CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 26

Gallerie aperte con Ouverture di Tag

Giovedì 19 settembre ritorna l’appuntamento con Ouverture di Tag, mostra diffusa sul territorio cittadino attraverso l’inaugurazione contemporanea di rassegne e mostre allestite in 15 delle 17 gallerie d’arte associate a Tag, Torino Art Galleries.

Le gallerie saranno straordinariamente aperte dalle 16 alle 23. Settembre mese della riapertura, sostiene la presidente di Tag Elisabetta Chiono, è un momento di estrema importanza per le mostre che vengono proposte dalle gallerie e per ilcoinvolgimento sia del pubblico sia dei collezionisti. L’apertura estesa in orario serale consentirà di visitare, a ingresso gratuito, più mostre nella stessa giornata.

Tante le proposte da parte delle gallerie consociate in Tag. La Giorgio Persano ospita una collettiva di artisti della galleria al piano nobile e tre nuove opere pittoriche di Luisa Rabbia nel giardino interno di palazzo Scaglia di Verrua. Alla galleria Umberto Benappi è  esposta la personale di Vick Muniz, la mostra di Gilberto Zorio alla Tucci Russo e alla galleria Roccatreemergono le opere di Marco Gastini e Luigi Mainolfi, la Riccardo Costantini Contemporary ha in esposizione un nuovo progetto artistico dal titolo “Altre voci, altre stanze” di Ferdi Giardini.

Mara Martellotta

Artissima, una mostra diffusa: oltre l’Oval al Museo di scienze naturali e al Principi di Piemonte

/

Si intitolerà  ‘The era of Daydreaming’ la fiera internazionale di arte contemporanea più importante d’Italia, Artissima, edizione 31, per il terzo anno consecutivo alla guida di Luigi Fassi. Si svolgerà dal primo al 3 novembre, con mostre non solo all’Oval,anche al Museo di Scienze Naturali e al Principi di Piemonte.

Negli oltre 20 mila metri quadrati dell’Oval del Lingotto chiamerà in rassegna ben 189 gallerie provenienti da 34 Paesi di quattro continenti.  Il 54 per cento degli espositori  saranno stranieri.

Molti degli espositori provengono dal Sud America e dall’Est Europa e ben 37 saranno per la prima volta ad Artissima, che conferma il suo ruolo di incubatore e la sua attività  di scouting.

Confermate le quattro sezioni, la Main Section, con 109 partecipanti da tutto il mondo, Monologue/Dialoghi, comprendente 38 gallerie di cui undici italiane, Art Spaces & Editions, che comprendono edizioni e multipli di artisti, e la sezione New Entries, che quest’anno vedrà  15 gallerie alla loro prima partecipazione assoluta in una fiera. Poi saranno presenti tre sezioni che sono un’altra eccezione di Artissima, perché curate da curatori di livello internazionale: “Present Future”, dedicata a talenti emergenti, “Back to the future” per progetti monografici di grandi pionieri dell’arte contemporanea, e “Disegni”, dedicati soltanto a questo mezzo espressivo.

Main partner di Artissima anche questa volta è Intesa Sanpaolo  con le Gallerie d’Italia che realizzeranno il progetto “The underground Cinema”, curato da Irene Calderoli nella sala immersiva del museo di piazza San Carlo, e che proseguiranno il dialogo con Artissima anche all’Oval. Qui verrà presentato un nucleo di opere fotografiche di Olivo Barbieri, che anticiperà la mostra in programma alle Gallerie d’Italia nell’ambito della rassegna ‘La grande fotografia italiana’.

Quest’anno Artissima si apre ancora di più alla città, con progetti specifici quali quello del Museo Regionale di Scienze Naturali,che accoglierà nei suoi spazi “Objects in Mirror Might Be CloserThan They Appear”, un’installazione video di Julian Charrière e Julius von Bismark.

Sarà presente la nuova installazione luminosa promossa dalla Consulta di Torino e Unione Industriali nel circuito di Luci d’Artista e un progetto espositivo dal titolo “Afasia 1” allUnionel Principe di Piemonte.

Artissima è  anche sinonimo di premi. Quest’anno saranno undici, compreso un nuovo premio Orlane per l’Arte, oltre al fondo acquisizioni di opere destinate a Gam e Castello di Rivoli, cheproverranno dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea, il cui budget aumenterà fino a 280 mila euro.

MARA MARTELLOTTA

“Ci vorrà molto per trascinarmi via da te”

MUSIC TALES LA RUBRICA MUSICALE

Ci vorrà molto per trascinarmi via da te

Non c’è niente che cento o più uomini potrebbero fare

Benedico le piogge laggiù in Africa

Ci vorrà un po’di tempo per fare le cose che non abbiamo mai fatto

I cani selvatici ululano nella notte

Mentre crescono irrequieti desiderando qualche solitaria compagnia

So che devo fare ciò che è giusto

Sicuro come il Kilimangiaro si eleva come l’Olimpo sopra il Serengeti

Cerco di curare ciò che c’è nel profondo, spaventato da ciò che sono diventato”

Sono certa che se dico “Toto” tutti voi sappiate di chi parlo; ma potrebbe esserci qualcuno che ha sentito Africa ma magari sa poco della band che l’ha portata alle classifiche mondiali.

I Toto sono un gruppo musicale rock statunitense formatosi a Los Angeles nel 1976, famosi per uno stile musicale che combina elementi provenienti dalla musica rock, in particolare progressive rock, hard rock, con pop, soul, funk, R&B e jazz, che li rende apprezzati da un pubblico molto variegato. Durante la loro carriera hanno pubblicato, ad oggi, quattordici album in studio, otto dal vivo, una colonna sonora di film (Dune del 1984), diverse raccolte di successi e venduto più di 40 milioni di dischi.

Forse non tutti sanno che la scelta del nome della band deriva dal batterista Jeff Porcaro, che al momento della registrazione delle prime demo aveva appena visto il film Il mago di Oz, in cui il cane di Dorothy, la protagonista del film, si chiama “Toto”. Toto, dunque, venne utilizzato da Jeff Porcaro per personalizzare le prime cassette-demo registrate in studio. Solo successivamente il nome divenne definitivo: fu David Hungate, bassista del complesso, a far notare che in Latino la parola toto significa “totale”, “che comprende tutto”. Toto venne così ritenuto il nome ideale per identificare il repertorio musicale della band che nella sua carriera avrebbe abbracciato a 360 gradi tutti i generi.

Il singolo Africa dei Toto, rilasciato il 10 maggio 1982 in Europa e qualche mese più tardi, il 30 ottobre 1982, negli Stati Uniti d’America, è diventato nel tempo un brano conosciuto in tutto il mondo e amato da milioni di persone.

Appartenente all’album “Toto IV” e scritta nel 1981 da David Paich e Jeff Porcaro, Africa ha conquistato il cuore del pubblico e ha raggiunto la vetta della classifica Billboard Hot 100 negli Stati Uniti.

Nel video musicale, diretto da Steve Barron, la band si trova all’interno di una biblioteca, mentre vengono mostrati spaccati della cultura africana.

La canzone è stata utilizzata innumerevoli volte in film e serie televisive, ma ci furono polemiche quando la CBS la utilizzò durante la copertura televisiva del funerale dell’ex presidente sudafricano, Nelson Mandela.

Nonostante questa controversia, Africa continua a rimanere un brano emozionante e coinvolgente riguardo al Continente africano e ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della musica.

L’aria, in Africa, ha un significato ignoto in Europa: piena di apparizioni e miraggi, è, in un certo senso, il vero palcoscenico di ogni evento.”

Karen Blixen

Adoro la versione di questa ragazza… spero piaccia anche a voi

CHIARA DE CARLO

https://www.youtube.com/watch?v=0xLvn5wU68o

Chiara vi segnala i prossimi eventi …mancare sarebbe un sacrilegio!

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Comitato DOC a Casale tra storia e futuro

Festa del Vino del Monferrato al castello
                                                                                                                                                        DOMENICA 22 SETTEMBRE

Al mattino con inizio alle 10,30 in sala Marescalchi nel Castello di Casale Monferrato gli archivisti Wanda Gallo e Francesco Benatti presenteranno documenti e fotografie degli archivi del Comitato DOC, quelli del Circolo Ottavi, del Fondo Paolo Desana e del Fondo Arturo Marescalchi,  preziosissimi ed assolutamente unici nel loro genere.

 

Alla sera con inizio alle ore 21.00 nella Manica lunga Giorgio Milani presenterà con Monica Massa e Massimiliano Limonetti l’Intervista Impossibile a Federico Martinotti.

Chieri, qui abitò Carlo VIII

Lo ospitò per alcuni giorni la nobile famiglia chierese dei Solaro, nel loro palazzo in via Vittorio Emanuele II angolo via della Pace. Carlo VIII, re di Francia, fu accolto con tutti gli onori e con una grande festa alla porta del Vajro, l’attuale Porta Torino, seguito da soldati, nobili e vescovi. Un soggiorno da re a Palazzo Solaro. Era il 5 settembre 1494. A dargli il benvenuto mercanti, banchieri, religiosi, artisti e poeti tra i quali Leonetta Tana, la bella figlia del nobile chierese Bartolomeo Tana che gli dedicò alcuni versi in francese…“o re cristianissimo, risorta gloria di Carlo Magno, noi supplichiamo la potenza divina…”. Attraversata la via Maestra il sovrano francese, che aveva solo 24 anni, entrò nel palazzo di Giovanni Solaro, il più lussuoso edificio della città mentre i vescovi furono ospiti del convento di San Domenico, nei pressi di Casa Solaro che nella prima metà del Settecento diventerà la sede del Ghetto ebraico. Il Re fece tappa a Chieri, che faceva parte del Ducato di Savoia, per ottenere prestiti dai ricchi banchieri locali a sostegno della sua spedizione militare nella penisola mirata alla conquista del Regno di Napoli. Il Re di Francia soggiornò in città per quattro giorni e furono anche giornate scandite da frequenti incontri amorosi con le donne chieresi nonostante il sovrano fosse brutto, molto piccolo e balbuziente. Quando tornò a Chieri l’anno successivo scrisse ben 25 lettere su temi politici. Ma la fortuna non l’aiutò, anzi, la sconfitta militare del Re fu un brutto colpo anche per Chieri. Il sovrano non poté restituire i fondi ricevuti in prestito gettando Chieri e gli stessi Solaro in una grave crisi finanziaria. Il 9 settembre del 1494 le truppe francesi lasciarono Chieri dirette ad Asti lasciando nella città alle porte di Torino le tracce del passaggio del monarca. Sulla facciata di Palazzo Solaro in via Vittorio Emanuele II angolo via della Pace una lapide murata in marmo bianco ricorda l’evento. Si vede la corona reale dei Valois con i tre gigli di Francia e un’iscrizione in lingua provenzale con  caratteri gotici in cui si legge “in questa casa ha dimorato Carlo, re dei Galli”.
La prima parte del Cinquecento fu uno dei periodi più tormentati nella storia del Ducato Sabaudo e il Piemonte fu teatro di scontri continui tra le due potenze dominanti dell’epoca, la Francia e l’impero spagnolo e Chieri si trovò più volte coinvolta negli eventi bellici. La divisione della penisola in ducati, repubbliche e regni scatenò ben presto il desiderio di espansione dei sovrani europei tra i quali, appunto, Carlo VIII che nel 1494 scese in Italia per tentare di occupare il Regno di Napoli sulla base di una pretesa dinastica. Il sovrano arrivò a Torino il 5 settembre ospite della reggente Bianca di Savoia che proclamò la neutralità del Ducato di Savoia pur concedendo il passaggio ai soldati francesi. Da Torino Carlo VIII cavalcò a Chieri e qui si fermò alcuni giorni. Prima di puntare ad Asti fece una capatina a Vezzolano. Secondo le cronache del tempo pare che non solo sia entrato nella storica Abbazia ma abbia pranzato nel refettorio insieme ai frati di Santa Maria. Carlo VIII è rappresentato nel trittico sull’altare dell’abbazia, inginocchiato, con i gigli di Francia sull’abito regale. Vicino a lui, la Madonna in trono e Sant’Agostino. Quattro anni dopo, a soli 28 anni, Carlo VIII morì per un banale incidente nel castello di Amboise. Batté la testa contro l’architrave in pietra di una porta mentre passava a cavallo nel parco.
Un bel libro per conoscere ogni particolare sul soggiorno del re francese a Chieri è quello scritto da Pier Paolo Falcone dal titolo “Un Re di Francia a Chieri, Carlo VIII” del quale però si trovano solo tre copie, nella biblioteca civica di Chieri, nell’Archivio di Stato a Torino e presso l’associazione culturale chierese Carreum Potentia.
                                                                                                 Filippo Re
Due fotografie di Palazzo Solaro a Chieri + la lapide in marmo che ricorda il soggiorno di Carlo VIII in città

Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia

Breve storia di Torino

1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia
4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
6 Torino Capitale
7 La Torino di Napoleone
8 Torino al tempo del Risorgimento
9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi

 

3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia

Prosegue in questo terzo articolo il mio intento di raccontare storicamente le vicissitudini della nostra bella Torino. La volontà è quella di riproporre in una serie di testi gli avvenimenti, i fatti e i personaggi che, a partire dalle origini taurine, si sono succeduti e hanno reso il capoluogo pedemontano quello che è oggi. L’urbe ha subito notevoli modifiche nel corso del tempo, cambiamenti architettonici, urbanistici, politici e sociali, la città si è evoluta insieme all’Italia e all’Europa, talvolta occupando una posizione preminente nello svolgimento degli eventi, talvolta rimanendo “dietro le quinte” ad osservare silenziosa il mondo che cambiava.
Proseguo nel mio impegno dunque, intrattenendovi oggi, cari lettori, sulle tematiche riguardanti il caotico periodo postcarolingio.
Siamo nell’anno 887: muore Carlo il Calvo, l’Impero di Carlo Magno si disgrega, i signori locali vogliono disperatamente la corona. Arnolfo di Carinzia è proclamato re dei Franchi orientali, Oddone di Parigi diviene re dei Franchi occidentali, mentre Berengario del Friuli e Guido II di Spoleto si contendono la corona di re d’Italia.
Questo l’intricato “background”. Vediamo ora di approfondire un po’ la questione.
L’Impero carolingio è giunto al termine, il potere un tempo di Carlo Magno ora è nelle mani di conti, duchi e marchesi, aristocratici a capo di ampi territori comprendenti sia le zone rurali sia le città.

La stabilità politica è tuttavia qualcosa di apparentemente irraggiungibile: tali regni risultano caotici ed effimeri, i signori sono costantemente occupati a rivaleggiare tra loro per il Regno Italico, ma nessuno è destinato a detenere il potere a lungo.
In questo clima di instabilità generale Torino rimane ai margini, adeguandosi agli avvenimenti che interessano non solo la regione specifica, bensì tutta la penisola italiana.
Dopo la caduta dell’Impero la città subalpina cambia rapidamente “proprietario”, alla morte di Suppone II la città e le zone annesse passano dapprima sotto la giurisdizione di Carlo il Grosso (887), poi di Berengario del Friuli (888), a sua volta sconfitto da Guido di Spoleto.
Quest’ultimo, determinato a mantenere la propria podestà, decide di concentrare le forze armate nel confine nordoccidentale del regno, dando così vita ad una nova unità territoriale, la “marca di Ivrea”, una sorta di principato di frontiera che comprendeva il vasto territorio del comitato di Torino fino alle coste della Liguria. Guido affida il controllo della zona ad un suo fedele sostenitore, il burgundo Anscario, la cui discendenza amministrerà la regione per lungo tempo. Nell’anno 899 è Adalberto ad amministrare la marca, assicurandosi il titolo di marchese – “reggente di una marca”- ; egli varia anche le alleanze, sicuro di schierarsi a sostegno di Berengario del Friuli, che si era proclamato re agli inizi dell’anno 888, nella capitale Pavia.

Sul terminare del IX secolo, si assiste al fenomeno delle “seconde invasioni”: gruppi di genti agguerrite e violente giungono da est, da sud e da nord, si tratta dei Normanni – anche noti con l’appellativo “Vichinghi”- aggregati tribali che saccheggiano le coste atlantiche, vi sono poi gli Ungari, che tengono sotto costante attacco Germania e Italia, e infine i Saraceni, dediti a scorrerie navali nell’area del Mediterraneo.
Alle vicissitudini per il potere, si aggiunge il pericolo degli invasori, particolare preoccupazione destano appunto i Saraceni, guerrieri musulmani provenienti dalla Spagna e dal Nordafrica che avevano valicato le Alpi e depredavano ora la marca di Ivrea. In seguito a tale incursione, diversi monaci sono costretti a rifugiarsi all’interno delle mura cittadine: è in questo periodo che sorge il Santuario della Consolata, dedicato alla Vergine e ancora oggi una delle chiese più note di Torino. (La chiesa ha origini antichissime, e sorge sui resti di una piccola chiesa paleocristiana).
Gli Ungari a partire dall’anno 898 oltrepassano le Alpi e attaccano la marca friulana, fino a raggiungere, negli anni successivi, Vercelli e i pressi di Pavia.
Accade poi la morte di Anscario (940), seguita dalla ritirata di Berengario di Ivrea in Germania, dove ottiene la protezione di Ottone I, nuovo imperatore. Nel 950 Berengario fa ritorno per sconfiggere i nemici e per riorganizzare la marca di Ivrea in tre marche distinte, ciascuna affidata ad una famiglia: il Piemonte meridionale e la Liguria vengono affidati al marchese Oberto, ad Aleramo spetta invece la parte orientale della regione, con il Monferrato, e infine la nuova marca di Torino spetta ad Arduino, detto il Glabro. Intanto, nel 962, Ottone I scende in Italia, depone Berengario e si fa incoronare imperatore dal papa.
Ottone e i suoi discendenti controllano il Regno italico grazie alla forza degli eserciti, tentando a loro volta di sconfiggere i signori locali, assoggettandoli alla propria volontà. In questo turbolento succedersi di avvenimenti, alcune figure spiccano dalla massa per importanza e preminenza, tra queste vi è sicuramente Arduino, marchese di Torino, capostipite degli Arduinici. Abbiamo sue notizie a partire dal 945, epoca in cui viene nominato ancora come conte, già insediato a Torino, in una fortezza vicina alla porta occidentale della città, abitazione che fungeva da quartier generale per gli scontri armati contro i Saraceni.
Sono tuttavia le cronache di Novalesa a fornirci di diverse informazioni riguardanti Arduino: in questi testi egli è descritto come borioso, avido, “lupo affamato travestito da pecora”. Tuttavia, al di là del giudizio dei monaci adirati perché il conte si era rifiutato di restituire al clero alcuni possedimenti terrieri, Arduino si dimostra un soldato capace e un politico intraprendente.

Tra il 961 e il 962 il conte è quasi certamente coinvolto nel complotto a favore di Ottone I, ed è proprio grazie a queste gesta che ottiene il rango di marchese, tuttavia è bene sottolineare che, nonostante tale avvenimento, i successori di Arduino, gli Arduinici, mantengono con l’Imperatore rapporti sempre ambigui.
Altra figura di spicco è Olderigo Manfredi, imparentato con il marchese di Canossa, sposato con Berta degli Obertenghi, signori della Liguria e del Piemonte meridionale. Il nuovo marchese consolida la propria supremazia attraverso una stretta alleanza con la Chiesa, sodalizio consolidato grazie all’edificazione di diverse abbazie – da lui amministrate- tra Caramagna, Susa e Torino. Durante il suo regno la diocesi di Torino è sotto la guida di Landolfo, ex cappellano dell’Imperatore Enrico II di origini germaniche e dalle spiccate doti amministrative; proprio al vescovo si deve la fondazione e il restauro di diverse chiese situate nelle campagne, il sorgere di questi nuovi centri religiosi favorisce la gestione delle terre e regala linfa vitale ai villaggi delle zone rurali, quali Chieri, Piobesi, Rivalta e Cavour.
Non trascorre poi molto tempo prima che si verifichi una nuova lite tra i grandi signori del regno, ciascuno bramoso di arraffarsi il potere sul Regno Italico. La situazione precipita quando i “milites minores” insorgono a Milano contro l’arcivescovo: Olderico Manfredi interviene nella disputa e rimane ucciso nei combattimenti nel 1034. La moglie Berta eredita dunque il controllo della marca di Torino e subito si assicura di combinare dei matrimoni per le tre figlie. Adelaide sposa il duca Ermanno di Svevia, Ermengarda invece viene concessa al duca Ottone di Schweinfurt ed infine la più piccola, Berta, viene maritata con un rampollo della casa degli Obertenghi. È ora dunque di trattare di un’altra personalità emergente, proprio la primogenita di Berta, la contessa Adelaide, con cui la dinastia arduinica tocca l’apice del successo, grazie anche all’attenta e acuta amministrazione della marca di Torino.

Due volte vedova, Adelaide si unisce in terze nozze ad Oddone di Savoia, da cui ha diversi figli, tutti intelligentemente promessi a personalità delle più rilevanti famiglie nobiliari. Di lei sappiamo che era ben consapevole delle proprie doti e della propria posizione di preminenza, inoltre pare fosse gelosa del suo potere ma anche abile nell’attitudine del comandare.
L’importanza della figura della contessa emerge tuttavia successivamente, durante i decenni centrali del secolo XI, durante i moti riformisti, quando il sistema governativo sostenuto da Ottone I viene messo in discussione e Impero e Chiesa Riformista iniziano a scontrarsi. Adelaide, fervente credente e sostenitrice di molte idee dei riformisti – che condannavano la simonia e il concubinato ecclesiastico- si trova improvvisamente tra due fuochi: Enrico IV, l’Imperatore, nonché marito di sua figlia Berta e Matilde contessa di Toscana, con cui era imparentata non troppo alla lontana, calorosa sostenitrice dei riformisti.
Adelaide riesce a districarsi e appiana la disputa, ponendosi come garante per un accordo tra le due parti.
La contessa per tutta la vita reclama e detiene i propri diritti, anche quando questi vengono attaccati dal vescovo che la vuole privare di alcuni suoi possedimenti.
Adelaide è una delle tante figure femminili di cui è fatta la Storia, una sorta di femminista che non necessita di tale etichetta per dimostrare la propria forza e determinazione.
Ancora una volta c’è da imparare dal passato. Ancora una volta Torino risulta fonte d’ispirazione.

Alessia Cagnotto

Torino policulturale: Porta Palazzo

 

Torino sul podio: primati e particolarità del capoluogo pedemontano

Malinconica e borghese, Torino è una cartolina daltri tempi che non accetta di piegarsi allestetica della contemporaneità.
Il grattacielo San Paolo e quello sede della Regione sbirciano dallo skyline, eppure la loro altitudine viene zittita dalla moltitudine degli edifici barocchi e liberty che continuano a testimoniare la vera essenza della città, la metropolitana viaggia sommessa e non vista, mentre larancione dei tram storici continua a brillare ancorata ai cavi elettrici, mentre le abitudini dei cittadini, segnate dalla nostalgia di un passato non così lontano, non si conformano allirruente modernità.
Torino persiste nel suo essere retrò, si preserva dalla frenesia delle metropoli e si conferma un capoluogo a misura duomo, con tutti i pro e i controche tale scelta comporta.
Il tempo trascorre ma lantica città dei Savoia si conferma unica nel suo genere, con le sue particolarità e contraddizioni, con i suoi caffè storici e le catene commerciali dei brand internazionali, con il traffico della tangenziale che la sfiora ed i pullman brulicanti di passeggeri sudaticcima ben vestiti.
Numerosi sono gli aspetti che si possono approfondire della nostra bella Torino, molti vengono trattati spesso, altri invece rimangono argomenti meno noti, in questa serie di articoli ho deciso di soffermarmi sui primati che la città ha conquistato nel tempo, alcuni sono stati messi in dubbio, altri riconfermati ed altri ancora superati, eppure tutti hanno contribuito e lo fanno ancora- a rendere la remota Augusta Taurinorum così pregevole e singolare.

 

1. Torino capitale… anche del cinema!

2.La Mole e la sua altezza: quando Torino sfiorava il cielo

3.Torinesi golosi: le prelibatezze da gustare sotto i portici

4. Torino e le sue mummie: il Museo egizio

5.Torino sotto terra: come muoversi anche senza il conducente

6. Chi ce lha la piazza più grande dEuropa? Piazza Vittorio sotto accusa

7. Torino policulturale: Porta Palazzo

8.Torino, la città più magica

9. Il Turet: quando i simboli dissetano

10. Liberty torinese: quando leleganza si fa ferro

 

7. Torino policulturale: Porta Palazzo

 

Quanto mi piaceva andare al mercato di Porta Palazzo.
Ci andavo con mio padre, all’inizio, quando abitavo in precollina: si prendeva il tram 3 e si sbarcava direttamente in quel caos olente e chiassoso, un conglomerato multietnico di signore anziane con buste troppo piene e signori eccessivi dietro i banchi che si sgolavano per ottenere l’attenzione dei passanti.
Adoravo la vista di tutte quelle “cose” in simultanea, abiti colorati, formaggi appesi, collanine luccicanti, CD-ROM, videocassette, MP3,
walkman, salumi giganteschi, interi e sezionati, verdure di ogni tipo, spezie, ortaggi e poi d’improvviso quel mefitico odore di pesce.
Un pezzo di città che percepivo come un mondo a parte, un mini-universo intricato e confuso, un bailame da cui si andava e si veniva attraverso le navicelle spaziali che erano pullman e tram.
Ho continuato a fare delle “scappate” con le amiche in seguito, soprattutto in occasione del “Gran Balon”, che ancora oggi si svolge ogni seconda domenica del mese, all’interno del Cortile del Maglio, ad opera
dall’Associazione Commercianti Balon.


Torino è tante realtà, c’è la periferia e c’è il centro, c’è la “movida” e c’è il silezio dei parchi e c’è poi un cuore cosmopolita e indaffarato che pulsa brulicante tra lingue differenti e dialetti “impestati”.
Ed è proprio a “Pòrta Pila” -o anche “Pòrta Palass”- per dirla in piemontese, che si cela un altro record torinese: il mercato di Porta Palazzo è infatti il mercato all’aperto più grande d’Europa.
Inoltre, mi pare opportuno menzionare un altro primato del capoluogo, che si trova proprio lì, nei pressi del noto “bazar” locale, ossia la Porta Palatina di Torino, considerata una delle testimonianze di “porta romana” meglio conservate al mondo.
Si sta parlando di una zona dalla forte identità, tant’è che essa viene ritenuta un quartiere a sé stante -anche se non lo è a livello amministrativo-.
La denominazione deriva da una delle porte dell’antica Augusta Taurinorum, mentre l’inizio dei lavori, voluti dal Re Vittorio Amedeo II, avviene nel 1701, nell’ambito di un progetto più complesso il cui scopo era dare un nuovo assetto alla città.
È tuttavia solo dal 1835 che qui si stabiliscono i mercati, a seguito
di un’epidemia di colera che comporta il divieto – almeno in centro città- della macellazione degli animali e della manipolazione dei pesci. Vengono allora edificati due palazzi in stile neoclassico -appositamente per le attività di macello- dei locali sotterranei adibiti a ghiacciaie, a cui si aggiungerà più tardi – molto più tardi in effetti, nel 1916- il padiglione dell’orologio, la più grande costruzione in ferro e vetro di tutta Torino.
Nucleo centrale della zona è senza dubbio “il quadrato” all’imbocco di via Milano, dove, fino al Settecento, si trovava la “posterla” di San Michele, una piccola porta secondaria utilizzata per accedere all’ingresso nord della città, in sostituzione della romana e vetusta Porta Palatina. Tale passaggio scompare a seguito dei progetti di Juvarra, il quale propone la realizzazione di una struttura ad arco trionfale, portici e paraste. L’abbattimento delle mura avviene però nell’Ottocento, per volere di Napoleone, solo a quel punto la piazza assume l’ampiezza attuale, con il prolungamento della piazzetta verso nord e l’aggiunta del grande spiazzo ottagonale che caratterizza l’odierna piazza della Repubblica.
Non cambia nel tempo il segno distintivo del luogo: “l’incontro”. Così infatti ne parla Fiorenzo Oliva ne “Il mondo in una piazza. Diario di un anno tra 55 etnie” (edito nel 2009): “Porta Palazzo è profumo di frutta e verdura, colori vivaci,vociare straniero mescolato agli svariati dialetti italiani, contatto con popoli lontani. A Porta Palazzo vivono, si incontrano e si scontrano l’Europa, l’Africa e l’Asia”.
Non basta tuttavia passeggiare tra le bancarelle, vi sono anche altri punti d’interesse da tenere in considerazione. I Padiglioni IV, II e V ad esempio: il primo è considerato simbolo per eccellenza del grande mercato, edificato nei primi del Novecento, è conosciuto dai torinesi come “l mercà dij busiard” (il mercato dei bugiardi), nonostante il soprannome poco cortese, la struttura è sempre stata zona di grandi affari; gli altri due edifici invece vengono eretti nel 1836, su progetto dell’ingegner Barone, uno dedicato al mercato del pesce e l’altro invece agli altri generi alimentari.
Da non dimenticare assolutamente poi il PalaFuksas, progetto realizzato da Doriana e Massimiliano Fuksas tra il 1998 e il 2005, dopo la demolizione del preesistente “Mercato dell’Abbigliamento” del 1963.
L’edificio, noto anche come “Centro Palatino”, viene inaugurato il 25 marzo 2011, ospita al suo interno
due delle più antiche ghiacciaie sotterranee della piazza, rinvenute durante gli scavi per i lavori.
La struttura presenta una forte estetica contemporanea, caratterizzata dall’utilizzo del vetro e del metallo brunato, a sottolineare l’unione tra il moderno e le architetture eterogeee sviluppatisi nell’area negli ultimi tre secoli.

Nel 2019 partono importanti lavori di riqualificazione, dopo la chiusura di diversi punti vendita, viene così inaugurato il Mercato Centrale, che offre numerosi angoli gastronomici e ristoranti tipici in rappresentanza dei vari territori italiani.
Altro riferimento della zona è senz’altro il SERMIG, cruciale per quel che riguarda un concreto aiuto per alleviare le problematiche migratorie e sociali dovute a povertà e degrado.
Dal contemporaneo all’epoca romana, mi pare doveroso citare ancora l’antica Porta Principalis Dextera, “Pòrta Palatin-a o Tor Roman-e” in piemontese, l’originario accesso da settentrione per il capoluogo piemontese. Si tratta della principale testimonianza archeologica dell’epoca romana della città, nonché di una delle porte urbiche del I secolo a.C. meglio conservate al mondo; la struttura è compresa nell’area del Parco Archeologico, inaugurato nel 2006, insieme a Palazzo Reale e al Teatro Romano.
Un tempo nota come “Porta Doranea”, a causa della vicinanza con la Dora Riparia, oggi meglio conosciuta come Porta Palatina, dicitura derivante probabilmente dal latino “Porta Palatii.” I resti dell’architettura sono imponenti ed è più che visibile la somiglianaza strutturale con la Porta Decumana, inclusa nella successiva struttura medievale dell’attuale Palazzo Madama, entrambi gli ingressi rappresentano dunque un tipico esempio di “porta ad cavædium”, ovvero una struttura a doppia porta con “statio”,
un cortile quadrangolare sul lato interno. Vicino è ancora presente parte del basolato, sempre di epoca romana, su cui è ancora possibile visionare i solchi sulle pietre provocati dal transito del carri. È opportuno specificare che le statue bronzee raffiguranti Cesare Augusto e Giulio Cesare non sono originali ma copie risalenti al restauro del 1934.
La struttura si è di recente ritrovata sotto i riflettori, grazie all’opera dello street artist francese Saype, il quale nell’ottobre 2020 ha realizzato un murale lungo il prato del parco. L’opera,
raffigurante una catena di mani e braccia che si stringono tra di loro e che attraversano idealmente la Porta, può essere visualizzata esclusivamente dall’alto e non per sempre, infatti l’utilizzo di vernici biodegradabili la rende sì rispettosa dell’ambiente ma anche destinata a scomparire.
A Torino nulla è banale, nemmeno fare la spesa, ce lo insegna Gozzano: “Passiamo tra banco e banco, tra le cataste di stoffa, tra il gaio sventolare dei nastri e dei pizzi sospesi alle travi, ecco l’odore acre delle stoffe, mitigato, sostituito dall’aroma dei fiori; passiamo oltre, tra le chincaglierie, le terraglie, i vetri; veniamo alla nota vera, predominante di Porta Palazzo: quella gastronomica”.

Alessia Cagnotto

 

 

‘Manon Manon Manon’, un viaggio affascinante per la prima volta al Regio

‘Manon Manon Manon’ rappresenta un viaggio affascinante che, per la prima volta in Italia, il teatro Regio di Torino propone dal 1 al 29 ottobre 2024. Si tratta di una lunga soggettiva dedicata  a Manon Lescaut, giovane protagonista del romanzo dell’abate Prévost che, a partire dal suo successo settecentesco, ha ispirato ben tre compositori: Daniel Auber, che ha dato vita a Manon Lescaut nel 1856, Jules Massenet, che compose la sua Manon nel 1884 e Giacomo Puccini che ne scrisse nel 1893. Si tratta di tre opere autonome ma complementari, con tre direttori d’orchestra, tre interpreti per una protagonista unica, tre diversi cast per una trilogia che si compone di tre nuovi allestimenti e ventuno recite in un mese, una vera e propria sfida artistica e produttiva capace di mettere in luce la forza del teatro Regio.

Punto di partenza e centro di questo progetto è  Giacomo Puccini, di cui quest’anno cade il centenario della morte e che presentò Manon Lescaut proprio al teatro Regio il 1 febbraio 1893. Puccini è  per il teatro Regio un autore fondamentale,  visto che scelse il teatro subalpino per due prime assolute e il sovrintendente del teatro Regio, Mathieu Jouvin e il suo direttore artistico Cristiano Sandri hanno presentato ben sette titoli, per riservare uno spazio speciale alla Manon all’inizio della stagione 2024/2025.

Deus ex machina è il regista Arnaud Bernard, cui è stata affidata la messinscena dei tre spettacoli e che ha scelto di raccontarli sotto la lente di ingrandimento del cinema, attraverso tre epoche iconiche della cinematografia francese, così strettamente legata a Torino “città del cinema”.

“Queste tre opere danno vita – spiega Mathieu Jouvin – a un unico personaggio di incredibile fascino, che risulta scolpito sotto tre punti di vista. Benché composte nell’arco di appena quaranta anni tra il 1856 e il 1893, rappresentano l’evoluzione del gusto musicale di tre secoli, dal Settecento al Novecento. Auber  guarda al belcanto, Massenet rappresenta in pieno il linguaggio dell’Ottocento francese, mentre Puccini si proietta verso la modernità,  anticipando sensibilità musicali del XX secolo.Un’occasione unica e affascinante che, per me, ha il sapore di una degustazione di vini. Come ogni annata, ogni terreno, ogni vignetomettono in luce le caratteristiche di uno stesso vitigno, così ogni allestimento saprà esaltare le differenze di un’unica protagonista, a volte frivola, a volte torturata, a volte ribelle. Il teatro sarà  aperto ogni giorno e il pubblico, turisti compresi, potranno assistere ogni sera a un titolo diverso, scegliendo le date del mese di ottobre. Manon Manon Manon sarà al centro dell’interesse europeo, perché il teatro Regio ospiterà dal 24 al 26 ottobre 2024 la Conferenza d’Autunno di Opera Europa, principale organizzazione europea che riunisce teatri e festival lirici di oltre 44 Paesi”.

Pubblicato per la prima volta nel 1731 come Histoire du Chevalierde Grieux et de Manon Lescaut, ultimo capitolo dell’ampia opera di Antoine Francois Prévost ‘Mémoires et aventure d’un hommede qualité’, il romanzo narra dell’amore travagliato tra un giovane studente divenuto cavaliere, Des Grieux, e l’affascinante e volubile Manon Lescaut.

Punto di partenza del regista Arnaud Bernard è  la domanda “Chi sono le tre Manon?” la Manon di Prévost è  piuttosto avventurosa, ma anche una donna libera che scopre solo tardi il vero amore. La Manon di Auber è un uccello in trappola, quella di Massenet una donna alla ricerca di sé stessa, per Puccini una donna libera e ribelle. È l’unione di tutte le Manon a fare Manon, rappresentare le tre Manon è il punto centrale di questa impresa colossale. Le tre opere sono autonome e si reggono nella loro indipendenza, ma sono le differenze a alimentarsi a vicenda. Di qui l’idea di pensare a Manon come ‘Manon Manon Manon’, uno spettacolo in tre serate con un fil rouge che le accomuna, il cinema  o meglio tre epoche simbolo del cinema francese.

Per Puccini il punto di vista sarà quello del realismo poetico del cinema francese degli anni Trenta, quello de Il porto delle nebbie, di Amanti perduti e l’Angelo del male, il cinema di Jean Gabin e Michèle Morgan, che romanticizza, mettendo in risalto, le questioni drammatiche. Per Massenet saranno Brigitte Bardot e la Parigi anni Sessanta, contraddistinti dall’emancipazione femminile, dal ruolo della femme fatale, anticonformista, con i suoi atteggiamenti ribelli, il lato selvaggio, l’emblema della tentazione e del peccato.

L’estetica  del cinema muto è la chiave per interpretare al meglio la Manon di Auber, la più fragile, la più delicata, la più vecchio stile delle tre Manon. È l’occasione per ricordare non solo Georges Meliès, ma anche Alice Guy, una donna oggi sconosciuta, che fu la prima regista nella storia del cinema.

“La Manon di Auber – spiega Arnaud Bernard- costituirà il legame tra il nostro progetto e Torino, la città dove è nato gran parte del cinema italiano e che ha sviluppato maggiori produzioni di fama internazionale “.

Le tre produzioni vedranno impegnati l’Orchestra e il Coro del Teatro Regio, istruito dal maestro Ulisse Trabacchin.

L’inaugurazione sarà martedì 1 ottobre con Manon Lescaut di Giacomo Puccini su libretto di Luigi Illica, Domenico Oliva e Marco Praga. In scena per sette recite fino a sabato 26 ottobre, sotto la direzione del maestro Renato Palumbo, tra i massimi esperti mondiali d’opera italiana. Nel ruolo del titolo protagonista Erika Grimaldi, Roberto Aronica in quello di Renato Des Grieux, Alessandro Luongo è  Lescaut e Carlo Lepore è Geronte di Levoir.

Nei due ruoli principali si alterneranno Maria Teresa Leva e Carlo Ventre.

Sabato 5 ottobre alle ore 19 andrà in scena Manon di Jules Massenet, su libretto di Henry Meilhac e Philippe Gille, in scena per sei recite fino a martedì 29 ottobre,  sotto la direzione del maestro Evelino Pidò, nato a Torino ma residente a Parigi, il più francese dei grandi direttori d’orchestra italiani. L’opera debuttò all’Opera Comique di Parigi nel 1884, ottenendo uno stravolgentesuccesso. Giovedì 17 ottobre alle ore 19 il Regio presenterà in prima esecuzione a Torino, Manon Lescaut di Daniel Auber su libretto di Eugene Scribe, in scena per cinque recite fino a domenica 27 ottobre, per la direzione del maestro Guillaume Tournaire, che debutta al teatro Regio.

Tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta dell’Ottocento Daniel Auber e il drammaturgo Eugène Scribe furono i veri protagonisti del teatro parigino dell’Opera Comique e il segreto del loro successo consisteva nel mettere in scena drammi in cui i protagonisti affrontavano difficoltà di gravità  crescente, abbinati a partiture leggere e melodie irresistibili.

In abbinamento alla trilogia su Manon, in collaborazione con il teatro  Regio, il Museo Nazionale del Cinema presenterà un omaggio al cinema francese venerdì 1, sabato 2 e domenica 3novembre; tra i film in programma anche Manon di Henri Georges Cluzot, Vie privée di Louis Malle, La Bete Humaine di Jean Renoir e Le Quai des brumes di Marcel Carne.

MARA MARTELLOTTA