CULTURA E SPETTACOLI Archivi - Pagina 315 di 861 - Il Torinese

CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 315

“Il luogo dell’anima”. Duplice mostra alla Telaccia

Una duplice mostra è  ospitata alla galleria d’arte Malinpensa by Telaccia,  dedicata a Severino del Bono e Rabarama

 

Si intitola “Il luogo dell’anima” la mostra dedicata a Severino del Bono, ospitata alla galleria d’arte Malinpensa by Telaccia, insieme a quella dell’artista e scultrice Rabarama.

Cresciuto in un ambito familiare in cui si respirava già  l’amore per l’arte, Severino del Bono si avvicina e apprende i metodi della tecnica pittorica grazie al fratello maggiore, pittore amatoriale. Era quello il tempo in cui sceglieva i colori per il fratello, un pittore amatoriale affetto da una forma di daltonismo. Ancora bambino iniziò a usare la pittura ad olio e, a partire dai vent’anni, si sarebbe immerso nella pittura, scegliendo la tecnica dell’acrilico su tela e sviluppando la sua continua e ossessiva ricerca estetica  in campo figurativo.

Il suo stile risulta ispirato agli studi sulla luce caravaggesca e all’espressività di Francis Bacon.

Questa esperienza lo porterà  a focalizzarsi, a partire dai primi anni Duemila, sulla figurazione,  concentrandosi sulla trasfigurazione intellettuale dell’anatomia umana e inserendovi una vena intimistica.

Fondamentale nella sua opera la ricerca intorno al rapporto tra la natura umana e l’artificio tecnico, sulla perdita di identità provocata da metamorfosi bioniche cui sono sottoposti corpi e visi. L’artista utilizza cromie acide che veicolano un senso di irrealtà.

Sono i volti di giovani donne il soggetto prediletto da Severino Del Bono. Queste sono ritratte nell’immobilità  ieratica di un algido realismo, ammantate dalla luce della grazia divina e capaci di emanare un’aura di immanente temporalità, che si richiama alla perfezione estetica delle divinità classiche.

Del Bono plasma i tratti fisiologici con la grande abilità escandisce i livelli di luce e ombra, definiti modulando i colori con un’abilità tecnica che nel tempo va perfezionandosi.

L’animo, la psiche e la sua tensione emotiva emergono dalle piccole alterazioni dell’espressione, dettate dalla contrazione delle labbra e dai solchi che solcano la pelle.

“Dietro agli occhi chiusi – spiega l’artista – c’è un chiudersi al di fuori e un aprirsi  al dentro”.

Le sue donne danno vita a nuove modalità percettive. Che abbiano gli occhi chiusi o coperti da oggetti, le sue donne rappresentano un tentativo di sfuggire dalla realtà,  attraverso l’introspezione e fuggendo dal caos quotidiano. Nei suoi ritratti l’artista coglie un luogo in cui è  possibile una silenziosa introspezione.

Lo sguardo delle sue “Dee bendate” viene nascosto e sostituito da vari oggetti simbolici che appaiono in continua metamorfosi e risulta pervaso da una fantasia inesauribile e da una capacità di ispirazione costante in cui lo sfondo dell’opera non invade mai il soggetto, creando un’atmosfera assoluta e una resa prospettica di grande effetto.

Severino Del Bono, servendosi della tempera acrilica su tela, con una magistrale stesura, crea volti di donne iconiche espressi con buon gusto e con una carica emotiva di intenso dialogo pittorico. Le sue immagini sono ironiche e giocate da emozioni e sensazioni continue attraverso le quali Del Bono evidenzia uno stile inconfondibile.

La mostra “Il luogo dell’anima” è  ospitata presso la galleria d’arte Malinpensa by Telaccia dal 4 al 15 ottobre prossimi.

 

MARA MARTELLOTTA

Galleria d’arte Malinpensa by Telaccia

Corso Inghilterra 51.

Orario 10.30-12.30 16-19.

Chiusura il lunedì e i giorni festivi.

Tel 0115628220.

 

 

 

 

Vercelli si prepara a ospitare il “Premio Wilde”

Manca ormai poco alla finale della XVª edizione del concorso europeo di poesia “Premio Wilde” edizione 2022, che si svolgerà a Vercelli il 22 ottobre, nella Sala S.O.M.S”.  L’evento Wilde ormai da anni riceve l’alto patrocinio dell’Osservatorio Parlamentare Europeo e del Consiglio d’Europa.

Tra i poeti finalisti, provenienti da ogni regione, che si sfideranno in questa edizione, saranno ben 14 i piemontesi presenti, saranno infatti gli stessi autori a decantare la loro opera davanti alla III commissione di giuria.

Tra i poeti del nostro territorio, la poetessa canavesana Barbara Barducco di Rivarossa, con l’opera “Il valore delle cose”.

Durante l’evento di finale saranno inoltre assegnati i Vip European Awards 2022, agli artisti Roberto Turatti, produttore musicale e fondatore dei Decibel, scopritore del grande Enrico Ruggeri, e al maestro Lorenzo Maria Bottari, uno dei maggiori rappresentanti della pittura italiana nel mondo. Tra autorevoli esponenti che presenzieranno, anche l’ex Ministro dell’Istruzione.

I cinquant’anni de La donna della domenica

Cinquant’anni fa usciva nelle librerie, edito da Mondadori, “La donna della domenica”, il primo e il più popolare dei libri di Fruttero & Lucentini, che secondo gli esperti del genere va considerato il capostipite del “giallo italiano”.

Il romanzo è ambientato nella Torino degli anni Settanta, città che per cerri versi va considerata come la vera protagonista con tutte le sue luci e le ombre, descritta nei dettagli, resa reale in ogni sua piega, sintesi e rappresentazione della vita italiana di quegli anni. La trama è abbastanza nota. Nel suo pied-à-terre viene ucciso con un’arma del tutto originale l’architetto Garrone  un personaggio sordido che vive di espedienti e fa parte di una sorta di “teatrino privato” nel quale Anna Carla Dosio, la moglie di un ricco industriale, e Massimo Campi, giovane omosessuale della buona borghesia, deplorano i vizi, le ostentazioni e la volgarità dei loro conoscenti. Il commissario Santamaria si trova così a indagare tra l’ipocrisia, le assurde velleità e i chiacchiericci che animano il mondo della borghesia piemontese, tra professionisti dalla doppia vita, dame dell’alta società dal fascino snob, e industriali con pochi scrupoli. Pagina dopo pagina si scopre che la vera indagine non è tanto quella tesa a scovare il colpevole quanto il desiderio di svelare vizi e difetti di una società dove regna la doppiezza. Si passa così dalla noia di ricchi imprenditori, alla stanca relazione omosessuale che trascina avanti Massimo Campi, al disprezzo di quell’ambiente di parvenu per i meridionali immigrati e per i ceti più popolari che vivono nei quartieri della città della Fiat. Si intuisce così che Torino, in apparenza ordinata e precisa fino ad essere noiosa, nasconde un cuore malefico e folle. E sono gli stessi autori a far riflettere nel libro il commissario Santamaria, sostenendo come “altre città regalavano al primo venuto splendori e incantamenti, esaltanti proiezioni verso il passato o l’avvenire, febbrili pulsazioni, squisiti stimoli e diversivi; altre ancora offrivano riparo, consolazione, convivialità immediate. Ma per chi, come lui, preferiva vivere senza montarsi la testa, Torino, doveva riconoscerlo, era tagliata e squadrata su misura. A nessuno, qui, era consentito farsi illusioni: ci si ritrovava sempre, secondo la feroce immagine dei nativi, al pian dii babi, al livello di rospi”. Dal libro è stato tratto anche un celebre, omonimo film diretto da Luigi Comencini e sceneggiato da Age e Scarpelli nel 1975 con Marcello Mastroianni (Santamaria), Jacqueline Bisset (Anna Carla Dosio), Jean-Louis Trintignant (Massimo Campi), Lina Volonghi (Ines Tabusso), Claudio Gora (Garrone), Aldo Reggiani, Pino Caruso, Omero Antonutti.

Marco Travaglini

A Torino la mostra dedicata a Frida Kahlo al Mastio della Cittadella che riapre al pubblico

/

  Frida Kahlo Il Caos Dentro al Museo Storico Nazionale d’Artiglieria

 dal 1° ottobre al 26 febbraio 2023, per il progetto di riqualificazione di Difesa Servizi

 

Aprirà al pubblico domani, sabato 1° ottobre, al Museo Storico Nazionale d’Artiglieria presso l’antico Mastio della Cittadella, la mostra Frida Kahlo – Il Caos Dentro. L’esposizione dedicata alla grande pittrice messicana scomparsa 67 anni fa, prodotta da Navigare srl, rappresenta il primo Progetto di valorizzazione da parte di Difesa Servizi S.p.A., società in house del Ministero della Difesa, con lo scopo di rendere fruibile al cittadino l’importante patrimonio storico – culturale dei Musei Militari italiani. 

 

 Questa mattina, alla presenza del Generale di Divisione Mauro D’Ubaldi – Comandante della formazione e della scuola di applicazione dell’Esercito, di Luca Andreoli, Direttore Generale di Difesa Servizi Spa, del Console del Messico Alessandra Giani e di Gerardo Demo,  Direttore del Museo Mastio della Cittadella, si è svolta la conferenza stampa di presentazione della mostra che ha svelato i contenuti della rassegna disposta su oltre 3.000 metri quadri, occupando tre piani della fortezza sabauda.

 

  “La mostra Frida Kahlo Il Caos Dentro che si inaugura al Mastio della Cittadella , un luogo magico per la città di Torino – ha spiegato il curatore dell’esposizione, Vincenzo Sanfo -, racconta tutto il percorso della vita di Frida Kahlo attraverso una serie di opere uniche, straordinarie, tra cui  il dipinto realizzato nel 1938: La ragazza con l’aeroplano, un’opera particolare e di grande significato nella storia di Frida Kahlo, per arrivare fino ai rapporti con Massimiliano d’Austria, alla rivoluzione messicana, gli abiti, la vita, la storia , gli amori di una delle icone del nostro tempo“.

 

Curata da Vincenzo Sanfo, Maria Rosso, Antonio Toribio Arévalo Villalba, Milagros Ancheita, Alejandra Matiz e Sergio Uribe, la mostra presenta per la prima volta una innovativa area multimediale divisa in 4 sezioni tematiche: La colonna spezzata, con installazione in 3D; Il viaggio infinito, con nature morte e ritratti; Querido doctorcito, proiezione olografica di Frida in scala reale; e Frida privata, selezione di fotografie stereoscopiche che vedono protagonista Frida negli aspetti più intimi della sua quotidianità, ritratta dal celebre gallerista d’arte americano Julien Lévy che conobbe Frida a New York, diventandone amante negli anni ’30.  

 

Frida Kahlo – Il Caos Dentro raccoglie riproduzioni di numerosi dipinti custoditi soprattutto nei musei di Città del Messico e di New York, ma anche un’opera originale di Frida: il delicato autoritratto Piden Aeroplanos y les dan Alas de Petate (1938). Preziosa è anche la sezione fotografica, nella quale si segnalano gli scatti del noto fotografo colombiano, Leo Matiz, intimo amico di Frida, ma anche quelli di altri celebri “sguardi” del suo tempo, tra i quali: Nickolas Muray, Carl Van Vechten, le fotografe Lucienne Bloch, Imogen Cunningham e Lola Álvarez Bravo, della quale si osserva una particolare immagine di Frida Kahlo sul letto di morte.

 

  La mostra è realizzata con il patrocinio di Regione Piemonte; Comune di Torino; Ambasciata del Messico in Italia; CCIAA di Torino; Consolato del Messico a Torino; Consolato del Messico a Milano; Camera di Commercio italiana in Messico, in collaborazione con il Museo Storico Nazionale d’Artiglieria di Torino, Difesa Servizi. La mostra sarà aperta dal lunedì al venerdì ore 9:30 -19:30 e sabato, domenica e festivi ore 9:30 – 21:00. Info, prenotazioni e costi biglietti: https://mostrafridakahlo.it/

 

Nuova sede: Flashback Habitat, il progetto culturale in Borgo Crimea

La X edizione della fiera dove l’arte è tutta contemporanea, annuncia le novità e i progetti 

La manifestazione, in programma dal 3 al 6 novembre 2022, propone le opere di un selezionato gruppo di gallerie sia italiane che straniere e sviluppa, nell’ambito del tema he.art, diversi progetti che animeranno Flashback Habitat, la nuova sede in Borgo Crimea.


Flashback Habitat, Ecosistema per le Culture Contemporanee

Il progetto, con la direzione artistica di Alessandro Bulgini, concretizza l’intento già sviluppato di far entrare l’arte nella quotidianità di ciascuno di noi e di ridare vita a quanto è stato ignorato, trascurato, siano esse opere, luoghi o persone. Con la creazione di Flashback Habitat si innesca un processo di riqualificazione urbana in Borgo Crimea che ha l’obiettivo di rigenerare più di 20.000 mq di spazio attualmente in disuso dato in concessione all’Associazione e immerso in una grande e potente area verde.

Il termine habitat indica il posto in cui “abitiamo”, viviamo e cresciamo, quel luogo inserito in un ecosistema dove interagiamo tra di noi e l’ambiente che ci circonda; Flashback Habitat è quindi l’ambiente dedicato all’arte e alla cultura dove sviluppiamo la nostra creatività e troviamo quel nutrimento essenziale per l’anima, un luogo parte di un ecosistema aperto. L’idea di base dell’hub è di ospitare progetti che possano spaziare tra le arti contemplando l’interazione tra le culture, attraverso la multidisciplinarietà, di creare un luogo dove fruire contenuti, crearne e imparare, dove incontrarsi, discutere e far vibrare energie creative, anche dedicando un’area all’incontro, alla ristorazione e all’acquisto e consultazione di libri. 

L’arte poliedrica di Sara Lisanti in mostra alla libreria torinese Belgravia

Sara Lisanti, protagonista di una personale che si inaugura alla libreria Belgravia il 3 ottobre prossimo, salernitana di nascita, risulta un’artista poliedrica, che affianca alle sue opere una specializzazione come trapezista, avendo frequentato la scuola torinese Flic.

L’artista, che ha realizzato opere utilizzando materiali quali il calco di gesso, non si sente totalmente consapevole in merito alle origini della sua arte e non è neanche del tutto convinta che si tratti di vera e propria arte. La considera, piuttosto, un residuo di emozioni che percorrono l’anima e si depositano in una sorta di scrigno. La sua espressione artistica rappresenta, per lei, una cicatrice dell’anima, analogamente a quando il corpo umano viene trapassato da una freccia.

“Suppongo – afferma Sara Lisanti – che questo residuo di emozioni si sia iniziato a sviluppare già al momento della nascita della mia anima quando essa, vergine, ha iniziato a sporcarsi, spaccarsi, ritirarsi, darsi, sporcarsi, spaccarsi, darsi, ritirarsi. Indurirsi.

Le mie opere sono la voce del mio malcontento e rappresentano il racconto della componente che in me  “muore” piuttosto che quella che in me vive”.

L’artista ritiene che sia sempre presente un’orma, un’ombra di cordoglio ogni volta che ci si racconta attraverso l’arte”.

In modo originale Sara Lisanti definisce l’essere umano come una “teca di souvenir”, con il passato che, per non essere opprimente, richiede di venire metabolizzato.

La sua attività di artista contemporanea risulta fortemente legata alla sua arte quale trapezista; infatti Sara Lisanti esprime nelle sue opere una concezione del corpo che ella definisce quale “dimora dell’anima cui sono appesi i due occhi che rappresentano lo specchio della spiritualità dell’artista”.

Corpo e anima paiono costituire un tutt’uno, in cui il primo divora la seconda e questa, a sua volta, diventa una sorta di tempio. E, come in tutti i templi, ci si immola e si offrono sacrifici.

Tra le opere più significative dell’artista figura quella intitolata “Clown destino”, che rappresenta una sorta di riconoscimento ironico e, al tempo stesso, doloroso che l’artista riversa nella sua creazione. La lampadina rossa ricorda il naso del clown e il bianco il caso che è presente all’interno del destino, ineluttabile e illeggibile. È un’opera ironica anche nel nome ma,contemporaneamente, capace di denunciare una grande inquietudine da parte dell’artista nei confronti del futuro.

Sprigiona un’energia malinconica simboleggiata dal colore rosso acceso del naso.

Si tratta dello stesso naso rosso che, all’interno di un’altra opera concettualmente compresa in “Clown destino”, si trasforma sia in una sorta di energia solare votata al rispetto e alla protezione dei sentimenti più puri e della propria interiore fragilità, che emerge nel momento in cui ci si libera della propria maschera.

Molto evocative sono le opere comprese all’interno di un concetto chiamato dall’artista “amoreux”. Attraverso lo scotch, utilizzato per creare queste forme antropomorfe, simili a piccoli infantibisognosi di protezione, si ricerca un modo per mantenersi sempre integri, di fronte, comunque, all’inevitabilità del destino umano.

È  inoltre una dichiarazione d’amore verso l’intima fragilità, concetto simile all’opera a tutto corpo dell’artista, con un cuore che si mostra al pubblico all’esterno del corpo stesso e, quindi, esposto a possibili ferimenti.

Mara Martellotta

Il suo nome è Jasmine… ma tutti la chiamano Jaz

Un nuovo romanzo è  stato presentato ai Ronchiverdi di Torino, il primo di Giorgio Mortara

È stato presentato ai Ronchiverdi a Torino il primo romanzo di Giorgio Mortara, dal titolo  “Il suo nome è  Jasmine”… ma tutti la chiamano Jazz.

Giorgio Mortara, nato a Torino, vive e lavora quale allenatore di Triathlon presso il centro sportivo Ronchiverdi e ha già pubblicato opere di carattere sportivo, quali “Malato di sport” del 2011 e “Ti allenerai mica anche oggi” del 2012. Qui è  alla sua prima prova narrativa. L’amore può essere una trappola, ma al tempo stesso un sentimento appassionato. Protagonista è Riccardo, un medico di base rassegnato e intrigato dalla vita, che viene sconfitto nel momento in cui Claudia, la moglie, lo lascia per Luca, un avvocato mondano, brillante e sorridente.

Riccardo è  un soggetto poco sorridente che cura i suoi pazienti più  con le parole che con i farmaci. Si consola con la corsa e le cene con i suoi due amici di sempre. Poi giunge in studio Jasmine, che tutti chiamano Jazz.

L’amore tra Riccardo e Jazz scoppia fulmineo e istantaneo, quasi come un uragano dei sensi, che scoperchia passione e ardori, lasciando affiorare qualche corpo estraneo. Leggendo il romanzo ci si potrebbe chiedere se quell’amore così  profondo non nasconda un doppio fondo. Jazz appare sincera o è  forse parte di un progetto che potrebbe portare a fondo lo stesso Riccardo? Il dubbio diventa tormentoso, spasmodico e non consente all’amore di essere sufficiente, in assenza di una verità totale, assoluta, capace di cambiare la vita di tutti.

Il libro affascina per il suo incontro inaspettato, un grande amore e un grande dubbio, la lotta tra razionalità  e sentimento. Si tratta di una vita ordinaria che entra in una nuova dimensione.

Mara Martellotta 

Angela Betta Casale Espone al Circolo degli artisti

Riprende l’attività  con una mostra a ingresso libero, dedicata alla socia pittrice

Si inaugura martedì  4 ottobre prossimo, alle 18, alla Promotrice di Belle Arti di Torino, la mostra dedicata  alla socia pittrice Angela Betta Casale. Si intitola “La strada verso l’altrove”, un viaggio immaginario e, al tempo stesso, immaginato. Sarà visitabile dal lunedì  al sabato dalle 15.30 alle 19.30, presso la Giardineria Reale al Circolo degli Artisti, in corso San Maurizio 6, a Torino.

Ingresso libero.

Sabato 15 ottobre, sempre alle 16, si terrà  la presentazione del libro curato e illustrato dall’artista, dal titolo Città immaginarie  e immaginate”.

MARA MARTELLOTTA

Il Circolo degli Artisti di Torino

La Giardineria Reale. Corso San Maurizio 6

10124 Torino

Tel 0118128718

www.circoloartistitorino.it

La “siccità” invade Roma ma anche i nostri affetti bruciati

Sugli schermi l’ultimo film di Paolo Virzì

Pianeta Cinema a cura di Elio Rabbione

Da tre anni sui tetti e sulle strade non scende una goccia d’acqua, il lungo serpente del Tevere è in secca, il colore della terra s’è sostituito al colore più o meno azzurro delle acque, un reperto archeologico balza fuori all’improvviso – un momento facilmente felliniano -, nello squallore più totale e nella calura avanzano una coppia di giovani, lei su un asino, il loro bambino in braccio, ogni cosa è ingiallita e apocalittica (nella perfezione della fotografia di Luca Bigazzi). Ai lati delle strade le cisterne sono l’immagine del razionamento dell’acqua, le forze dell’ordine tentano di mantenere un ordine che la folla al limite della sopportazione ha una gran voglia di rompere. Non soltanto la mancanza d’acqua, eserciti di blatte come uno dei flagelli d’Egitto infestano ogni ambiente veicolando un’epidemia che ha preso a circolare tra la gente, gli ospedali sono piedi di malati, i medici sono stremati dai turni e dalle continue incombenze.


Questo è il quadro profetico di “Siccità”, ultimo film di Paolo Virzì, catastrofico affresco di questa epoca catastrofica, mosso a dovere dal montaggio di Jacopo Quadri. Scritto a otto mani (con il regista, Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e Paolo Giordano – “La solitudine dei numeri primi” – e sarebbe interessante sapere quale degli sceneggiatori abbia seguito questa traccia piuttosto che quella), il regista livornese torna a uno di quei suoi, un tempo totalmente riusciti, film corali (“Ferie d’agosto” in testa, con quei due gruppi familiari su opposte posizioni politiche aveva tutt’altro spessore, “Tutta la vita davanti” altro successo), coglie con la sua macchina da presa gli affetti bruciati e aridi, la disperazione, la miseria, l’incessante “non me ne frega più di niente”, la fatica di vivere dei suoi personaggi: che hanno in sé il pericolo o decisamente il difetto infelicemente presente di essere troppi, irrisolti, sbiaditi, confusi, approssimativi, di riempire di un peso eccessivo per colpa di un bulimico script il lungo percorso della storia. Di storie, alcune con qualche riuscita in più – i ritratti dolorosi del tassista Valerio Mastandrea, strafatto, che guida in straripante sonnolenza il suo mezzo tra le ombre dei genitori o del politico per cui ha un tempo lavorato, che ripete le chiacchiere di sempre, che glorifica un paese che al contrario sta andando allo sfascio -, della dottoressa Claudia Pandolfi, attrice matura e mai come qui incisiva o di Elena Lietti, ottima, che cerca di reinventare la propria esistenza con una nuova avventura -, altre decisamente buttate via, sciupate – penso al commerciante Max Tortora, un impermeabile lercio addosso, buttato sul lastrico, che si trascina di angolo in angolo con il suo pacchetto di fatture non pagate, pronto a denunciare ogni cosa in tivù o alla superficialissima presenza di Monica Bellucci, da cancellare in quattro e quattr’otto, mentre ci chiediamo con che misura qualcuno lo scarso maggio le abbia dato un David di Donatello alla carriera, mah!  -: le intenzioni possono apparire eguali a quelle del vecchio Altman di “America oggi” o dell’insuperato “Nashville” o del Cronenberg di “Crash” o del Inarritu di “Babel”, ma in quei titoli c’era tutta la robustezza dello scavo psicologico, lo sguardo profondo e la misura giusta, appropriata, determinante per ogni personaggio, la scrittura esatta che era ben lontana dall’appesantire la vicenda o dal renderla a tratti superficiale, quadri di perfezione difficilmente raggiungibili.

Certo resta la critica sociale, l’ironia e il graffio che sono tipici del regista, quell’aria di “Diluvio universale” caro a De SIca che circola attraverso ogni fotogramma, il confronto generazionale con i padri che cercano di riallacciare rapporti, l’ambiente e il tanto sventolato discorso climatico – onesto? non onesto? sincero o messo in pista a seconda della convenienza e del momento? -, le crisi che sono e che verranno. Resta la grande allegoria, la siccità che invade non soltanto la Città Eterna è la medesima siccità che ha invaso i nostri cuori, le nostre esistenze, il nostro quotidiano definitivamente e irrimediabilmente inaridito. Restano le scappatoie, furbe o quasi macabre, che ognuno di noi sa costruirsi, l’”evaso” Silvio Orlando, strappato a Rebibbia dal furgone che trasporta la biancheria sporca dei detenuti e pronto a girare con la sua tanica per la città ma prontissimo a rientrare in cella la sera, l’ex attore Tommaso Ragno soltanto più capace di inorgoglirsi di like che piovono su quanto non smette di postare sui social, il professore Diego Ribon che come troppi suoi colleghi invade gli schermi televisivi a indottrinare schiere di utenti per poi sguazzare bellamente con coppa di champagne e diva accanto nella Jakuzi spaziosa.

“Siccità” aveva tutte le premesse per essere un film interessante e riuscire appieno in un periodo dove s’affacciano pericoli giorno dopo giorno e in un panorama cinematografico che tanto ha bisogno di risollevarsi: nonostante la pioggia finale che diremmo d’obbligo e che è lì a proporre un messaggio positivo su persone e cose, gli nuoce quella frammentarietà, quel disordine narrativo, quella necessità vuota a dire troppe cose.

Elio Rabbione

“Cose nostre” La mafia secondo noi

Spettacolo teatrale dei detenuti del carcere di Saluzzo

Da giovedì 29 settembre a domenica 2 ottobre (ore 15 – ore 17)

Saluzzo (Cuneo)

E’ un appuntamento fisso di ogni mese di settembre. Così anche quest’anno la direzione della Casa di Reclusione “Rodolfo Morandi”di Saluzzo, diventata nel 2019 di “Alta Sicurezza” per volontà del Ministro di Giustizia, apre i cancelli, ad ingresso gratuito, al pubblico che desidera assistere al nuovo spettacolo (ore 15 e, in replica, ore 17) presentato, da giovedì 29 settembre a domenica 2 ottobre, da una trentina di detenuti della Compagnia Teatrale “Voci Erranti”, reso possibile come sempre grazie al contributo della “Fondazione Cassa di Risparmio” di Cuneo. Il tema, su cui i detenuti hanno lavorato con forte passione, si presenta alquanto impegnativo e spinoso. Lo dice lo stesso titolo della rappresentazione: “Cose nostre”. Spiegano i registi Marco Mucaria e Grazia Isoardi: “Lo spettacolo allude al tema della mafia, parola delicata che incute paura, rabbia, indignazione, antipatia e che si preferisce pronunciare il meno possibile o utilizzando la dicitura ‘criminalità organizzata’”. Certamente un fenomeno secolare, analizzato per ogni verso e anche doverosamente e coraggiosamente (quasi sempre) perseguito ma che, nonostante tutto, “rimane ancora oggi, un grande mistero e un tabù”.

Cosa vogliono dunque raccontare i detenuti di Saluzzo? “Il nostro spettacolo vuole essere una sfida – spiegano ancora i registi –che i nostri detenuti hanno accolto in quanto hanno accettato di leggere con ironia alcuni atteggiamenti che li caratterizzano, ridere sulle tragedie non per mancanza di rispetto verso le vittime, né per sminuire le responsabilità individuali e sociali e tanto meno per banalizzare la storia del nostro Paese. Ma anche ridere per iniziare a pronunciare quella parola, per scalfire un po’ l’alone di omertà che l’avvolge, per dire a voce alta ‘noi siamo anche questo’”. E concludono: “I detenuti hanno accettato la sfida, ora tocca a noi volere un reale e concreto cambiamento culturale e sociale per fare in modo che le ‘cose nostre’ diventino patrimonio e responsabilità di tutti”.

Lo spettacolo rientra nella programmazione annuale delle attività dell’Istituto saluzzese, iniziata nel 2020 come attività formativa per un gruppo di venti reclusi e che, nel tempo, si è sviluppata fino a diventare parte di un progetto nazionale coordinato dalla “Compagnia della Fortezza” del carcere di Volterra. Oggi l’attività comprende una formazione annuale per attori, due corsi per tecnici audio-luci e scenografi. Oltre alle rappresentazioni interne all’Istituto Penitenziario, il progetto offre anche repliche in realtà esterne con i detenuti autorizzati all’uscita dal “Magistrato di Sorveglianza” di Cuneo (ci sono anche detenuti che hanno continuato l’esperienza teatrale, una volta concluso il periodo di pena), repliche riservate a studenti e docenti delle scuole nell’ambito dell’iniziativa “Educare alla libertà” e la partecipazione a momenti di formazione con gli studenti dell’“Università” di Torino.

Per info: Casa di Reclusione “Rodolfo Morandi”, Regione Bronda 19/B, Saluzzo (Cuneo); tel. 340/3732192 o 393/9095308 o info@vocierranti.org

g.m.

Nelle foto:

–       Immagine guida  “Cose nostre”

–       Immagine di repertorio