CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 200

“L’Autunno. Gli Autunni” A Carmagnola, oltre quaranta artisti in mostra

Nelle Sale del quattrocentesco “Palazzo Lomellini”, con opere “di stagione” ispirate all’“autunno”

Fino al 17 dicembre

Carmagnola (Torino)

C’è autunno e autunno. O, per meglio dire, c’è un “Autunno” punto e basta, e ci sono “Autunni” del tutto particolari. Molto meno esaltanti. L’uno cavalca la terra, con i suoi magnifici rossi, gialli, grigi plumbei e verdi sottotono. Gli altri s’infrangono invece sull’anima come distruttive frane esistenziali, diaboliche e soffocate nella solitudine di amarezze difficili da interpretare e, ancor più, da reggere. Questo vuole, fin da subito, rammentarci il titolo, “L’Autunno. Gli Autunni”, della mostra che vede, fino al prossimo 17 dicembre, ben 45 artisti appartenenti all’ormai nota Associazione  “Amici di Palazzo Lomellini” esporre nelle ampie Sale del quattrocentesco “Palazzo” di piazza Sant’Agostino. Un centinaio abbondante sono le opere esposte, realizzate nelle più svariate tecniche, e messe insieme, come sempre con certosino defaticante impegno e lodevole “occhio” critico, da Elio Rabbione. E proprio lui ci spiega le intenzionalità  di una rassegna che certo vuole contemplare “la stagionalità, quindi i boschi ingialliti, le ombre più marcate e i raggi del sole che a fatica riescono a intrufolarsi nel folto”, ma pure “le sembianze più nascoste di una ‘discesa’ o di una rinuncia … di uno scavo, a tratti anche sgradito, nell’area dei ricordi, nel voltarsi indietro a cercare una speranza, a guardare fuori dalla finestra a rintracciare un po’ di luce, di un’età non più brillante e dei volti segnati dal tempo … Non molti hanno accettato questa scommessa, ma qualcuno c’è stato”. Modesto Rabbione. Perché in tanti hanno, invece, risposto alla chiamata. E allora Autunno, intenso Autunno, è la cupola di rosso acceso cui Giorgio Cestari fa chiudere lo sguardo al cielo precipitando con forza inarrestabile sul sentiero boschivo che è “Passeggiata” del vecchio contadino accompagnato dal suo fido cane ed è Autunno di delicate, nitide ma possenti “nature morte” che ci raccontano di “Frutti” e fiori stagionali nei poetici acquerelli di Lia Laterza e di Adelma Mapelli (fondatrice del “Museo dell’Acquerello” a Montà d’Alba) che ci porta all’interno di una solida “Vigna”, pronta sotto un cielo “che mi sa che piove” alla prossima vendemmia. Di grande suggestione anche il richiamo pavesiano (“Ma per me la collina …” da “La casa in collina” del ’49) di Anna Maria Palumbo, dove i bianchi i rossi e i verdi del paesaggio fanno da ampio sipario all’architettura appena accennata di quei paesaggi collinari così cari al Cesare poeta e scrittore di Santo Stefano Belbo. Ricordi. Struggenti come quelli della giovinetta, uncinetti alla mano, che con nostalgia guarda lo spesso grigiore fuori dalla finestra, “Ricordando l’estate”, recente olio su tela di Daniela Cavaliere, allieva di Giancarlo Gasparin. Eccellente allieva, che del Maestro porta i tratti e lo spirito, così come Lidia Delloste i cui acquerelli (molto interessante “Meriggio” su carta Arches) delicatamente richiamano le cifre stilistiche di Sandro Lobalzo. E l’iter prosegue nell’articolarsi dei paesaggi un tantino inquietanti di Natàlia Alemanno, di Dario Cornero e di Paolo Pirrone, nei grovigli di boschi sapientemente “guidati” dalla mano e dal cuore di Graziella Alessiato, così come nell’accesa narrativa espressionistica di Andreina Bertolini, di Marco Bottaro e di Giancarlo Costantino, affiancata alla minuta descrizione grafica di Bortolo Bortolaso, agli enigmatici ritratti di Fiorella Bortolaso e Valentina Garlotto, accompagnate alle sinuose memorie di vago sapore futurista di Anna Branciari. Tendono invece ad un’informale astrazione delle forme gli acrilici di Maria Brosio, le xilografie di Ezio Curletto e gli appena accennati acquerelli di Cristina De Maria come le tecniche miste di Giancarlo Laurenti, le “Betulle” di Bruno Molinaro e i “cieli” di Luisella Rolle, cui fanno da controcanto il certosino realismo di Lucia Busacca e la sottile visione divisionista di Vincenzo Del Duca. Realtà fiabesche, gli acrilici di Alessandro Fioraso e i quadri di “memoria” di Simonetta Secci. Curiosi, infine, nella necessaria selezione delle tantissime opere, i corposi “mercati” di Giacomo Samperi. Due gli scultori: Giancarlo Laurenti con i suoi “Animali fantastici” in legno alluvionale e le più classiche sculture (calchi originali della fusione in bronzo) del cuneese Maurizio Rinaudo.

Gianni Milani

“L’Autunno. Gli Autunni”

Palazzo Lomellini – Galleria Civica d’Arte Contemporanea, piazza Sant’Agostino 17, Carmagnola (Torino), tel. 011/9724220 o www.palazzolomellini.com

Fino al 17 dicembre

Orari: giov. – sab. 15,30/18,30; dom. 10,30/12,30 e 15,30/18,30

Nelle foto:

–       Giorgio Cestari: “Passeggiata”, pastello su cartoncino, 2022

–       Adelma Mapelli: “Vigna d’autunno”, acquerello, 2004

–       Daniela Cavaliere: “Ricordando l’estate”, olio su tela, 2023

–       Lidia Delloste: “Meriggio”, acquerello su carta Arches, 2008

“Periferie in movimento”: la pace, un’utopia?

«Periferie in movimento»: la storia del mondo racconta che è dalle periferie umane che, da sempre, si levano fermenti e ribellioni generate dall’istinto vitale di sottrarsi alla fame, alla povertà, alla guerra, alla libertà negata.

E’ intitolato così – «Periferie in movimento»il recital di teatro canzone con cui Silvana Mossano e Sergio Salvi debuttano domenica 26 novembre alle 16, a Casale Monferrato, nella chiesa di San Domenico, nell’ambito del ciclo di incontri di «Cantiere Speranza».

E’ un’alternanza di canzoni celebri e monologhi inediti per riflettere sull’utopia della giustizia e della pace per la quale si è battuto, per tutta la vita, don Tonino Bello, già guida del movimento Pax Christi, nel trentesimo anno dalla sua prematura morte e a due anni esatti da quando, il 25 novembre 2021, Papa Francesco lo ha proclamato Venerabile.

“Ma don Tonino è stato soltanto una delle molteplici figure di donne e uomini perbene, di diverse epoche e di diverse ideologie, – dicono Mossano e Salvi – cui ci siamo ispirati per raccontare storie, aspirazioni e speranze dell’umanità, soprattutto quella più vulnerabile.

Ci siamo lasciati pervadere da molte persone perbene che hanno scelto di stare dalla parte giusta. Perché stare dalla parte giusta è la cosa giusta da fare.”

Lo spettacolo dura un’ora. 

Riflessioni conclusive di don Desiré Azogou, vicario generale della Diocesi di Casale.

Arrangiamenti musicali, sintetizzatori e canto: Sergio Salvi. Testi dei monologhi, voce narrante e canto: Silvana Mossano. Al mixer: Paolo Rossi. Ingresso gratuito.

Artiste di Corte. Una visita narrata

Domenica 26 novembre

“Dalle tenebre alla luce” del Triton Consort

 

 

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre, la Palazzina di Caccia di Stupinigi dedica alle donne il pomeriggio di domenica 26 novembre. Alle ore 15.30 è in programma una visita narrata dedicata alle artiste di corte tra Seicento, Settecento e Ottocento. Alle 16.45 il concerto “Dalle Tenebre alla Luce” nel Salone d’Onore del Triton Consort. In programma una ricostruzione storico-musicale che coinvolge attivamente il pubblico, con brani dalla Terza Lezione delle Tenebre di François de Couperin e alcuni Responsori della Settimana Santa di Francesco Durante, che saranno eseguiti spegnendo una luce ad ogni brano così da terminare il concerto al buio. L’idea è quella di proporre una ricostruzione musicale in miniatura di un’ora di una tradizione ormai perduta che durava diverse ore e diversi giorni, viaggiando sulle note di due compositori contemporanei di paesi diversi ma legati dall’attrazione per lo stesso repertorio.

L’Ufficio delle Tenebre è un ufficio liturgico della Chiesta Cattolica che si recita nei tre giorni che precedono la Pasqua ed è caratterizzato dallo spegnimento di candele poste su una “saettia”, ovvero uno speciale candelabro di forma triangolare, e da un “terremoto” o “strepitus”, un momento alla fine dell’ufficio in cui nella totale oscurità si battono le panche con i libri o con le mani.

Le “Lezioni delle Tenebre” e i “Responsori della Settimana Santa” sono composizioni musicali scritte per essere eseguite nei tre giorni prima di Pasqua utilizzando il testo delle “Lamentazioni di Geremia” dell’Antico Testamento, nelle quali il profeta deplora la distruzione di Gerusalemme da parte dei Babilonesi, e pagine del Vangelo.

 

BIO

Il Triton Consort nasce nel 2019 a Milano per esplorare gioielli più o meno famosi della musica strumentale e vocale rinascimentale, barocca e tardobarocca. Questa musica permette una grande libertà espressiva, creativa e di interpretazione che il Consort sfrutta per ottenere colori ed effetti sempre nuovi.

Il nome “Triton” è un omaggio non solo alla creatura del mare, bensì al “tritono”, un intervallo musicale che crea una forte e colorita dissonanza e che nel medioevo era addirittura considerato un “accordo proibito”. Ma proprio come tutto ciò che è proibito, l’orecchio tende a cadere proprio lì.

 

FORMAZIONE

Donatella Colletti, Guja Mabellini, soprani e percussioni

Francesco Spiga, flauti

Simone Zangani, flauti, oboe

Caterina Soresina Stoppani, viola da gamba

Maurizio Pancotti, liuto, torba, chitarra barocca

Niki Meloni, clavicembalo

 

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Domenica 26 novembre, ore 15.30

Visita narrata Artiste di Corte

Costo visita narrata: 5 euro + costo del biglietto

Domenica 26 novembre, ore 16.45

Concerto Triton Consort

Il concerto è gratuito, compreso del biglietto di ingresso

Non si effettuano prenotazioni, fino ad esaurimento posti

Biglietti: intero 12 euro; ridotto 8 euro per ragazzi 6-17 anni e over 65.

Gratuito: minori di 6 anni e possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Royal Card, accompagnatori disabili

Giorni e orario di apertura della Palazzina: da martedì a venerdì 10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18)

Info e prenotazioni

Biglietteria: 011 6200634 stupinigi@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

La famiglia Addams di scena al Teatro Superga Nichelino

Sabato 25 novembre, ore 21 

Ispirandosi alla nota serie televisiva degli anni ’60, la Compagnia della Corona riporta a teatro “La famiglia Addams” in una nuova produzione musicale. Le vicende paradossali e dense di black humour di una sgangherata famiglia d’altri tempi nascono dal fumetto creato da Charles Addams negli anni ’30.

La giovane Mercoledì è innamorata di Lucas, un ragazzo “normale” appartenente ad una “normale” famiglia americana; i due vogliono sposarsi. Confidarlo a sua madre può risultare un problema e la complicità tra la ragazza e suo padre li condurrà a mantenere lo scomodo segreto, pur sapendo che è molto pericoloso nascondere un segreto alla padrona di casa. Un invito a cena in casa Addams e il tradizionale “gioco” porteranno le famiglie dei due giovani innamorati a conoscersi meglio, a confessare segreti inconfessabili in una convulsa serata piena di equivoci e scomode verità che cambierà le vite di tutti.

 

La famiglia Addams

Regia di Salvatore Sito

Con Barbara Corradini e Andrea Rodi

Libretto Marshall Brickman e Rick Elice

Musiche e testi Andrew Lippa

Basata sui personaggi creati da Charles Addams

Direzione corale Rosa Sito

Coreografie Silvia Raschi

Costumi Silvia Lumes

Scenografie Davide Amadei

Una coproduzione Compagnia della Corona e Teatro Fanin

Biglietti: 17 euro galleria, 23 euro platea

 

La stagione 2023-2024 del Teatro Superga è promossa dalla Città di Nichelino e Sistema Cultura, con il sostegno di Fondazione CRT e Regione Piemonte, firmata dalla direzione artistica di Alessio Boasi, Fabio Boasi e Claudia Spoto, in collaborazione con Piemonte dal Vivo. Produzione esecutiva Fondazione Reverse. Creative mind: Noir Studio.

Info

Teatro Superga, via Superga 44, Nichelino (TO)

011 6279789

www.teatrosuperga.it biglietteria@teatrosuperga.it

IG + FB: teatrosuperga

Orari biglietteria: mar, gio, ven e sab 16-19; mer 10-13 e 14-19

I biglietti si possono acquistare presso la biglietteria del Teatro Superga, sul luogo dell’evento nei giorni di spettacolo dalle ore 18

Vera Quaranta. “Votivo”, “ceramiche mariane”

La “Fondazione Giorgio Amendola” ospita le dodici “ceramiche mariane” realizzate, con singolare bizzarra maestria, dall’artista torinese

Fino al 3 dicembre

In catalogo troviamo, fra le altre, una mirabile citazione dalla “poetessa dei Navigli”, Alda Merini. Citazione dedicata alla Mamma celeste: “Quando il cielo baciò la terra nacque Maria che vuol dire la semplice, la buona, la colma di Grazia. Maria è il respiro dell’anima, è l’ultimo soffio dell’uomo”. Parole semplici, che arrivano per strade a noi sconosciute a toccarti il cuore e che ben si prestano a “raccontare” la suggestiva mostra “Votivo” (o “statue devozionali”) dedicata, fino al 3 dicembre prossimo, dalla “Fondazione Giorgio Amendola” di via Tollegno alle dodici “Madonne” realizzate nell’arco di un anno dalla torinese (allieva di Italo Cremona) pittrice-scultrice-ceramista, Vera Quaranta. Estrose nella geniale minuzia dei particolari. Leggere, filiformi ma fiere e potenti nell’esibizione esteriore della “voce” e dei corpi, affidati nella loro matericità alla “consacrazione del fuoco”, cui si deve quel “bianco prevalente” e perfetto che va “oltre le naturali cromie”. Dodici in tutto. Come i mesi “o meglio – suggerisce Pino Mantovani, curatore della rassegna – come le lunazioni”. Sono ceramiche che per la dovizia degli “accessori”, ognuno con una propria identità e funzione, sono state ispirate all’artista torinese  dall’interesse in lei suscitato da una bella e ricca monografia sulle antiche “Madonne lucane” pubblicata dalla stessa “Fondazione” di via Tollegno nel novembre del 2006. Terre di grande devozione  religiosa, legate in particolare al culto delle Vergine Maria, i piccoli borghi lucani sono ancora oggi – con la presenza di innumerevoli Santuari “mariani”, di tradizioni di profonda fede legata ai pellegrinaggi, così come alle tante processioni che vedono portare in trono la Madre del Cristo Risorto – testimonianze concrete di una religiosità popolare che si perde nella notte dei tempi. E che mai ha dimenticato Prospero Cerabona, presidente della “Fondazione” (che è anche “Associazione lucana in Piemonte”), mentre mi racconta delle “ceramiche” esposte, con l’affettuosa sensibilità di un uomo che ha galoppato lungo gli anni senza mai perdere la passione e l’amore per la sua potentina Sant’Arcangelo, nelle valli dell’Agri. Ecco: le “Madonne” di Vera Quaranta di lì traggono ispirazione. Tema centrale, ricorda in catalogo Pino Mantovani, “la donna, verticale e potente come una colonna, unitaria e plasticamente caratterizzata in ogni sua parte, che si completa con una testa di classica bellezza, ‘mobile’ nel senso di autonoma dal resto del corpo … monumentale pur nelle ridotte dimensioni, piena di grazia severa, espressa, oltre che nel portamento, nel dialogo con il figlio portato sul ventre, al fianco, perfino in spalla, come naturale proliferazione dal tronco di una gemma, di un ramo, di una foglia, di un fiore, di un frutto”. Maternità nell’assoluta pienezza del termine. Che non esclude la pochezza dell’umano, pur nella marcata attrazione (elementi distintivi) di certi simboli ornamentali, tanto cari all’artista. Sue le parole: “Mi ha sempre affascinato l’uso criptico dei simboli nella civiltà arcaica”. Da osservare, allora, con attenta curiosità: la “Madonna con Bambino n. 8”, con l’inserimento fotografico di un particolare della “Natività” del Ghirlandaio e applicazioni di incisioni del marito pittore Giuseppe Grosso. Non meno interessante, per restare in tema, la “Madonna delle Grazie” liberamente ispirata alla “Madonna” lignea del “Convento di San Francesco d’Assisi” di Pietrapertosa in Basilicata , arricchita con bigiotteria di stampo Liberty, accanto alla “Madonna con Bambino” con decorazioni in oro zecchino, il cui richiamo va alla “Madonna” del “Chiostro del Monastero” di Poblet in Catalunya. E ancora: orecchini di antica fattura e forma, parti meccaniche di un vecchio orologio e ali fatte d’argento. Ricerca, creatività, bizzarrie gustose e inaspettate, ma ben ferme sul corpo di una matrice artistica di profonda e attrattiva solidità.

Da segnalare, nella seconda Sala del Centro, la Collettiva “Sguardi ravvicinati”, con una selezione di opere appartenenti alla stessa “Fondazione” a firma di artisti di forte spessore storico e artistico, quali, per citarne alcuni, Giacomo SoffiantinoEugenio BrogginiGiuseppe GrossoFrancesco Casorati e Nino Aimone. Di quest’ultimo è in parete uno stupendo “Giorno e notte”, olio su tela del ’95, dove l’acceso cromatismo e la geometrica semplificazione delle forme fanno ricordare e approvare– parole del maestro Felice Casorati – come Aimone sia stato “ il più anarchico e ortodosso dei suoi figli d’arte”.

 

 

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Gianni Milani

Vera Quaranta. “Votivo”

“Fondazione Giorgio Amendola”, via Tollegno 52, Torino; tel. 011/2482970 o www.fondazioneamendola.it

Fino al 3 dicembre

Orari: dal lun. al ven. 9,30/12,30 e 15,30/19,30

Nelle foto: immagini da “Votivo” di Vera Quaranta; di Nino Aimone “Giorno e notte”, olio su tela, 1995

Il concerto del Regio contro la violenza di genere

Concerto di sabato 25 novembre dedicato alla Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza alle donne

 

 

Il teatro Regio, le sue lavoratrici e i suoi lavoratori, il Maestro Nathalie Stutzmann hanno deciso di dedicare il Concerto  in programma sabato 25 novembre alla giornata internazionale per l’eliminazione della violenza alle donne.

‘La terribile vicenda di Giulia Cecchettin ha scosso il Paese ricordandoci – spiega il sindaco di Torino Stefano Lo Russo – nel modo più drammatico possibile, l’importanza di contrastare qualsiasi forma di violenza di genere non soltanto il 25 novembre, ma tutti i giorni. È  davvero importante  che a promuovere questo messaggio sia anche un’istituzione culturale di primo piano come il teatro Regio, che lo farà attraverso la voce delle sue lavoratrici e dei suoi lavoratori, che ci tengo a ringraziare”.

“Ringrazio le lavoratrici e I lavoratori del Teatro Regio – aggiunge il Sovrintendente del teatro Regio Mathieu Jouvin – per aver proposto alla direzione del Teatro questa iniziativa,  dimostrando una grande sensibilità nei confronti di un tema che ci tocca tutti nel profondo e che è  drammaticamente attuale. Ho immediatamente condiviso l’idea perché sono profondamente convinto che un luogo di cultura come il nostro teatro debba anche essere sede di impegno civile e di riflessione. Voglio inoltre ringraziare il direttore d’orchestra Nathalie Stutzmann per aver accolto la proposta di dedicare  il Concerto a una giornata che di deve far ricordare i valori più importanti di una società,  tra i quali non  è contemplata la violenza”.

MARA MARTELLOTTA

Un mare di noia ma bisognerà “continuare a vivere”

Al Carignano sino a domenica 26 novembre

L’altra sera, quando al Carignano assistevo alla prima dello “Zio Vanja” cechoviano che Leonardo Lidi ha messo in scena l’estate scorsa per lo Stabile dell’Umbria, in coproduzione con quello torinese e con il Festival di Spoleto, il primo pensiero che mi veniva alla mente era l’edizione di Mario Missiroli sul finire degli anni Settanta. Eravamo nel novembre 1977, esattamente quarantasei anni e sembrano millenni. Mi veniva alla mente di primissimo approccio la scena di Giancarlo Bignardi, lo spaccato di una grande casa, persa nella campagna russa, il desiderio di curiosarci dentro tra vetrate e tendaggi, tra tavoli e samovar, tra salotti e poltroncine e librerie, tra tavoli da lavoro dove nello struggimento del finale Sofia s’immergeva nei conti con Vanja, spingendolo a lavorare e a vivere, a reinventarsi “una lunga, lunga serie di giorni, di interminabili sere”. Ogni oggetto, una sequenza di oggetti, al proprio posto, fotografato e animato, riportato in vita. Millenni. Oggi, ogni cosa, ogni oggetto, ogni angolo delle ventisei stanze della casa, sono stati cancellati come se fosse passato nei decenni uno tsunami a travolgere tutto, i personaggi che potrebbero non avere nome e che già non hanno più tempo, un loro tempo, sono fissati, schiacciati, annientati, immaterialmente fermati contro una parete, biancogrigiastra, di cui ci si sente in obbligo di darci le esatte misure, cinque metri d’altezza per sei di base, il corpus di un gradino/pedana, lungo tre e mezzo, incollato contro, su cui Astrov Vanja Serebrjakov Elena e tutti gli altri ridono e si tormentano, s’addormentano e si amano, si fuggono e si cercano, si dichiarano e vengono respinti, si lamentano dei propri dolori non soltanto fisici, sparano pistolettate che fanno “pum” e portano mazzi di fiori vistosamente di plastica. Ogni cosa in un mare di noia, che non sconquassa più.

Tutto è un fallimento, tutto è una sconfitta, non c’è il più debole sorriso che possa salvaguardare qualche avvenire, tutto è sopravvivenza, il tentativo di sopravvivere, anzi. Si crede che una ubriacatura aggiusti le cose: invece bisognerà con concretezza riempire dei vuoti, un vuoto enorme, e costruire dei domani. L’arrivo del vecchio professore (quello pietosamente con i pantaloni scesi a mezzacoscia e ridicolmente pronto a guardare quel che gli resti dentro le mutande) e della sua giovane moglie (sigaretta sempre accesa, pettinatura biondiccia fuori misura, come se fosse un cespuglio per gli uccelli, falsamente sicura e pronta alla risata per seppellire un dolore e la più bisognosa d’amore) portano lo sconquasso ma forse tutto è già definitivamente distrutto, già cadono vistosamente i pezzi di quella casa dentro cui “guardiamo” soltanto con le parole. Parole che hanno un sapore e una sonorità vuoti – eppure quanto si parla in “Zio Vanja” -, come la vecchia acciaccosa Marina parla a inesistenti oche e pulcini, così ognuno si parla addosso, a se stesso, come in una privatissima confessione, pur parlando a chi gli sta di fronte in quel momento e non lo sente. Anche Astrov, che più di tutti cerca di camuffare il vuoto che gli sta intorno, con la spavalderia, anche con la goffaggine, con le sue tante sbrodolature, con quei suoi atteggiamenti da viveur da strapazzo, con l’accesa corte a Elena, con un appuntamento campato in aria nel bosco demaniale, con un bacio più o meno richiesto, più o meno rubato, anche lui all’inizio si confessa alla vecchia che da sempre vive tra quelle mura: e la risposta è “vuoi mangiare qualcosa?”. Sarà mai stata a sentirlo? E sarà poi sicuro che la lunga chiacchierata ecologica entri con sincerità in qualche cuore e soprattutto in qualche mente, ad ognuno di quanti gli sono davanti e distruggono i boschi come distruggono i sentimenti?

La noia, il succedersi dei giorni, il grigiore, il mestiere di vivere rosicchia tutti, tutti a raccontare a se stessi le loro fini. Astrov alle prese con i suoi contadini ignoranti, Elena che ne ha abbastanza di quel marito che le sta accanto, Sonia che combatte con la sua bruttezza, Vanja arcistufo delle sue ricotte e alla ricerca di un pezzo d’affetto, pronto a gigionare quanto basta, a fare il clown, a cercare di sorridere, Serebrjakov che si dà ancora un cinque anni di vita “e poi vedrete che mi sarò tolto dai piedi”. Tutti sognano un riscatto, tutti sognano e basta: e non succede nulla. Solo una partenza, chi arriva se ne va di nuovo. E chi rimane s’illude che tutto torni come prima. Qualcuno ha un briciolo di consapevolezza: uno dei pezzi più belli della commedia e uno dei brani di maggior resa da parte di Lidi, Astrov che abbraccia forte Vanja, quasi a stritolarlo, ma come in un abbraccio di protezione, per dirgli che noi due siamo eguali, siamo due perdenti dentro una vita che non ci ha dato nulla.

Un fiume in piena “Zio Vanja” e quel fiume in piena Lidi lo guida e lo regge a mano ferma, con grande maturità, con una sicurezza che in altre occasioni aveva avuto più l’aspetto dello sfacciato esperimento, dell’”épater le bourgeois” a tutti i costi (leggi “Bernarda Alba). Fedelissimo alle parole del testo, gioca tuttavia intelligentemente a sconvolgercelo davanti agli occhi, in una atmosfera mai provata, a schiacciare il pedale dell’acceleratore, a farci conoscere personaggi del tutto “nuovi”, come fino a qui mai li avevamo visti, a riempirli di sentimenti e mancanze assai più moderni di quanto non facesse Cechov al termine dell’Ottocento sul palcoscenico del Teatro d’Arte di Mosca (ci ha catapultati nel bel mezzo degli anni Sessanta del secolo scorso). Un successone che non può non coinvolgere tutti gli attori della compagnia, grandiosi negli assolo e nel gioco di squadra, ognuno pronto a confermare il percorso registico, a irrobustire quanto possa nascere da ogni personaggio, una parola, un silenzio, un gesto, un sorriso, un pianto. Tutti da citare, anche se le personali convinzioni vanno a Mario Pirrello (Astrov) e Massimiliano Speziani (Vanja), accanto a loro Giuliana Vigogna, Ilaria Falini, Francesca Mazza, Maurizio Cardillo, con Giordano Agrusta, Angela Malfitano e Tino Rossi. Meritatissime ovazioni finali.

Elio Rabbione

Le immagini sono di Gianluca Pantaleo

Una notte al Museo del Risorgimento. Appuntamento speciale di Club Silencio

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Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Sabato 25 novembre 2023

 

 

Una notte al Museo torna nel cuore storico di Torino

per un momento di condivisione e riflessione, con uno sguardo rivolto all’attualità

che passa attraverso l’arte e gli occhi delle donne

 

Una notte al Museo del Risorgimento – credit Federico Masini Studio

Sabato 25 novembre torna Una notte al Museo, il format ideato e realizzato dall’associazione Club Silencio con l’intento di valorizzare e promuovere il patrimonio storico-culturale dei musei e degli edifici storici d’Italia. L’appuntamento è al Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, nel cuore della città.

 

Una serata importante che si inserisce tra le iniziative dedicate della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne in programma per il 25 novembre con l’obiettivo di scoprire il museo e riflettere collettivamente su un tema importante della nostra contemporaneità attraverso installazioni e opere d’arte, performance e giochi interattivi per accendere lo sguardo e nuove consapevolezze.

 

La serata si svolgerà dalle 19 a mezzanotte all’interno delle sale di Palazzo Carignano, dove i visitatori verranno guidati alla scoperta delle storie e delle curiosità legate al ruolo delle donne nel Risorgimento. Inoltre, sarà possibile visitare la mostra NONOSTANTE IL LUNGO TEMPO TRASCORSO. Le stragi nazifasciste nella guerra di liberazione 1943-1945, un viaggio lungo le tappe del duro percorso di costruzione della Repubblica Italiana compiuto da decine di migliaia di civili e militari italiani che, attraverso il proprio sacrificio, hanno consentito di gettare le basi per la costituzione del nostro attuale Stato repubblicano e democratico.

 

Ad arricchire la proposta culturale, l’installazione fotografica de Le Scapigliate Prendi spazio: un’opera che si propone di portare i corpi delle donne al centro della loro storia. Non ci sono altre voci narranti se non quelle dei corpi immortalati negli scatti che si fanno sempre più immensi e potenti, fino ad occupare lo spazio che a loro spetta.

 

Spazio alla Virtual Reality con la performance immersiva dell’illustratrice e fumettista torinese Santa Matita; mentre l’artista Viola Gesmundo condurrà un laboratorio in cui accompagnerà i partecipanti nell’identificazione e nel disassemblaggio degli stereotipi di genere che spesso emergono nella comunicazione pubblicitaria che ci circonda quotidianamente.

 

Ad accompagnare l’evento, la selezione musicale a cura di The Taste che risuonerà tra le storiche sale del Museo.

 

Per partecipare alle serate di Una notte al Museo è necessario accreditarsi sul sito di Club Silencio al link

https://clubsilencio.it/next-event/

Allo stesso link è possibile inoltrare l’invito a un amic*

 

CHE COS’È CLUB SILENCIO

Club Silencio porta avanti tre direzioni progettuali: l’una relativa al rendere accessibile il patrimonio artistico-culturale locale ai giovani under 35, l’altra impegnata nel favorire l’empowerment giovanile locale, l’ultima volta a diffondere e sensibilizzare sullo sviluppo sostenibile. Tra i suoi progetti più noti certamente c’è Una notte al Museo, che dal 2017 ad oggi ha toccato oltre 40 musei tra Piemonte, Liguria e Lombardia, oltre a Earth Day, tenutosi nel 2023 per la prima volta a Torino con oltre 25.000 partecipanti nei Giardini Reali per celebrare la Giornata Mondiale della Terra.

Da ottobre 2022 Club Silencio è certificata ISO 20121 per la “Gestione eventi sostenibili”.

 

www.clubsilencio.it

Fred Buscaglione, la vita veloce a ritmo di swing 

Il 23 novembre del 1921, cento e due anni fa, nasceva a Torino da una famiglia originaria di Graglia, nel biellese, Ferdinando Buscaglione, in arte Fred, il cantante più innovativo degli anni cinquanta.

La sua formazione musicale viaggiò su di un doppio binario: da una parte lo studio al Conservatorio Verdi (tra gli 11 e i 14 anni), dall’altro l’apprendistato nelle orchestrine jazz che si esibivano nei locali notturni delle città, suonando il contrabbasso. Iniziò la carriera come cantante grazie all’amico e avvocato Leo Chiosso, a cui si deve anche la scelta di Fred Buscaglione di interpretare un personaggio unico e singolare. Così, in un’epoca in cui la musica leggera italiana era ancora legata a motivi dei decenni precedenti o a rime un po’ melense, un poco banali, proponendo argomenti triti e ritriti, Buscaglione irruppe sulla scena con canzoni completamente diverse, come “Che bambola!”, “Teresa non sparare”, “Eri piccola così” (“T’ho veduta, t’ho seguita, t’ho fermata, t’ho baciata. Eri piccola, piccola, piccola… così!”). Fred, cantautore, musicista e attore, si presentò anche come un personaggio completamente diverso: niente aria ispirata e sofferente, nessun romanticismo zuccheroso o d’effetto. Si affermò come una caricatura da film, con la sigaretta all’angolo della bocca, i baffetti da gangster e le pose da duro viste nei polizieschi americani. Il successo non tardò ad arrivare e il suo primo 78 giri “Che bambola”, nel 1955, consentì al cantante torinese di fare un botto da quasi un milione di copie. Buscaglione entrò rapidamente nella schiera degli artisti più richiesti: il suo personaggio si impose come modello al punto da essere imitato su larga scala. I suoi comportamenti diventarono una sorta di status symbol, come — ad esempio — il suo viaggiare su una Ford Thunderbild color rosa quando in Italia circolavano soprattutto le Topolino e le Seicento. E fu proprio a bordo di quell’auto che, nel momento in cui il suo successo era salito alle stelle, il cantante “dal whisky facile” si schiantò contro un camion in una strada di Roma. Fred Buscaglione, popolare cantante di musica leggera è morto stamani a Roma, in un pauroso incidente stradale alle sei e venti, all’incrocio di via Rossini con via Paisiello”. Così giunse la notizia, in apertura del giornale radio, la mattina del 3 febbraio 1960. Poche ore prima, tra le lamiere della sua Thunderbird, comprata sette mesi prima per l’astronomica cifra di sei milioni di lire, si concludeva la rapida parabola del grande Fred.

Non aveva compiuto nemmeno 39 anni e il successo, quello vero, lo aveva raggiunto da non molto, essendosi fatto conoscere dal grande pubblico solo nel ’57, con l’apparizione in ” Musica alla ribalta”. La trasmissione Rai era una formidabile vetrina nella quale artisti del calibro di Renato Carosone, Henry Salvador e Gilbert Becaud si alternavano a cantanti meno noti. Dopo anni e anni di gavetta, finalmente, la celebrità. Le sue canzoni sono rimaste memorabili, fischiettate e canticchiate un po’ da tutti, iniziando da “Guarda che luna” (“Guarda che luna, guarda che mare,da questa notte senza te dovrò restare; folle d’amore vorrei morire mentre la luna di lassù mi sta a guardare..”) e da “Che notte” (“Che notte, che notte quella notte!Se ci penso mi sento le ossa rotte: beh, m’aspetta quella bionda che fa il pieno al Roxy Bar,l’amichetta tutta curve del capoccia Billy Carr” ). Di successo in successo , da “Cocco bello” all’autocelebrativa “A qualcuno piace Fred”, passando per “Porfirio Villarosa” (“Esta é la cancion de Porfirio Villarosa, che faceva el manoval alla Viscosa…Porfirio dalla bocca fascinosa, lo credevano spagnolo o portoghese, egli invece è torinese..”), Fred Buscagliene, dopo tanta gavetta, visse in fretta i suoi anni ruggenti. Lui stesso, in un intervista del ’59, su “Stampa Sera” raccontava, con una punta d’amarezza: “Sono diventato famoso troppo tardi.. Da vent’anni suono nei night club e nelle sale da ballo”. Così, in un Paese in bianco e nero che stava faticosamente uscendo dal dramma della guerra, con alti tassi di disoccupazione e analfabetismo, Buscaglione aveva scalato il successo con il suo spirito ribelle, irriverente e anticonformista. Come tanti altri personaggi dalla breve vita la sua leggenda non era destinata a spegnersi con lui. Sessantuno anni dopo, la stella di “Fred” Buscaglione brilla ancora, luminosa. Nessuno saprà mai dove se ne sia andato quel 3 febbraio del 1960 ma forse si è ritagliato un posto in qualche luogo che assomiglia al suo “cielo dei bar“.

Marco Travaglini

 

“Guarda che storia! Racconti per lo schermo”. Al Circolo dei Lettori

 

Saranno presentati i sette romanzi selezionati per diventare possibili trasposizioni cinematografiche o televisive

Sabato 25 novembre, ore 11,30

Dopo la buona partenza del 2021 ed il grande successo ottenuto nel 2022, ritorna “Guarda che storia! Racconti per lo schermo”, il progetto organizzato da “Film Commission Torino Piemonte” e “Salone Internazionale del Libro di Torino” per individuare romanzi adatti a diventare lungometraggi o serie tv e permettere alle case editrici di presentare il proprio libro a registi, sceneggiatori, produttori e decision makers del settore. Terza edizione, dunque, che ancora una volta si presenta con tutte le carte in regola, forte degli ottimi riscontri ancora una volta acquisiti,con 131 titoli proposti, giunti da 85 case editrici attraverso la “call for application” conclusasi il 30 settembre scorso e rivolta a romanzi e “graphic novel” pubblicati tra il 2021 e il 2023. Cifre che ancora una volta confermano il pieno raggiungimento della mission di base, quella di facilitare il dialogo tra il mondo editoriale e quello della produzione cinematografica e audiovisiva.


Tra libri di fiction e formazione, fantasy e distopie, gialli, commedie e romanzi per ragazzi, sono sette i titoli selezionati che più hanno suscitato l’interesse per una trasposizione per il piccolo o il grande schermo. Eccoli, in ordine alfabetico, per editore: Il grande manca” di Pierdomenico Baccalario, Il Castoro Editrice (Milano); Vento da Est” di Stefania Bertola, Einaudi (Torino); Per sempre altrove” di Barbara Cagni, Fazi Editore (Roma); Quando le stelle vengono meno” di Antonella Frontani, Garzanti (Milano); Rosso diretto” di Orazio Di Mauro, Neos Edizioni (Torino); Borders” di Giuliana Facchini, Sinnos Edizioni (Roma) eGabbie” di Anna Vivarelli e Guido Quarzo, Uovonero Edizioni (Cremona).

I sette romanzi saranno presentati a una platea di addetti ai lavori, ma anche al pubblico, ad ingresso libero (con prenotazione a segreteria@salonelibro.it)  in una “pitching session” organizzata nell’ambito di “TFI Torino Film Industry – Production Days”, in programma sabato 25 novembre, ore 11,30, al“Circolo dei lettori” (Via Bogino 9, Torino).

A introdurre la presentazione delle sette opere saranno Paolo Manera (direttore di “Film Commission Torino Piemonte”) e Marco Pautasso (segretario generale del “Salone Internazionale del Libro di Torino”).

Il comitato di selezione chiamato ad individuare i progetti finalisti è composto da: Gino Ventriglia, sceneggiatore e story editorGraziella Bildesheim, produttrice, e Marco Pautasso, segretario generale del “Salone del Libro di Torino”.  Spiegano gli organizzatori: “In base a quanto richiesto nel bando, sono state privilegiate le storie ambientate in Piemonte, oppure collocate in altre regioni o nazioni o in luoghi non definiti, ma potenzialmente in grado di prevedere la realizzazione cinematografica e audiovisiva in Piemonte. Sono stati valutati positivamente i racconti dal fascino visivo preponderante, con una narrazione adatta a essere proposta per immagini, con un ritmo narrativo efficace e personaggi fortemente caratterizzati e particolarmente adatti ad una messa in scena cinematografica”. Tutti i titoli partecipanti entrano comunque a far parte del “Book Database”, nuova sezione visitabile sul sito di “Film Commission Torino Piemonte”, volta a presentare i progetti finalisti di ogni edizione unitamente a tutti i romanzi che hanno inviato la propria candidatura. Un vero e proprio archivio di storie, idee e personaggi da trasformare in lungometraggi o serie TV consultabile da chiunque, a disposizione del pubblico e degli addetti ai lavori, vetrina per editori e autori, aperta sul mondo della produzione cinematografica e televisiva.

“ ‘Guarda Che Storia!’ – sottolinea Paolo Manera, direttore di ‘Film Commission Torino Piemonte’ – continua a crescere e a rafforzarsi, grazie al numero sempre maggiore di candidature che di anno in anno aderiscono al progetto e grazie alla sinergia tra ‘Film Commission’ e ‘Salone Internazionale del Libro’ che si potenzia e si evolve, per assecondare e incentivare sempre di più le esigenze di un mercato costantemente alla ricerca di storie originali e rappresentative. L’adesione degli editori da un lato e la risposta dei produttori dall’altro sono segnali concreti e incoraggianti che ci stimolano e ci spingono a proseguire nel progetto, arricchendolo con nuove proposte e opportunità, come la recente ideazione del ‘Book Database’ e la presenza dei progetti finalisti al ‘Book to Screen’”.

g. m.

 

Nelle foto:

–       Paolo Manera, direttore “Film Commission Torino Piemonte”

–       Marco Pautasso, segretario generale del “Salone del Libro di Torino”