MUSIC TALES, LA RUBRICA MUSICALE
“Quindi, anche se potessi, non tornerei al punto di partenza
So che stai ancora aspettando, chiedendoti dove sia il mio cuore
Preghi che le cose non cambino, ma la parte più difficile è che ti stai rendendo conto che forse io, forse non sono la stessa
e quello che stai aspettando non c’è più, comunque”
Non c’è troppo da dire ancora su Olivia Dean, classe 1999, giovanissima quindi ma molto molto brava a mio parere.
La cantante inglese ha iniziato la sua carriera lavorando in collaborazione con Rudimental .
È stata nominata artista rivoluzionaria dell’anno 2021 da Amazon Music ed ha registrato una versione esclusiva di ” The Christmas Song ” di Nat King Cole per la line-up di Christmas Originals 2021 di Amazon.
Dean è nata nel distretto londinese di Haringey da padre inglese e madre
giamaicano-guyanese ed è cresciuta a Walthamstow .
Ha preso lezioni di teatro musicale e ha partecipato a un coro gospel sin dalla giovane età.
Ha poi frequentato la BRIT School dove si è forgiata per regalarci quel che sentiamo.
Nulla di più di questa chioma meravigliosa dalla voce calda e profonda, almeno per ora, ma mi piace parlare di artisti magari non in vista come i “grandi” conosciuti agli occhi di tutti.
Dare spazio a nuove sonorità, a nuove idee ed ad artisti giovani ed onesti nella rappresentazione dell’arte.
“La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità.”
CHIARA DE CARLO

Buon ascolto di “The hardest part”
https://www.youtube.com/watch?v=72p1VhZhlMU&ab_channel=OliviaDeanVEVO
scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!







Mi piace sempre fare un po’ di dibattito con i miei studenti, parlare, proporre loro delle tematiche su cui riflettere, ascoltare ciò che pensano è non solo stimolante e interessante per entrambe le parti, ma necessario per tenere attiva l’attenzione. Uno degli ultimi argomenti su cui ci siamo impelagati è stato davvero complesso, ma credo che abbia fatto comprendere alla classe quanto l’arte possa essere una materia interdisciplinare, diversificata e soprattutto ampia. La riflessione riguardava il concetto di “damnatio memoriae”, e il fatto che in tempi antichi non destasse tanto scalpore la distruzione di opere d’arte; tali accadimenti erano motivati da varie ragioni, politiche prima di tutto, ma anche religiose. Il discorso si è poi allargato e ci siamo ritrovati a dibattere sulla complessa questione dell’arte come “atto distruttivo”.
Questa modalità di rappresentazione del movimento risulta totalmente nuova e avrà larga eco nelle figurazioni grafiche dei fumetti. Il ritmo del moto viene sottolineato e accentuato da linee curve, oblique, ondulate o a spirale, che accompagnano il soggetto nella sua traiettoria, come a visualizzare le “scie” delle parti che fendono l’aria. I futuristi, oltre a preferire soggetti dinamici, amano l’uso di colori intensi e vivaci, contrapponendosi ai cubisti, che privilegiano tinte smorzate o monocrome e soggetti statici.




Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Conosciamo il passato della madre, del padre, dei nonni, delle amicizie con persone di varie tradizioni, religioni e lingue, che si amalgamavano senza attriti in un cosmopolitismo affascinante.
In queste pagine Catherine Dunne (nata a Dublino nel 1954) affronta e affonda la sua mirabile penna nelle spire del dramma degli istituti per ragazze madri e rimanda a una pagina orribile della storia irlandese. Dal 1922 al 1998 circa 56 mila donne furono recluse nelle “Mothers and baby homes”, istituti gestiti prevalentemente dalla Chiesa in accordo con lo Stato. Simili a dei lager dove, sullo sfondo della cattolicissima e bigotta Irlanda, le giovani donne incappate nell’incidente di una gravidanza imprevista erano praticamente detenute.
L’autrice della fortunata “Saga dei Cazalet” ha scritto questo romanzo durante i primi anni del suo matrimonio con Kingsley Amis, imbastendo una trama che ruota intorno alla felicità di una coppia quarantenne che vive vicino a Londra, infranta dall’arrivo di una terza incomoda.
In questo romanzo la scrittrice austriaca (nata nel 1947) ha ricostruito la vita della nonna, e lo ha fatto superati i 70 anni nel 2020 in uno scorrevole memoir su cui aleggia l’alone della fiaba.
Settanta opere, piccole e grandi tele, sculture minuscole e di estrema raffinatezza (“La pleureuse”, 1875 – 1878, di Giuseppe Grandi), otto sezioni, i maggiori protagonisti della cultura figurativa ottocentesca attivi a Milano, le vicende storiche che sono trascorse dal Regno napoleonico all’austriaco Lombardo Veneto, dalle rivolte popolari (con l’immancabile Bossoli) sino alle guerre indipendentiste, sino alla liberazione del 1859. Le visioni di una capitale meneghina ancora chiusa dentro sue certe strutture quattrocentesche e delle sue trasformazioni verso una città moderna e signorile, ma ancora portatrice di inevitabili e ampi grumi di povertà, in cui le differenze sociali si facevano sempre più visibili, una città che negli anni Sessanta vedeva la costruzione della Stazione Centrale, la rivoluzione dell’area di piazza Duomo con la demolizione del Coperto dei Figini, con la costruzione della Galleria e l’ideazione di piazza della Scala sino, dieci anni più tardi, all’abbattimento del Rebecchino, antico isolato davanti alla bela madunina, luogo d’azione dei malandrini dell’epoca. Un percorso che non è soltanto affidato alle arti, ma altresì alla Storia e alla riscoperta visiva di angoli della città ormai mutati o scomparsi del tutto.
“Pittura urbana” (la definizione la si deve ancora al Sacchi) che abbraccia vecchie prospettive, iniziata tra il secondo e il terzo decennio dell’Ottocento dall’alessandrino Giovanni Migliara (che illustra vecchi caseggiati e antichi passeggi, eleganti toilette e venditori, nella “Veduta di piazza del Duomo in Milano”, 1828), lasciando presto il campo ai più giovani ma già sguinzagliati colleghi Luigi Premazzi (“Interno del Duomo”, 1843, un fiorire di colonne e vetrate di eccezionale bellezza, a fronte della monumentalità dell’organo descritto in ogni più significativo particolare), Carlo Canella (“Veduta della corsia del Duomo”, del 1845, l’attuale corso Vittorio Emanuele, un susseguirsi di figure colte nella loro più immediata vita quotidiana, lo stagnaro e la signora con l’ombrellino, le piccole voliere e il loro mercante) e Angelo Inganni con i suoi Navigli innevati del 1852. Un “palcoscenico” abitato altresì dagli “attori protagonisti” della storia milanese di quello scorcio di secolo, l’autore dei “Promessi Sposi” raffigurato da Giuseppe Molteni (un quadro ritrovato di recente), il “Conte Carlo Alfonso Schiaffinati in abito da cacciatore” dell’Arienti e i ritratti di Giovanni Carnovali, comunemente conosciuto come il Piccio, “autore – ci viene chiarito nelle note alla mostra – impegnato fin dalla prima metà degli anni Quaranta in una personalissima ricerca intorno alle potenzialità espressive del colore, figura fondamentale per un primo affrancamento della pittura lombarda da quello che era stato l’indiscusso primato del disegno di matrice classicista.”
La terza sezione contempla la Milano occupata dagli austriaci e poi liberata, nelle tele di Carlo Bossoli, il più sensibile quanto tenace narratore delle Cinque Giornate, e di Baldassarre Verazzi (“Combattimento presso Palazzo Litta”), mentre la successiva guarda alla Storia dalla parte degli umili, soprattutto attraverso i nomi dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno, apprezzati dalla critica come dal pubblico dell’epoca, per il loro squisito sentimento nel raccontare i drammi e le difficoltà del vivere quotidiano di gran parte delle masse. Drammaticamente resa da Domenico con “Lacrime e pane” la povera camera della donna, che raccoglie qualche soldo con i ricami fatti al tombolo, con a fianco la sua bambina, o da Gerolamo con “La scioperatella” del 1851 e soprattutto “La fidanzata del garibaldino”, conosciuta anche come “Triste presentimento”, di vent’anni dopo, anche qui una povera stanza e un letto sfatto, forse una lettera tra le mani che non promette nulla di buono o un’immagine dell’innamorato e un mozzicone di candela, l’unico abitino poggiato sulla seggiola e un catino, il piccolo busto dell’Eroe posto nella nicchia e una riproduzione, alle spalle della protagonista, del “Bacio” di Hayez. Ogni personaggio colto nel suo habitat abituale, interni domestici disadorni, tra le proprie povere cose, quasi sempre immerso in pensieri di ricordi e di indigenza, ogni particolare reso con precisa autenticità, mai vittima di una componente calligrafica fine a se stessa ma di grande, autentico realismo.
Nell’ultima sezione, l’affermazione e il trionfo del linguaggio scapigliato, di Daniele Ranzoni “Giovinetta inglese” e “Ritratto della signora Pisani Dossi” (1880, la leggerezza dell’abito bianco e quegli occhi che paiono dire a chi guarda oggi come allora tutto il rincrescimento nei confronti di un qualcosa non fatto proprio e il dolore assopito del personaggio, uno dei più begli esempi della mostra), di Tranquillo Cremona in primissimo piano a catturare l’attenzione e l’ammirazione, con “La visita al collegio” e soprattutto con un unicum suddiviso tra “Melodia” e “In ascolto”, entrambe datate 1878 ed eseguite su commissione dell’industriale Andrea Ponti, un inno all’azzardo della preparazione, alle zone lasciate alla saggia improvvisazione e al non finito, al sommario, all’evanescente, nel tripudio del “disordine” delle pennellate: “Il pennello tanto squisito del Cremona non si è fermato a determinare che certe parti più importanti della composizione, ma in queste ha messo tutta la squisitezza d’intonazione, della quale ha per così dire una privativa assoluta, e tutta quella gentilezza di figure muliebri che egli solo sa trovare”, fu uno dei giudizi a lui rivolto all’apparire delle opere. La mostra è visitabile sino al 12 marzo 2023: assolutamente da non perdere.