addirittura “terziarie”. Ci sono casi documentati in cui i resti di una stessa persona sono stati ritrovati in tre o più fosse comuni, anche a più di trenta chilometri di distanza. È una storia che sembra non aver mai fine se consideriamo che ancora oggi ci sono fosse comuni che continuano a essere rinvenute. Nel 2003, ottavo anniversario del massacro, l’ex Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton inaugurò il Memoriale di Potočari. L’anno dopo, il 19 aprile 2004, il Tribunale internazionale dell’Aja per l’ex Jugoslavia (Tpi) definì quello di Srebrenica un “genocidio”. Quasi tre anni dopo, il 26 febbraio 2007, la Corte internazionale di giustizia dell’Aja negò le responsabilità dirette della Serbia, asserendo che l’unica colpa di Belgrado fu non aver fatto tutto il necessario per prevenirlo. La Corte, con la medesima sentenza negò i diritti al risarcimento per i famigliari delle vittime.

Una tragedia che pesa sulla storia delle Nazioni UniteRestarono le tombe, il ricordo di uccisioni, saccheggi, violenze, torture, sequestri, detenzione illegale e sterminio. Impossibile sciogliere quel grumo di indicibile dolore. Era evidente che l’Unione europea desiderasse assicurare alla decisione dell’Aja lo status di “chiusura della pagina bellica sui Balcani”. La prima reazione di Javier Solana (all’epoca Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione Europea) fu più che chiara: “la sentenza contribuirà alla chiusura del dibattito sulla drammatica storia che è stata dolorosa e dannosa per molti…” E aggiunse, quasi avesse posato una lapide, che “la più alta corte al mondo, alla fine, ha chiuso questa pagina”. Non era però la verità. “I tragici fatti dei Balcani continuano, non si esauriscono nel ricordo come avviene per altri. Chi li ha vissuti, chi ne è stato vittima, non li dimentica facilmente. Chi per tanto tempo è stato immerso in essi non può cancellarli dalla memoria”: così scrisse con amara saggezza, nella prefazione al libro “Al di là del caos”, Predrag Matvejevic. Eppure, finita la guerra, la comunità internazionale sembrava aver almeno intuito la gravità dei fatti e delle proprie responsabilità. Secondo Richard Holbrooke, artefice degli accordi di Dayton, Srebrenica fu la prova “dell’insuccesso della Nato, dell’Occidente e delle forze di pace dell’Onu”. “La tragedia di Srebrenica peserà sempre sulla storia delle Nazioni Unite”, chiosava Mark Brown, in rappresentanza del segretario generale Kofi Annan, che aveva pronunciato la stessa frase a Sarajevo nel 1999.

Ergastolo per i boia Radovan Karadžić e Ratko MladićParlando di “una delle pagine più oscure della storia europea”, l’allora ministro degli esteri britannico Jack Straw esprimeva la propria amarezza per quella che era stata “una vera vergogna per la comunità internazionale: l’aver permesso che questo male accadesse davanti ai nostri occhi”. Persino l’ambasciatore degli Stati Uniti a Sarajevo, Richard Prosper, nell’intento di quadrare il cerchio, dichiarò, nel corso di una conferenza stampa tenutasi nel 2005 che “la responsabilità per i fatti di dieci anni fa a Srebrenica è anche della comunità internazionale, e che l’attuale amministrazione americana è risoluta ad agire ogni qualvolta eventi di questo tipo possano accadere”. Commenti a parte restano alcuni fatti. Radovan Karadžić e Ratko Mladić, i due principali boia, sono stati condannati all’ergastolo per genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra. Altri non hanno pagato per i loro crimini e, con il tempo, si tende a rimuovere, dimenticare. Ci sarà mai una giustizia piena? Ventisette anni dopo rimane l’amara sensazione di ingiustizia e di impotenza nei sopravvissuti e un pericoloso messaggio di impunità per parecchi dei carnefici di allora, in molti casi ancora a piede libero e considerati dagli ultranazionalisti alla stregua degli “eroi”.

Il grido delle madri: “Odgovornost”, responsabilitàÈ sufficiente un rapido sguardo a cosa accade attorno a noi per comprendere che da quel dramma non è stato tratto granché d’insegnamento. Dall’Ucraina ai tanti conflitti ai quattro angoli del mondo, spesso dimenticati. In tutti questi anni in molti ci siamo impegnati a raccontare ciò che accadde a Srebrenica affinché il grido di madri, mogli e figlie di chi venne ucciso nella città “dell’argento e del sangue” non resti inascoltato. Da anni queste donne coraggiose, durante le loro proteste non violente che si svolgono l’undici di ogni mese a Tuzla srotolando gli striscioni composti di federe ricamate con i nomi dei loro cari scomparsi, pronunciano una parola: “Odgovornost”, responsabilità. Chiedono verità e giustizia, accertamento delle responsabilità, condanne per tutti i criminali. È un modo per offrire voce e forza a queste donne. Questi ventisette anni post bellici in Bosnia, in quello che era il cuore più jugoslavo della Jugoslavia, è capitato di tutto dopo la “pace fredda”: crisi economica, speculazione, aumento delle disuguaglianze, criminalità e corruzione. Accompagnate dalla mancata o ritardata e parziale giustizia, dall’impunità dei colpevoli alla frustrazione delle vittime, spesso obbligati – gli uni e le altre – a vivere fianco a fianco.

Negazionismo come strategia di StatoIl potere costituito vorrebbe dimenticare e far dimenticare cosa accadde. Cosa c’è di più catartico che omettere, nascondere responsabilità su crimini e aberrazioni? Un genocidio non avviene a caso, non è il frutto di un incidente, di un raptus dentro una logica violenta. Da più di cinque lustri, i serbi bosniaci e la Serbia si sono impegnati a negarlo, classificando ciò che accadde come uno dei tanti crimini che vengono commessi durante un conflitto. Il negazionismo è diventato una sorta di strategia di Stato. Qualcosa di simile ad una auto-assoluzione considerato il fatto che molti degli attuali politici sono le stesse persone che avevano qualche responsabilità o ruolo pubblico all’epoca del genocidio. E la loro ideologia è ancora la stessa: un marcato nazionalismo che, negando i fatti, nega le proprie colpe e continua a provocare dolore e sconcerto alle vittime di tanta violenza. Sono queste le ragioni che obbligano a ricordare, con maggior tenacia di prima, la tragedia balcanica di Srebrenica e di tutte le altre realtà dove si consumarono delitti, pulizia etnica, stupri di massa.

 * Marco Travaglini è autore del libro “Bosnia, l’Europa di mezzo. Viaggio tra guerra e pace, tra Oriente e Occidente”, edito dalla casa editrice Infinito, con la prefazione degli storici Gianni Oliva e Donatella Sasso. La foto è di Paolo Siccardi 

L’isola del libro / Speciale Joyce Maynard

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Credo valga la pena approfondire la vita e le opere di questa scrittrice e giornalista americana 68enne.

E’ nata il 5 novembre 1953 a Durham, nel New Hampshire, da Fredelle Bruser – giornalista, scrittrice ed insegnante- e Max Maynard –pittore e professore di inglese all’Università del New Hampshire- fratello del più famoso teologo Theodore Maynard.

Joyce rivela molto presto il talento nella scrittura, vincendo premi scolastici; ma la sua carriera giornalistica vera e propria inizia negli anni 70 quando collabora, tra le varie testate, anche con “The New York Times” e “Mademoiselle”.

Negli anni 80 amplia il suo orizzonte e decolla con successo sulle ali della narrativa con il libro di esordio “Baby love” (1981).

Ottiene una forte eco mediatica ed attira un’attenzione particolare nel 1998 con la pubblicazione del memoir “At home in the world”, in cui mette nero su bianco la sua relazione con il mitico e misterioso J.D. Salinger, l’autore de “Il giovane Holden” letto e amato da intere generazioni.

I fatti di cui racconta la Maynard risalgono a molti anni prima; al 1972 quando lei aveva 18 anni e studiava a Yale.

Il 23 aprile di quell’anno il “New York Magazine” aveva pubblicato un suo lungo articolo “An 18-year-old looks back on life”, scatenando orde di ammiratori, genitori infuriati, ma anche editori e fotografi che volevano conoscerla meglio.

All’epoca Salinger aveva 53 anni e le scrisse una lettera in cui, oltre a complimentarsi per la scrittura, l’avvertiva anche dei rischi e pericoli derivanti dalla celebrità; seguirà poi una serrata e fitta corrispondenza tra i due.

Le cose prendono una piega più decisa quando lei si trasferisce a casa di lui nel fortino di Cornish, nel New Hampshire, dove Salinger –divorziato dalla moglie dal 1967- si è ritirato dal mondo e trascorre le giornate tra yoga, precetti Zen ed alimentazione super controllata.

Joyce vivrà con lui per 8 mesi –da metà 1972 al marzo dell’anno seguente- poi la storia d’amore viene troncata in modo repentino, brusco e con strascichi che opprimeranno la ragazza. Si terrà tutto dentro fino al 1998 quando decide di raccontare anche le pieghe più nascoste dello scrittore, delineando un quadro poco lusinghiero.

Ad aggiungere carne sul fuoco c’è anche la voce dei detrattori della Maynard che l’additano per aver messo all’asta e venduto a caro prezzo le lettere che Salinger le aveva inviato; acquistate per più di 150.000 dollari dall’informatico Peter Norton che le restituisce allo scrittore.

L’uscita di questo libro scatena polemiche anche durissime, la Maynard è accusata di aver sfruttato l’occasione; la sua carriera è vittima degli anatemi di parte del mondo culturale americano. Una specie di peccato originale che la scrittrice si porterà addosso, rea di avere intaccato il mito di J.D. Salinger.

In successive interviste la Maynard chiarisce di essersi tenuta tutto dentro ed aver protetto la storia per troppo tempo; quando sua figlia ha compiuto 18 anni, ha capito che il momento di scriverne era arrivato.

Chiarisce anche che ha raccontato la liaison con il mito Salinger in modo scrupoloso, senza dare giudizi o interpretazioni, lasciando che fossero i lettori a concludere che lo scrittore aveva avuto un atteggiamento predatorio. E supporta la sua esperienza citando altre giovani donne che avevano intrattenuto una corrispondenza con lui; tutte fragili e accomunate dall’assenza dei padri, coni d’ombra che lo scrittore individuava subito e in quegli spazi vuoti riusciva ad infilarsi e manovrare.

Nel corso della sua carriera la Maynard ha pubblicato 17 libri e da due sono stati tratti dei film; l’ultimo nel 2013 ispirato a “Un giorno come tanti” (pubblicato nel 2009) diretto da Jason Reitman e interpretato da Kate Winslet e Josh Brolin.

 

L’albero della nostra vita” -NNEditore- euro 20,00

Il romanzo da poco pubblicato in Italia è uno dei più ambiziosi della Maynard, ed anche parecchio autobiografico.

Sono molte le analogie con la sua vita: anche lei, poco più che 20enne, con i proventi dei suoi libri si era comprata una casa a Hillsborough nel New Hampshire. Ha sposato un artista ed avuto tre figli; quando poi si è separata la sua fattoria è rimasta all’ex marito e lei si è trasferita altrove con la prole.

Però nessuno dei suoi figli è stato vittima di un incidente come quello narrato nel libro, né ha cambiato sesso.

Detto questo…il romanzo è bellissimo, profondo, a tratti struggente.

E’ la storia di una donna, Eleanor, dei suoi desideri realizzati nella famiglia che tanto voleva costruire; poi ci sono i ripetuti colpi bassi che la vita le ha inferto.

A inizio romanzo la incontriamo negli anni 70, giovane illustratrice di libri per bambini di un certo successo che le consente libertà e indipendenza. E’ abituata a cavarsela da sola, anche perché è figlia unica di due genitori che si adorano e vivono l’uno per l’altro, mentre lei si è sempre sentita un’intrusa nel loro menage.

Forse è anche per questo senso di esclusione impresso nell’ anima che Eleanor, nella sua fattoria del New Hampshire, sogna una famiglia tutta sua e su basi totalmente diverse. Quando si innamora del giovane Cam il gioco è fatto: tra i due l’intesa è perfetta, si sposano e nell’arco di poco tempo nascono tre figli.

Sono Allison, Ursula e Toby, ai quali i genitori regalano un’infanzia spensierata, piena di amore, scoperte ed avventure nella natura che circonda la casa di campagna. A tirare avanti la baracca è soprattutto Eleanor con il suo lavoro, mentre Cam fatica a trovare un’occupazione stabile e si arrabatta come può.

Poi irrompe la tragedia; un giorno Cam perde di vista Toby che viene trovato svenuto a testa in giù nel laghetto vicino casa, con le tasche appesantite dalle pietre che tanto amava raccogliere. Salvato per miracolo non sarà mai più lo stesso a causa del danno cerebrale provocato dalla carenza di ossigeno patita.

Eleanor ritiene Cam responsabile e non riesce proprio a perdonarlo. Il resto è sfacelo completo e sfilacciarsi di rapporti.

Cam si scopre innamorato dell’appena maggiorenne Coco, la babysitter dei suoi figli e la sposa. Eleanor se ne va e dapprima ottiene l’affidamento condiviso dei figli.

E le cose andranno sempre più in pezzi.

Cam sembra aver cancellato il loro passato insieme, neanche più le rivolge la parola e le crepe si apriranno anche nei rapporti con Allison, Ursula e Toby che, crescendo divisi tra due fuochi, propenderanno sempre più per il padre e la nuova moglie. La nascita di un fratellino (che non chiameranno mai fratellastro) spinge ulteriormente al distacco, con la scusa che Toby è felice di avere un bimbo con cui giocare.

Il resto è un susseguirsi di malintesi, (i figli pensano che sia stata Eleanor ad essersene andata spezzando la famiglia), rancori, incomprensioni, adolescenze complicate, rapporti umani sempre più difficili tra madre e figlie adolescenti e ……molte cose ancora cambieranno nella vita di questi personaggi. Un romanzo magnifico che racconta la vita e la complessità dei rapporti affettivi.

 

Il meglio di noi” -Nutrimenti- euro 18,00

Poco più di 400 pagine che vi afferrano per non mollarvi più, con il racconto di una fase della vita della Maynard doloroso ma anche intensissimo, che sciorina temi portanti quali l’amore, la morte, il caso e il disperato tentativo di contrastarlo.

Un memoir ad alto impatto emotivo in cui racconta come nel 2011, quando aveva 58 anni, attraverso un sito d’incontri conosce l’avvocato 59enne Jim Barringer. Dalla loro prima telefonata scatta subito un feeling raro e prezioso, che apre l’orizzonte a due persone che si intendono a meraviglia, si piacciono da tutti i punti di vista, a partire da quello fisico. L’anno dopo sono marito e moglie e lei sente di aver sposato «…il primo vero compagno che ho mai avuto». Madre di tre figli, separata e single dall’età di 36 anni, dopo una lunga serie di incontri deludenti, non aveva certo previsto una simile svolta.

Lei e Jim, sebbene diversi in molteplici cose, condividono quella rara magica alchimia in cui sono miscelati: rispetto dei reciproci spazi, profonda comprensione, amore per le semplici gioie della vita, come i viaggi, le escursioni o intime cenette. Soprattutto, Jim la fa sentire amata, capita e incoraggiata nella propria ricerca di indipendenza, gratificata per i suoi successi. Insomma l’amore e il rapporto che tutti vorrebbero avere, ma piuttosto raro.

Una gioia di vivere a due che inciampa in un destino bastardo, perché dopo 4 anni e mezzo, un calvario fatto di alti e bassi, di speranze e rese, Jim le viene portato via da un tumore al pancreas che non perdona.

La Maynard rivela la sua grandezza nel ripercorrere -senza retorica, piagnistei o cadute di stile- un sentimento che travalica anche la morte. Quello di due anime gemelle che si riconoscono e alle quali è concesso un breve tratto di strada insieme, in cui sono un tutt’uno che vale più di mille lunghissime vite.

 

L’ombra degli Havilland” -HarperCollins- euro 9,90

E’ un’altra storia coinvolgente, di quelle che ci incollano alle pagine con la suspense continua e l’attesa di vedere svelata una verità sottesa, ma che aleggia nell’aria fin quasi da subito. Potremmo definirlo il magistrale racconto di un sottile plagio, di una dipendenza emotiva ed affettiva che finisce per condizionare tutta la vicenda e relega in un angolino la capacità di giudizio della protagonista.

Helen è una giovane donna, separata e madre di un figlio piccolo che le viene portato via dalla legge, dopo che era stata fermata alla guida dell’auto con un tasso alcolico superiore a quello consentito. Dichiarata inidonea ad esercitare il ruolo genitoriale, il tribunale le toglie la custodia del piccolo Ollie e lo affida al padre, a sua volta risposato e in attesa di un figlio dalla nuova compagna.

Helen precipita in un periodo difficile e non le resta che rigare dritto, partecipare a gruppi di sostegno degli alcolisti anonimi, lottare per riavere quel figlio che tanto ama ed è il centro della sua vita. E’ in questa condizione di profonda fragilità che viene risucchiata nella tela degli Havilland, fagocitata come un insetto da un ragno micidiale.

Swift e Olivia Havilland sono una brillante coppia di ricchissimi filantropi; lei bellissima e affascinante è relegata su una carrozzina, lui è un narcisista mascherato di bontà. Insieme sono una forza della natura: dinamici, intraprendenti, protagonisti di un’ intensa vita sociale, stanno raccogliendo soldi a palate per la loro Onlus che tutela gli animali.

E’ soprattutto Ava ad insinuarsi nell’anima e nel quotidiano di Helen: la coinvolge in mille iniziative, pretende di sapere tutto della sua vita e lancia sottesi giudizi un po’ su tutto. La solitudine che prima attanagliava la giovane, viene come dissolta dall’amicizia con quella coppia che sembra perfetta e in piena sintonia.

L’idillio inizia a scricchiolare quando Helen incontra un uomo che la sommerge di attenzioni ed amore. E’ Elliot, solido e affidabile commercialista che le fa una corte serrata; ma la cosa disturba parecchio gli Havilland.

Le cose si complicano ulteriormente quando Elliot, protettivo e perspicace, fiuta qualcosa di poco chiaro negli affari della coppia. Ed è un’esplosione di screzi, incomprensioni, dubbi, e una sleale competizione degli Havilland nell’accaparrarsi l’affetto di Helen.

 

Dopo di lei” -Harlequin Mondadori- euro 16,00

Non è un vero e proprio thriller anche se le vittime ci sono; giovani donne che perdono la vita in modo sospetto.

Piuttosto è centrale la storia di due sorelle che vivono poco a nord di San Francisco, nella Contea di Marin, il loro rapporto e quello con il padre poliziotto.

Rachel non è più una bambina ma neanche ha ancora raggiunto lo status di ragazza, comunque è in quella fase da 13enne in cui si sogna ad occhi aperti e immagina una realtà virtuale in cui tutto appare possibile.

Adora la sorellina più piccola, Patty, compagna di vita ed avventure, migliore amica e complice di giochi e scorribande.

Entrambe stravedono per il padre che ammirano, anche perché fascinoso e bello come un attore hollywoodiano. Più spigoloso è invece il rapporto con la madre: depressa cronica, che si arrabatta come può e non è capace di tenersi il marito.

Rachel e Patty sono abituate a scorrazzare tra le montagne, teatro di scarpinate e scoperte continue. Poi proprio in quell’oasi della natura vengono assassinate giovani donne.

Siamo nell’estate del 1979, le indagini sono difficili, affidate al padre detective che diventa il centro dell’attenzione mediatica; cronisti e fotografi lo assediano, e nel vortice vengono risucchiate di riflesso anche le sue figlie.

Improvvisamente balzano al vertice della top ten delle ragazze più popolari, ambite come amiche e magari anche qualcosina di più.

E quando il padre sembra arenarsi in una serie di vicoli ciechi e fallimenti, ecco che Rachel decide di scendere in campo e indagare a sua volta.

Lei e Patty sguinzagliano ingegno, perspicacia e fantasia e, a modo loro, si mettono sulle tracce del “Killer del tramonto”. Un romanzo che scorre veloce, nell’alternarsi tra crime e storia familiare, fino a un epilogo inaspettato.