“Questa è Radio Caroline sul 199, la vostra stazione musicale 24 ore su 24”. Con questo messaggio preregistrato sessant’anni fa, lanciato da una vecchia nave passeggeri danese, la MV Caroline , che stazionava al largo delle coste dell’Essex, a sudest dell’Inghilterra, venne annunciato l’inizio delle trasmissioni della prima radio libera del mondo ( “pirata”, si diceva un tempo), di gran lunga la più famosa. Era il 28 marzo 1964, quasi all’ora di pranzo. I due ragazzi terribili alla consolle, Chris Moore e Simon Dee, sapevano bene che in acque internazionali le leggi inglesi non valevano e che la musica poteva librarsi nell’etere senza ostacoli. La prima canzone che venne mandata in onda fu Not Fade Away dei Rolling Stones. In Gran Bretagna le nuove generazioni impazzivano per la musica dei Beatles e dei Rolling Stones, dei Moody Blues e degli Who che dividevano le scene con gli Yardbirds di Eric Clapton e i Kinks.

Di lì a poco avrebbero fatto la loro comparsa anche i Pink Floyd con le loro atmosfere psichedeliche. Pur in presenza di uno scenario unico e straordinario nella storia della musica pop e rock, le trasmissioni radiofoniche erano dominate dai tre canali radio della BBC, che confinava questi gruppi e le loro canzoni nello spazio angusto e risicato di pochissime ore la settimana e non voleva saperne di ospitare le band delle etichette indipendenti, mostrando di subire l’influenza delle grandi case discografiche come EMI e Decca. Quest’approccio piuttosto grigio, in puro stile old british, della radio pubblica e un insieme di regole alquanto strambe che, tanto per fare un esempio, limitavano a cinque ore il tempo massimo in cui si potevano suonare dischi in diretta o la scelta di mandare in onda canzone cantate da altri interpreti o in versioni solo strumentali, fecero guadagnare a Radio Caroline un successo incredibile. L’idea della stazione “galleggiante” era venuta a Ronan O’Rahilly, un ventiquattrenne irlandese che aspirava a diventare un imprenditore musicale, riadattando allo scopo una nave passeggeri danese di 700 tonnellate, la MV Fredericia (formalmente registrata a Panama).

La famiglia di O’Rahilly, piuttosto benestante, era proprietaria di un piccolo porto privato a Greenore, nel nord dell’Irlanda. Le apparecchiature radio vennero installate con l’aiuto dell’ingegnere svedese Ove Sjöström che aveva lavorato in una esperienza simile in Svezia. Per il nome si ispirarono a una delle celebri foto di Caroline Kennedy, ritratta mentre giocava nello Studio Ovale della Casa Bianca ai tempi della presidenza del padre, John Fitzgerald Kennedy. Radio Caroline trasmetteva musica pop tutto il giorno e arrivò a raggiungere, dopo pochi mesi dall’inizio delle trasmissioni, quattro milioni di ascoltatori. Si apriva così una stagione del tutto nuova nel mondo delle comunicazioni e l’esempio di questi ribelli dell’etere generò molte altre radio libere che iniziarono la loro attività al punto che, in un sondaggio del 1966, quasi la metà dei sudditi di Sua Maestà dichiarava di sintonizzarsi regolarmente su una radio pirata o su Radio Luxembourg, potente emittente lussemburghese che era una specie di antenata delle radio pirata. Il governo britannico non stette con le mani in mano e pose di fatto fine all’epoca delle radio libere con il Marine Offences Act, un provvedimento restrittivo che entrò in vigore il 15 agosto del 1967. La legge, tuttora in vigore, “proibisce di trasmettere dalle navi, dalle strutture off-shore e dagli aerei in acque territoriali britanniche, o da navi e aerei registrati nel Regno Unito dovunque si trovino”. Quasi tutte le radio pirata smisero di trasmettere ma il testardo O’Rahilly, da buon irlandese cocciuto, decise di andare avanti e poco dopo la mezzanotte di quel ferragosto informò dai microfoni che la radio Caroline avrebbe continuato la sua attività e mandò in onda All You Need Is Love dei Beatles. Qualche anno più tardi Radio Caroline ripartì a bordo di una nuova nave, l’ex rompighiaccio Ross Revenge, dalle quali le trasmissioni continuarono fino al 1989 quando il ministro inglese Margaret Thatcher ordinò la presa di forza della nave con la successiva chiusura della radio. Ma nemmeno la Lady di Ferro riuscì a zittire l’emittente. Da allora Radio Caroline riprese e interruppe le trasmissioni più volte e ancora oggi è sulla breccia, trasmettendo via satellite.
Marco Travaglini
C’è un segno lasciato dai Re di Francia dentro la bella chiesa di San Restituto a Sauze di Cesana, paese di 240 anime dell’Alta Valle di Susa, sulla strada che sale a Sestriere: un’impronta importante, regale, l’emblema della potenza della monarchia d’Oltralpe. È il Giglio, il simbolo araldico dei sovrani di Francia. Queste terre facevano parte del Delfinato già dalla metà del Trecento e, anche qui, su queste montagne scorreva il sangue scaturito dalle guerre di religione, cruenti e brutali, che tra Cinquecento e Seicento, seminarono morte e odio tra i cristiani.
transitavano sovente da queste parti con i loro eserciti diretti nel cuore della penisola. Non si sa con certezza se qualche sovrano d’Oltralpe sia entrato in questa chiesa ma i segni della presenza francese sono diversi. Per poter ospitare i nuovi convertiti che volevano essere battezzati, Re Luigi XIV decise, verso la fine del Seicento, di ingrandire la chiesa e per tale ragione venne restaurato il fonte battesimale, una grande vasca di pietra quattrocentesca sormontata da una struttura triangolare con ante in legno su cui è scolpito il Giglio di Francia che si può vedere anche sulla parte superiore di un arco dell’ingresso laterale del portico.
La prima testimonianza di questa chiesa risale al 1065 con la Bolla dell’arcivescovo di Torino Cuniberto. Un tempo era una chiesa-fortezza, circondata da mura massicce e serviva da rifugio per la popolazione in caso di guerre o scorrerie. Nella seconda metà del Cinquecento vennero compiute importanti opere di restauro. All’interno non si trovano molte decorazioni pittoriche. Sulle pareti spicca un affresco che illustra il battesimo di Gesù, secentesco, si vedono tracce di dipinti di inizio Cinquecento, due grandi quadri dell’Annunciazione di fronte al battistero, la Madonna del Rosario, la statua di San Restituto a cavallo e una cornice del ‘700 con ex-voto. “Mettersi in cammino verso la chiesa-santuario di San Restituto, sostengono con orgoglio i responsabili dell’Associazione, rappresenta metaforicamente, oggi come ieri, il viaggio di ogni uomo, la ricerca di felicità e la possibilità di accogliere il dono di salvezza che viene dall’alto.
Non vi è dubbio che uno dei più importanti cantoni della civiltà contadina tra Sesia e Ticino, forse il più celebre, sia stato Dante Graziosi. Nato l’11 gennaio del 1915 a Granozzo , un borgo sull’acqua delle risaie all’estremo sud del novarese e al confine con il pavese lombardo, Graziosi fu medico veterinario, partigiano della divisione Rabellotti con il nome di battaglia di “Granito”, docente universitario di Igiene e Zootecnia all’Università di Torino, parlamentare della Dc per quattro legislature e sottosegretario in altrettanti governi, fondatore della Coldiretti novarese. Prima di dedicarsi alla narrativa fu anche autore di molti saggi scientifici di zootecnia. L’esordio letterario avvenne tardi, nel 1972 quando Graziosi ( all’epoca cinquantasettenne) fece rivivere con i racconti de La terra degli aironi la civiltà contadina che si era sviluppata tra le risaie della bassa novarese, narrando un mondo destinato al tramonto. Alla sua attività di veterinario dedicò nel 1980 il suo libro più famoso, Una Topolino amaranto, da cui venne tratto uno sceneggiato Rai. Nel 1987 pubblicò Nando dell’Andromeda, una saga padana al tempo delle mondine, della vita che si svolgeva sulle aie della bassa agli albori delle prime lotte sociali nelle campagne. Nando, il protagonista, è un camminante, uomo libero con l’animo del poeta. Al centro delle storie del “James Herriot italiano”, validissimo emulo del famoso scrittore e veterinario britannico, c’era il Molino della Baraggia di Granozzo dove l’autore, scomparso improvvisamente il 7 luglio 1992 a Riccione, era vissuto e dove sorge ora il centro sportivo di Novarello. Davide Lajolo ne descrisse il modo di raccontare sostenendo come potesse apparire all’antica, con una scrittura“che mette punti, virgole e sentimenti al posto giusto, che vibra e s’intenerisce nell’amore della sua terra, della gente, delle strade, dell’erba, della vita del suo paese, sia un riscatto dalla noia di certo burocraticismo politico, dalle formule e dalla corsa alle poltrone. È un ritornare a guardarsi allo specchio come uomo per ritrovare le caratteristiche di fondo di chi ha imparato perché si sta al mondo”. I suoi libri sono pubblicati dalla novarese Interlinea, casa editrice diretta da Roberto Cicala, che in occasione del ventesimo anniversario della morte di Graziosi propose Le storie della risaia, un volume che raccoglie i migliori testi dell’aedo della Bassa.





