CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 272

Made in Ilva con gli Instabili Vaganti il 4 febbraio a Piossasco

Sabato 4 febbraio, alle ore 21,00, il Teatro Cinema Il Mulino di Piossasco (To) ospiterà la compagnia degli Instabili Vaganti, un duo artistico composto da Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola che opera da anni a livello internazionale, con lo spettacolo “Made in Ilva”.

 

L’evento fa parte della rassegna teatrale Mulino ad Arte. La trasposizione artistica, di grande suggestione e attualità, fa riferimento alla vicenda ILVA di Taranto, acciaieria che condiziona la vita dell’intera città pugliese a causa del disastro ambientale che sta provocando e delle continue morti bianche che si verificano nel complesso siderurgico più grande d’Europa. Il punto di vista espresso nello spettacolo è quello degli operai, intervistati dalla compagnia dal 2009 ad oggi, e dei cittadini, intrappolati tra il desiderio di fuggire per le condizioni di lavoro dannose e la necessità di continuare a lavorare per la sopravvivenza quotidiana. La compagnia ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti nazionali e internazionali per la sua capacità di trattare temi di scottante attualità attraverso un linguaggio poetico e di forte impatto emotivo, in grado di veicolare importanti messaggi a livello globale, grazie all’universalità del linguaggio fisico dei performer e alla drammaturgia originale tradotta o creata direttamente in più lingue.

M.Tr.

Richard Strauss, la “Burleske” e la sua “Sinfonia delle Alpi”

Sono le protagoniste dei concerti dell’Orchestra Nazionale della RAI in programma giovedì 2 febbraio e venerdì 3 febbraio prossimi all’Auditorium RAI di Torino

 

È interamente dedicato alla musica di Richard Strauss il concerto che l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI ha in programma giovedì 2 febbraio, alle 20.30, all’Auditorium RAI “ArturoToscanini” di Torino, con trasmissione in live streaming sul portale di RAI Cultura e in diretta su Radio 3. Replica della serata a Torino venerdì 3 febbraio alle ore 20:00.

Protagonista il pianista veneziano Alessandro Taverna che, per il suo ritorno con l’Orchestra RAI,  dopo aver proposto la prima esecuzione italiana del Concerto per pianoforte e orchestra di Thomas Ades nel gennaio 2022, ora interpreta la “Burleske” in re minore per pianoforte e orchestra composta da Richard Strauss all’età di soli 21 anni.

Strauss compose questo pezzo intitolandolo inizialmente “Scherzo” il 24 febbraio del 1886. Era allora secondo direttore, a rincalzo del grande Hans Von Bülow dell’Orchestra del Duca di Meningen, dove si esibiva anche come pianista in concerti per pianoforte e orchestra. Questa vicenda lo stimolò a comporre un pezzo per questo organico che lo stesso Bülow giudicò pianisticamente ineseguibile, tanto che Strauss lo accantonò. Più tardi, però, fu indotto da un altro virtuoso famosissimo, Eugene D’Alebert, a riprenderlo in considerazione, lasciandolo com’era, solo cambiando il titolo e aggiungendo una dedica all’amico.

Così il pezzo fu eseguito allo Stadttheater di Eisenach, con l’autore sul podio e la persona a cui era dedicata al pianoforte, il 21 giugno 1890. Burleske risulta di assunto brillante, sostenuto da un impegno compositivo di gran lena e concepito in forma di Allegro di sonata, con l’esposizione di due gruppi tematici (re minore e fa maggiore), sviluppo-ripresa (re minore e re maggiore), cadenza del solista, coda. Il tutto risulta disteso in dimensioni assai ampie, con le ambiguità formali che, già a partire dalla sonata di Liszt, avevano iniziato a farsi strada. La scommessa da parte di Strauss consisteva nell’affrontare i temi strettamente imparentati tra loro, facendo procedere il discorso in ritmo ternario. Risulta ben raffinato lo stacco con cui il solista attacca il secondo tema senza sostegno orchestrale, facendo apparire il fantasma di un valzer, senza mutare né il ritmo né il tempo.

Un’altra uscita si incontra più tardi, una “cantabile”, che suonerà nel contesto nuova, mentre altro non è che il primo tema in valori raddoppiati. La trovata più originale del pezzo consiste nell’impiego dei timpani, che espongono il leitmotiv da cui deriveranno gli altri temi, sussurrando nel silenzio dell’orchestra. Il pezzo approderà al suo sorriso finale sul “re” del timpano.

Alessandro Taverna ha conquistato Lorin Maazel durante unrecital a New York ed è stato l’ultimo solista a esibirsi col grande direttore d’orchestra pochi mesi prima della sua scomparsa, affermandosi a livello internazionale dopo aver vinto il concorso di Leeds nel 2009. Da allora ha collaborato con orchestre quali la Filarmonica della Scala, i Muncher Philarmoniker e la Royal Philharmonic Orchestra. Nel 2012 è stato insignito dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano del Premio “Sinopoli”.

Sul podio è impegnato il direttore onorario dell’Orchestra Nazionale della RAI, Fabio Luisi, che ricopre prestigiosi incarichi presso l’Orchestra della Radio Danese, la Dallas SymphonyOrchestra e la NHK Symphony Orchestra di Tokyo.

La seconda parte del programma vedrà protagonista un altro capolavoro di Strauss, “La Sinfonia delle Alpi”, composta nel 1915, dodici anni dopo la “Symphonia domestica”. La partitura chiude la grande serie dei lavori di ispirazione extramusicale di Strauss.

Richard Strauss tenne in serbo a lungo il nucleo d’ispirazione di questa sinfonia già a partire dalla prima giovinezza, nucleo  he coincide  on una ferma convinzione della sua vita e della sua arte, che si esprimono nel concetto ultraromantico del primato dell’eroe e dell’artista nella civiltà umana. Dopo il successo  mondiale di “Salomé” del 1905, di Elektra del 1909 e del RoseinKavalier del 1911, Strauss sembrava deciso a lasciare il sinfonismo puro per il teatro d’opera.

La vita interiore di Strauss, un uomo in apparenza sicuro, fermo, cordiale e loquace, come testimoniano le sue centinaia di lettere, è rimasta tuttavia un segreto inespugnabile. La sua “Sinfonia delle Alpi” rappresenta un ripensamento contraddittorio, un segno, forse, di crisi personale o l’espressione di un timore sui tempi e sulle sorti della cultura; il pessimismo di Strauss, antidemocratico, era ben fermo. La sua fu una definitiva e estrema dichiarazione di fede romantica e tedesca, e di panteismo anticristiano. Può anche essere vero che, per raccontarci una sua gita in montagna, Strauss abbia messo all’opera un’orchestra gigantesca, maggiore di quella dell’Elektra. Sicuramente Strauss amava scrivere autobiografie musicali e la “Symphonia domestica” ne era stata una dimostrazione. In questa “Sinfonia delle Aalpi”, al di là del compiacimento del magistero tecnico, non vi sono molte tracce di divertimento o di ironia. Occasione esterna del lavoro fu l’amore che Strauss nutriva per la montagna e, in particolare, per le Alpi bavaresi.

Come ne “L’oro del Reno”, la sinfonia prende avvio con un’oscurità primigenia ma, diversamente da quest’opera, non si approda nella luce, ma il punto finale risulta il buio. L’idea di eroismo esistenziale e estetico che aveva Strauss proviene dall’eredità del Romanticismo tedesco di Schopenhauer e di Nietzsche, sorretta dal significato che egli attribuiva all’arte di Beethoven e di Wagner. Al primo progetto della Sinfonia, Strauss diede per titolo “L’Anticristo”, a significare una rappresentazione dionisiaca della natura, che sarebbe concessa solo all’uomo superiore, al filosofo e all’eroe artista.

Nella “Sinfonia delle Alpi” la musica di spettacolare magnificenza sembra contare meno di quello che si dovrebbe vedere, vale a dire un’immagine oscura del mondo nato dalla piena vitalità. L’ascesa e la successiva discesa campestre vogliono essere un viaggio iniziatico in questa forza del mondo, nella notte della notte, attraverso 22 “stazioni”, che si possono anche considerare figure o esperienze, che presentano tre momenti culminanti o punti provvisori d’arrivo, il primo del quale è “il sorgere del sole”, il secondo “sulla cima”, il terzo quello “del temporale e della bufera”.

La tecnica musicale e drammatica è quella della “stegerung”, la crescita di tensione verso un vertice, che Strauss adopera con virtuosismo. La fecondità immaginativa e tecnica dei mezzi musicali consente a Strauss di descrivere paesaggi e emozioni, i boschi e i ruscelli, le cascate d’acqua, il vento, le bufere, gli entusiasmi e le paure, mettendo in musica, con scrupolosa evidenza, il fatto che i suoni possano essere testi esplicativi di se stessi. In questa forma di accentuato realismo rimangono intatte la volontà e la capacità  costruttiva di Strauss, tipiche del grande musicista, in grado di calibrare molto bene i rapporti di durata e di impianto tonale delle diverse sezioni.

Con la “Sinfonia delle Alpi” Strauss ha voluto dare un’autocelebrazione e un compendio del suo genio, della sua fedenaturale pagana e della sua dottrina.

MARA MARTELLOTTA

 

Biglietteria dell’Auditorium RAI di Torino

Info: 0118104653

biglietteria.osn@rai.it

Ex nihilo nihil fit, nulla si genera dal nulla

Raccolta di poesie di Alessia Savoini

Era maggio, giorno 16. Da qualche tempo il passo mi fu ostile, pochi metri si ridussero nella massima distanza di sopportazione, un’estorsione dalla colonna ripiegava nell’osso, come una lacerazione improvvisa. Non potevo stanziare sul fianco destro, ma fu l’unica legge dei ‘non’, quando qualcosa vuole ucciderti non si preannuncia, è un tuffo sordo. Ex nihilo nihil fit, nulla si genera dal nulla, per quel principio di conservazione e ostinata presenza, per la necessità inespugnabile di giustificarla, la presenza.
Depongo la mia parola al valico, oggi è il giorno in cui si fa materia, pietra bianca, e livida. Ho raccolto i semi e le scorie, umiliato la forma e rinnovata la grazia, con l’alba ho patteggiato una piccola zolla, imparando a dimenticare tutti i nomi con cui invocare il sole. Il 2022 è stato per me un anno che ne ha contenuti dieci, districati tra la cura e la spina, ricurva nell’incavo di una fessura contingente, malattia come rivelazione della misura.
Questa breve raccolta, che ha preso forma nei mesi di chemioterapia, vuole essere il riassunto di un processo ancora in fase di inseminazione, la parola che svela la parola e ne osserva il dispiegamento, la paura, l’accettazione, l’abbandono, il ritrovamento. È il resoconto finale di un piccolo parto, perché se tutti gli eventi sono neutri, allora questa piccola morte è stato il processo di una seconda incarnazione, certamente più consapevole, doloroso come ogni nascita.
Alessia Savoini
Da oggi è acquistabile al link https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/poesia/649521/ex-nihilo-nihil-fit/#commenti e nei vari punti Feltrinelli.
Illustrazione: Sara Buffoni
Fotografia: Alessia Savoini

San Sebastiano, un gioiello d’arte a Pecetto

Domenica 5 febbraio è un’occasione per visitarla perché è quasi sempre chiusa tranne la prima domenica di ogni mese grazie agli alpini di Pecetto che aprono le porte dell’edificio religioso ai turisti. È la chiesetta del cimitero di Pecetto Torinese, la chiesa di San Sebastiano, davanti al mercato delle ciliegie e dei prodotti agricoli, nella parte meridionale del paese, su un poggio da cui parte la strada per Revigliasco.
Si passa spesso in auto da quelle parti, lungo le colline tra Chieri e Moncalieri, un saliscendi continuo ma sono pochi quelli che si fermano, tranne che nel periodo delle ciliegie. Ai lati della chiesa due enormi cipressi sembrano proteggerla.
Vista dall’esterno non emoziona un granché ma lo spettacolo è tutto all’interno. Superato il portone ci si trova di fronte a un ciclo di affreschi del Quattrocento mozzafiato che ricopre gran parte delle pareti. Un gioiello dell’arte del ‘400, quasi una cappella Sistina in miniatura, tornata all’antico splendore dopo un accurato intervento di restauro degli affreschi finanziato dal Comune di Pecetto, proprietario della chiesa, situata nella parte meridionale del paese, a fianco del cimitero, su un poggio da cui parte la strada per Revigliasco.
La chiesa risale al Duecento ma fu totalmente ricostruita nella prima metà del Quattrocento. L’interno, a tre navate, è illuminato da due rosoni. Tra le molte scene affrescate spiccano sulla volta del presbiterio l’incoronazione della Vergine e il martirio di San Sebastiano trafitto dalle frecce (1440-1450), opere del pittore chierese Guglielmetto Fantini, seguace di Giacomo Jaquerio, l’imponente crocifissione dipinta sulla parete di fondo da Antonius de Manzaniis e l’affresco raffigurante la Natività, di Jacopino Longo, allievo della scuola di Macrino d’Alba.
Nella volta del presbiterio si ammirano anche alcuni episodi della Passione di Cristo e momenti della vita di San Sebastiano, di Sant’Antonio e degli Evangelisti. Per vedere la chiesa il primo appuntamento è domenica 5 febbraio dalle ore 10                                Filippo Re

Due grandi attrici, la eccellente e moderna regia di Livermore

Sino a domenica 5 febbraio, al Carignano, “Maria Stuarda” di Friedrich Schiller

C’è un angelo, due grandi ali bianche sulle spalle, al convergere delle due scale che monumentalizzano l’allestimento scenico della “Maria Stuarda” schilleriana proposta – in un ibrido persuasivo di classicismo e di rockettaro – da Davide Livermore, produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale e Centro Teatrale Bresciano. Una macchina teatrale all’apparenza schematica e semplice, firmata da Lorenzo Russo Rainaldi, ma altresì poggiante su tre piani di rappresentazione, dura, coinvolgente, immersa in quel colore rosso che è simbolo del sangue e della violenza, come rosso è il sipario che scende dall’alto come la mannaia di un boia. Quell’angelo è la fatalità, è il Caos e il caso, è la Storia che ogni cosa mescola e ogni cosa decide, è la mente arbitraria degli uomini. È la occasione improvvisa e cieca che ogni sera, al cadere di una piuma sulla destra o sulla sinistra del palcoscenico, decide quale delle due attrici rivesta il ruolo della regina scozzese e quale quello di Elisabetta d’Inghilterra.

Due leonesse che si fanno la guerra e che tendono a sbranarsi, uno scontro frontale dove l’una è obbligata a soccombere e l’altra a prevalere, un rinfacciarsi assassinii e invidie, affrontare rivalità e supplizio, esprimere durezza e preghiere, due regine e due attrici di rango, si usa dire quando ti trovi davanti una simile bravura, Elisabetta Pozzi e Laura Marinoni. La mia serata al Carignano ha “previsto” Pozzi/Elisabetta e Marinoni/Maria, pronte a calarsi in un attimo nei gesti e nelle parole e nella psicologia del ruolo capitato; e in quel contesto rutilante, in quella impronta modernamente feroce impressa da un regista che sinora forse mai ti ha lasciato con l’amaro in bocca (anche negli allestimenti lirici scaligeri si è respirata un’aria di vitale rivoluzione) è stato necessario immediatamente e inevitabilmente dimenticare le austere coppie del passato, Ferrati/Zareschi, Brignone/Proclemer, Cortese/Falk, Lolliée/Bonaiuto e forse altre ancora che hanno abitato i palcoscenici e la vecchia tivù in bianco e nero. Siamo lontani secoli, le sonorità che invadono la scena (le musiche sono di Mario Conte, Giua con la voce bella ed efficace accompagna una chitarra elettrica che si pone a lato della scena ma che si fa anche personaggio in mezzo agli altri attori) tendono a quasi impoverire le parole forti del testo, a sovrastarle, ma poi sopraggiunge il peso delle due attrici a reimporsi e a rovesciare ogni attimo di incertezza.

Nell’avvicendarsi dei personaggi della corte elisabettiana, maschili e femminili, dentro gli abiti e le palandrane e le uniformi firmati da Anna Missaglia – mentre per le due sovrane si sono scomodati Dolce&Gabbana, ma per un gran bel vedere, visto che lamé e stoffe e colori, ed eleganza e ricchezza, la vincono alla grande -, Livermore come non ti aspetteresti mescola le carte, ogni cosa all’insegna ancora una volta del caso e del disordine (“in questo tempo così fluido a livello di gender, possiamo vedere con occhi diversi personaggi  che normalmente tenevamo sospesi in teche di vetro, dandoli per scontati”: ma è proprio soltanto una moderna fluidità a generare simili cambiamenti? Livermore è troppo intelligente per affidarsi alle scelte del momento), andando ad affidare a tre attrici ruoli maschili, del resto precisi, scavati, tesi e duramente resi, a partire da Linda Gennari che è un ottimo Mortimer e da Gaia Aprea che è Talbot conte di Shrewsbury (ma è pure una umanissima quanto attenta nutrice, con la bravura di sempre) e da Olivia Manescalchi che attraversa il Cavaliere Paulet e l’Ambasciatore di Francia e il Segretario di Stato, in una lodevolissima trasformazione. Forse rimangono più imprecisi nella loro unicità Giancarlo Judica Cordiglia e Max Nicosia, quest’ultimo dibattuto per pura ragion di stato, avventuriero e calcolatore, diviso tra i due cuori regali e artefice di un angolo erotico sfacciatamente buttato da Livermore in palcoscenico e che il vecchio Schiller, sin dalla prima rappresentazione a Weimar, nel gennaio del 1800, manco si sarebbe sognato.

Della bravura delle due protagoniste s’è detto, Marinoni nei toni sofferti di Maria e Pozzi in quelli regalmente feroci di Elisabetta: su di lei e sulla sua solitudine e forse anche sulla sua sconfitta si chiude la vicenda. E quei lamenti che si fanno rantoli belluini sono l’ultimo lampo di un’attrice che ammiriamo da sempre. Tutto è un attimo, mi pare voglia dirci Livermore con quella sarabanda finale, con quel finale con tanto di passerella e di ammiccamenti al pubblico caricatissimo d’applausi, con quell’allegria obbediente che ci riporta a Poli o a Trionfo: anche quella vicenda è un grumo ormai dissolto nel fluido della Storia, e noi oggi siamo qui a guardare in faccia altre malvagità.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Alberto Terrile

“Il tempo sospeso” di Martellotta e Granchi, seconda edizione

A poco più di un anno dalla sua pubblicazione, la giornalista e scrittrice Mara Martellotta presenterà la seconda edizione della sua opera, scritta a quattro mani con l’artista fiorentino e già docente presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze Andrea Granchi, “Il tempo sospeso”(Gian Giacomo Della Porta Editore, 2021).

La presentazione avverrà venerdì 10 febbraio prossimo, presso la sede del Centro Servizi Vol.To, in Via Giolitti 21, in occasione di un DF Talk organizzato dall’associazione stessa, nell’ambito di un dialogo con il giornalista Eugenio Giannetta.

La scrittura di Mara Martellotta, semplice e incisiva, vera nel condurre con estrema sincerità tutte quelle analisi sociali e sensazioni che hanno coinvolto tutti noi durante l’emergenza Covid, dialoga e trova armonia con le opere dell’artista fiorentino Andrea Granchi, autore di tutti i lavori presenti all’interno del libro, collegati visivamente e tematicamente agli scritti della giornalista, creando nel lettore una sorta di realtà emotiva aumentata dall’intensità che la parola acquisisce attraverso l’immagine, e viceversa.

Un libro che, oggi, assume la funzione storica della memoria, della testimonianza che aiuta una società a metabolizzare meglio eventi del passato, soprattutto se traumatici come quello appena trascorso.

Un’opera attuale, proprio perché attuale è la Storia.

Il vero contributo di queste pagine risiede nell’utilità che la buona letteratura, e l’arte in generale, devono assumere nei confronti di una società: quello di elevarne la consapevolezza attraverso la parola scritta e la rappresentazione, attraverso la condivisione, anche emotiva, di aspetti soggettivi che devono diventare oggettivi nell’universalità dei sentimenti e di ciò che più ci accomuna.

 

I libri più letti e commentati del mese

La rassegna letteraria de il Passaparola dei Libri

Libri dei quali è bello discutere, come ogni mese sul gruppo FB Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri; primo in classifica, per letture e critiche, Spare – Il Minore (Mondadori), il libro che Henry di Windsor, il principe Harry, ha scritto per raccontare i retroscena di una vita non sempre “da favola”.

Cambiando argomento, per non dimenticare, vi proponiamo un articolo in collaborazione con il sito Novità in libreria, che nella settimana del Giorno della Memoria mette a confronto due uscite recenti, sul tema dei Giusti: Il Campione E La Bambina (Raffaello, 2022), di Paolo Mirti e Il Nazista Che Salvò Gli Ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca (Le Lettere, 2022) di Andrea Vitello.

Incontri Con Gli Autori

Abbiamo intervistato alcuni scrittori e scrittrici, emergenti o affermati, per dare voce alle nuove leve della narrativa e offrire ai nostri lettori un più ampio panorama di proposte di letture fuori dal coro o comunque lontane dai consueti canali di promozione e distribuzione.

Questo mese abbiamo incontrato: Cristiana Vigliaron è l’esordiente autrice di Non Chiamarmi Sorellina (Pathos Edizioni, 2022), una drammatica storia ambientata negli anni Settanta, che racconta le tensioni all’interno di una famiglia e offre uno spaccato di un complicato periodo storico; Giovanni Sacchitelli, il creatore di un progetto di meta-narrativa che potete trovare sul sito https://www.direaesthetica.com/ ; Luigi Antonio Greco, autore de La Promessa A San Francesco, nel quale riesamina, con gli occhi del presente, una delle pratiche di devozione più antiche e universali, il pellegrinaggio ex voto; Martina Carbutti autrice de Un Filo Invisibile (Auto-produzione, 2022) che, sull’onda emotiva nata dalla perdita del padre, racconta momenti di vita quotidiana e fornisce spunti di riflessione sul tema del lutto; Sylvia Zanotto è una delle voci più interessanti della poesia contemporanea e torna in libreria con Tatuaggi E Farfalle (Kanaga Edizioni, 2021) libro vincitore del Premio Internazionale di poesia L. S. Senghor per la sezione inediti.

Per questo mese è tutto, vi invitiamo a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

Spektre in Afghanistan. Il cuore e la corazza di “fantasmi” senza nome

Il cammino in Afghanistan di un uomo che, nel 2010, ha salvato la vita a centinaia di bambini. Sentimenti di paura, rabbia, amore che si celano dietro la maschera dei combattenti, dei “cattivi giusti” che, con ferocia, proteggono gli innocenti.

E’ una storia di fratellanza, di colpi di scena sorprendenti, il romanzo “Spektre. Fantasmi in Afghanistan”, scritto da William Marras Nash, nato a Ivrea (in provincia di Torino), nel 1988, ma che, attualmente, vive ad Azeglio, un paesino dell’Alto Canavese in Piemonte. Il titolo dell’opera – pubblicata nella collana “I Diamanti della Narrativa”, edita da Aletti – nasce durante la stesura del romanzo che parla, appunto, della squadra Spektre, guerrieri ma, soprattutto, uomini che provano emozioni, fatica e anche amore verso le loro famiglie e le loro donne a casa. «Descrivendo questi uomini – spiega l’autore – ed informandomi su quelli come loro, ho compreso che sono realmente come dei fantasmi. Operano in teatri di guerra e in nazioni nelle quali non dovrebbero essere, se “cadono” vengono archiviati come turisti scomparsi o mai esistiti, fanno cadere governi e lasciano i meriti ad altri, da loro può dipendere lo scoppio o meno di una guerra ma nessuno sa chi siano e, in questo caso, la Spektre era una squadra di fantasmi in Afghanistan».

Nessuno sa i loro nomi; nessuno sa chi sia l’uomo protagonista del romanzo, ma tutti dovrebbero conoscerne la storia ed esserne grati. Un turbine di emozioni apparentemente contrastanti, dalla guerra all’amore, dalla rabbia alla fratellanza incondizionata, trattate con un linguaggio semplice e alla portata di qualunque età se non fosse per il limite portato dagli argomenti trattati. Questo consente anche al lettore più “frettoloso” di poter comprendere la storia, anche se dura, e coglierne anche le più intime sfaccettature. «Passaggi – afferma lo scrittore – che devono essere come sfumature per lasciare alla mente del lettore il tempo per cambiare mood emozionale ma senza che se ne accorga, così anche la singola emozione si rivela una piccola sorpresa che renderà difficile interrompere volontariamente la lettura». Il segreto per l’autore è immedesimarsi il più possibile nel personaggio che si racconta, avendo la storia impressa nella mente sin dall’inizio. «Ho descritto passo dopo passo tutto ciò che mi è stato riportato. Ci ho messo quattro anni per scriverlo e mi sono immedesimato nel protagonista al punto che ho iniziato a vivere come lui. Quando riuscivo ad addormentarmi facevo i suoi incubi, avevo le sue paure. Ero stanco, stremato verso la fine del romanzo. Ero diventato freddo, inespressivo molte volte. Per scrivere e sciogliermi sorseggiavo liquore e alcuni passaggi li ho scritti piangendo, così bevevo ancora, proprio come lui. Mi sembrava di aver vissuto la sua storia e in parte è come se l’avessi provata sulla mia pelle, un po’ credo, come un attore entra nel suo personaggio». Un rapporto empatico che, alla fine, quasi manca, quando il libro è terminato, lasciando un senso di nostalgia e solitudine. «Voglio trasmettere – conclude lo scrittore – la coscienza e la testimonianza che quei guerrieri fuori dal comune, abituati ad affrontare inferni inimmaginabili, sono allo stesso tempo uomini comuni, con emozioni e sentimenti come tutti gli altri».

Federica Grisolia

La Baìo di Sampeyre, al via il 5 febbraio

Sulle montagne cuneesi della Val Varaita i saraceni invasori accendono i fuochi e affilano le scimitarre. A valle cavalieri e ussari incrociano le spade, pronti ad affrontare i Mori e a difendere donne e figli terrorizzati dai musulmani. I tamburini chiamano a raccolta i montanari armati, riuniti in milizie popolari, e ne scandiscono il ritmo di marcia e i boscaioli fortificano gli accessi ai paesi.
A Sampeyre-Piasso, Rore, Calchesio e Villar è tutto pronto per dare il via alla Baìo di Sampeyre, l’antica festa occitana che ogni cinque anni, a febbraio, rievoca la cacciata dei Mori dalle vallate alpine e la libertà riconquistata. Un evento storico che si ripete da dieci secoli. Al grido baìo..baìo…libertà, libertà, gli uomini delle borgate di Sampeyre e frazioni si armano con fucili, sciabole, asce, mannaie e fiaschetti di vino, pronti a respingere i maomettani arrivati dalle coste della Provenza per incendiare, distruggere e uccidere. Domenica 5 febbraio il primo atto della rievocazione storica. Le origini della festa sono molto antiche e risalgono alla fine del decimo secolo quando i saraceni raggiunsero i paesi della valle per saccheggiarli e incendiarli ma vennero respinti e messi in fuga dai valligiani. È una delle più importanti feste delle Alpi che unisce storia, cultura, musica e folklore di tutta la valle. È in pratica il carnevale della Val Varaita, senza maschere e coriandoli. Anticamente la Baìo era una cerimonia primaverile propiziatoria dei nuovi raccolti ma con il passar del tempo si è trasformata nella rievocazione, tra storia e leggenda, delle incursioni dei saraceni avvenute nel X secolo e la loro cacciata da queste montagne. Baìo è un termine occitano che tra le sue origini da “Badia” che significa abbadia, non però in senso religioso ma nel senso di associazione popolare di tipo paramilitare molto diffusa nelle valli nei secoli lontani. Oggi con la parola Baìo si intende pertanto una festa di libertà e di unione nel mese di carnevale che quest’anno animerà la Val Varaita nelle prime due domeniche di febbraio, il 5 e il 12 per concludersi nel giorno di giovedì grasso, il 16 febbraio. Oltre 400 sono i personaggi che danno vita alla grande festa alpina e quattro le brigate popolari che si riuniscono per fronteggiare il pericolo saraceno. Alla sfilata in costume che attraversa le vie di Sampeyre accompagnata da gruppi di suonatori non possono partecipare le donne, come vuole la tradizione da secoli, anche se il loro contributo all’organizzazione dell’evento è determinante. I protagonisti sono gli uomini di ogni borgata che si esibiscono con i costumi preparati dalle donne e impersonano anche i ruoli femminili. Danze, musica, cibo e vino concludono la Baio mentre i saraceni prigionieri sfilano in catene con i costumi orientali. Nella prima domenica, il 5 febbraio, la Baìo di Calchesio va in visita a quella di Sampeyre con gli Abà, i capi milizia, nella seconda domenica le quattro Baìe si riuniscono a Sampeyre mentre il giovedì grasso si celebra un singolare processo durante il quale le Baìe mettono sotto processo i propri Tesorieri accusati di furto ai danni della comunità.
Filippo Re

Note di Classica Bruce Liu e Hèlène Grimaud le “stelle” di febbraio

Mercoledì primo febbraio alle 20.30 al Conservatorio, per l’Unione Musicale, i Singer Pur eseguiranno musiche di Sting, van Dijk, Monteverdi, Silcher, Hassler, Corea, Gershwin, Joel. Giovedì 2 alle 20.30 e venerdì 3 alle 20, all’auditorium Toscanini , l’Orchestra Rai diretta da Fabio Luisi e con Alessandro Taverna al pianoforte, eseguirà musiche di Richard Strauss. Sabato 4 alle 18 al Teatro Vittoria, il quinto episodio de “I Bemolli Sono Blu con il Quintetto Aulos (fiati e pianoforte) e con Antonio Valentino. Martedì 7 alle 20.30 per LingottoMusica, all’auditorium Agnelli Il Pomo d’Oro diretto da Maxim Emelyanychev e con Ivan Podymov all’oboe, eseguirà musiche di Mozart. Mercoledì 8 alle 20.30 al Conservatorio per l’Unione Musicale, il pianista Bruce Liu eseguirà musiche di Chopin, Ravel e Liszt.

Sabato 11 alle 20 al teatro Vittoria, Santiago Canon-Valencia al violoncello e Naoko Sonoda al pianoforte, eseguiranno musiche di Ravel, Farr, Ginastera, Gershwin. Mercoledì 15 alle 20.30 al Conservatorio per l’Unione Musicale, Alena Baeva violino e Vadym Kholodenko pianoforte, eseguiranno musiche di Schubert, Mendelssohn, Lutoslawski, Faurè. Giovedì 16 alle 20.30 e venerdì 17 alle 20 all’auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Petr Popelka e con Marie-Ange Nguci al pianoforte, eseguirà musiche di Dallapiccola, Mozart, Strauss. Sabato 18 alle 20 al teatro Vittoria va in scena Ozmotic con Simone Bosco e Riccardo Giovinetto all’elettronica con il progetto Elusive Balance Visual -concert. Domenica 19 alle 16.30 al Teatro Vittoria, Francesco Dillon al violoncello e Emanuele Torquati pianoforte, eseguiranno musiche di Villa-Lobos, Debussy, Janacek, Prokofev. Mercoledì 22 alle 20.30 al conservatorio per l’Unione Musicale Vivian Hagner e Stephen Waarts violino, Karolina Errera e Anna Maria Wunsch viola, Mika Haknnazaryan e Eckart Runge violoncello, eseguiranno musiche di Strauss, Schonberg, Cajkovskij. Sabato 25 alle 20 al Teatro Regio, inaugurazione di Aida di Giuseppe Verdi. Opera in quattro atti. L’Orchestra del teatro Regio sarà diretta da Michele Gamba. Repliche fino all’8 marzo. Lunedì 27 alle 20 al teatro Vittoria per l’Unione Musicale, Armoniosa presenta un programma tutto dedicato a Bach. Martedì 28 alle 20.30 per LingottoMusica all’auditorium Agnelli, la Camerata Salzburg con Hèlène Grimaud al pianoforte, eseguirà musiche di Mozart e Schumann.

Pier Luigi Fuggetta