CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 179

Sugli schermi del Torino Film Festival. Una parabola per raccontarsi la violenza che ci circonda

Umori amari, confessioni dolorose e tragedie del passato ancora non rimarginate, tradimenti, infelicità e solitudini quotidiane, una giustizia che non esiste o che tarda ad arrivare, invidie e luoghi sognati come rifugio estremo, fughe, si trova di tutto al TFF per farti temere (forse inorridire) di questa epoca e di questo mondo in cui viviamo, se c’è un sorriso è sghembo, improvviso e immediatamente da trangugiare. Si respira anche qui l’aria malsana che ormai siamo abituati a respirare, tutto all’insegna del non si salva nessuno, tutto costruito per cullare l’angoscia. Sembra un complotto ben orchestrato o qualcosa del genere. Alla sezione “Crazies”, lo specchio migliore di una simile constatazione dell’odierno vivere sembra essere “Vincent doit mourir”, angosciosa opera seconda del francese Stéphan Castang, che un paio d’anni fa aveva esordito nel cinema horror e che qui mantiene le proprie promesse con i suoi “mostri” più o meno viventi. Un tranquillo luogo di lavoro, colleghi tranquilli uno accanto all’altro a considerare idee differenti, il disegnatore Vincent all’improvviso colpito da un giovane stagista a schiaffoni con il peso non indifferente di un portatile. Il giorno dopo, il gesto di un altro collega, egualmente banale e violento, che lo pugnala al braccio con una biro. Quasi un incubo per il poveretto che decide di rifugiarsi in campagna, nella casa abitata dal padre, mentre ognuno, in un clima di ossessione cruenta e generale, soltanto incrociando lo sguardo di un proprio simile, si fa un probabile assassino. Razionalità in ombra, certo, piuttosto un male oscuro, un contagio, una pandemia, non può essere che questo; un clochard che sembra uscito da un film del vecchio George Romero, una bambina poco affidabile, un paio di ragazzini da cui difendersi, un vicino o un automobilista pronto a colpirti, gli ingorghi di macchine, le fughe e gli inseguimenti, un clima di distruzione che coinvolge tutti. Soltanto il ringhio del tuo cane ti può mettere in salvo. La collettività del male, una parabola che ha nulla di religioso, lo sguardo impietoso di Castang sulla nostra epoca, senza lentezze anzi con un ritmo inarrestabile, sulla vita di ognuno allo sfacelo, paranoia allo stato purissimo, la paura di vedere sullo schermo quello che ormai siamo abituati ad assaggiare amaramente nelle strade, nelle case, nelle famiglie ogni santo giorno. Un’attualità autentica e bruciante, impietosa, corale, senza vie d’uscita, anche se certi eccessi ancora possono spingere alla secca risata. Una storia – e un film – perfetta nella sua prima parte, che poi magari tende a ripetersi e a mollare un po’ gli ormeggi: ma che rimane tra i migliori appuntamenti del festival. Il tutto visto attraverso gli occhi e il faccione mansueto dell’eccellente Karim Leklou, una certa goffaggine anche in amore, cercato con la camiere di un locale in cerca di futuro e di libertà, un uomo dabbene che tenta di arginare con tutte le sue forze questo mondo ormai inarginabile.

Dall’Argentina (in concorso) arriva “Arturo a los 30”, diretto e interpretato da Martìn Shanly, velleitario piuttosto che concreto, folle e disordinato, che vuole tanto essere carino con il pubblico (guardate che galleria di ritratti e ritrattini è riuscito a sfornare) ma che finisce col girare tremendamente a vuoto. Vicino alla maturità, certo, ma pronto a dare in pasto ad un diario personale, attraverso disegni semplici e fanciulleschi, il suo mondo che va avanti giorno dopo giorno in grande confusione, buono per metterci dentro tutto e niente, un incidente d’auto in cui viene coinvolto, i rapporti con la madre, il matrimonio di un amico, le chiacchierate disordinate delle amiche, una mancata pomiciata con il suo ex, un approccio un po’ più d’appresso con un sorridente cameriere acciuffato al ricco buffet del matrimonio, un brindisi in più e un po’ d’erba, i conti con se stesso e con tutti gli altri. Intenzioni buone se non fosse per la scarsità della resa, per una certa ristrettezza d’invenzioni, insomma uscite dalla sala e non vi è rimasto nemmeno un fotogramma.

Di ben diverso spessore, ancora in concorso, in tutta la crudeltà del suo esporsi mano a mano, è “Kalak” firmato dalla regista Isabella Eklöf, nazionalità Svezia/Danimarca. Crudeltà morale e fisica, fin dalla scena iniziale, scopertamente crudele nel chiuso della casa di famiglia, un abuso che negli anni, per anni, interiorizzazione di un dolore, si cementerà nell’animo di Jan (Emil Johnsen, convincente e intimamente convinto interprete) giovane infermiere di Copenhagen, una moglie e due figli biondi, trasferitosi nel cuore della Groenlandia per lavoro e forse proprio per dare un diverso panorama ai propri incubi, alla ricerca di pace interiore. Un lavoro che è completa dedizione e continua gentilezza in un paese e presso una popolazione al cui interno Jan cerca di integrarsi: lui, anche al bar con gli altri, anche con una pacca sulle spalle, sarà sempre uno”sporco groenlandese” o forse riuscirà a trovare quello (o quella) che alla fine lo apostroferà “vero groenlandese”. Ma i fantasmi sono lì, tra i ghiacci e le case rosse, tra la carne di foca tagliata e venduta e le serate fredde, negli incontri con altre solitudini, mentre cerca una affettività e nuovi rapporti che in casa hanno ormai qualcosa di spento e fuggitivo. Che cosa ha lasciato in lui quel traumatico inizio? Le ricerche e gli incontri, i momenti solitari, il sesso sprecato, i visi femminili nuovi fanno qualcosa sulla strada della guarigione? Un medico gli offre la strada per ovviare a quello stato di debolezza e di confusione, che può ben presto tramutarsi in depressione profonda, pericolosa a sé e a chi gli sta accanto: dalle cassette dell’ospedale si possono sottrarre psicofarmaci, l’unione dell’uno e dell’altro possono dare risultati anche maggiori. Si possono fare vittime, anche una ragazza che chiede aiuto, un po’ d’affetto, ma che al rifiuto preferirà sparire tra le fiamme della propria casa. Si nega un aiuto, si resta chiusi in se stessi, quel passato è inevitabilmente troppo cruento. Il cammino scelto dalla Eklöf è forse eccessivamente lungo (una qualche sforbiciata non avrebbe fatto male al film: ma dalla sua completezza non si esce indifferenti) nell’addentrarsi nelle giornate contorte di Jan, anche se lo scavo di quell’esistenza è affondato in quanto di più doloroso e umanamente forte si possa desiderare. Dall’altra parte del mare, il padre di Jan combatte contro il cancro, perché a differenza di un tempo non ha più voglia di andarsene, scrivendo al figlio lettere che il figlio tarda ad aprire e leggere: Jan tornerà a casa, ma soltanto per fare i conti, tragici e definitivi, con il proprio passato.

Elio Rabbione

Nelle immagini: scene tratte da “Vincent doit mourir” diretto da Stéphan Castang, “Arturo a los 30” di Martìn Shanly e “Kalak” firmato dalla regista Isabella Eklöf.

Castagnoli, compositore e uomo di cultura

RITRATTI TORINESI

Castagnoli, profondo conoscitore di musica nato a Roma da una famiglia di scienziati è docente di composizione al conservatorio G. Verdi di Torino. Nel capoluogo piemontese ha tenuto corsi al DAMS, diretto la rivista Quaderni della Musica Nuova, studiato lettere antiche e archeologia all’università, laureato in storia della musica e diplomato in composizione con Gilberto Bosco, Carlo Pinelli, Ruggero Maghini e in pianoforte con Maria Golia. Si è perfezionato con Brian Ferneyhough alla Hochschule di Friburgo e con Franco Donatoni alla Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, dove aveva insegnato presso la Scuola Nazionale di Cinema. Il padre Carlo era originario di Gonzaga, terra di origine della celebre famiglia signori di Mantova dove per molti anni fu vicepresidente dell’Accademia Virgiliana. Studiò alla normale di Pisa e fu docente alle università di Roma, Parma e Torino. Scoprì l’esistenza dell’antiprotone esposto alla radiazione cosmica, fu pioniere della fisica astro particellare organizzando e contribuendo alla realizzazione dei laboratori sotto al Monte Bianco, Gran Sasso e sul Cervino. A Torino fu direttore dell’Istituto di Cosmo Geofisica e fu commemorato all’Accademia delle Scienze come socio onorario. Diresse per 40 anni il Giornale di Fisica e la città di Mantova gli dedicò un monumento nei giardini locali. A Roma conobbe la moglie Giuliana Cini, torinese di nascita che contribuì allo studio del flusso dei raggi cosmici sulla terra e alla comprensione fisica del rapporto terra-sole.
Il loro figlio Giulio Castagnoli vinse i concorsi internazionali di composizione ad Amsterdam, il premio Bucchi a Roma e il Gran Prix Italia con la Radio Opera prodotta per Rai-Radio Tre su libretto del pittore Ugo Nespolo. Collabora con i compositori Sergio Liberovici e Giacinto Scelsi, a cui dedica un saggio pubblicato in Germania. Aperto a diversi contesti artistici, collabora con i poeti Carlo Cignetti e Mary de Rachewiltz (figlia di Ezra Pound), con lo scrittore Dario Voltolini e il regista e attore teatrale Glauco Mauri. Incontrò John Cage, compositore e teorico musicale americano, una delle personalità più significative nell’evoluzione della musica contemporanea del ‘900. Conobbe Luciano Berio, altro suo saggio mentore che diresse a Bologna i madrigali di Castagnoli e insieme pubblicarono un’opera per Casa Ricordi. Berio gli commissionò il concerto per violoncello e doppia orchestra per la stagione dell’Accademia di Santa Cecilia. Nella primavera del 1972, Berio diresse la trasmissione “C’è musica e musica” sul canale Rai Nazionale, proponendo una alternativa musicale analizzando le composizioni dai Beatles a Beethoven.
Castagnoli ha all’attivo oltre 150 composizioni e riceve commissioni per le principali istituzioni ed enti in Europa (Rai, Biennale di Venezia, Teatro Regio di Torino, Radio France, Deutschland Radio, Radio Genève) e in Asia, Usa, Australia, Argentina, Cuba e Giappone. In Norvegia ha partecipato alla composizione di un’opera simultanea connessa ad internet tra Copenaghen, S. Francisco e New York. È invitato a conferenze internazionali e fu selezionato per le Giornate Mondiali della musica ISCM di Hong Kong ed è stato compositore ospite del Senato di Berlino e di Daad per gli anni 1998-99. Pubblica saggi sulla politica musicale, libri e inserti musicali in particolare sui lieder di Schumann. È pronipote del compositore e pianista fiorentino Edgardo Del Valle de Paz della comunità di Livorno e cura la rassegna musicale organizzata dalla Comunità della Sinagoga di Casale Monferrato dedicata ad autori di tradizione ebraica o legati all’ebraismo, come Mario Castelnuovo-Tedesco, allievo di Edgardo Del Valle e amico di Andrés Segovia. Inoltre ha composto la Missa Sancti Evasii per coro, orchestra e strumenti barocchi commissionata dal vescovo Zaccheo, eseguita nel duomo di Casale con una fusione musicale visionaria tra Oriente e Occidente.
Utilizza gli strumenti musicali per le loro proprietà fisiche, senza dimenticare che i genitori erano filosofi della materia. La sua struttura compositiva complessa, coraggiosa, unica e arbitraria utilizza tecniche innovative come la musica elettronica e non permette alterazioni come adottate in passato da Max Brod sulle opere di Kafka e Janácek, vittime indifese del provincialismo ceko, proteggendo così la propria esecuzione integrale come solo  Stravinskij e Beckett hanno saputo fare. In età giovanile, Castagnoli fu componente di un gruppo musicale in qualità di sassofonista e al maestro non è sfuggita l’armonia e la melodia del jazz adottate dallo stesso Stravinskij e da Gershwin con versioni personali non solo dei songs negri ma anche con fraseggi di Bach, Mozart e Chopin, come pure Duke Ellington trascriveva musiche di Grieg e Tchaikovskj. Castagnoli ha il piacere di inventare con sottili riflessioni e sorprendere con estatica fantasia, trasformando con chiarezza ogni nota in grande arte raffinata ed espressiva come un irreale messaggio cifrato.
È direttore artistico del Casale Coro, il nostro gruppo vocale classico che si è esibito con il Musikkollegium di Berna, Filarmonica della Romania ad Alba Music Festival Italy&Usa, Orchestra e Coro della Cappella Sistina da papa Francesco a Roma, Festival estivo di Cap Ferrat in Costa Azzurra e in numerose chiese e basiliche torinesi. Risiede tra Torino e Casale, dove abita con il figlio Carlo e la moglie Erika Patrucco (violoncellista) figlia di musicisti (il padre Mario violista e critico musicale e la madre Luciana pianista). Dotato di un geniale senso compositivo, ha incentrato la sua poetica su concetti, stili e immagini di mondi sonori di diverse civiltà musicali, proseguendo le evoluzioni secolari del grande fiume della musica ed evitando la forma poco meditata degli ultimi decenni.
Armano Luigi Gozzano
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“Sensing Painting”. Al Castello di Rivoli le opere di cinquanta giovani artisti

Acquisite attraverso “ColtivArte” dalla “Fondazione CRC”

Fino al 28 gennaio 2024

Rivoli (Torino)

“Sensing Painting”, come dire “Pittura sensoriale”, da osservare con occhi e anima, da toccare e sentire nelle sue componenti materiali e spirituali, gesto colore segno, in un contesto narrativo lontano da enigmatiche ed evanescenti cifre stilistiche in cui è spesso gioco forza tentare univoci pressapochismi, quasi sempre defaticanti se non inutili ed inefficaci sul piano della reale comprensibilità. Nasce e cammina per questa strada la mostra “Sensing Painting. Opere dalla Collezione d’arte della ‘Fondazione CRC’” ospitata, fino al 28 gennaio 2024 al “Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea”, in cui si presentano 50 opere appartenenti alla Collezione della “Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo”, raccolte dal 2017 ad oggi attraverso “ColtivArte”, progetto promosso dalla stessa “Fondazione” e coordinato da una Commissione Scientifica di alto profilo composta dal Direttore del “Castello di Rivoli” Carolyn Christov-Bakargiev, dal Direttore dell’“Art Institute” presso la “Academy of Art and Design FHNW” di Basilea Chus Martínez e dal Direttore del “Consorzio delle Residenze Reali Sabaude” Guido Curto.

Sotto la curatela di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria, la rassegna valorizza appieno le linee guida in base alle quali è stata concepita e costruita la “Collezione”: tra queste in particolare la forte presenza di opere d’arte di giovani artisti del territorio piemontese e italiano, l’attenzione al panorama contemporaneo internazionale e la preminenza di opere pittoriche“Il progetto espositivo – dicono le curatrici – evidenzia come la pittura mantenga un ruolo fondamentale quale linguaggio espressivo, soprattutto nel contesto dell’attuale era digitale. Rispetto alla smaterializzazione che caratterizza un’ampia parte della quotidianità, la mostra invita il pubblico a un incontro attivo e diretto con le opere d’arte, dall’insostituibile valore esperienziale, fisico e sensoriale”. In linea, inoltre, con la grande attenzione che “Fondazione CRC” e “Castello di Rivoli” dedicano alle giovani generazioni e al tema dell’educazione, la mostra offre un ricco programma di laboratori gratuiti dedicati alle scuole. Per le scuole primarie e secondarie di primo grado, le attività saranno curate dal cuneese “Rondò dei Talenti” e dall’Associazione Culturale “Scatola Gialla”, con la supervisione del “Dipartimento Educazione” del Castello di Rivoli. Per le scuole secondarie di secondo grado, è previsto un ricco programma inedito di “visite” e “workshop” correlati alla mostra e alla “Collezione” del Castello di Rivoli, a cura del “Dipartimento Educazione” del Museo, per ripensare alla storia della pittura in chiave contemporanea.
Inoltre, per promuovere la visita alla mostra, la “Fondazione CRC” mette a disposizione biglietti gratuiti d’ingresso per ogni residente in provincia di Cuneo e per un accompagnatore.

Afferma Carolyn Christov-Bagakargiev: Attraverso il progetto ‘ColtivArte’, questa nuova collezione piemontese è capace di testimoniare le ricerche principalmente in pittura più avanzate dei giovani, sia a livello locale sia internazionale. La pittura che potrebbe sembrare un mezzo obsoleto nell’era digitale, si riafferma come mezzo sensibile di verifica del proprio essere vivente, come nel titolo, ‘Sensing Painting’, che Marcella Beccaria, co-curatrice della mostra ha voluto attribuire a questo importante progetto”.

Gianni Milani

“Sensing Painting”

“Castello di Rivoli- Museo d’Arte Contemporanea”, piazza Mafalda di Savoia, Rivoli (Torino); tel. 011/9565222 o www.castellodirivoli.org

Fino al 28 gennaio 2024

Orari: da merc. a ven. 10/17; sab. e dom. 11/18

Nelle foto:

–       Nora Berman: “Ruffles” (Increspature), inchiostro olio e pastello su mussola, 2016; Ph. Gina Folly

–       Carolyn Christov-Bakargiev

–       Giangiacomo Rossetti: “Soggetto danzante”,olio su tavola, 2016; Ph. Ravaioli Fotografi

L’artigiano della musica

Si chiama MICHELE POLIERI il cantautore che tra un mattone e un colpo di cazzuola crea le sue canzoni. A volte sono cose surreali, con testi ironici e scherzosi. Altre profonde, che toccano i pensieri più profondi. Nascono così “Ciccillo”, “La cozza pelosa” e altri brani capaci di coinvolgere e mettere allegria a chi li ascolta, specie in serate live. Poi c’è l’altro Michele Polieri, quello che dopo avere ascoltato “Ciccillo” ti stupisce con testi come “Non c’è più tempo” dedicato all’ambiente o “Ragazza dei sogni”, tra l’altro musicate in simbiosi con uno degli autori più importanti nel panorama italiano: Andrea Amati. Michele Polieri al Palafiori di Sanremo, nel periodo del Festival della Canzone Italiana 2024 presenterà il suo nuovo singolo. E sarà un successo

“Chiama solo il mio nome Sarò lì in un attimo”

Music Tales, la rubrica musicale 

“Ascolta, piccola

Non c’è montagna alta

Non c’è valle bassa

Non c’è un fiume abbastanza largo tesoro

Se hai bisogno di me, chiamami

Non importa dove tu sia

Non importa quanto lontano (Non preoccuparti tesoro)

Chiama solo il mio nome

Sarò lì in un attimo Non ti devi preoccupare”

Ain’t No Mountain High Enough è un brano musicale scritto da Nickolas Ashford e Valerie Simpson nel 1966 per l’etichetta Tamla Motown.

La canzone è stata portata al successo come singolo nel 1967, interpretata da Marvin Gaye e Tammi Terrell. La versione dei due artisti è inclusa nell’album United.

Nel 1970 è stata reinterpretata e pubblicata come singolo, ancora con successo, dalla cantante Diana Ross. La sua cover è presente nel suo primo album in studio omonimo.

È stato inserito nella colonna sonora dei film “Sister Act 2 – Più svitata che mai” nei titoli di coda, in “Nemiche amiche” come tema principale e ne “i Guardiani della Galassia” nella scena finale.

 Il brano cantato da Diana Ross è presente anche nella colonna sonora di Chicken Little – Amici per le penne.

Siamo in casa Soul, e non ho mulla da aggiungere se non che la buona musica, quella incantevole, su qualsiasi bocca, in qualsiasi cuore, risuonerà sempre con grande ridondanza, morendo mai.

La speranza è che la musica, quella vera, torni a farla da padrona.

“Forse la musica è davvero la cosa più vicina all’amore”

Vi invito all’ascolto ed attendo le vostre impressioni sul brano:

Buon ascolto

Ain’t No Mountain High Enough – feat. Vula & Brendan Reilly & Soul Family – YouTube

CHIARA DE CARLO

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

I concerti dell’Orchestra Sinfonica della RAI diretta da James Conlon

L’Incompiuta di Schubert e brani dal Crepuscolo degli Dei di Wagner giovedì 30 novembre e venerdì primo dicembre

 

Torna sul podio dell’Orchestra Sinfonica della RAI James Conlon, il grande direttore d’orchestra americano, che è stato direttore principale a Torino dell’Orchestra Sinfonica della RAI per quattro anni, dal 2016 al 2020. Recentemente è stato insignito della Croce d’Onore per la Scienza e l’arte della Repubblica d’Austria, assegnata “a chi si è distinto e ha ottenuti encomi attraverso la creatività e servizi lodevoli nell’ambito della scienza e delle arti”. Il suo concerto con la compagine RAI si terrà giovedì 30 novembre alle 20.30 e venerdì 1 dicembre alle 20.

Il concerto si aprirà con il capolavoro di un sommo compositore austriaco: è in programma, infatti, la Sinfonia n. 8 in Si Minore D 759 di Franz Schubert. Scritta nel 1822, destinata a non essere completata e della quale, per decenni, se ne ignorò l’esistenza. I primi due movimenti della Sinfonia in Si Minore “incompiuta” sono completi in tutti i particolari, mentre del terzo rimane solo l’abbozzo. Si chiedeva Schubert “Chi potrà fare qualcosa di più dopo Beethoven?”; indubbiamente la Sinfonia in Si Minore rappresenta un tentativo assolutamente riuscito, nonostante la sua incompiutezza, di dare una risposta a tale domanda. Mentre in Beethoven ogni elemento concorre a costruire una possente architettura e soltanto in quella assume il suo pieno valore, Schubert esalta il valore autonomo del potere ammaliante della melodia, degli espressivi coloriti nell’armonia e del fascino suggestivo del timbro. Anche la dinamica è completamente diversa rispetto alla Sinfonie di Beethoven. I grandi e possenti, ma sempre calibrati crescendo di Beethoven, culminano in esplosioni di forza sonora proporzionata, mentre in Schubert i passaggi dal piano al forte non fanno parte di un progetto architettonico, ma vengono raggiunti con un rapido scatto umorale.

Scritta nel 1822, fu eseguita la prima volta soltanto nel 1865, allorché il direttore Johann Von Herbeck la riscoprì nella biblioteca di uno degli amici fidati di Schubert. Questa pagina è una delle più squisite espressioni romantiche di tutto il repertorio.

Completano il programma alcuni brani sinfonici tratti dal Crepuscolo degli Dei, ultima opera della tetralogia di Richard Wagner. Intitolata in origine Siegfrieds Tod (Morte di Siegfriedo), il Crepuscolo degli Dei costituisce l’embrione che, fin dal 1848, aveva dato vita alla stesura poetica dell’intera saga nibelungica. La composizione musicale risulta successiva di pochi mesi rispetto alla stesura del Lohengrin e fu compresa tra il 1869 e 1874. Andata in scena nel 1876 sotto la direzione di Hans Richter, in occasione della prima rappresentazione dell’intero Anello dei Nibelunghi al Festival di Bayreuth, l’opera evoca attraverso la morte dell’eroe Siegfried la distruzione del mondo e la caduta degli Dei nelle tenebre del nulla. Qui gli splendori del Wagner sinfonista sono condensati nella scelta delle celebri pagine proposte all’ascolto: dall’Aurora fra le due metà del Prologo al poderoso Interludio che conduce all’atto primo, noto come il ‘Viaggio di Siegfried sul Reno’, in cui l’eroe si allontana dalla natura per recarsi nella diabolica società degli uomini, dopo essersi congedato dalla amata valchiria Brunnhilde, fino alla drammatica morte di Siegfried e alla marcia funebre fra la seconda e la terza scena dell’atto terzo; siamo di fronte a un quadro di trionfale bellezza che celebra la vita pura e ingenua del caduto, decretando non solo la fine dell’eroe, ma il crollo di tutto un mondo.

 

I biglietti per il concerto , da 9 a 30 euro, sono in vendita online sul sito dell’OSN RAI e presso la biglietteria dell’Auditorium RAI di Torino.

Info: 0118104653

 

Mara Martellotta

La band piemontese “Omini” a Sanremo Giovani

“Omini”, i fratelli Julian e Zak Loggia, il primo al basso e alla voce, il secondo alla chitarra e ai cori, insieme a Mattia Fratucelli alla batteria sono una band tutta piemontese. Rivelazione lo scorso anno del programma televisivo “X Factor” insieme ai Santi Francesi, piemontesi pure loro, e tutti di provenienza canavesana. Ora, in occasione di “Sanremo Giovani” le due band si ritroveranno a concorrere alla stessa manifestazione per ottenere la possibilità di partecipare alla 74esima edizione del Festival della Canzone italiana che si svolgerà nel 2024 dal 6 al 10 febbraio. Gli “Omini” da domenica difatti, insieme a Dipinto, Fellow e Nausica, hanno ottenuto il via libera, da Amadeus e dalla Commissione musicale Rai  di “Area Sanremo”, per accedere alla serata del 19 dicembre, in onda in prima serata su Rai1 e in streaming su Raiplay, in diretta dal Teatro del Casinò di Sanremo. Nel corso della quale verranno proclamati i 4 artisti che affiancheranno i Big del cast sanremese 2024 ancora tutti da scoprire: per conoscere i loro nomi bisognerà attendere l’annuncio del direttore artistico Amadeus, al Tg1 delle 13.30, domenica 3 dicembre. “Omini” sono una band giovanissima: i tre ragazzi, nati e cresciuti nella provincia torinese, hanno iniziato a suonare nel 2015 come The Minis aprendo i concerti di artisti del calibro di Caparezza, Subsonica, Africa Unite e Baustelle. Nel 2020 decidono di cambiare il sound e di avvicinarsi a sonorità che spaziano dalla controcultura anni ’60 al rock britannico. I fratelli Julian e Zack Loggia sono i figli di Alex Loggia, chitarrista della famosissima band torinese degli Statuto che nel 1992 ha partecipato al Festival di Sanremo, nella categoria Nuove proposte con il brano “Abbiamo vinto il Festival di Sanremo”. Anche il batterista Mattia Fratucelli è figlio d’arte, del batterista Alberto Fratucelli, molto noto al pubblico del Canavese. Ma perché si chiamano così? Si tratta di un semplice omaggio al loro primo singolo con questa nuova impronta più rock pubblicato nel 2021 appunto con il titolo “Omini”. “Siamo superfelici e onorati di essere tra i finalisti di Sanremo Giovani – scrivono gli Omini sui loro canali social – non stiamo più nella pelle e non vediamo l’ora di farvi sentire “Mare Forza 9oi”.Ci vediamo il 19 dicembre su Rai1!”.

Igino Macagno

La 7ma edizione del premio Virna Lisi al 41° Torino Film Festival

 

Greta Scarano riceverà il Premio Virna Lisi, a Romana Maggiora Vergano il Premio Giovane Rivelazione

 

 

Torino, mercoledì 29 novembre

Incontro stampa: ore 12.30 Media Center (via Verdi 9)

Premiazione: ore 17.30, Cinema Romano

 

Nell’ambito della 41ma edizione del Torino Film Festival, la Fondazione Virna Lisi assegnerà mercoledì 29 novembre il Premio Virna Lisi, istituito 7 anni da dalla famiglia dell’attrice e assegnato ogni anno a una protagonista del cinema italiano.

 

A ricevere il prestigioso premio sarà Greta Scarano, che nell’ultimo anno è stata tra i protagonisti dell’ultimo film di Ferzan Ozpetk, Nuovo Olimpo, oltre che di Circeo, serie tv in onda su Rai 1 che racconta il massacro del 1975.

 

Il Premio Giovane Rivelazione sarà invece assegnato a Romana Maggiora Vergano per la sua interpretazione in C’è ancora domani di Paola Cortellesi.

 

Greta Scarano e Romana Maggiora Vergano incontreranno la stampa domani alle ore 12.30 nel corso di una conferenza

 

presso il Media Center alla presenza di Corrado Pesci (pres Fondazione Virna Lisi), Veronica Pesci (vicepres Fondazione Virna Lisi), Romana Maggiora Vergano (att), Mauro Tarantino (pres Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi), Bruno Di Marino (docente di Teoria e metodo dei Mass Media presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e curatore del volume “Virna Lisi. Diva e Antidiva”), Stefano Iachetti (dir Cineteca Nazionale – CSC), Steve Della Casa (direttore TFF)

 

Il Premio Virna Lisi a Greta Scarano e Romana Maggiora Vergano sarà assegnato mercoledì 29 novembre alle ore 17.30 presso il Cinema Romano con un talk condotto dal direttore artistico del TFF Steve Della Casa e da Laura Delli Colli (presidente SNGCI).

Nelle immagini, Greta Scarano (a dx nella foto tratta da “Circeo”, in onda su Rai 1; e Romana Maggiora Vergano a dx nella foto, tratta da “C’è ancora domani”, interpretato e diretto da Paola Cortellesi, attualmente sugli schermi con enorme successo di pubblico e di critica.

 

 

“L’altra metà: la donna nell’arte”. A “Casa Francotto” di Busca

Omaggio a settanta artiste “pioniere”, operanti dal Seicento ai giorni nostri

Fino al 28 gennaio 2024

Busca (Cuneo)

Invisibili o sottovalutate o non poco ostacolate. E’ quanto, per secoli, anche nel mondo dell’arte è capitato alle donne, considerate nell’immaginario comune tutt’al più come “muse ispiratrici” o “protagoniste” di opere immortali. Di rado come possibili artefici, loro stesse, di pagine d’arte degne di attenzione o, comunque, di rispettosa considerazione. Come sempre e in ogni caso, il prezzo da pagare per essere nate “donne”. Così anche se, nel 77 d. C., Plinio il Vecchio nella sua enciclopedica “Naturalis Historia”, già parla di eccellenti artiste greche come Aristarete e soprattutto Iaia (II – I secolo a. C.), bisogna comunque giungere fino ai secoli XVI e XVII, all’arte rinascimentale, per avere un primo e limitato riconoscimento a figure femminili che, a fatica, riescono a irrompere e a farsi largo in un ambiente fino ad allora dominato da soli uomini.

La mostra “L’altra metà, la donna nell’arte”, curata da Cinzia Tesio e Rino Tacchella, ospitata negli spazi di “Casa Francotto” a Busca (Cuneo), fino al 28 gennaio 2024, ha proprio questo obiettivo: celebrare le artiste che a partire dal Seicento sono riuscite a inserirsi, per le loro innate attitudini e capacità, tra gli artisti più importanti del periodo.

Nelle sale espositive della “Casa” di piazza Regina Margherita, di origini settecentesche e lasciata in eredità alla sua città natale dal medico condotto Ernesto Francotto (Busca, 1893 – 1968),  si trovano esposte 120 opere, provenienti da Istituzioni Pubbliche, Gallerie e Collezioni Private,  a firma di 70 artiste, attive dal Seicento al Contemporaneo. L’iter espositivo è assolutamente coinvolgente, ricco e suggestivo. Con la necessaria selezione, da segnalare, in primo piano la caravaggesca, di realistica efferatezza e celebre nelle sue molteplici versioni, “Giuditta e Oloferne” (prima metà del XVII secolo), attribuita alla “Scuola” di Artemisia Gentileschi (Roma, 1593 – Napoli, 1656), fra le artiste più apprezzate e dalla vita non facile della sua epoca; segue un ritratto del “Beato Amedeo di Savoia” dipinto da Suor Orsola Maddalena Caccia, figlia del “Raffaello del Monferrato” Guglielmo Caccia, detto il  “Moncalvo”. Altra figlia d’arte, presente in mostra e fortemente influenzata dai tre Carracci, Lavinia Fontana (Bologna, 1552 – Roma, 1614), figlia del tardo-manierista Prospero Fontana, ricordata soprattutto per essere stata la prima donna a dipingere una “Pala d’Altare” e per aver dipinto il primo nudo femminile ad opera di una donna (“Minerva nell’atto di vestirsi”), su commissione del cardinale Scipione Borghese. La rassegna si avventura, poi, attraverso il racconto fornito anche da specifici pannelli storici nell’arte del Settecento e dell’Ottocento, per arrivare infine a quel Novecento che attesta la progressiva e faticosa conquista di una posizione pressoché “paritaria” fra artiste “donne” e colleghi “maschi”. Ecco allora i “ritratti” degli anni Trenta, in pieno stile “Art Decò” della pittrice polacca Tamara de Lempicka, le delicate e forti (ad un tempo) immagini femminili della ceca, naturalizzata italiana, Felicita Frai, allieva di Funi e De Chirico, per proseguire con le opere della pittrice e filantropa Sofia di Bricherasio, della torinese Evelina Alciati (allieva di Giacomo Grosso) e della veneziana Emma Ciardi, presente con il bozzetto di un’opera esposta alla “Biennale” di Venezia. In parete, ancora, fra le futuriste: Benedetta (Beny) Cappa Marinetti, moglie di Filippo Tommaso, ideologo del movimento, Annaviva ceramista albisolese e Alexandra Exter, affiancate dalla scultrice Regina che per prima coraggiosamente lavora con plexiglass colorati. Dopo una fase di multiforme ritorno al “figurativo” di ispirazione soprattutto “casoratiana” (si vedano in particolare Daphne Casorati, Paola Levi Montalcini, Lalla Romano,  fino all’espressionista Raphael Mafai) in prossimità degli anni Cinquanta molte sono le artiste che occhieggiano all’arte “astratta” (Giosetta Fioroni, fra le non poche in mostra) o alla ricerca “optical” e d’avanguardia. In rassegna anche esempi interessanti legati all’uso di “materiali inediti”: Maria Lai (che mescola scrittura e cucito) e Carol Rama (che usa gomme di bicicletta per composizioni astratte). Si chiude con le ceramiche della savonese “spazialista” Milena Milani e con le bizzarre rappresentanti della “body art” e le inquietanti “performer”. Fra tutte , la serba Marina Abramović, la “nonna della performance art”.

Gianni Milani

“L’altra metà: la donna nell’arte”

Casa Francotto, piazza Regina Margherita, Busca (Cuneo); tel. 371/5420603 o www.casafrancotto.it

Fino al 28 gennaio 2024

Orari: ven. e sab. 10/12 e 15,30/18,30: dom. 10/12 e 14,30/18,30. La mostra è visitabile anche su prenotazione

Nelle foto: Scuola di Artemisia Gentileschi: “Giuditta e Oloferne”, olio su tela, prima metà XVII secolo; Carol Rama: “Senza titolo”, olio e tempera su carta, 1951; Felicita Frai: “Le amiche”, olio su masonite, 1975

L’orchestra Svoboda all’Osteria Rabezzana

Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino

Mercoledì 29 novembre, ore 21.30

Svoboda

L’orchestra Svoboda è una formazione composta da voce, tromba, tastiere, chitarra acustica, basso elettrico, batteria, percussioni, sassofoni. Da oltre vent’anni la loro musica oltrepassa i generi ricreando la colonna sonora di un sorprendente viaggio geografico-emotivo attraverso il pianeta. Superando ogni confine e mescolando le culture, Svoboda accompagna in un mondo musicale dove armonia, melodie e ritmi rinascono a nuova vita grazie ad una voce senza limiti.

FORMAZIONE

Silvano Bargelli, tastiere

Stefania Cammarata, voce

Gianni Daniello, batteria

Roberto Freggiaro, basso

Doriano Goglio, tromba e flicorno

Massimo Iamone, chitarra

Paolo Ginanneschi, percussioni

Sergio Zaccardelli, sassofoni

Ora di inizio: 21.30

Ingresso:

15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)

Possibilità di cenare prima del concerto con il menù alla carta

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it