CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 224

Masterclass di Aurora Ruffino alla Gypsy Academy

Il 25 marzo protagonista il celebre volto dell’attrice piemontese

Il 25 marzo Gypsy Academy è  in programma la masterclass con Aurora  Ruffino, uno dei volti più amati nel panorama cinematografico italiano.

Era soltanto una ragazzina quando entrò a far parte della famiglia Gypsy . Originaria del 1989 di Druento, è  stata destinata a diventare uno dei volti più noti e amati della fiction italiana.

Dalle aule della Gypsy è passata direttamente al grande schermo esordendo nel 2010 nel film “La solitudine dei numeri primi”, tratto dall’omonimo romanzo del torinese Genovese.

Aurora tornerà  sabato 25 marzo laddove tutto è iniziato, per raccontare attraverso una masterclass i segreti del suo percorso di continua crescita.

Dopo la partecipazione a la Solitudine dei numeri primi  il cinema italiano la vede protagonista di un successo consacrato con il film Bianca come il latte, rosso come il sangue”, entrando  a far parte del cast  dei Bracialetti Rossi che le valse i primi premi all’Explosive Talent Award e il premio alla Giuria al Roma Fiction  73esima edizione.

MARA MARTELLOTTA

 

Gypsy Musical Academy

Via Pagliani 25

Tel p11p968343

Alice Visentin vince il Premio d’arte internazionale Collective

Per il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea ed entra nelle Collezioni del Museo

Alice Visentin (Ciriè, Torino, 1993) è la vincitrice della prima edizione del Premio d’arte internazionale Collective per il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. Grazie all’acquisto effettuato dai Soci di Collective, l’opera di Visentin Banda di fiori (Notturno), 2021, entra in qualità di donazione a far parte della Collezione permanente del Museo.Promosso da Collective, Associazione italiana di collezionisti d’arte contemporanea costituita nel 2019, il Premio d’arte internazionale Collective per il Castello di Rivoli ha come obiettivo l’acquisizione e donazione al Museo di un’opera realizzata da una/un artista di età inferiore ai 35 anni. Corrispondente a 20.000 euro, il Premio ha cadenza biennale.

Visentin è stata selezionata da una commissione dedicata al progetto, composta dal Direttore del Castello di Rivoli Carolyn Christov-Bakargiev, dal Vice Direttore e Capo Curatore Marcella Beccaria e dal Curatore Marianna Vecellio, a partire da una rosa di 36 lavori realizzati da artiste/i italiani e internazionali proposti dai Soci di Collective.

Profondamente radicata nel suo territorio di origine, l’arte di Alice Visentin si ispira a tradizioni orali, dettagli di fatti storici ed elementi fantastici. L’opera vincitrice Banda di fiori (Notturno) è un importante ciclo pittorico composto da 5 tele. Emergenti dall’oscurità della notte, i fiori rappresentati in ciascuna delle tele diventano per l’artista “metafora della condizione umana, collegata all’universo fisico e trascendentale. Attraverso l’immagine naturale dei fiori e della notte – entrambi archetipi e simboli di un inconscio collettivo – ho immaginato le radici che scendono nella terra, mentre foglie e petali si estendono in alto, verso i cieli pieni di stelle. Tra gli steli, le foglie e i petali, le piante ci offrono piccolissime frasi e parole come fossero oracoli o consigli”.

“Fin dalla nascita del Museo”, dichiarano Marcella Beccaria e Marianna Vecellio, “le Collezioni del Castello di Rivoli sono cresciute secondo un processo organico che si fonda su sinergie e legami tra gli artisti e le opere. Negli ultimi anni in particolare il Museo si è dedicato a nuove forme di espressionismi, ponendo attenzione alla relazione tra l’umano, l’espressione individuale e la sintesi proposta dal mondo digitale. Spesso nate a partire da storie minime, sospese tra realtà e fantasia, le opere pittoriche di Alice Visentin alludono a un immaginario che intenzionalmente si riallaccia a tradizioni effimere e locali, lontane dall’attuale appiattimento tecnologico. Per questa prima edizione la nostra scelta privilegia un’artista italiana. Ringraziamo Collective per questa donazione che con generosità e lungimiranza contribuisce a consegnare nuove opere al tempo lungo della memoria museale”.

“Mi congratulo per questa nuova iniziativa privata a favore di sostenere le ricerche di un’artista come Alice Visentin e un museo pubblico”, aggiunge il Direttore Carolyn Christov-Bakargiev, “e ringrazio il Vice Direttore Marcella Beccaria per aver tessuto con cura le relazioni con Collective e il Curatore Marianna Vecellio per lo studio, raggiungendo un ottimo risultato”.

 

Banda di fiori (Notturno), 2021
tecnica mista su tela
5 elementi, 130 x 150 cm ciascuno
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Donazione Premio d’arte internazionale Collective
Foto Sebastiano Pellion

Al Mao il poemetto Kumarjiv

 

MAO Museo d’Arte Orientale
via san Domenico 9, Torino

Venerdì 24 marzo ore 16.30

Il MAO è lieto di ospitare venerdì 24 marzo alle 16.30 la presentazione del poemetto Kumārjīv, a cura della prof. Alessandra Consolaro, UniTO.

Nel poemetto omonimo del poeta hindi Kunwar Narain (1927-2017), il grande traduttore Kumarjiv (in sanscrito Kumārajīva), vissuto a cavallo tra la lingua sanscrita e quella cinese sedici secoli prima di noi, diventa un soggetto poetico, che consente al lettore di ripensare l’interazione tra storia, attività intellettuale e poesia.

Kumarjiv è il traduttore prototipico che comunica il messaggio buddhista in un contesto interculturale. È ricercatore, conoscitore e commentatore, ma non vuole essere un “maestro”. Da un lato, la sua vita è ilprototipo dell’infinita ricerca umana della verità.

Allo stesso tempo il Kumarjiv di Kunwar Narain è cittadino del mondo, nato fuori dal subcontinente indiano, ma capace di fare di una lingua e di una religione indiana la sua casa. Non da ultimo, Kumarjiv esplora la tensione e la ricerca di una soluzione nella dicotomia tra vita mondana e vita intellettuale/spirituale, trovando un equilibrio e una conciliazione tra due stili di vita apparentemente contrapposti. Kumarjiv così come reso da Kunwar Narain è un individuo, la cui attività di traduzione è il risultato di una scelta personale, che gli concede una percezione molto profonda dell’essenza della traduzione: entrare nel mondo dell’altro aprendo la porta della lingua è come costruire un sentiero di illuminazione tra due culture. È la celebrazione di una profonda amicizia tra due lingue e culture, senza fusione, senza dominio di una sull’altra e senza rivendicazioni di perdite o guadagni, solo un incontro festoso. Questa traduzione italiana presenta uno spaccato di un viaggio di traduzione e poesia lungo la Via della Seta della storia.

Ingresso libero.

La storia di Torino ghigliottinata

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
Anatema! avrebbe detto Mario Soldati, leggendo le proposte dei censori della storia che vorrebbero eliminare i nomi di numerose vie cittadine di Torino.
Innanzi tutto anatema per chi vuole provocare un grave disagio a molti cittadini ed attività per il cambio di indirizzo su tutti i documenti che un cambio di via comporta. Con un’anagrafe non in grado di rilasciare in tempi accettabili la carta d’identità  appare una proposta volta ad evidenziare una arretratezza che ci rende una città da terzo mondo. Ma al di là della boutade, che senso ha eliminare via Tripoli o piazza Bengasi o piazza Massaua  che i torinesi pronunciano con l’accento sbagliato da sempre?  Significa voler mettere sotto il  tappeto la storia senza misurarsi con essa.
Sarebbe la stessa cosa pensare di cancellare corso Unione Sovietica, anche se  l’URSS non c’è più e Tripoli e Bengasi , Massaua ci sono . Il col. Gheddafi si sarebbe sentito ancora più antiitaliano ad apprendere che la capitale della Libia era stata cancellata dalla toponomastica torinese. Si sono dimenticati di cassare dalla toponomastica la Somalia che è stata anch’essa colonia italiana. Qui il colonialismo o il fascismo non c’entrano nulla . Già dopo il 25 aprile 1945  e il 2 giugno i nomi delle vie e dei corsi torinesi cambiarono a furor di popolo e molti Savoia e Gabriele D’Annunzio ne fecero le spese . Benedetto Croce in visita a Torino dopo la guerra protesto ‘ contro lo snaturamento della storia della Città in una lettera al direttore de “La Stampa “ Filippo Burzio che i censori non conoscono e che dovrebbero leggersi per capire che il giacobinismo applicato alla toponomastica è del tutto fuori luogo.
Potrebbero anche pensare di eliminare corso Lepanto, ad esempio, che evoca una battaglia vinta dai cristiani contro l’Islam. Magari ,andando a spulciare , potrebbero trovare nomi di vie che non corrispondono ai gusti dei censori odierni che io  non voglio neppure nominare. Le motivazioni addotte rivelano una totale assenza di quello che Omodeo definiva “il senso della storia“.
Addirittura vogliono eliminare le vie intitolate a due Medaglie d’oro al Valor Militare. Magari dovrebbero anche chiedere la revoca del conferimento della massima  decorazione  militare e  anche la degradazione  postuma di quei due ufficiali caduti al fronte  , uno dei quali , Giuseppe Galliano, venne selvaggiamente ucciso ad Adua nel 1896 ,suscitando l’esecrazione degli Italiani. Il col. Galliano era un militare che obbediva agli ordini e non può essere considerato colonialista e razzista da gente che non  sa nulla della vita militare da cui sarebbero stati dispensati.
Per non parlare dell’ ammiraglio Umberto Cagni noto soprattutto come esploratore per la spedizione al Polo Nord con il Duca degli Abruzzi, che per essere vissuto molti anni in Somalia dove scelse di farsi seppellire, dovrebbe essere il primo dei censurati. Al Duca è anche intitolato il Museo della Montagna a cui dovrebbero cambiare il nome , seguendo la furia iconoclasta dei nuovi crociati della cancel culture subalpina. Anche il Duca Amedeo d’Aosta viceré di Etiopia morto in prigionia a  Nairobi, dovrebbe subire la stessa sorte. E forse, andando a spulciare nel mio libro dedicato alle lapidi e alle vie di Torino edito dal Comune di Torino si potrebbero trovare altri nomi da mettere sotto la ghigliottina. Il buonsenso e la cultura della Presidente del Consiglio Comunale Maria Grazia Grippo e della Commissione Toponomastica sono certo che impediranno di far cadere nel ridicolo Torino.

Costantino Della Gherardesca incontra il pubblico

sabato 25 marzo dalle 16.30 nel negozio Sky di Torino in via Lagrange 32

Un ospite speciale animerà il negozio Flagship Sky di Torino: Costantino Della Gherardesca sarà il protagonista del Meet & Greet, aperto a tutti, presso lo store torinese di Sky.

A partire dalle 16:30 di sabato 25 marzo, il conduttore di “Pechino Express” e “Quattro matrimoni” sarà all’interno del negozio Sky di Via Giuseppe Luigi Lagrange 32F – a pochi passi da Piazza Carlo Felice e da Porta Nuova – per incontrare il pubblico: Costa racconterà i segreti dei due show, a partire dai dietro le quinte di “Pechino Express”, l’avventuroso show Sky Original – quest’anno in corsa lungo “La via delle Indie” – che proprio in questi mesi va tutti i giovedì sera su Sky e in streaming su NOW, e dagli aneddoti più particolari e divertenti delle sfide a colpi di abito da sposa e di confetti di “Quattro matrimoni”, che tornerà prossimamente sempre su Sky e NOW con un nuovo ciclo di episodi.

L’iniziativa proseguirà anche nei prossimi mesi e porterà altri talent in alcuni degli store con cui Sky è presente con dei punti vendita in tutta Italia. Spazi che offriranno sempre più la possibilità al pubblico di conoscere e vivere più a fondo i contenuti di Sky, attraverso i suoi protagonisti. I negozi Sky sono il posto in cui esplorare in modo semplice e divertente la varietà dell’offerta Sky, tra sport, cinema, show, serie tv e documentari, ma anche tecnologia e connettività performanti con Sky Glass e Sky Wifi, oltre che trovare assistenza specializzata per ogni esigenza.

 

Giuseppe Calì, l’artista siciliano che fa il soldato

Palermitano, classe 1976 Giuseppe Calì è un artista a tutto tondo, ispirato e profondo.

Lascia la sua Sicilia, la sua famiglia e approda in Piemonte quando si arruola come volontario nell’Esercito Italiano. Questo distacco, seppur difficile e impegnativo, gli dà nuova linfa per proseguire la sua passione: l’arte; l’indipendenza economica gli permette di coltivare il suo sogno cominciato nella sua terra quando consegue il diploma all’Istituto d’Arte.

Calì, “Benny” per il nonno artista come lui, arriva a Fossano al I° Reggimento di Artiglieria, comincia la sua vita di gruppo e condivisione con i suoi compagni, ma anche di solitudine utile ad alimentare il suo talento e stimolare la sua creatività. E’ proprio alla Perotti di Fossano che Giuseppe sviluppa alcuni progetti: crea lo stemma della Caserma, dipinge un bellissimo murale di 5 metri ubicato presso il Circolo dell’edificio militare e dona un suggestivo ed emozionante dipinto: “La presa di posizione dell’artiglieria”.

Artista versatile e completo, a Calì, oramai benese di adozione, viene conferito il Premio Biennale Nobel dell’Arte presso l’Artexpò Gallery di Montecarlo ed espone le sue opere in importanti mostre come quella organizzata al Salone d’Onore del Comune di Cuneo.

Oltre a lavorare, tra divisa, colori e pennelli, Giuseppe Calì studia i suoi maestri di riferimento come Pollock, alterna il figurativo con un’arte innovativa “che non deve sottostare a regole esterne” e allarga la sua esperienza creando opere di spessore che si ispirano a diversi artisti contemporanei.

Insignito del titolo di Ambasciatore dell’arte nel mediterraneo, Calì crede fermamente che l’arte debba essere alla portata di tutti, non deve avere limiti culturali né cognitivi e considera la ricerca pittorica un continuo divenire, una evoluzione costante. Le sue opere sono pennellate traboccanti di colori ma anche di significato che rendono tangibile l’ impegno profondo e il valore che l’arte ha nella vita del pittore.

Un percorso ricco quello di Calì diviso tra la sua professione di militare e la sua arte, una vita intensa in cui si intersecano perfettamente regole e creatività, condivisione e introspezione, misura ed estro.

MARIA LA BARBERA

https://www.gigarte.com/giuseppecali/home

Ana Roxanne, performance nell’ambito della mostra Buddha10

Martedì 21 marzo 2023 ore 18.30

MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

 

Ana Roxanne, compositrice intersessuale filippino-americana, arriva al MAO Museo d’Arte Orientale per una performance – nell’ambito del public program della mostra Buddha10 – che mescola ispirazioni ambient, jazz, hindustani, corali ed elettroniche fuse in una magica esperienza extracorporea che riflette sulla fluidità di genere.

Ana Roxanne è nota per la sua miscela di musica jazz, corale, elettronica e Hindustani e per l’esplorazione di tematiche legate all’identità di genere. Lavora nella zona liminale fra elettronica sospesa, dream pop e cantautorato ambient. Le sue ispirazioni abbracciano il sacro (attraverso le tradizioni corali cattoliche con cui è cresciuta e il canto Hindustani classico che ha appreso a Uttarkhand, in India) e il profano (con l’ascolto di dive R&B degli anni ’80 e ’90); il tutto sintetizzato in un linguaggio sonoro unico e intuitivo, allo stesso tempo affascinante e arcano, curativo ed evocativo.

Il suo album di debutto “Because Of A Flower” (Kranky, 2020), composto nel corso di cinque anni, è influenzato dall’identità intersessuale dell’artista, sia a livello sonoro sia tematico. Da spoken word presi in prestito da libri di armonia tonale, a campioni di dialoghi di film fino a riferimenti alle arie per castrati, l’album è una visione interstiziale della musica ambient, un’alchimia di evanescenze e sussurri, estasi e dolore, evocata attraverso un fragile equilibrio di voce, basso, dinamiche e dimensione sonora.

 

Il calendario completo degli eventi sul sito.

Info e prenotazioni: eventiMAO@fondazionetorinomusei.it .

Costo: 15 € intero | 10 € ridotto studenti.

I biglietti sono disponibili presso la biglietteria del museo.

Torino, la linea micaelica e la Sacra di San Michele

Il toro rampante, la Mole Antonelliana e lo stemma della casa Savoia: questi sono forse i simboli più usati per identificare il Piemonte e il suo capoluogo principale. Dal 1994 però l’emblema dell’intera regione è un complesso monumentale situato vicino a Sant’Ambrogio di Torino: la Sacra di San Michele. Si tratta di un edificio religioso fondato intorno all’anno Mille che ha avuto il suo periodo di massima fioritura fra il 1100 e il 1500. Ancora oggi è una delle attrazioni più visitate di tutto il territorio grazie alla sua bellezza e alla sua posizione scenografica. È infatti situato sulla cima del monte Pirchiriano, a ben 960 metri d’altezza. La sua importanza storica e spirituale è principalmente collegata all’ordine dei benedettini e a quello dei padri rosminiani che hanno reso questo luogo una delle tappe più importanti della via Francigena. Dietro a questo complesso monastico è però racchiusa in un’ulteriore tradizione dedicata a una delle figure fondanti della cristianità. A due passi da Torino infatti passa la linea micaelica, una traiettoria immaginaria che unisce ben sette monasteri dall’Irlanda alla Terra Santa. Secondo la leggenda è stata creata da un colpo di spada inferto dal santo durante la lotta contro Satana.

torino linea micaelica san michele I Il Torinese

San Michele e le sue rappresentazioni

Il culto di San Michele Arcangelo infatti è particolarmente sentito in tutta Europa e anche in Israele. Ha infatti una lunga tradizione iconografica che lo rappresenta principalmente come un guerriero munito di spada. Infatti è colui che ha sedato la rivolta degli Angeli e ha contribuito alla Caduta di Lucifero: proprio per questo con il piede schiaccia un drago o un serpente. Allo stesso modo viene anche raffigurato con una bilancia. La tradizione cristiana infatti gli attribuisce anche un ruolo importante durante il Giorno dei Giudizio, ultimo momento in cui si consumerà la lotta fra Bene e Male. A lui spetta il compito di suonare la tromba per la risurrezione delle anime.

Torino linea micaelica vista I Il Torinese

Torino, la linea micaelica nella Città Metropolitana

Il punto più settentrionale si trova in Irlanda a Skellig Michael, un isolotto al largo di Kerry. Poche persone all’anno possono accedere a questo luogo che conserva ancora intatta la bellezza selvaggia e primordiale del monastero. Fondato nel 588, stupisce ancora per il suo eccellente stato di conservazione che lo ha reso patrimonio UNESCO. Successivamente in Inghilterra -precisamente in Cornovaglia- è presente Saint Michael Castle. Il sito più famoso invece è Mont Saint Michel, nel nord della Francia, che attrae miriadi di turisti per la sua baia frequentemente soggetta a maree. In alcuni periodi è possibile raggiungere la chiesa a piedi, in altri è necessario il battello. In Italia ci sono due importanti punti della linea micaelica: il primo è la Sacra San Michele, luogo che ha ispirato parzialmente l’ambientazione de “Il nome della rosa” di Umberto Eco.

Il secondo invece è Monte Sant’Angelo in Puglia. Quest’ultima presenta una delle grotte sacre più suggestive al mondo. In Grecia -a Rodi- c’è invece il monastero ortodosso di San Michele Arcangelo, uno dei punti di maggiore attrazione dell’intera baia di Panormitis. Infine l’ultimo è il monastero di Stella Maris, situato sul Monte Carmelo ad Haifa. Questo complesso è anche anche legato alla vicenda del profeta Elia narrata nell’Antico Testamento.

Leggi anche – Torino magica: i luoghi e le energie della città

Francesca Pozzo

Manomanouche, Gipsy Jazz all’Osteria Rabezzana

Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino

Mercoledì 22 marzo, ore 21.30

Il progetto Manomanouche nasce nel 2001 dall’incontro di musicisti di differente estrazione, con una consolidata esperienza professionale e con l’intento di far conoscere ad un pubblico più vasto la cultura e la tradizione musicale degli zingari Manouches. Collaborano con il progetto diversi artisti a livello nazionale ed europeo. Nell’arco di soli tre anni Manomanouche diventa una realtà di riferimento nel panorama Gypsy Jazz: un caso unico per la qualità della ricerca, dell’arrangiamento e per la valenza personale ed emotiva che questo progetto ha per i suoi musicisti. La loro intensa attività concertistica li porta ad assumere e consolidare uno stile sempre più personale, ricco di contaminazioni diverse ma senza mai dimenticare l’essenza, lo spirito che li caratterizza e dal quale traggono ispirazione. La proposta artistica dei Manomanouche è quindi caratterizzata da un personale ed originale lavoro di ricerca del suono, degli strumenti e dell’approccio caratteristici dello Swing Manouche. Una musica basata sull’improvvisazione, aperta alle contaminazioni e derivante principalmente dalla fusione dello swing, del folklore tzigano e della melodia italiana. Il progetto Manomanouche propone un repertorio di arrangiamenti di brani del noto chitarrista e compositore Django Reinhardt, alcuni standards, valzer gipsy-musette e diversi brani originali, completamente realizzati con strumenti acustici.

Formazione

Nunzio Barbieri, chitarra

Luca Enipeo, chitarra

Pierre Steeve Jino Touche, contrabbasso

Francesco Django Barbieri, clarinetto

Ora di inizio: 21.30

Ingresso:

15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)

Possibilità di cenare prima del concerto con il menù alla carta

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it

“Ma tu non ritornerai, mai, mai”

Music Tales, la rubrica musicale 

“Ma tu non ritornerai, mai, mai

Te ne vai (te ne vai), te ne vai (te ne vai), perché?

Tu sei un uomo, un uomo vero, un vero uomo e non ti piegherai, mai

Oh, come ti vorrei, ti vorrei qui con me”

Classe 1940, la signora compie 83 anni quest’anno e canta sempre in maniera impeccabile, perchè una volta, per essere artista, dovevi studiare, dovevi romperti le ossa oltre che l’anima.

Cantante dotata di grinta e passionalità, dal registro vocale di contralto e in grado di spaziare tra vari generi musicali, dalla musica melodica (anche impegnata), passando per la musica pop e le canzoni dedicate ai bambini, nel 1970 è stata definita da Alighiero Noschese come il pollice della canzone italiana, ossia una delle personalità musicali italiane più importanti, insieme a Mina, Ornella Vanoni, Orietta Berti, Patty Pravo e Milva.

Mi perdoni Noschese e pure gli idolatori di Mina ma, per me, Zanicchi la supera di gran lunga.

Soprannominata l’Aquila di Ligonchio, fa parte del quintetto delle grandi voci femminili italiane degli anni sessanta e settanta, con Mina, la tigre di Cremona, Milva, la pantera di Goro, Patty Pravo, la Civetta di Venezia, e Orietta Berti, l’usignolo di Cavriago; si è esibita in alcuni dei più importanti teatri internazionali, come il Madison Square Garden di New York, l’Olympia di Parigi, il Teatro dell’opera di Sydney e il Teatro Colón di Buenos Aires, è entrata nelle classifiche discografiche di svariati paesi e ha tenuto lunghe tournée in quasi tutto il mondo: Stati Uniti d’America, Canada,Australia, Francia, Spagna, Turchia, Argentina, Cile, Brasile, Giappone, Grecia, Unione Sovietica, Bulgaria, Malta, Romania e Cecoslovacchia.

Per lei hanno scritto, tra gli altri, Cristiano Malgioglio, Franco Califano, Paolo Conte, Lucio Battisti, Carla Vistarini, Roberto Vecchioni, Mogol, Umberto Balsamo, Umberto Bindi, Shel Shapiro, Giuni Russo, Donatella Rettore, Zucchero Fornaciari, Pino Donaggio, Mario Rosini, Mariella Nava, Tiziano Ferro, gli Avion Travel e Sal Da Vinci.

Su undici partecipazioni al Festival di Sanremo è riuscita a vincere tre volte (1967, 1969, 1974), diventando la cantante donna ad aver vinto più volte la manifestazione canora.

Nel 1967 Iva Zanicchi si sposa con Tonino Ansoldi, un produttore; dalla loro unione nasce la figlia Michela. Dopo la rottura del matrimonio con il marito, Iva conosce Fausto Pinna, il suo compagno considerato da lei come un marito.

“Noi non litighiamo mai, le uniche litigate vere le facciamo in cucina. Lui è sardo, e per 20 anni mi ha fatto mangiare sardo, ma io sono emiliana. Siamo poi arrivati ad un compromesso: cuciniamo un pò sardo e un pò emiliano” ha detto la Zanicchi a Domenica Live.

In passato, quando girava il mondo per esibirsi, Iva Zanicchi aveva raccolto molti ammiratori, come lei stessa ha raccontato a la Repubblica delle donne, Iva Zanicchi ha ricevuto delle avances da Frank Sinatra che la invitò nella sua suite.

Come lei stessa ha raccontato ha rifiutato la proposta.

Un’altra curiosità risale al 1979, quando Iva Zanicchi ha posato ‘senza veli’ sulla copertina di Playboy. “Bé senza andiamoci piano. Avevo le calze color carne, sopra un paio nere, e una pelliccia che mi copriva. Abile Frontoni, il fotografo: “Dai abbassa un altro pochino”. E pochino alla volta s’è visto il seno“. Ha raccontato la cantante al Corriere della Sera. Iva ha riconosciuto di essersi pentita e ha tentato di acquistare tutte le copie in circolazione.

Una grande Iva, per me troppo sottovalutata.

“Non importa cosa pensano gli “altri” di te! Potrebbero sopravvalutarti o sottovalutarti! Fino a quando non scopriranno il tuo vero valore, il tuo successo dipende principalmente da cosa tu pensi di te stesso e se credi in te stesso. Puoi farcela anche se nessun altro ci crede; ma non ce la farai mai se non credi in te stesso.”

Buon ascolto di un blues italiano egregiamente interpretato

Chiara De Carlo

https://www.youtube.com/watch?v=vWz_PVYbXmo&ab_channel=EmaP

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