CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 211

Nove “mostri sacri” della “Magnum Photos” ospiti al Forte di Bard

“The Misfits by Magnum Photographers”

Il dietro le quinte del celebre film “Gli Spostati” di John Huston

Dal 17 giugno al 17 settembre

Bard (Aosta)

  1. Con la regia del mitico John Huston si gira (principalmente in Nevada, a Reno) e a Los Angeles (negli Studi della “United Artists”), “The Misfits– Gli Spostati”, un “superbo anti-western” (come lo definì l’importante rivista cinematografica “TimeOut”) e ancora oggi un sorprendente “cult movie”, interpretato da attori del calibro di Marilyn Monroe, Clark Gable e Montgomery Clift. Un cast eccezionale, che venne scelto di proposito per dar vita alla prima sceneggiatura cinematografica di Arthur Miller, all’epoca marito (quasi ex) della celebre diva. E proprio l’eccezionalità degli interpreti, con Marilyn e Clark Gabel  per la prima e ultima volta insieme sullo schermo, suscitò l’interesse dell’Agenzia fotografica “Magnum Photos”(fra le più importanti al mondo, fondata nel ’47, a Parigi, da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e William Vandivert) che nell’ambito della strategia promozionale del film, ebbe accesso esclusivo alla produzione, inviando sul set del film nove tra i suoi fotografi più talentuosi. Nove icone della fotografia mondiale del Novecento: l’americana Eve Arnold – prima donna ad entrare nel ’51 alla “Magnum”- insieme all’austriaca Inge Morath (anche lei inviata sul set), l’ungherese naturalizzato statunitense Cornell Capa (fratello del più celebre Robert), Henri Cartier-Bresson(l’“occhio del secolo”), Bruce Davidson, il fotografo “dell’ironia” Elliott Erwitt, il viennese Ernst Haas, Erich Hartmann(fotografo tedesco noto per le sue fantasiose multimateriche sperimentazioni) e l’americano Dennis Stock (celebri i suoi scatti dedicati a James Dean, così come quelli ispirati dalle proteste giovanili contro l’apartheid e la guerra in Vietnam nella California di fine anni ’60) . Ognuno di loro cristallizzò, secondo le proprie caratteristiche tecniche e concettuali, gli attori in scena, le luci e il paesaggio, fissando per sempre, con immagini di inestimabile valore, i momenti delle riprese e l’atmosfera sul set. “The Misfits” diventò così il film più documentato dell’epoca. Oggi, quelle fotografie (più di sessanta) possiamo ammirarle in bella mostra, da sabato 17 giugno a lunedì 17 luglio, al valdostano Forte di Bard, fatto riedificare sulle rovine di una fortezza medievale nel 1830 dai Savoia, aperto ai visitatori solo dal 2006 e oggi fra i Poli museali di eccellenza della Vallée.
USA. Nevada. Marilyn MONROE

“Le immagini – dicono gli organizzatori – rappresentano la testimonianza di un’esperienza unica, restituendo i singoli attori nei momenti di ansia e di entusiasmo, di tensione, di debolezza e di speranza, che accompagnano inevitabilmente la realizzazione di un film”. E di questo in particolare, su cui Arthur Miller decise di giocare il suo jolly, la sua prima – e ultima – sceneggiatura interamente pensata per il cinema e rendendola particolarmente aderente alla sua vita privata. “The Misfits” nasce, infatti, in seguito al divorzio di Miller dalla prima moglie Mary, e al quasi epilogo del suo secondo matrimonio (che finirà nel ’62) con l’allora stella indiscussa di Hollywood, Marilyn Monroe, sposata nel ‘56. Fatti di vita privata, il cui peso emotivo si fece sentire non poco sulla realizzazione della pellicola, in parte oscurata proprio dalla sorte dei suoi protagonisti e dal gossip che coinvolse l’intero set. Tant’è che le riprese, anziché durare circa cinquanta giorni, come previsto, si protrassero per ben quattro mesi, ostacolate soprattutto dalle precarie condizioni psicofisiche di Marilyn, dipendente dai sonniferi e provata dall’imminente fine del matrimonio con Miller. Problemi limitati, pare, e gestiti magistralmente da John Huston, ma che in qualche modo crearono ostacoli non da poco alla buona confezione del film, la cui fama – è stato detto – venne anche intralciata dal triste destino che toccò il cast: Clark Gable morì (a 59 anni) dodici giorni dopo la fine delle riprese a causa di un attacco cardiaco e la stessa Marilyn morì appena un anno dopo, scrivendo la parola fine a una delle carriere più importanti e folgoranti di Hollywood. Tragicità che bussavano alla porta e sicuramente intuite, a ben vedere, in quel fotografico “dietro le quinte”, che spesso abbandonava la sola voce della tecnica, per cogliere soprattutto voli impauriti di anime.

Gianni Milani

“The Misfits by Magnum Photographers”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Ao); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Dal 17 giugno al 17 luglio

Orari: mart. – ven. 10/18; sab. – dom. e festivi 10/19. Lun. chiuso

Nelle foto:

–       Eve Arnold: “Marilyn Monroe on the set of ‘The Misfits’”, Credits Magnum Photos

–       Elliott Erwitt: “Marilyn Monroe, Clark Gable, Montgomery Clift, Eli Wallach and Arthur Miller on the set of ‘The Misfits’”, Credits Magnum Photos

–       Eve Arnold “Marilyn Monroe going over her lines for a difficult scene she is about to play with Clark Gable in ‘The Misfits’”, Credis Magnum Photos

L’Orchestre du Conservatoire de la Vallée d’Aoste in concerto al Forte di Bard

Sabato 26 agosto 2023, alle ore 21.00, la stagione di concerti estivi nella Piazza d’Armi del Forte di Bard si conclude con l’esibizione dell’Orchestre du Conservatoire de la Vallée d’Aoste diretta da Stephanie Praduroux che proporrà il concerto Il grande sinfonismo delle scuole nazionali. Nel corso dell’800 la musica diventa parte attiva del processo di formazione e consolidamento degli Stati nazionali. La ricerca di identità propria e caratteristica porta così alla creazione di esperienze musicali autonome ed indipendenti dalle influenze straniere, sia in ambito educativo che compositivo, anche attraverso la rivalutazione del patrimonio folkloristico tradizionale. L’Orchestre du Conservatoire propone un viaggio alla scoperta di due opere significative appartenenti a questi repertori.

Jean Sibelius, compositore e violinista finlandese, compose nel 1899 una serie di sette brani sinfonici per celebrare la stampa e promuovere una raccolta fondi per il fondo pensione dei giornalisti. L’ultima di queste composizioni assunse il titolo emblematico di Finlandia, contribuendo a stimolare la cultura nazionale e le aspirazioni indipendentistiche dell’allora Granducato, che gravitava sotto l’influenza dell’Impero zarista.

Antonin Dvorak, compositore ceco, ebbe una produzione musicale molto prolifica, con una particolare predilezione per il sinfonismo, e una fervida attività educativa. Nel pieno della sua maturità, in seguito a numerose tournée di successo in tutta Europa e negli Stati Uniti, fu chiamato ad assumere la carica di Direttore del New York National Conservatory of Music. La IX Sinfonia ‘Dal Nuovo Mondo’ fu presentata nel 1893 alla Carnegie Hall e riscosse immediatamente successo, tanto che molti musicisti la considerarono l’inizio di un nuovo stile, nato dalla fusione della tradizione boema con il folklore americano.

 

Programma

J.SibeliusFinlandia Op. 26​​​​​​

​​Andante sostenuto – Allegro – Moderato – Allegro

 

A.DvorakSinfonia IX Op. 95 ‘Dal nuovo mondo’​​​​

​​I Adagio – Allegro molto

​​II Largo

​​III Molto vivace

​​IV Allegro con fuoco

Biglietti

Biglietto unico: 10,00 euro; 0-18 anni gratuito

Posti seduti non numerati

Prevendita online su fortedibard.it

I biglietti si possono acquistare anche alle Biglietterie del Forte di Bard la sera dell’evento.

 

 

Il “Cavour” a Patuelli, un premio meritato

DI PIER FRANCO QUAGLIENI
Il prestigioso premio Cavour di Santena, fondato da Nerio Nesi nel 2007 verrà conferito per il 2023 ad Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione Bancaria italiana e liberale di lungo corso. In passato fu premiato Carlo Azeglio Ciampi, l’ultimo in ordine di tempo è stato Mario Draghi. E’ un prestigioso riconoscimento che consiste nella riproduzione in oro degli celebri occhialini dello statista piemontese. Antonio Patuelli è stato deputato eletto a Bologna e Sottosegretario di Stato alla Difesa, in precedenza fu segretario nazionale della GLI e vicesegretario del PLI con Valerio Zanone. Imprenditore e giornalista ,è il direttore della rivista fondata da Giovanni Malagodi “Libro aperto”, l’unica voce della cultura liberale rimasta nel panorama delle riviste italiane. Nel 1993 ha pubblicato il volume “I liberali. Da Cavour a Malagodi”. Pur avendo una vasta esperienza politica e una coerenza lineare sul piano delle idee , Patuelli si distingue per la sua rigorosa indipendenza nello svolgimento degli incarichi pubblici a lui affidati, seguendo la tradizione degli statisti liberali da Cavour in poi. Quindi il premio di Santena appare particolarmente meritato per un uomo che ama e continua a studiare il Risorgimento di cui segue l’esempio anche sulle orme di Carlo Minghetti.

 

Il primo volo passeggeri italiano? A Torino nel 1926

Dalla capitale subalpina fino a Trieste il battesimo italiano dell’aviazione civile.

La storia italiana del volo deve molto a Torino, nei primi anni del 1900 sui cieli della città , per esempio,   si avvistò lo Zeppeling, un dirigibile  ad ossatura metallica, mentre nel 1908 a Piazza d’Armi avvenne un esperimento di volo con un percorso di 250 metri a 60 km l’ora. Il primo vero decollo, però, si vide sui prati diMirafiori il 13 gennaio del 1909 con il Triplano Spa-Faccioli, progettato e costruito a Torino dall’ingegner Aristide Faccioli, ex direttore tecnico della Fiat. Il figlio Mario fu il fortunato pilota di quella memorabile avventura e il primo italiano ad ottenere il brevetto; nello stesso anno Luigi Mina e Guido Piacenza stabilirono il record mondiale di altezza con il pallone aerostatico.

Non è finita qui, una fabbrica di aeroplani venne avviata nelquartiere Crocetta nel 1909 (i primi aerei ad essere costruiti furonoi biplani “Farman” e i monoplani “Blériot”) e nel 1912, nella città della Mole,  Modesto Panetti fondò il primo laboratorio d’aeronautica che diventò in seguito  la Scuola di Aeronauticaampiamente apprezzata anche da Italo Balbo. Il 10 luglio 1916 venne inaugurato l’aeroporto Torino-Aeritalia, uno dei più anzianitra quelli operativi sul nostro suolo dove si potenziò gran partedell’industria aeronautica italiana, e proprio da qui, la capitale subalpina vantò il primo servizio di posta area che avvenne il 22 maggio 1917 fino Roma con a bordo 200 chili di posta e 100 copie del quotidiano La Stampa.

Nel 1926, precisamente il primo di aprile, dallo specchio d’acqua del Po, all’altezza del Parco Valentino, piccoli idrovolanti partirono per il primo volo passeggeri italiano alla volta di Trieste con soste a Pavia e Venezia. Per la somma di 300 lire, con grande spirito di avventura ed entusiasmo per l’ incredibile novità, si attraversava la Pianura Padana sfruttando come punti di riferimento sulla  rotta linee ferroviarie e fiumi (in quell’epoca non esistevano i radar!). All’inizio gli idroplani, dei CANT 10, erano in grado di portare 3 persone ma con l’andare del tempo si potenziò il servizio arrivando fino a 6 viaggiatori. I passeggeri dei primi voli furono  rappresentati istituzionali e giornalisti e in verità qualche problema meccanico si ebbe tanto che una volta si dovette anche ammarare, ma questo non impedì ottimismi e operatività fino al 1936 quando la linea fu poi soppressa. I dieci anni di servizio ebbero comunque molto successo  con più di 570 collegamenti, circa 1590 ore di volo e quasi 1600 passeggeri.

L’utilizzo degli idrovolanti all’inizio fu considerato molto comodo perché non richiedeva infrastrutture dove far decollare e atterrare i velivoli e gli hangar per parcheggiarli potevano essere nelle vicinanze, poi però la necessità di avere un corso d’acqua nei pressi delle destinazioni divenne un limite e fu così che nel caso di Torino si optò per la costruzione di un vero aeroporto, il Gino Lisa, accanto a quello militare a Mirafiori da dove nel 1929 un Fokker inaugurò il volo Torino –  Milano – Roma che con 5 ore scarse raggiungeva la sua destinazione finale, mentre nel 1936 otto passeggeri arrivarono direttamente a Roma con un aereo Fiat che viaggiava a 300 chilometri, i prezzi non erano proprio competitivi ma neanche impossibili. Dopo un breve periodo i voli partirono da Collegno, ma nel 1953 nacque l’aeroporto di Caselle, l’attuale scalo del capoluogo piemontese.

MARIA LA BARBERA

La street art a Torino

Torino è la capitale del Liberty, una magnifica rappresentante di capolavori in stile Barocco, la sua conformazione a “scacchiera” di origine romana contiene e accoglie capolavori di Juvarra, Guarini, Castellamonte, splendori come il Palazzo Reale, Palazzo Madama ma anche opere dallo stile eclettico più recenti come la Mole Antonelliana, simbolo della città e uno tra i più emblematici d’Italia

Torino tuttavia non è solo un glorioso passato, non ha ispirato esclusivamente artisti lontani nel tempo, è un centro moderno, vivace, colorato, detentore di un patrimonio artistico culturale attuale e contemporaneo.

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La città della Gran Madre è un brillante esempio di Arte Urbana, dopo gli anni 2000 questa espressione artistica infatti, spesso praticata per motivi personali, come critica, manifestazione di dissenso o di rivendicazione sociale, è decollata riqualificando molti aree cittadine, valorizzando superfici grigie e anonime, dando inoltre la possibilità a molti artisti di avere uno spazio espositivo vastissimo, una vetrina enorme dove le immagini parlano, a volte urlano.

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Tra le più famose rappresentazioni di questa giovane arte c’è il Murale Thyssenkrupp – Corso Valdocco – che ricorda la tragedia del 2007: un orologio digitale con la data e l’ora della strage, fiamme, i nomi delle vittime. A Via Farini, al Palazzo Nuovo un collettivo di artisti ne ha realizzato uno immenso e verticale che raffigura attraverso corpi e simboli il malessere attuale della società,

un ex magazzino industriale – in Corso Tortona 52 – trasformato in un Centro Culturale: dallo stato di abbandono all’energia, le bellissime opere di Millo a Barriera di Milano si collocano all’interno dell’iniziativa B.Art “Habitat” , un concept unico che ha come filo conduttore il rapporto tra uomo tessuto urbano.

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La Street Art è una straordinaria espressione artistica capace di regalare emozioni forti, comunicare scontento sociale, regalare vitalità, dipingere le città creando musei a cielo aperto disponibili e visibili da tutti, opere da contemplare senza fretta, manifestazioni di talento puro, di passione, creatività.

Su Inkmap.it, un progetto dell’Associazione Il Cerchio E Le Gocce, troviamo una mappa-percorso che ci indica i murales presenti in città, un suggestivo e interessante viaggio all’interno di una arte adolescente, ma fortemente impattante comunicativa, un linguaggio ecumenico ed intenso che ci racconta storie, entusiasmi e malcontenti.

 

Maria La Barbera

 

(Foto Museo Torino)

 

 

 

 

 

 

 

Una domenica al castello di Marchieru’

Domenica 27 agosto potremo continuare a godere questo periodo estivo immergendoci nella storia raccolta in una Dimora duecentesca visitandone le sale arredate e rievocando con i proprietari le Casate da cui discendono e che vi hanno soggiornato, rinfrescandoci all’ombra di un albero secolare ed ammirando il parco e l’antico giardino all’italiana.

Stavolta potremo anche profittare dell’evento per prolungare la giornata con un  ”pic-nic libero”

                        CASTELLO DI MARCHIERU(VillafrancaPiemonte * via S.Giovanni 77)

Visite guidate dai proprietari, discendenti dei primi feudatari del 1220 che intratterranno sulla vita in una dimora nobiliare e sulla storia del castello, delle sale, del parco, della cappella gentilizia e delle scuderie settecentesche ( ore 10/11*15/16/17)

Dalle ore 12,30 pic nic “libero” nel parco del castello, appagando il desiderio di vita all’aria aperta, su un prato all’ombra di alberi secolari, utilizzando tovaglie e cuscini forniti dalla Casa.

Prenotazione obbligatoria al 3480468636/3394105153segreteria@castellodimarchieru.it

Contributo ingresso per pic nic e visita guidata  :   adulti € 8 / gratis bimbi fino ad 8 anni

In mostra a Torino: Venezia nel Settecento, la decadenza e il mito

Nelle sale della Fondazione Accorsi – Ometto, sino al 3 settembre

C’è un bellissimo disegno a penna su carta gialla, con tocchi di biacca, esposto in mostra, è attribuito a Francesco Guardi, verso la metà del XVIII secolo, rappresenta un leone alla prima apparenza stanco, lontano dalla gloria antica ma ancora poggiante la zampa destra su di un elmo, in segno di dominio. Potrebbe essere l’immagine della mostra “Venezia nel Settecento. Una città cosmopolita e il suo mito”, a cura di Laura Facchin, Massimiliano Ferrario e Luca Mana, che rimarrà al Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto di via Po sino al prossimo 3 settembre: la visione di una città lagunare pressoché infossata, decennio dopo decennio, in questo Settecento che va sfumando, nell’ultimo periodo della sua storia, una città che è stata posta (e si è posta) ai margini della politica e della grande economia e che cerca di marginare il collasso puntando “sull’aura del suo plurisecolare primato nelle arti visive e musicali e su un’efficace strategia di immagine che ne fanno una delle mete più ambite e predilette del ‘Grand Tour’ internazionale”.

Lo storico Andrea Merlotti, ripercorrendo i cento anni in un interessante saggio posto all’interno del catalogo che accompagna la mostra, annovera quale ultimo successo della Serenissima la vittoria sui Turchi a Corfù (1716), immortalata dalle note della “Juditha Triumphans”, l’unico oratorio di Antonio Vivaldi giunto sino a noi: “Solo due anni dopo, la pace di Passarowitz – nella Serbia attuale – avrebbe marcato una nuova fase nella storia della Repubblica, in cui ‘difesa’ e ‘neutralità’ sarebbero divenute le parole chiave dell’azione politica del governo della Serenissima.” Una di quelle potenze “statiche” freddamente soddisfatte dei loro territori e della situazione socio-politica conquistata, ferme nello status quo, ben lontane da quelle “dinamiche” che ancora giudicavano di dover affrontare ulteriori modifiche agli equilibri raggiunti.

Tuttavia Venezia continuava ad accrescere la propria vita culturale, a rimarcare il proprio primato nelle arti e nello svago (si pensi solo che la Venezia del Settecento possedeva ben diciassette teatri, oltre a sale da concerto, locali pubblici e privati definiti “ridotti”, dove ha modo di esibirsi l’orchestra tutta femminile diretta da Antonio Vivaldi), laddove era un preciso punto di riferimento per aristocratici e avventurieri, per i tanti fuoriusciti politici che nella laguna continuavano a riparare. Una vita culturale che sfoggia grandi esempi nella pittura e nella scultura, che primeggia ancora nelle arti decorative, dall’ebanisteria ai tessuti, dai vetri di Murano ai merletti di Burano, ogni prodotto campione di raffinata elaborazione. Un patrimonio concepito non soltanto per la città ma esportato nell’intera Europa: il trasferimento nel 1746 del Canaletto a Londra e le sue tante amicizie inglesi, la felice frequentazione di Dresda da parte del Bellotto, le commissioni e i viaggi di Giambattista Tiepolo a Würzburg (1750) e Madrid (1762) stanno a testimoniare quanto le corti straniere ancora continuassero a far propria la cultura veneziana, nella venerazione dei grandi nomi. Con il 1797, con il trattato di Campoformio, in cui Napoleone cede la città e buona parte dei territori di terraferma all’Austria, si segnerà la fine definitiva della grandezza veneziana, della cultura, del fascino e dello splendore che l’hanno accompagnata per secoli.

La mostra dell’Accorsi è il prima della fine, nove aree tematiche svolte negli spazi espositivi del Museo e all’interno delle sale dedicate alla collezione permanente, in un eccellente simbiosi, ogni opera derivata da collezioni private, da fondazioni e da musei, come il Francesco Borgogna di Vercelli. Dai simboli alle allegorie disseminati lungo tutto il secolo alle sale dedicate ai grandi maestri dell’arte, gli artefici delle grandi decorazioni e della ritrattistica, della sontuosità delle corti e dei luoghi di culto, da Sebastiano Ricci (“Testa di carattere”, primo trentennio del Settecento), Rosalba Carriera, Pietro Longhi con “Mosè salvato dalle acque” (1735 circa), Giambattista Tiepolo e Francesco Guardi. Poi le immagini della città lagunare, la grande piazza e la darsena, le chiese e gli angoli più nascosti, Rialto e la chiesa della Salute, una serie di vedute realizzate dai grandi Canaletto e Luca Carlevarjis e Michele Marieschi (“Veduta del Campo dei Frari”, 1738-40 o “San Giorgio Maggiore”, dove il terzo decennio del secolo mostra ancora le imponenti navi della flotta pronte a prendere il largo).

Trovano posto anche i grandi eventi annuali, come la festa dell’Ascensione, con lo Sposalizio del Mare, o, ancora in una tela attribuita a Gabriele Bella, la rappresentazione del “Ridotto pubblico”, tra ricchezza di abbigliamenti e un panorama di maschere, dietro cui religiosi e nobili e borghesi nascondevano le sembianze e il loro definito stato sociale. Da una collezione privata parigina arriva “La macchia di cioccolata”, del lombardo Bartolomeo Lazzari, un attimo di vita, un felice siparietto entro cui uno sconosciuto cicisbeo aiuta una gentildonna a rimettere in sesto l’abito toccato dal prezioso liquido. Forse uno dei momenti più gustosi dell’intera mostra.

I mandolini raccolti nelle vetrine ci lasciano immaginare i tanti intrattenimenti musicali che allietavano le serate non soltanto del patriziato, gli elementi d’arredo mostrano il lavoro dei minusieri veneziani, non ultimi i mobili laccati, e le “chinoiserie” che invadevano gli ambienti. Una eleganza che si riversava sulle tavole, preziosa argenteria e porcellane vantate per le pregiate paste dure, per le quali veniva impiegata materia prima locale, ovvero il caolino del Tretto, nel Vicentino. In ultimo uno sguardo alla Venezia ebraica, risalente al X secolo, e alle nuove vedute di Giuseppe Bison con cui si entra nell’Ottocento. Ma il mito rimane e il “Palazzo Ducale” di Giorgio De Chirico è chiamato a chiudere la mostra: ma non cercate più i precisi particolari e le intagliature cromatiche che hanno fatto grande quella antica pittura. Gli anni Cinquanta del secolo appena trascorso sono tutta un’altra un’epoca.

Elio Rabbione

Antonio Molinari (Venezia, 1655 – 1704), “La traslazione del corpo di San Marco”, dopo il 1695, olio su tela, Vercelli, Fondazione Museo Francesco Borgogna; Bartolomeo Nazzari (Clusone, 1699 – Milano, 1758), “La macchia di cioccolata”, metà del XVIII secolo, Parigi, coll. privata, Courtesy Cabinet Turquin; Manifattura veneziana, “Coppia di commode per corredo da sposa”, metà del XVIII secolo, legno intagliano e laccato, Torino, Museo Accorsi-Ometto; Francesco Guardi (Venezia, 1712 – 1793) e bottega, “Le Fondamenta Nuove di Venezia con la Laguna e l’isola di San Michele”, circa 1758, Torino, Museo Accorsi-Ometto; Giorgio De Chirico (Volo, Grecia, 1888 – Roma, 1978), “Venezia, Palazzo Ducale”, 1955, olio su cartone applicato su tela, Coll. privata, Courtesy Galleria Bottegantica, Milano.

Un tour nella borgata di Lidia Poët

LIDIA POËT: NEL PINEROLESE IL TOUR SUI LUOGHI DOVE E’ NATA, CRESCIUTA E SEPOLTA 

Dalla casa natale nelle piccola borgata Traverse a Pinerolo dove incontrava Edmondo De Amicis

Sarà esposta e mostrata eccezionalmente la sua toga insieme ad altri oggetti, dalla cuffia valdese alle borsette da teatro

DEBUTTO SABATO 26 AGOSTO, GIORNO DEL COMPLEANNO DI LIDIA

Dopo lo straordinario successo della serie tv dedicata a Lidia Poët, per mesi in vetta alle classifiche internazionali di Netflix, premiata con il Nastro d’Argento come migliore serie crime dell’anno, debutta il tour che porta nei veri luoghi dove nacque e visse questa donna valdese, prima avvocatessa d’Italia, come la sperduta borgata di Traverse, a Perrero. Un lavoro che ha impegnato per oltre cinque mesi il Consorzio Turistico Pinerolese e Valli che ha contattato non solo i discendenti della Poët ma anche tutte le amministrazioni coinvolte seguendo le orme della donna.  Ne è nato il tour “La toga negata” che deve il suo nome al fatto che sarà eccezionalmente mostrata ai partecipanti proprio la toga di Lidia Pöet. Il percorso debutterà in una data simbolica, il 26 agosto, giorno del suo compleanno. Previste due navette: una parte da piazza Carlo Felice a Torino alle 8, l’altra alle 8,45 dalla stazione di Pinerolo.

Il titolo omaggia anche il libro “La toga negata” di Clara Bounous, che ha narrato figura della Pöet, riportata in auge, a livello nazionale, anche da “Prime… sebben che siamo donne. Storie di italiane all’avanguardia” di Bruna Bertolo.  «Anni fa “Elisa di Rivombrosa” portò alla ribalta Agliè e il Canavese. La differenza è che noi non abbiamo avuto la troupe a girare sul territorio: la serie diventa l’occasione per andare a vedere proprio dove Lidia è nata e vissuta. I luoghi veri, quelli della sua storia» sottolinea Rossana, Turina, la presidente del Consorzio Turistico Pinerolese e Valli. «Traverse, dove nacque Lidia, è una piccolissima frazione di Perrero: vederla fa molto più riflettere sul fatto che questa donna sia stata la prima avvocatessa d’Italia. Poteva incarnare questo ruolo una donna di Torino, invece lo è stata Lidia che arrivava da questo angolo di Val Germanasca». Lidia fu paladina di una battaglia ultradecennale per ottenere, fra il 1884 e il 1920, l’iscrizione all’Albo degli Avvocati, ma fu anche protagonista di battaglie sociali per l’emancipazione femminile (nel 1922 divenne la presidente del Comitato pro voto donne di Torino), si impegnò  a favore dei minori, e fu promotrice di tante attività in campo giuridico e culturale.  «La storia personale di Lidia Poët oggi è tornata con grandissima forza e ha raggiunto un pubblico enorme proprio grazie alla serie che Netflix e Groenlandia hanno scelto di raccontare, portando sullo schermo uno spaccato delle sue tante battaglie intraprese».  Così commenta il Presidente di Film Commission Torino Piemonte Beatrice Borgia, aggiungendo che «siamo molto soddisfatti di aver sostenuto fin dall’inizio un progetto di forte impatto produttivo e di poter ospitare ora le riprese delle seconda stagione. Il successo internazionale della serie ha trovato un corrispettivo locale molto significativo, facendo nascere percorsi e tour nei reali luoghi della vita di Lidia Poët: un segnale davvero positivo che dimostra ancora una volta il potere del cinema e la sua capacità di creare un immaginario o, come in questo caso, di riportarlo alla luce».

Il tour arriva da Perrero, borgata Traverse, dove Lidia nacque il 26 agosto 1855La strada è talmente stretta che una navetta farà la spola tra il bus e la casa natale.

Si racconterà l’infanzia, la storia della famiglia, di fede valdese. Si entrerà nel cimitero di località San Martino, davvero particolare: è per metà valdese e per metà cattolico e le due parti sono divise da un muro. Una tappa è proprio dedicata alla tomba dove oggi Lidia è stata sepolta: è morta, a 93 anni, nel 1949.

Subito dopo, è prevista una sosta a La Chabranda, agriturismo di Pomaretto che preparerà un menù su ricette di inizio Novecento.

Quindi tappa a San Germano Chisone dove oggi vivono una parte dei discendenti della donna: qui a Villa Widemann, edificio faceva parte delle proprietà di Vittorio Widemann, titolare del locale cotonificio chiuso nel 1977,  si potrà eccezionalmente vedere la toga appartenuta a Lidia. Grazie a un lavoro di ricerca portato avanti in questi mesi dal Consorzio, e alla collaborazione del Comune che ha messo a disposizione i locali, sarà inoltre esposta la sua cuffia, quella tipica dell’abito valdese, e uno scialle. E, poi, alcune borsine usate per andare in teatro, i libri di Lidia, in inglese e che riportano le sue annotazioni, l’abito di una pronipote che proprio Lidia aveva cucito a mano.

Quindi, Pinerolo. Non è nota la casa dove Lidia visse ma si farà tappa a San Maurizio dove era solita incontrarsi con quell’Edmondo De Amicis, scrittore e giornalista noto per il libro “Cuore”, ma anche caro amico di Lidia. Dopo si andrà a vedere il Teatro Sociale: Lidia era solita accompagnare il fratello agli spettacoli. Ultima tappa nella Biblioteca di Pinerolo che conserva scritti e carteggi della prima avvocata d’Italia.

Costo, comprensivo di bus, navette, guida turistica abilitata, assicurazione sanitaria e pranzo tipico, 80 euro da Torino; 70 euro da Pinerolo. Per partecipare: prenotazioni@turismopinerolese.it. Il tour, dopo la data del 26 agosto, sarà poi ripetuto, il 17 e 24 settembre e 1 e 8 ottobre, con stessi orari e costi.

Bardonecchia conferma il festival letterario “BardoNoir”

Dopo i giorni difficili dell’emergenza dovuta all’esondazione del torrente Frejus, l’Amministrazione Comunale di Bardonecchia ha deciso di confermare uno degli eventi principali dell’estate 2023: il Festival letterario Bardonoir, in programma dal 25 al 27 di agosto prossimi, presso la Base Logistico Addestrativa in viale Bramafam 60.

Durante i tre giorni della manifestazione saranno a Bardonecchia alcuni tra i più importanti scrittori nazionali di noir, giallo e thriller, tra i quali il fiorentino Marco Vichi, Fabiano Massimi, Barbara Baraldi, Alice Basso, Pasquale Ruju, Daniele Cambiaso e Cristina Stillitano. E con loro molti nomi noti tra gli autori subalpini: Massimo Tallone, Maurizio Blini, Rocco Ballacchino, Claudio Rolando e Gioele Urso.
Questo il programma completo della manifestazione:
Venerdì 25 alle ore 18: “Quando il thriller incrocia la grande storia”, incontro con Fabiano Massimi, presenta Giorgio Ballario.
Sabato 26 alle ore 12 aperinoir: “Il romanzo poliziesco visto con gli occhi dell’investigatore”, incontro con Maurizio Blini. Presenta Giorgio Ballario.
Alle ore 16: tavola rotonda “La carta e il territorio: il ruolo dello scenario nell’ambientazione del romanzo giallo”, con Daniele Cambiaso, Massimo Tallone, Rocco Ballacchino, Pasquale Ruju. Alle ore 17,30: “Un uomo, una città, una storia: il commissario Bordelli” incontro con Marco Vichi, intervista di Beppe Gandolfo, giornalista Mediaset.
Domenica 27 alle ore 11,30: aperinoir sul tema “Il delitto della porta accanto”
con Claudio Rolando e Gioele Urso. Alle ore 15: tavola rotonda “Le donne lo fanno meglio (il noir)”, con Barbara Baraldi, Alice Basso e Cristina Stillitano, presenta la giornalista e scrittrice Patrizia Durante.
Venerdì 25 e sabato 26 sono in programma due cene con gli scrittori aperte al pubblico, per le quali è necessario prenotarsi presso l’Ufficio Turistico. I posti disponibili sono limitati. È preferibile prenotarsi anche per partecipare agli aperinoir di sabato 26 e domenica 27 agosto.
Al termine della cena del 26 agosto si svolgerà uno spettacolo di letture noir a cura degli attori della Compagnia teatrale Accademia dei Folli.

“Bardonoir raccoglie il testimone delle due edizioni del festival Montagne in Noir, che si sono svolte a Bardonecchia nel 2018 e 2019, prima che la pandemia costringesse a cancellare tutti gli eventi culturali – spiega Giorgio Ballario, direttore artistico della manifestazione – Per quanto riguarda gli scrittori ospiti, abbiamo creato un giusto mix fra autori nazionali e locali. Tra i primi svettano il fiorentino Marco Vichi, autore di un’ormai lunga serie di polizieschi ambientati in Toscana, e l’emiliano Fabiano Massimi, il “re” del thriller storico, molto conosciuto ed apprezzato anche in Francia e Germania. E poi un trio terribile di “donne noir”: Cristina Stillitano, Alice Basso e Barbara Baraldi. Quest’ultima, oltre ad essere un’apprezzata autrice di gialli e thriller, è da poco diventata direttrice editoriale del famoso fumetto Dylan Dog. Infine, per venire a nomi geograficamente più vicini a noi, Tallone, Blini, Ruju e Ballacchino».

“A pochi giorni dai rovinosi eventi del 13 agosto – dice il sindaco Chiara Rossetti – Bardonecchia è pronta ad accogliere autori e pubblico del Festival BardoNoir. Fin dalle prime ore, dopo l’esondazione del torrente Frejus, il nostro obiettivo è stato quello di tornare rapidamente alla normalità. Abbiamo lavorato per questo in squadra con l’aiuto ed il supporto di tantissime persone. Essere qui, oggi, ad annunciare l’apertura del Festival del Noir e l’arrivo a Bardonecchia di tanti autori del genere ci conforta sul fatto che l’obiettivo è stato raggiunto”.
Per informazioni: Ufficio del Turismo – Piazza Valle Stretta 4

In punta di piedi. Sabato 26 agosto a Gavi il libro di Clara Cipollina

Sabato 26 agosto, alle 18,15 presso l’Oratorio dei Bianchi di Gavi, Franco Verdona presenterà il libro di Clara Cipollina “In punta di piedi e socchiudendo gli occhi” (Impremix Edizioni,Torino). Un racconto che si presenta come un atto liberatorio, una testimonianza ad alta voce di una storia che si incrocia con altre. La scrittura di Clara Cipollina è chiara,mai banale,spesso essenziale,talvolta drammatica. Storie che s’inframmezzano tra un capitolo e l’altro, diventano un tutt’uno con il dialetto di Gavi e la terra dove l’autrice è nata e cresciuta, con le atmosfere di casa e dell’aia della cascina che rimandando alle origini, alla terra, al tema già sviluppato attorno alla figura del padre – il contadino Mario, mezzadro classe 1911 – protagonista del suo precedente libro, Le mani e la terra. E’ un viaggio a ritroso, con passo lento e garbato, quello che Clara compie in “punta di piedi”, partendo dalla cascina del Merlo, sotto la Madonna della Guardia, dove lo sguardo si perde tra colline e vigneti fino a Gavi. Nei traslochi con il mobilio caricato sul carro trainato dal bue si rivivono le immagini dell’epopea contadina che il cinema di Ermanno Olmi ci regalò con L’albero degli zoccoli . L’incedere della narrazione porta il segno di una umanissima filosofia che ruota attorno al senso della vita dell’autrice, insegnante in pensione che ha scritto anche un importante volume accademico su Matteo Vinzoni, il celebre cartografo della Serenissima Repubblica di Genova. Un grumo di emozioni e di tremendi punti interrogativi imposti dalla scoperta e dallo sviluppo della sclerosi multipla con la quale è costretta a convivere da molto tempo. Le radici sono importanti, e Clara Cipollina con il piglio della bambina “_cianfurosa” _di un tempo lo ricorda al lettore facendolo partecipe, conducendolo senza obbligo sulle tracce di se, gratificandolo con il susseguirsi delle scoperte. La scuola con i vecchi banchi e “_l’odore d’inchiostro nei calamai profondi_”, il lavoro a giornata nei campi, i genitori e i fratelli, le fughe e la grande fame d’affetto e considerazione. Gran parte dei ricordi ruota attorno a quell’universo contadino che si raffigura nell’albero in fondo all’aia. E’ lì che troviamo il suo imprinting, la linea retta, quasi un solco tracciato dal vomere di un aratro nelle terre attorno al Lemme che ne segna carattere e personalità. Il ritmo del racconto è segnato da frequenti flashback, da rimandi e ritorni che seguono una logica precisa, quasi che Clara – da ottima insegnante di lettere qual è stata – avesse steso tra le parole un invisibile filo da seguire. Scrive:”.._la nostra prima casa a Gavi era nel Filatoio, anticamente una filanda, tanti piani, tanti appartamenti che mi sembravano incastrati insieme, scale e corridoi si erano mangiati l’aia della mia cascina_”. Ebbe in seguito un’altra opportunità quando “_dal filatoio traslocammo nella casa della Mentina, spostandoci semplicemente sull’altro lato della strada, in quel lembo di terra incastonato tra le case, ritrovai un pezzetto dell’ aia antistante la cascina. In alto riebbi una pagina di cielo a scandire il giorno dall’alba alla notte_”. I ricordi del microcosmo racchiuso nel cortile, i giochi con gli amici, le memorie gastriche dell’olio di fegato di merluzzo, il DDT che a quel tempo si spruzzava generosamente per contrastare mosche e insetti, si intervallano con le angosce di una donna che deve fare i conti con gli impedimenti, le limitazioni imposte dalla malattia invalidante, la sensazione di essere privata della propria femminilità. Il racconto scorre lungo le oltre trecento pagine proponendo immagini che, come in un caleidoscopio, mescolano memoria e quotidianità. Le magistrali a Novi, dalle Pietrine; la vecchia Genova con i suoi caruggi e le _crêuze (“.__.amavo vedermela addosso, imponente, arrampicata sulla montagna alla mia sinistra, lambita dal mare alla mia destra..__”) ai tempi dell’Università e degli studi sull’amato Vinzoni che rivoluzionò la cartografia; gli anni omegnesi, nella città natale di Gianni Rodari sulle rive del lago d’Orta, dove insegnò per diversi anni (.. “__la scuola media Filippo Maria Beltrami, dove mi aspettava la 1°E, la mia prima scolaresca, indimenticabile, come il primo amore__”) il matrimonio e i figli, il presente spesso difficile, reso complicato dalla malattia. In questa originalissima autobiografia un posto speciale è occupato da ricordi come quelli delle notti stellate sul Lemme._ _”__Alle cascine da bambina vivevo la notte nelle serate di veglia nelle stalle, ma a Gavi, quando la luce della luna invadeva la stanza dove dormivo, sostavo a lungo dietro il vetro della finestra ad osservare l’incanto delle scie luminose che si formavano sull’acqua del Lemme e sulle fronde dei salici piangenti. I terrazzini delle case dove ho abitato a Gavi, soprattutto quello della casa della Mentina e quello odierno della casa che appartenne allo zio Baci e alla zia Pina, costituirono delle meravigliose balconate sulla ruralità della mia infanzia__”._ _La donna matura, riflessiva e disincantata, si mescola con l’animo d’eterna bambina. _Lungo il suo cammino in punta di piedi Clara Cipollina fa come l’acqua della Nigoglia che, ostinata, esce dal lago d’Orta, attraversa Omegna e “_scorre in direzione contraria_”. Tornano entrambe alle sorgenti, verso casa. Al tempo della sua permanenza Omegna, città delle caffettiere, vantava un tessuto sociale vivace, un microcosmo a dimensione umana con tanti punti di aggregazione che ne accompagnarono la crescita e la sensibilità, saldando amicizie e rapporti. Oltre a Gavi e al lago d’Orta c’è poi Novara, città dove vive tutt’ora. Come scrisse Nadia Gallarotti, forse e senza voler far torto a nessuno l’amica più cara di Clara nella prefazione del suo primo libro, era “_la città necessaria, vicino al posto di lavoro di Bruno_”, in grado di garantire a Clara “_un ritmo di vita più accettabile e l’accesso più facile alle cure di cui ha avuto bisogno_”. Novara con le fredde nebbie d’inverno “_che avvolgono i suoi viali, mettendo i brividi nelle ossa, ma anche la sorpresa- in primavera di scoprire un paesaggio, tutt’attorno alla città, che si trasforma in un lucido specchio, dove l’azzurro del cielo si riflette nell’acqua delle risaie_”. La narrazione si chiude con un capitolo dolente, difficile. La scomparsa prematura di Nadia nel febbraio del 2018, i ricordi resi pubblici nell’ultimo saluto che proprio lei rivolse all’amica. Si avverte il senso del vuoto, dell’assenza che può essere mitigata solo parzialmente dalle memorie condivise. E la consapevolezza che la vita continua a girarci intorno e dobbiamo strapparne a brandelli , di volta in volta, qualche morso, come fa Clara Cipollina raccontandosi nel libro, con determinazione e coraggio.

Marco Travaglini