AL SALONE DEL LIBRO
Incontro con l’autore
Nella settimana dell’edizione 2023 del Salone Internazionale del Libro, Torino e’ pronta ad ospitare eventi ed incontri con gli autori.
Il 18 maggio lo scrittore romano Claudio Chiavari incontrera’ i lettori presso il centro commerciale Lingotto per presentare “Per i sogni non ci sono segreti” un racconto scaturito dal percorso della Via Francigena che attraversa il suo territorio.
“Per i sogni non ci sono segreti.
Bisogna solo farli volare sulle ali del condor” Cit.
Music Tales, la rubrica musicale
“Erano solo due amanti
Seduti nell’auto, mentre ascoltavano Blonde, innamorandosi l’un l’altro
Cieli rosa e arancio, sentendosi bambini, non Donald Glover
Chiamate perse da mia madre
“Dove sei stanotte?”
Niente alibi, ero completamente da solo”
Jvke, pseudonimo di Jacob Dodge Lawson (Providence, 3 marzo 2001), è un cantautore statunitense.
Quando sento certi brani, e guado la fdata di nascita di chi li ha immaginati, scritti e realizzati fino a cantarli, mi penso alla loro età e dico:”quanto sono avanti questi ragazzi rispetto a me…sempre”.
Un mio allievo me l’ha fatta ascoltare e poi l’abbiamo catata in chiave acustica (non vi so dire l’emozione, sembra scritta per lui n.d.r.) e subito mi ha fatto venire il sorriso e la voglia di un amore cosi romantico, cosi puro.
Non troppo da dire di questo ragazzo cosi giovane ma il web ci dice essere nato da un’insegnante e un pastore protestante,che fin da bambino inizia a cantare in un coro religioso ed a prendere lezioni di pianoforte, oltre a comporre alcune canzoni da eseguire con il coro.
Intraprende successivamente la carriera universitaria, decidendo tuttavia di interrompere gli studi per intraprendere la carriera musicale a livello professionistico. (mi ricorda giusto qualcuno).
Nel 2020, durante la pandemia di Covid-19, inizia a dedicarsi alla pubblicazione di video su TikTok e pubblica il suo singolo di debutto “Upside Down”.
In questo periodo, l’artista ottiene una notevole popolarità sul social spingendo così il già noto Charlie Puth a prendere parte a un remix di “Upside Down”.
Nel 2021 pubblica il singolo Dandelion con il DJ Galantis, seguito dal brano da solista “This Is What Falling in Love Feels Like”. Con quest’ultimo ottiene un disco d’oro negli Stati Uniti. Nel 2022 pubblica il suo album di debutto “This Is What Feels Like” (Vol. 1–4), progetto che raggiunge la posizione 40 della Billboard 200.
Uno dei singoli estratti dall’album, “Golden Hour”, diventa il suo primo successo internazionale raggiungendo la posizione 10 nella Billboard Hot 100 e la 19 in Regno Unito e Canada.
Sempre nel 2022 collabora con Martin Garrix nel singolo Hero.
Successivamente, annuncia un tour nordamericano previsto per l’estate 2023.
Lunga vita a questo ragazzo meraviglioso, spero piaccia a voi quanto a me.
“Le vere storie d’amore non hanno mai fine. ”
Buon ascolto
https://www.youtube.com/watch?v=PEM0Vs8jf1w&ab_channel=JVKE
scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!
Ecco a voi gli eventi da non perdere!
Alieno offre in premio la produzione di un brano a chi sarà il vincitore di questo concorso. Iscriviti subito!
Al Miit Molinaro e “Leggerezze”
Il MIIT, Museo Italia Arte, ospita dal 16 maggio al primo giugno 2023 due mostre, di cui una personale di Bruno Molinaro e un’esposizione intitolata “Leggerezze – Acquerelli, che passione!” a cura di Elio Rabbione.
Un omaggio al maestro Sergio Unia si accompagnerà a una mostra di acquerelli, promossa dal Museo MIIT, Museo Internazionale di Italia Arte, che si inaugurerà martedì 16 maggio alle ore 17.
L’esposizione si articola, in realtà, in due mostre di Bruno Molinaro e in quella dal titolo “Leggerezze- acquerelli, che passione!”. Si tratta di due momenti di arte da vivere con attenzione e trasporto, abbandonandosi alle ricche e profonde emozioni che quelle visioni comportano. La mostra antologica dedicata al Maestro Bruno Molinari è intitolata “Attraverso il tempo. Grafica e dipinti degli anni Sessanta”. L’esposizione presenta una trentina di opere pittoriche e una scelta di opere grafiche che narrano il suo percorso stilistico dagli anni Sessanta a oggi. Si tratta di un operare continuo che ha reso la ricerca, il segno e il colore le sue peculiarità artistico creative. Fin da giovane egli utilizzava il cavalletto da viaggio e la “scatola d’artista” con pennelli e colori vivendo la sua stagione dell’ ‘en plein air’ ricercando e trovando punti e momenti ricchi di interesse e emozioni da trasferire sulla tela. Ancora oggi il Maestro Molinaro è un uomo curioso e non pago. Il suo studio è ricco di vita, di attività con dipinti e disegni, acquerelli e incisioni, ma anche progetti di restauro che ne hanno accompagnato la ricerca e la passione. Il Maestro mostra una personalità che ha lasciato il segno nella pittura italiana e non solo della seconda metà del Novecento.
Nato a Ragogna, in provincia di Udine, Molinaro ha frequentato i corsi delle scuole del nudo dell’Accademia Albertina, e è diventato protagonista di un unico stile pittorico molto raffinato di matrice impressionista. Ha esposto in Italia e nelle principali metropoli mondiali, tra cui Hong Kong, Los Angeles, Rio de Janeiro, Tokyo, Istanbul, Vancouver, Toronto, in Messico, Tunisia e Seychelles, ricevendo numerosi riconoscimenti. Nel 2019 è stato nominato membro della commissione artistica della Promotrice delle Belle Arti.
‘La sua arte – spiega il Direttore di Italia Arte Guido Folco – è destinata a rimanere un simbolo di una ricerca condotta tra l’impressione del bello di natura, caro al paesaggio e alla pittura di soggetto, tipica della nostra tradizione, e l’espressività di un’anima irrequieta e perennemente in viaggio’.
L’esposizione collettiva intitolata “Leggerezze. Acquerelli, che passione!” è curata da Elio Rabbione e presenta una selezione di opere realizzate ad acquerello da artisti contemporanei. Si tratta di una disciplina tra le più affascinanti nella storia dell’arte, che ha caratterizzato anche l’arte orientale fin dall’antichità, per poi ricevere uno sviluppo in Europa tra Settecento e Ottocento. Nell’ambito della mostra sarà presente anche un omaggio del noto scultore Sergio Unia, che presenterà alcune opere del modellato plastico, classico e romantico.
Mara Martellotta
In onda mercoledì su Radiomoncalieri.net e in replica giovedì
Torino tra architettura e pittura
1 Guarino Guarini (1624-1683)
2 Filippo Juvarra (1678-1736)
3 Alessandro Antonelli (1798-1888)
4 Pietro Fenoglio (1865-1927)
5 Giacomo Balla (1871-1958)
6 Felice Casorati (1883-1963)
7 I Sei di Torino
8 Alighiero Boetti (1940-1994)
9 Giuseppe Penone (1947-)
10 Mario Merz (1925-2003)
1) Filippo Juvarra
Stiamo lentamente avanzando verso la primavera, le giornate si fanno poco a poco più luminose e più tiepide e la natura che ci circonda presto inizierà a sgranchirsi, intorpidita dal lungo sonno invernale. Non rimane che incrociare le dita e sperare che l’arrivo della bella stagione porti con sé anche la possibilità di fare qualche passeggiata in più, anche se muniti ovviamente di mascherina, outfit ormai egualmente essenziale e indispensabile. Nella speranza che questi pensieri possano trasformarsi in realtà, mi piace immaginare di poter organizzare un’uscita didattica con i miei studenti alla scoperta delle bellezze barocche di Torino; ribadisco infatti il concetto che l’arte vada insegnata nel modo più concreto possibile, invitando i ragazzi a guardare le architetture dal vivo -nel limite del possibile ovviamente- e non solo sulle pagine dei libri o attraverso la LIM, convincendoli a toccare colori e materiali, e se anche se ci si sporca un po’ non è un problema. È così che mi piacerebbe poter spiegare alle mie classi il “Barocco”, portando i ragazzi a passeggiare per le vie del centro, fermandoci a commentare e a chiacchierare tra piazza Castello e Piazza Vittorio, desidererei poterli condurre alla Palazzina di Caccia di Stupinigi o alla Basilica di Superga, rendendo loro lo studio un’esperienza concreta e trasformando delle nozioni prettamente storico-artistiche in un autentico ricordo di vita.
Sono consapevole di quanto sia utopico il mio pensiero, non solo per la drammatica situazione pandemica che pone ovvi divieti e limitazioni alle nostre abitudini quotidiane, ma anche perché il tempo scolastico pare trascorrere a ritmi insostenibili, le lezioni si susseguono e le ore non sono mai abbastanza per stare al passo con i programmi ministeriali. Non mi dilungo poi su quanto sia diventato complicato a livello burocratico organizzare attività sia dentro che fuori le aule.
Facciamo un gioco, facciamo finta che quanto appena premesso non sia del tutto vero, e fingiamo di poter organizzare un tour della Torino barocca. Prima di tutto occorre mettere in evidenza la personalità che più di tutte ha contribuito alla trasformazione dell’aspetto del capoluogo piemontese, si tratta di Filippo Juvarra, nato a Messina in una famiglia di orafi e cesellatori, è stato scenografo, disegnatore e architetto, la sua formazione è stata decisamente “pratica”, volta a migliorare le qualità tecniche artigianali.
Filippo Juvarra, (1678-1736), arriva a Torino nei primi anni del Settecento. Quando l’architetto messinese mette piede nel territorio si trova circondato da cantieri, lavori di ammodernamento e di ristrutturazione urbanistica, tutti interventi volti a rendere la città esteticamente degna del ruolo di capitale che le era stato decretato da Emanuele Filiberto nel 1563. In questo senso era risultato essenziale il contributo di Guarino Guarini, al servizio dei Savoia a partire dalla seconda metà del Seicento; all’architetto si deve infatti l’edificazione di vari edifici, tra cui la chiesa di San Lorenzo e la realizzazione della Cappella della Sacra Sindone.
E’ tuttavia con Juvarra che la città acquista effettivamente un nuovo aspetto, degno delle idee innovative che investono il Settecento.
Nel 1714 Vittorio Amedeo II di Savoia chiama a suo servizio l’artchitetto siciliano e lo nomina “primo architetto del re”, grazie a questo titolo Juvarra ottiene immediata visibilità all’interno dell’ambiente artistico e la sua ben più che meritata fama viene riconosciuta in poco tempo anche in territori stranieri. Egli infatti intraprende molti viaggi durante la sua vita, lavorando in Austria, Portogallo, Londra, Parigi e Madrid, città in cui morì improvvisamente nel 1736.
La sua formazione avviene prevalentemente a Roma, dove frequenta lo studio di Carlo Fontana e ha l’occasione di studiare dal vivo le opere classiche, rinascimentali e barocche, soffermandosi soprattutto sugli esempi di Michelangelo, come attestano i numerosi schizzi sui quali era solito appuntare le sue osservazioni. A Roma Juvarra esordisce anche in qualità di scenografo, come attestano i fondali che egli realizza per il teatrino del cardinale Ottoboni, al cui circolo arcadico era strettamente legato. I fogli juvarriani del periodo romano evidenziano i suoi molteplici interessi: progetti per architetture e apparati effimeri, capricci scenografici e vedute equiparabili a quelle del Vanvitelli, con cui in effetti Juvarra era entrato in contatto.
Juvarra esercita la sua opera come architetto soprattutto in Piemonte, più precisamente a Torino e dintorni. Egli non solo progetta chiese e residenze reali ma si occupa anche di riorganizzare interi quartieri periferici; lavora sullo spazio urbano e si conforma ai dettami dell’urbanistica torinese, riuscendo tuttavia a creare nuovi punti focali, quali i “Quartieri Militari” nei pressi di porta Susa, la facciata principale di Palazzo Madama (che di conseguenza rinnova anche l’aspetto di Piazza Castello), le chiese di San Filippo Neri, Sant’Agnese del Carmine, e, soprattutto, la Basilica di Superga, che si erge sulla collina e determina un nuovo confine visivo della città. Decisamente degni di nota sono anche i suoi interventi extraurbani, come dimostrano i nuclei architettonici nei pressi di Venaria, Rivoli e Stupinigi.
Tutte le sue costruzioni si inseriscono nell’ambiente in modo armonioso e studiato, ogni cantiere viene soprinteso con rigorosissimo controllo dallo steso architetto messinese; per ogni progetto egli recupera sapientemente il proprio ricco bagaglio culturale, riuscendo di volta in volta a riplasmare e innovare i modelli di riferimento in senso moderno e suggestivo, secondo una razionalità e una sensibilità del tutto settecentesche.
Continuiamo il gioco e immaginiamo di poterci fisicamente spostare per il territorio alla ricerca delle realizzazioni architettoniche di Juvarra. Partiamo da Palazzo Madama: per la ristrutturazione di tale edificio Juvarra parte da modelli francesi, (fronte posteriore di Versailles), e romani, (palazzo Barberini), e arriva però a una soluzione originale: conferisce unità alla parete grazie all’utilizzo di un unico ordine corinzio sopra l’alto basamento a bugnato piatto e sottolinea la zona centrale dell’ingresso con colonne aggettanti e lesene plasticamente decorate. Il palazzo, classicheggiante nella netta spartizione degli elementi, risulta settecentesco nelle ampie finestre attraverso le quali una ricca luce illumina adeguatamente i vani interni. Nella realizzazione dello scalone d’onore, opera unica nel suo genere, Juvarra fa invece affidamento alla sua esperienza teatrale: lo spazio che la gradinata marmorea occupa è uno spazio scenografico. La struttura si presenta di grande impatto visivo ma al contempo è calibrata e misurata, le decorazioni, segnate da delicati stucchi a forma di conchiglie e ghirlande floreali, aderiscono alla scalinata e si amalgamano all’architettura, rendendo più incisivo l’effetto della luce che trapassa le vetrate.
Immaginiamo ora di prendere un pullman e di allontanarci dei rumori della città. La nostra direzione è la verdeggiante collina torinese, dove ci aspetta uno dei simboli della città subalpina. La Basilica di Superga, edificata tra il 1717 e il 1731, svolge una duplice funzione, essa è sia mausoleo della famiglia Savoia, sia edificio celebrativo dedicato alla vittoria ottenuta contro l’esercito francese nel 1706. L’edificio svetta su un’altura, la posizione è tipica dei santuari tardobarocchi, soprattutto di area tedesca. L’impianto centralizzato con pronao ricorda il Pantheon, la cupola inquadrata da campanili borrominiani, invece, si ispira a Michelangelo. Nonostante i modelli di riferimento, sono del tutto assenti quelle tensioni tipiche del Buonarroti o dell’arte barocca: il nucleo centrale ottagonale si dilata nello spazio definito dal perimetro circolare del cilindro esterno, perno di tutto l’edificio; da qui si protendono con uguale lunghezza il pronao arioso e le due ali simmetriche su cui si innestano i campanili. Quest’ultima parte è in realtà la facciata del monastero addossato alla chiesa che su uno dei lati corti fa corpo con essa. L’edificio si estende nello spazio e asseconda l’andamento della collina, e diventa un nuovo e interessante punto di osservazione per chi si trova a guardare verso le alture torinesi.
Impossibile non ricordare la tragedia di Superga, avvenuta il 4 maggio 1949, alle ore 17.03, quando l’aereo su cui viaggiava il Grande Torino si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica, provocando trentuno vittime. Certi luoghi assorbono tristezza e per quanto siano architettonicamente belli, rimangono velati di malinconia e accoramento. Sempre rimanendo sul nostro iniziale filone dell’ipotetico tour scolastico, immagino che mi sarei allontanata dalla Basilica riferendo ai miei allievi una certa superstizione: meglio non visitare la chiesa in compagnia della propria metà, pare infatti che porti sfortuna alla coppietta innamorata.
Saliamo sul nostro pullman e dirigiamoci ora verso un’altra meta.
Nella Palazzina di Caccia di Stupinigi (1729-1733), troviamo un oscillamento tra la tradizione francese e la pianta italiana a forma di stella. Qui ritorna il motivo della rotonda, ma da essa fuoriescono quattro bracci a formare una croce di sant’Andrea, schema su cui Juvarra medita fin dagli anni giovanili. Il nucleo centrale e centralizzato costituisce il punto focale di un disegno vasto e articolato: esso è preceduto da una corte d’onore dal perimetro mistilineo, che si innesta nell’ambiente naturale e per gradi conduce fino al palazzetto vero e proprio; lungo il perimetro della corte d’accesso si dispongono le costruzioni dedicate ai servizi. L’impianto del grande salone richiama precedenti illustri, ma il tutto è trasfigurato in senso rococò, grazie ai ricchi stucchi, alle elaborate pitture, agli arredi e al particolare cadere della luce sui dettagli preziosi delle decorazioni artistiche e artigianali. La muratura esterna è scandita da una successione di lesene piatte nettamente profilate. Tutta la struttura della Palazzina risulta raffinata e in studiato rapporto dialettico con la natura che la circonda; le numerose finestre che si trovano su tutto il perimetro contribuiscono a dare un senso di generale leggerezza, controbilanciando l’impatto visivo dato dalle dimensioni imponenti dell’edificio.
Siamo alla fine del nostro gioco immaginato e ci manca ancora una meta per terminare la lezione sul Barocco.
Le chiese juvarriane presentano soluzioni architettoniche originali, soprattutto la chiesa del Carmine (1732-1735), dove le alte gallerie aperte sopra le cappelle si rifanno ad uno stile nordico e medievale. In queso edificio (che si trova in via del Carmine angolo via Bligny) l’impianto tradizionale a navata unica con cappelle lungo i lati è rinnovato dalla riduzione del muro delimitante la navata a una ossatura essenziale di alti pilastri di ribattutta e dalla sapiente modulazione della luce che, piovendo dall’alto fra i pilastri, si diffonde nella navata e nelle cappelle. Lo storico dell’arte Cesare Brandi così descrive l’elaborata chiesa del Carmine: “L’invenzione appare così una felice contaminazione coll’architettura del teatro e aggiunge un segreto senso di festa e di leggerezza all’ardita struttura della chiesa che solo nella volta, appunto a somiglianza di un teatro, ha una superficie unita, e quasi un velario teso sugli arredi delle grandi pilastrate.”
Ecco, il tour fantastico è terminato, e così anche l’articolo che concretamente sto scrivendo: come nelle favole realtà e immaginazione si mescolano, si sovrappongono e si uniscono, in una sorta di “kuklos” che alla fine fa quadrare tutto.
D’altronde sognare è gratis. Per ora.
Alessia Cagnotto
Ci ha fatto sognare a occhi aperti, viaggiare con la fantasia, accompagnandoci con le sue storie in fondo al mare, a bordo del Nautilus, in giro per il mondo per ottanta giorni o nel cosmo con un razzo verso la luna.
Jules Verne è stato un grande della letteratura negli anni della giovinezza e sostare davanti alla sua tomba nel cimitero di Amiens provoca una profonda emozione. Tra i cinque autori più tradotti al mondo, lo scrittore che di fatto inventò la letteratura di fantascienza con i suoi romanzi era nato l’ 8 febbraio 1828 a Nantes, città portuale francese, e morì di diabete all’età di 77 anni il 24 marzo 1905 ad Amiens, in quello che un tempo era il capoluogo della Piccardia ed oggi del dipartimento della Somme. Il cimitero in cui riposano le sue spoglie mortali è quello della Madeleine, a nord-ovest della città, all’estremità occidentale de quartiere di Saint-Maurice. Nel parco alberato di diciotto ettari colpisce la scultura realizzata da Albert Roze, intitolata Vers l’Immortalité et l’Eternelle Jeunesse (Verso l’Immortalità e l’Eterna Giovinezza) collocata due anni dopo la morte dello scrittore sulla sua lapide.
La statua, utilizzando la reale maschera di morte di Verne, ne rappresenta la figura che rompe la propria lapide emergendo dalla tomba con il braccio teso verso il cielo, simboleggiandone la resurrezione. Abbandonata prestissimo la carriera giuridica, dopo aver portato a termine gli studi di giurisprudenza, Verne frequentò a Parigi gli ambienti letterari, scrivendo testi per il teatro e svolgendo attività impiegatizie. Dal 1963, compiuti trentacinque anni, iniziò la carriera di scrittore che continuò fino alla morte e ancora dopo, con la pubblicazione postuma di molti suoi lavori: sessantadue romanzi e diciassette racconti. Il suo successo si dovette in gran parte all’editore Pierre-Jules Hetzel (nato a Chartres nel 1814 e morto a Montecarlo nel 1886, sepolto nel cimitero parigino di Montparnasse) il quale, dopo aver pubblicato proprio nel 1863 il primo volume di racconti Cinque settimane in pallone, propose a Verne un contratto ventennale con l’impegno di pubblicarne tre all’anno, consentendo all’autore di abbandonare l’impiego di agente di cambio e dedicarsi completamente alle sue opere. Nel 1870, per meriti letterari, gli viene conferita la Lègion d’Honneur e viene nominato per due volte presidente dell’Académie des Sciences, des Lettres et des Arts.
Collaborò inoltre con la Societé de Géographie, alla redazione della Géographie Illustrée de la France. Il suo primo romanzo fu il Viaggio al centro della Terra (1864), dove accompagnò i protagonisti, attraverso il cratere di un vulcano spento, fino alle viscere del pianeta in cui viviamo. L’anno successivo, con Dalla Terra alla Luna, immaginò la conquista dello spazio con dei primi astronauti in orbita attorno al pallido astro lunare a bordo di un proiettile sparato da un enorme cannone. Una storia che trovò seguito cinque anni più tardi ( nel 1870) con la pubblicazione del romanzo Intorno alla Luna dove si scoprirà che l’equipaggio, dopo aver osservato il nostro pianeta dal cosmo, rientrerà nell’orbita terrestre grazie ai razzi di bordo terminando la sua corsa tra le onde dell’Oceano Pacifico, esattamente come accadde cent’anni dopo, nel luglio del 1969, con la missione spaziale statunitense dell’ Apollo 11 che portò i primi uomini sulla Luna, gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Poco prima Verne aveva pubblicato l’avventura marinara de I figli del capitano Grant mentre è datato 1870 quello che per molti è stato il suo capolavoro, uno dei capisaldi della letteratura d’avventura: Ventimila leghe sotto i mari.
Un viaggio incredibile nel profondo degli abissi oceanici a bordo del Nautilus, il sottomarino costruito e comandato dal capitano Nemo. La lunga serie dei suoi viaggi straordinari conta decine di titoli ma è utile ricordare anche la sfida de Il giro del mondo in ottanta giorni ( datato 1873), con Phileas Fogg e il fedele domestico Passepartout, un viaggio verso est, in cui – tra continui colpi di scena impegnati nell’impresa di compiere il giro del globo avvalendosi di ogni possibile mezzo di trasporto, tra mille problemi, ostacoli e disavventure. Spulciando tra cronache e ricordi è interessante e curioso che, quando scrisse Parigi nel XX secolo ( era il 1863, ai tempi degli esordi) il testo venne rifiutato da Hetzel e si dovettero attendere 131 anni per vederlo pubblicato, nel 1994. Un pronipote dello scrittore aveva fatto aprire una vecchia cassaforte di cui si erano perdute le chiavi scoprendo il manoscritto dell’opera, che l’editore Hachette pubblicò, a dire il vero, con scarsa convinzione. In pochi giorni ne vennero vendute duecento mila copie, costringendo la prima casa editrice di Francia a ricredersi, prendendo atto dell’immutato fascino dei romanzi di Jules Verne. Nel centro di Amiens, al numero due di Rue Charles Dubois c’è la casa in cui Jules Verne visse per diciotto anni e che oggi, trasformata in museo, accoglie i visitatori svelando davanti ai loro occhi il fantastico mondo dello scrittore. Attraverso numerosi oggetti e documenti, si racconta la vita e le opere dello scrittore.
Costruita in mattoni rossi dal notaio Jean-Baptiste Gustave Riquier nel 1854 e conosciuta come la “casa della Torre”, fu la dimora di Jules Verne dal 1882 al 1900. Restaurata nel 2006 fa parte del circuito delle case degli scrittori francesi aperte al pubblico. Dal piano terra alla soffitta, su quattro piani, attraverso arredi, libri e oggetti che hanno rappresentato alcune delle fonti d’ispirazione e i ricordi di Jules Verne, si respira l’atmosfera del tempo. Di grande interesse le carte geografiche, le mappe dei viaggi, alcuni dei giocattoli e dei modellini realizzati dallo stesso Verne. Un’occasione straordinaria per fare un viaggio nel tempo, rinverdire ricordi delle letture giovanili e delle emozioni evocate dalle sue opere che facevano sognare avventure e sconfinamenti nel futuro. Forse risiede proprio in questa capacità di emozionare l’intramontabile fascino dei racconti e delle storie che il padre della fantascienza moderna ha saputo narrare a intere generazioni.
Marco Travaglini
GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA
Martedì. Al Blah Blah suonano i Valley Of The Sun.
Mercoledì. Allo Ziggy si esibisce Osvaldo Schwartz. Al Teatro Colosseo arriva lo storico gruppo cileno degli Inti Illimani con Giulio Wilson. All’Osteria Rabezzana sono di scena i Powerillusi. Al teatro Alfieri si esibisce Anna Oxa.
Giovedì. Al Peocio di Trofarello suona il trio del chitarrista Michael Angelo Batio. Al Blah Blah si esibisce il gruppo Rockabilly dei Meteors. Alle Gallerie d’Italia musica d’improvvisazione con il produttore Vittorio Cosma affiancato da Whitemary, Gianluca Petrella e Damir Nefat. Al Cap 10100 è di scena Jake Smith. Al Le Roi suonano i Loschi Dezi.
Venerdì. Al Blah Blah sono di scena gli Estetica Noir. Al Folk Club si esibisce Amy La Vere accompagnata dal chitarrista Will Sexton. Allo Ziggy è di scena Vespertina con Petrolio. All’Hiroshima Mon Amour si esibiscono gli Extraliscio con il “ragazzo morto” Davide Toffolo. Allo Spazio 211 suonano i Bohren & Der Club Of Gore. All’Off Topic si esibisce la cantautrice Debora Petrina.
Sabato. Allo Ziggy sono di scena gli Ataraxia. Al Blah Blah suona il gruppo punk Rappresaglia. All’Off Topic si esibiscono i Mai Mai Mai.
Domenica. Al Lambic suonano i L’Orage. Allo Ziggy si esibisce il trio del cantautore Gnut. Al Pala Alpitour è di scena il britannico Sam Smith.
Pier Luigi Fuggetta