

Filippo Re
E’ iniziata giovedì 9 febbraio la prevendita per l’anteprima giovani de L’Aida di Giuseppe Verdi, riservata al pubblico under 30, in scena venerdì 24 febbraio alle ore 20:00. I biglietti sono disponibili anche online e in biglietteria.
Reduce dal successo dell’anteprima del “Barbiere di Siviglia”, che ha visto protagonisti Rossini e gli Eugenio in Via di Gioia in una serata magica, il Teatro Regio è pronto a condividere una serata di musica, questa volta nel segno di Verdi, e dei torinesi Atlante & Baobab! Ospiti speciali del secondo appuntamento con Contrasti, progetto realizzato dal Teatro Regio e da The GoodnessFactory.
Venerdì 24 febbraio prossimo, il Teatro Regio aprirà le porte a partire dalle ore 19:00, condividendo un aperitivo nel foyer e permettendo di assistere a una breve presentazione spettacolo per entrare nel mondo di Aida, la più celebre storia d’amore ambientata al tempo dei faraoni. Alle ore 20:00 avrà inizio l’Anteprima Giovani di Aida, nel grandioso allestimento del regista William Friedkin, già Premio Oscar per “Il braccio violento della legge”. Si tratterà di un viaggio nel tempo capace di condurre il pubblico nell’antico Egitto. Al termine dell’opera, nel Foyer del Toro, “Contrasti” darà il benvenuto ad Atlante & Baobab, una band torinese formata da Claudio, Andrea e Stefano, capaci di unire l’alt rock all’elettronica, in un vortice febbricitante e introspettivo di suoni che si fonderanno con il pop languido e psichedelico, tipico della sonorità soul & rythm & blues di Gaia, alias Baobab!,cantautrice ventunenne. I primi trecento under 30,che acquisteranno il biglietto per l’anteprima di Aida, potranno assistere anche a “Contrasti”. L’ingresso per l’Anteprima Giovani è riservato agli under 30 e ai minori di 14 anni, accompagnati da un maggiorenne under 30.
L’Aida di Verdi sarà in scena per dieci recite dal 25 febbraio all’8 marzo prossimo. Sul podio dell’Orchestra del Teatro Regio salirà Michele Gamba, quarantenne direttore milanese, molto applaudito per la sua sensibilità dimostrata nella direzione delle opere verdiane e pucciniane.
Michele Gamba affronterà l’imponente partitura di Verdi nel celebrato allestimento del regista William Friedkin, la cui regia è stata ripresa da Riccardo Fracchia. Il cast vede protagonisti artisti italiani e stranieri di livello internazionale, tra cui Angela Meade e Erika Grimaldi, che si alterneranno nel ruolo di Aida; Silvia Beltrami e Anastasia Boldyreva in quello di Amneris; Stefano La Colla e Gaston Rivero in quello di Radames. Il Coro del Teatro Regio è preparato dal Maestro Andrea Secchi.
Negli ultimi dieci anni, in Italia, l’Aida di Verdi è stata allestita più di cento volte, andando in scena in ben 40 teatri di città grandi e piccole, spesso anche all’aperto, nelle piazze, negli anfiteatri e perfino in una cava, in un minuscolo comune della Val d’Ossola. 184 rappresentazioni sono state eseguite all’Arena di Verona, dove fu proposta per la prima volta nell’agosto 1913. La terz’ultima opera di Verdi gode di una popolarità consolidata. La sua prima rappresentazione avvenne al Cairo il 24 dicembre 1871, anche se Verdi considerò la sua vera “prima” di Aida la prima rappresentazione italiana e europea, che ebbe luogo al teatro La Scala l’8 febbraio 1872.L’opera fu commissionata al compositore da Ismail Pascià, Viceré d’Egitto, per celebrare l’apertura del Canale di Suez. Il soggetto originale fu scritto dal grande egittologo francese e primo direttore del Museo Egizio del Cairo Auguste Mariette.
Gli spettatori si emozionano e si commuovono per l’amore infelice e, alla fine, tragico del protagonista con il prode guerriero Radames, e attendono il kolossal nella “Scena del trionfo”, sfolgorante di tube egizie, fatte costruire apposta come desiderava il compositore, nella “Marcia” che tutti conoscono.
Si tratta della parte che Verdi chiamava, con la ruvida franchezza che gli era solita, “Bataclàn” .
Gli amanti della lirica si lasciano avvolgere dalla sontuosità melodica che ha pochi eguali nell’intera produzione per il teatro di questo compositore.
Alla “prima” milanese il successo fu uno dei maggiori ottenuto da un musicista che, da tempo,era considerato una gloria nazionale e fra i più grandi protagonisti a livello mondiale. Julian Budden ricorda, nella sua monografia intitolata “Le opere di Verdi”, come l’attesa per l’Aidafosse talmente febbrile da determinare speculazioni in borsa sul prezzo dei biglietti. Verdi ebbe più di trenta chiamate e, alla fine del secondo atto, gli venne consegnato uno scettro d’oro tempestato di gemme.
Nonostante sia stata accusata da alcuni critici di essere un’opera diseguale e di “wagnerismo”, al centro dell’interesse di Verdi nel comporre l’Aida vi fu l’elemento che egli da tempo riteneva fondamentale: “la parola scenica”, che scolpisce e modella l’azione, determinandone essa stessa il dramma.
Forte di questa concezione, Verdi esercitò un controllo ravvicinatissimo sul lavoro di Ghislanzoni, il librettista, spesso stravolgendone le intenzioni originarie, piegando il testo all’urgenza drammaturgica che lo animava. Aida risulta un’opera eterogenea,divisa tra la magniloquenza del grand-opéra alla francese, con i suoi balli e le sue grandiose scene d’insieme, e l’eloquenza intima e bruciante delle storie private, che si agitano nel contesto politico, religioso e guerresco, sovrastandolo e rendendolo decorazione.
Sulla scena domina il confronto tra due donne: la schiava etiope Aida e la principessa egizia Amneris, accomunate dall’amore per lo stesso uomo e costrette a un confronto disperato e perdente, seppur diverso. Dal punto di vista drammaturgico e espressivo, la protagonista autentica è Amneris, in virtù del percorso psicologico che compie all’interno della storia. L’eroina eponima rimane un’icona patetica e sentimentale, dall’inizio alla fine uguale a se stessa, anche se più caratteristica dell’eroico Radames, il suo amato, che diversi critici hanno considerato generico e sbiadito, anche se Verdi ha a lui riservato alcune delle pagine vocali più celebri di tutta l’opera. Il momento più alto dell’opera rimane il terzo atto, grazie alla sintesi delle ragioni drammatiche e di quelle dell’espressione del sentimento, in cui compare il fiero Amonasro, il padre di Aida. Straordinaria è la pittura strumentale con la quale Verdi riesce a tratteggiare il notturno sul Nilo, in cui si svolge l’azione.
In occasione della messinscena di Aida, Teatro Regio e Museo Egizio hanno stretto un accordo per rendere più accessibili le proprie offerte culturali. Il Museo Egizio offrirà un ingresso scontato a 15 euro anziché 18 ai possessori del biglietto per lo spettacolo “Aida” o di un abbonamento al Teatro Regio che lo includa. Il Teatro Regio offrirà uno sconto del 10% sui biglietti delle recite di “Aida” a tutti i visitatori del Museo Egizio.
Il Teatro Regio devolverà l’incasso della prova generale di “Aida” al sostegno del programma “Viva Verdi”, ricco di iniziative straordinarie in tutta Italia, al fine di acquisire e valorizzare la casa-museo di Giuseppe Verdi a Sant’Agata di Villanova sull’Arda.
MARA MARTELLOTTA
“Trascuro la portata delle cose flessibili,
riordino
su ogni vertebra spezzata
l’intera misura dell’onda
e dall’orecchio
il guaito della conchiglia.”
L’evento prevede una presentazione della raccolta, performance di reading poetico e a seguire dibattito, dove sarà possibile esporre ed esporsi al luogo fertile della domanda, alla possibilità dell’incontro e del confronto, all’interno di Spazio Musa, che attualmente ospita la mostra “Babele”, del curatore Caspar Giorgio Williams.
Saranno inoltre rese disponibili copie per l’acquisto della raccolta Ex Nihilo Nihil Fit.
“Ad una sola azione tende,
che fu il primo
o che sia l’ultimo
con in distinzione, mors –
ne cancella il volto.
E allor se da principio timor di quel che viene ha mosso,
non so consolare
l’animale che piange il morto.”
Concept e voce: Alessia Savoini
Sound e chitarra: Nico Tommasi
Ex Nihilo Nihil Fit è un processo ancora in fase di inseminazione, la parola che svela la parola e ne osserva il dispiegamento, la paura, l’accettazione, l’abbandono, il ritrovamento. La malattia è un accesso a uno sguardo differente e se tutti gli eventi sono neutri, lo spazio interpretativo è l’unico versante in cui scorgere il sintomo della risposta.
“Desiderai tentare la lingua,
gustai
e mordicchiai
il fiore nella mia bocca:
dunque da due dei miei sensi,
queste grandi aperture dell’anima
venne a me tutto il mondo.”
Alessia Savoini, Borgomanero, 1994. I suoi incipit si situano sulla soglia, ogni volta che la parola è stata come sete una promessa del labbro, lingua sul taglio, la sua voce rimarcava presenza. Per dieci anni ha vissuto a Torino, città dove ha sedimentato la conca e conosciuto la prefazione dell’orlo, quello che a maggio 2022 ha costituito una massa d’ombra nel torace e l’ha portata a scrivere Ex nihilo nihil fit. Nel 2010 riceve la sua prima proposta di pubblicazione come vincitrice al premio selezione opere inedite della casa editrice Aletti Editore, con la quale si è aggiudicata i primi posti in classifica in diversi concorsi. Nel giugno 2019 collabora con la rivista filosofica Sovrapposizioni al progetto Eros, nel marzo successivo contribuisce all’uscita del secondo numero cartaceo della stessa, per il progetto Deserto. Nel novembre 2020 la rivista online di poesia Poesiainverso pubblica alcuni suoi frammenti, in seguito cui la rivista d’arte greca Εξιτήριον ne propone una traduzione.
Nico Tommasi, Trento, 1995. La passione per la musica lo accompagna dagli albori, il suo incipit è al clarinetto, “volevo suonare il sax ma non c’era…”. Durante il periodo della scuola media si appassiona di chitarra elettrica e avvia i primi studi con la scuola Lizard Academy, a cui seguirono numerosi concerti all’attivo con band rock e metal. Con il tempo la passione attecchisce e prende la forma delle cose che restano: a quindici anni si incammina nel lungo percorso del conservatorio e della chitarra classica, inizialmente a Riva del Garda, concludendo gli studi a Torino.
Attualmente esibisce un format, Food for fish (cibo per pesci), un progetto in solo che ha la volontà di adattare la musica classica “seriosa” a contesti più abituali e meno formali, “letteralmente dandomi in pasto al pubblico”.
Cancro ascendente sagittario, affianca la passione per la musica a quella del fonico, per cui ha studiato presso la scuola APM di Saluzzo, riuscendo in tal modo a “sopravvivere di arte e mangiando aria per ora”.
Fino al 20 febbraio
Di primo acchito, non appena varcata la soglia del piccolo spazio espositivo al civico 20 di via Giacinto Carena (zona piazza Statuto – San Donato) a Torino, la sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un’essenziale, non vistosa– nei mezzi e nei passi della narrazione – scenografia teatrale. Essenziale, non vistosa, ma certamente intrigante.
E inquietante, anzichenò. Libere, in una sorta di esoterica propiziatoria danza circolare, figure misteriose a-corporali, tessuti intinti di gesso dal color giallo tendente al verdastro, manichini o “fantasmi” benevoli svolazzanti uniti a semicerchio, nell’angolo a prima vista dello spazio d’ingresso di “Osservatorio Futura”, l’Associazione Culturale – raccoglitore e intelligente divulgatore di giovani libere e futuribili proposte artistiche – creata, per passione e per sfida, nel 2020 da Francesca Disconzi e Federico Palumbo, in comune la subalpina “Accademia di Belle Arti”, poi percorsi diversi ma, sempre, attaccata addosso la grande passione per l’arte declinata al futuro. A terra, la figura bianca (altrettanto a-corporale) di un giovane ragazzo dormiente – il viso in calco gessato – su cui svolazza il birbante “fantasmino” dall’aria ironica che pare volerlo destare – braccia e mani aperte – con il suo inatteso e fastidioso “cù – cù”– Dopo il primo, brusco incontro, l’“installazione site-specific” del giovanissimo Leonardo Devito, ti spinge a girarle intorno, a meglio osservarla, a cercare di capirne genesi e senso. Fiorentino, classe ’97, Leonardo vive e lavora a Torino.
Studi all’“Accademia di Belle Arti” di Firenze e all’“Akademie der Bildenden Künste” di Vienna, attualmente è iscritto al biennio di pittura dell’“Accademia Albertina” di Torino e la sua formazione è fortemente legata all’“arte urbana”, che ha praticato negli anni utilizzando lo pseudonimo di “Mehstre”. “Quando ho proposto la mostra a Leonardo Devito – spiega Federico Palumbo, che dell’esposizione è anche curatore – gli ho lanciato immediatamente la suggestione di pensare insieme un progetto espositivo che non avrebbe proposto in nessun altro spazio. E questa, in realtà, più che una suggestione è dalle origini il mantra di ‘Osservatorio Futura’, che proponiamo a tutti gli artisti che lavorano con noi: valorizzare il nostro spazio al suo valore fisiologico di ‘project room’, tenendo astutamente a bada la voglia di scimmiottare gli spazi canonici e/o commerciali, tanto cari al mondo dell’arte più ‘classica’. Da qui è nata l’idea di proporre un’installazione scultorea e, più in generale, di ricerca, rivolta esclusivamente ad essa. Non abbiamo esposto la parte più iconica della produzione di Devito: le opere bidimensionali”. Che sono dipinti e sculture di egregia formazione accademica, dove il “valore” fondamentale della “scuola” si riflette tutto e bene nell’arte del giovane Leonardo. A dimostrazione un piccolo “ben compiuto” bassorilievo in argilla. “love in progress” amore che è dolcezza vitale contrapposta all’installazione ( nata da sogni e filosofie brumose ) e tesa ad “alleggerire – sia visivamente che concettualmente – il ‘mood’ generale dell’opera performativa: due innamorati al parco”. Un esempio chiaro della sua formazione classica di base. Su cui l’artista lavora di testa e di visionaria immaginazione. Illuminante la sua attrazione (non facile a crederci!) per quel Niccolò Dell’Arca (Bari, 1435 – Bologna, 1494), fra i grandi protagonisti della scultura dell’Italia settentrionale del XV secolo, autore del grandioso “Il compianto sul Cristo morto”, custodito nella Chiesa di “Santa Maria della Vita” a Bologna, con le sette “Marie”, maschere atroci di dolore intorno al corpo del Cristo, cui forse ha voluto pensare, non per blasfemia ma per seguire l’istinto di libera anarchia pop – new age, il nostro Devito nella sua “Ghost Dance”. Dove pur anche ritornano memorie legate all’omonima espressione rituale del movimento religioso diffuso fra gli Indiani d’America nella seconda metà del XIX secolo, realizzata nella tradizionale danza a cerchio annunciante “la fine del mondo, il ritorno dei morti e dei bisonti, la scomparsa dei bianchi e l’avvento dell’età dell’oro”.
Nella circolarità di “presenze” e misteriche “assenze”, in cui passato e futuro si annunciavano e fra loro comunicavano attraverso i suoni e i ritmi del presente. Sfuggenti filosofie, fatte proprie anche nei versi della “Ghost Dance” (1978, in “Easter”) cantata-recitata dalla “sacerdotessa maudite del rock” Patti Smith: “Eccoci qui, Padre, Signore, Spirito Santo/Pane del tuo pane, fantasma del tuo ospite/ Siamo le lacrime che sono scese dai vostri occhi/ Parola della vostra parola, pianto del vostro pianto. Vivremo ancora, vivremo ancora/Vivremo ancora”. Versi ben noti al giovane Devito e forse “traccia” non da poco al suo lavoro.
La mostra è visitabile solo su appuntamento tramite mail o sui social di “Osservatorio Futura”: www.osservatoriofutura.it o info@osservatoriofutura.it
Gianni Milani
“Ghost Dance”
“Osservatorio Futura”, via Giacinto Carena 20, Torino. Fino al 20 febbraio
Nelle foto di Davide D’Ambra: Federico Palumbo in una fase dell’allestimento, particolari da “Ghost Dance” e “Due innamorati al parco”, bassorilievo in argilla”.
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Una sceneggiatura e una regia perfette, due attori pronti per gli Oscar
C’è un’immagine suggestiva quanto emblematica ad aprire “Gli spiriti dell’isola” di Marrtin McDonagh – nato a Londra ma di origini irlandesi, drammaturgo, cui già lo Stabile genovese prestò negli anni a cavallo del nuovo millennio una precisa attenzione, prima che sceneggiatore e regista ormai consacrato che qui rischia di appropriarsi delle maggiori statuette ai prossimi Oscar (sono ben nove le candidature), ma già premiato per la miglior sceneggiatura originale ai Golden Globe, come era accaduto per “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” ormai cinque anni fa. Una tavolozza dove campeggia un bel verde compatto, una distesa di terreno ripresa dall’alto, immersa in un paesaggio quasi irreale di scogliere e rocce e sentieri impervi, un unicum che potrebbe dare al primo sguardo il senso della singolarità se non fosse per quella spezzettatura, per quei solchi neri e avvallati che la attraversano e che la rendono lo specchio della frammentarietà. Come frammentario è quel minuscolo villaggio sparso a guardare il mare della immaginaria isola di Inisherin, di fronte a quell’Irlanda del 1923 da cui arrivano come una eco le ultime esplosioni e gli spari della guerra civile; come frammentari, disuniti, lontani gli uni dagli altri sono quei personaggi (una bellezza di raffinata scrittura) che vivono nel chiuso delle proprie case, il cui unico ritrovo è il pub per una pinta di birra e un po’ di musica, che aspettano come la proprietaria della drogheria i pettegolezzi e le notizie che possono arrivare dai simili e dal mondo esterno.
C’è in questo rarefatto alveare il mandriano Pàdraic, uomo semplice e buono, che vive con la sorella Siobhàn pronta a sognare la fuga da quell’angolo scomposto di mondo, c’è il violinista Colm pronto a rivelarsi avaro di gesti e di parole, ci sono gli animali che vivono quelle case e quelle stesse strade, l’asina e il cane, le vacche e i vitellini che negli occhi sembrano commentare la stupidità dell’uomo, come pure i gabbiani che arrivano in volo. Senza dispute o fattacci che facciano presagire una tempesta, all’improvviso, Colm cessa quell’amicizia che da sempre nutre con Pàdraic, non vuole avere più a che fare nulla con lui, si chiude in un mutismo assoluto, motivando la decisione con la noia derivata dalle chiacchiere e dall’andazzo superficiale di ogni giorno e il tempo da utilizzare nel migliore dei modi, per esempio nella composizione di musiche nuove. Motivi futili, inspiegabili, che soprattutto non riportano il sorriso. Ci sono i dialoghi scarni, reiterati, le frasi stupidamente raddoppiate ma anche ripronunciate per darsi una ragione se possibile di quanto sta succedendo, le parole calibrate, dette con severità, a tratti rimbalzando contro un’ironia che McDonagh controlla con rara bravura. Colm minaccia di tagliarsi un dito della mano se Pàdraic gli rivolgerà ancora la parola: mentre il racconto, esempio chiarissimo di un assurdo che solo in una Irlanda patria di Samuel Beckett poteva trovare le proprie radici, continua a scavare nei silenzi che soltanto il cocciuto e amareggiato Pàdrain tenta di scardinare. Sino ad avanzare in una tragedia che vede altre mutilazioni, incendi, uccisioni.
Un fatto minimo e un’evoluzione sconcertante, addirittura un’opera quasi concepita e costruita nel nulla ma che al contrario, scena dopo scena, offre una vita più che convincente ai sentimenti, alla ricerca di amicizia e di solidarietà, al rifiuto degli altri e alla noia che con un cammino opposto dà spazio alla solitudine, alla volontà di guardare essenzialmente al presente o di gettare lo sguardo verso un futuro in cui lasciare qualcosa di se stessi: la guerra non è soltanto quella che si combatte là dove si perde l’orizzonte, è qui in mezzo a noi, ormai incapaci – e non è soltanto un discorso morale, parliamo anche di necessità fisica – di costruire rapporti duraturi, lontani del tutto dal rancore e dalla raddolcita franchezza umana.
Colin Farrell e Brendan Gleeson (bravissimi entrambi, per entrambi preparate le candidature che potrebbero portarli alle agognate statuette: del primo da sottolineare il lavoro sul corpo, la poesia e la rabbiosa determinazione, i piccoli gesti del quotidiano, il rapporto con gli animali che lo accompagnano, la perdita di ogni certezza nell’abbandono dell’amico, la scena nel pub con la tirata intorno alla bellezza antica della “gentilezza” per eleggerlo immediatamente a miglior attore dell’anno, dell’altro tutta l’asprezza, contrapposta alla dolcezza delle musiche e delle canzoni che l’attore stesso ha composto per il film) tornano a lavorare con McDonagh a circa quindici anni da “In Bruges”, storia di due sicari diversamente colpiti dalla noia e dai percorsi artistici della città belga. “Gli spiriti dell’isola” è una favola aspra e grottesca da segnare convintamente tra le pellicole da vedere in questo periodo, è una favola di insano realismo ai bordi della magia. Il titolo originale suona “The Banshees of Inisherin”, laddove le “banshees” sono le streghe che circolano tra quella nature, pronte ad apparire quando qualcuno deve morire.
Filippo Burzio è stato uno dei più affascinanti e più complessi intellettuali italiani del ‘900: scienziato del Politecnico di Torino, maestro di balistica alla Scuola di Applicazione e apprezzato nel mondo, narratore, filosofo, giornalista famoso. Direttore della “Stampa” alla caduta di Mussolini, condannato a morte dalla Repubblica di Salò e costretto alla clandestinità, tornò a dirigere il grande giornale di Torino fino alla morte. Prestigioso commentatore politico, europeista, è noto per aver rilanciato in chiave moderna la platonica teoria del Demiurgo.
Giovedì 9 febbraio, ore 18 al Polo del ‘900 il suo maggiore studioso Paolo Bagnoli e Corinna Desole presenteranno il nuovo libro da loro curato Il seminatore solitario. Introduzione al Demiurgo, edito dal Centro Studi Piemontesi per la Fondazione Burzio. Con loro saranno Fulvio Cammarano, storico dell’Università di Bologna, e Piero Polito, direttore del Centro Studi Piero Gobetti.
In onore del grande intellettuale e della fondazione che porta il suo nome, Poste italiane presenterà in quell’occasione al Polo del ‘900 un annullo postale speciale.
“Il tour che gira dappertutto”, il nuovo giro musicale d’Italia di Darman, ha un sapore del tutto particolare. Il cantautore calabrese, infatti, porterà la sua musica nei Club di Progetto Itaca, Fondazione che promuove programmi di informazione, prevenzione, supporto e riabilitazione rivolti a persone affette da disturbi della Salute Mentale e alle loro famiglie. Darman suonerà per loro, in concerti intimi che sfoceranno in veri e propri laboratori musicali, dove la musica sarà il veicolo mediante il quale scoprire il bello che c’è in tutti noi e attorno a noi.
Le prime date confermate:
9/2 Torino
13/2 Bologna
14/2 Parma
15/2 Milano
24/2 Lecce
27/2 Rimini
9/3 Genova
14/3 Napoli
28/3 Palermo
Commenta l’artista il nuovo tour: “Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che mi ha regalato un’esperienza unica: quella di condividere la mia esistenza con due persone per me speciali, Zia Nice e Zio Gregorio. Grazie a loro, alla loro gioia di vivere e grazie all’amore che i miei familiari hanno sempre trasmesso loro, ho potuto constatare in prima persona quanto ogni singola esistenza sia importante e quanto ogni storia umana vada vissuta fino in fondo. Il rispetto e l’importanza della vita vanno ben aldilà della semplice e, spesso, superficiale percezione personale. La realtà è soggettiva, e ciascun essere vivente la vive appieno per come percepisce e si muove in quello spazio e in quel tempo. Questa mia esperienza mi ha insegnato quanto sia importante il rispetto e l’amore per la vita, quanto sia bello donare gioia a persone speciali. Spesso ho suonato per i miei zii e da sempre avevo in mente di realizzare un progetto di questo tipo e regalare momenti di gioia e bellezza a più persone possibili. Tutto questo ha preso forma grazie all’energia vitale con cui Leonardo Artini ha risposto alla mia proposta di realizzare il tour al Club Itaca di Firenze. Il nostro entusiasmo è stato talmente contagioso che l’idea si è allargata a tutti gli altri Club della Fondazione, diventando un vero e proprio tour italiano. Sarò onorato di realizzare questi laboratori musicali coi Soci dei Club e vivere momenti di piacere e scambio culturale ed emozionale.”
Spiega Leonardo Artini, responsabile comunicazione di Progetto Itaca Firenze: “Ogni mattina a Club Itaca (nostro progetto di riabilitazione per lo sviluppo dell’autonomia socio-lavorativa) leggiamo tutti insieme le mail e lo scorso maggio siamo stati meravigliosamente colpiti da questa proposta di Darman. Ci ha subito unito la passione per la musica, elemento che ci accompagna in molte fasi della giornata, il suo modo di scrivere e le parole utilizzate ci hanno fatto capire che ci fosse qualcosa di speciale in lui. Proprio come in ognuno di noi. Colpito da questo forte entusiasmo ho coinvolto subito Lorenzo (responsabile comunicazione di Fondazione Progetto Itaca) ed in seguito ad una call con il cantautore calabrese, ci siamo subito attivati per coinvolgere le altre sedi di Progetto Itaca. Le adesioni non hanno tardato ad arrivare. Adesso tutti i Soci (ragazzi con disagio psichico che aderiscono gratuitamente al Club) stanno aspettando il momento di conoscere Darman, le sue canzoni e di condividere piacevoli momenti insieme, ognuno con la sua storia. Tutto questo mi riempie di orgoglio e sono certo che la voce di Darman (con le sue note), da Milano a Palermo, possa amplificare il nostro messaggio a sostegno della salute mentale. Grazie ancora e stay tuned!”
Progetto Itaca nasce nell’ottobre del 1999 con l’obiettivo di promuovere programmi di informazione, prevenzione, supporto e riabilitazione rivolti a persone affette da disturbi della salute mentale e alle loro famiglie. Ciò che ha spinto alla fondazione di Progetto Itaca è stato sperimentare personalmente il dolore che colpisce un’intera famiglia quando una persona, quasi sempre molto giovane, si ammala di un disturbo mentale. Spesso il grave ritardo della diagnosi e della cura porta un danno grandissimo alla sua vita. Per il recupero del benessere, però, accanto alle terapie farmacologiche, altrettanto importanti sono un ambiente favorevole e una società più accogliente, sensibile e informata che possano attivare una forte rete di supporto. È trasversale, inoltre, per tutte le iniziative di Progetto Itaca la sensibilizzazione della comunità per superare stigma e pregiudizio, diffondendo una corretta informazione per favorire la prevenzione e l’orientamento alla cura. Nel corso degli anni, la piccola squadra iniziale di Progetto Itaca adesso conta più di 600 volontari attivi in ben 17 sedi in tutta Italia, e solo nell’ultimo anno ha sostenuto più di 12.300 persone, formandone più di 800 e sensibilizzandone più di un milione.
“Rifugio” è il “quarto album di inediti di Darman composto da 9 brani scritti e arrangiati dal cantautore calabrese (ad accezione del testo di “Come la mente sempre più assisa”, di Umberto Alcaro). Darman sorprende ancora una volta con un disco acustico, che si discosta dalle tre precedenti produzioni alternative rock. Con Rifugio siamo in una dimensione più minimale negli arrangiamenti, in cui è preservata l’idea l’anima intima dei brani, impreziosita da scelte stilistiche di finezza e dolcezza.
Il filo conduttore che lega trasversalmente tutti i brani dell’album è la ricerca di un percorso di interiorità che possa condurre agli altri, al mondo. Il vero “Rifugio” è inteso come un senso di apertura e non di chiusura. Nella copertina, infatti, trova spazio un “ossimoro visivo”, è come se il titolo fosse apparentemente contrapposto alla figura iconica del guscio d’uovo. Infatti, molto spesso, il rifugio è interpretato come un luogo nel quale chiudersi ed estraniarsi da ciò che ci circonda; nel significato di Darman, invece, il concetto è stravolto: qui si è davanti a un’apertura totale verso la scoperta del mondo, della vita vissuta a 360°, della conoscenza di sé stessi e, di riflesso, degli altri.
Biografia
Darman, volto nuovo dell’alternative rock italiano prossimo a lanciare il suo quarto album in studio “Rifugio“, è attualmente impegnato con l’Eunomos tour 2022, col quale sta portando in giro per l’Italia la sua musica intima e luminescente.
Il cantautore calabrese di base a Torino ha già all’attivo tre lavori discografici, tutti pubblicati per l’etichetta Ayawasca Sciamani Musicali: “Four-Leaved Shamrock” 10 novembre 2015, “Segale Cornuta”; 20 aprile 2017 e “Necessità Interiore”, 3 aprile 2020.
“Necessità Interiore”, registrato ed editato da Christian Lisi al Not Brushing Dolls di Castel San Pietro Terme (Premio Tenco con “Il Grande Freddo” di Claudio Lolli), mixato da Dirk Feistel allo Studio X Berlin e masterizzato da Kai Blankenberg allo Skiline Tonfabrik di Dusseldorf, (entrambi freschi collaboratori per il live a Berlino dei Black Rebel Motorcycle Club) fa sbarcare Darman nei negozi di dischi grazie alla collaborazione con AudioGlobe.
Sono molti i singoli che Darman ha lanciato in questi primi cinque anni di carriera da solista. Come non citare “Strana Creatura”, attualmente il suo brano di maggior successo, primo singolo estratto da Segale Cornuta e pubblicato in anteprima su Fanpage il 30 marzo 2017 (il videoclip su YouTube ha ricevuto oltre 210.000 views). O “Pubblicità Riflesso”, primo singolo estratto da Necessità Interiore e pubblicato in anteprima italiana su Rockerilla e mondiale su Vents Magazine.
Il nome e il seguito che è riuscito a creare attorno a sé ha portato Darman a realizzare quattro tour italiani e uno europeo (il secondo sarebbe dovuto partire nella primavera del 2020, poi annullato per via della pandemia da Covid-19), oltre che a presenziare su palcoscenici importanti; ne sono un esempio il Concerto del Primo Maggio 2012 in Piazza Maggiore a Bologna, le due anteprime in Expo Milano 2015 e la partecipazione da headliner al festival italiano Musaic-On 2017 e al The Sound Festival 2018 in Olanda.
Anticipato dai brani “Agay” ed “Elle”, venerdì 18 novembre esce il nuovo album “Rifugio” disponibile in tutti i negozi di dischi in versione cd e vinile e su tutte le piattaforme di streaming digitale distribuito da Audioglobe, prodotto dallo stesso Darman per Ayawasca Sciamani Musicali (Edizioni di Riccardo Rinaldi).
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Ufficio stampa Progetto Itaca: BOVINDO – Maria Cira Vitiello (mc.vitiello@bovindo.it)