CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 177

La Venezia nascosta di Hugo Pratt

 

Raccontava Hugo Pratt in un’intervista rilasciata all’Europeo all’inizio degli anni ‘70: “A Venezia studiavo, andavo a scuola, dimostravo di essere abbastanza dotato per il disegno, ma il mio scopo principale era di attraversare l’intera città da un tetto all’altro. Vivevo praticamente sui tetti, e, sui tetti, sotto le tegole, tenevo le mie cose, i miei giornali, i miei libri”. Considerato uno dei simboli della venezianità in realtà Hugo Pratt era nato a Rimini nel 1927. Giramondo e irrequieto, a dieci anni fu letteralmente trascinato in Africa dal padre, ufficiale dell’esercito, e restò nel continente nero fino al 1945, per poi vivere in Argentina e sviluppare lì la sua arte grafica e poi, dagli anni ’70 in avanti, sempre più spesso a Parigi e in Svizzera, a Losanna, dove morì nel 1995. Ma a Venezia, che lui adorava e di cui ha saputo esprimere l’essenza come pochi altri, Pratt ha vissuto intensamente tutta l’infanzia e una volta tornandovi si stabilì a Malamocco. “Scarso, Scarso, è pronto lo sfogio per Corto Maltese!”. Con questa battuta contenuta nell’Angelo della finestra d’Oriente, una delle sue storie veneziane, omaggiava la trattoria “da Scarso” a Malamocco, nella parte più meridionale del Lido, sulla laguna. Gestita dall’omonima famiglia, assieme all’annessa locanda, fa parte anch’essa della storia di Venezia. Sui suoi tavoli, a gustare sarde in saòr e baccalà mantecati, fritole e polenta e schie, risi e bisi, fegato alla veneziana, radicchi e ovviamente gli sfogi, cioè le sogliole, oltre all’autore di Corto Maltese si sono alternati tanti personaggi illustri, da Mario Soldati a Federico Fellini

 

. Tra calli, campielli e fondamenta della Serenissima Pratt amava perdersi, girovagando e incontrando il gruppo di amici storici che lui chiamava “i bighelloni di Venezia”, ritrovando il suo dialetto, rimanendo sempre fino al midollo un venessian. Del resto non fece mai mistero di considerare Venezia “il centro del mondo”, prediligendone le parti nascoste, quelle più intime e al di fuori dei classici itinerari dei turisti, dove stanno le corti sconte, quelle piazzette al riparo dallo sguardo indiscreto dei foresti. Raccontava, parlando della sua infanzia: “Avevo quattro o Cinque anni, forse sei, quando mia nonna si faceva accompagnare da me al Ghetto Vecchio di Venezia. Andavamo a visitare una sua amica, la signora Bora Levi, che abitava in una casa vecchia. A questa casa si accedeva salendo un’antica scala di legno esterna chiamata scala matta oppure scala delle pantegane, o ancora scala turca…andavo alla finestra della cucina e guardavo giù in un campiello erboso con una vera da pozzo coperta di edera. Quel campiello ha un nome: Corte Sconta detta Arcana. Per entrarvi si dovevano aprire sette porte, ognuna delle quali aveva inciso il nome di un shed, ossia di un demonio. Ogni porta si apriva con una parola magica”. In Favola di Venezia, venticinquesima avventura di Corto Maltese, ambientata nella Serenissima tra il 10 e il 25 aprile 1921, ci narra una storia che si svolge prevalentemente di notte, in equilibrio tra sogno e realtà, tra oriente e occidente, tant’è che nel fumetto compare anche il titolo in arabo del racconto ( Sirat Al Bunduqiyyah ). Nel finale, una rivelazione: “Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in calle dell’amor degli amici; un secondo vicino al ponte delle Meravegie; un terzo in calle dei marrani a San Geremia in Ghetto. Quando i veneziani (e qualche volta anche i maltesi..) sono stanchi delle autorità costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie”. Nomi fantastici, luoghi magici, come maggior parte delle centinaia di ponti e calli nei rioni di Venezia dove, tra le ombre umide delle case strette sui rii silenziosi o sotto le logge dei grandi palazzi signorili, si svelano le trame di storie e racconti di epoche vicine o lontane. Come se tutto ciò non bastasse, Hugo Pratt si divertì un mondo a inventare nomi per i luoghi frequentati dal suo marinaio. Seguendo questa toponomastica fantastica si scopre che il ponte della Nostalgia è il ponte Widmann, nei pressi della Chiesa dei Miracoli, a Cannaregio o che il sotoportego dei Cattivi Pensieri in realtà corrisponde al Sotoportego dell’Anzolo che dà sulla Calle Magno, verso l’Arsenale, nel sestiere di Castello.

Il campiello de l’Arabo d’oro è in Corte Rotta a San Martino, nelle vicinanze di Campo Do Pozzi mentre la Corte del Maltese equivale a Corte Buello nei pressi di Corte Nova e  la Calle dei Marrani si trova in Salizada Santa Giustina, vicino a Campo San Francesco della Vigna, tutti nel sestiere di Castello. La famosa e già citata Corte Sconta detta Arcana è la Corte Botera  che deve il proprio nome ad una bottega di botteri, cioè di fabbricanti di botti, nei pressi della basilica dei Santi Giovanni e Paolo (detta San Zanipolo in dialetto veneziano) mentre nel citato racconto Pratt scelse l’abitazione di Tiziano come domicilio di Corto Maltese, nella corte che porta il nome del pittore, a Cannaregio. Negli ultimi suoi anni Hugo Pratt rammentava con un velo di tristezza il legame con la città sulla laguna, quasi parafrasando in maniera più o meno inconsapevole il testo della bella e triste canzone che Francesco Guccini ha dedicato alla città (“Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare, la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi Venezia, la vende ai turisti, che cercano in mezzo alla gente l’ Europa o l’ Oriente”). Quindi, per finire, è necessario ricorrere ancora alle parole del grande disegnatore: “Vado e vengo per il mondo, quasi senza meta. Ma a Venezia ci torno sempre. Cammino per le sue calli, attraverso i canali, mi fermo sui ponti e osservo che sulle rive non ci sono più i granchi che al pomeriggio se ne stavano pigramente a prendere il sole. Non ci sono più da tanti anni. Cerco i posti di quando ero bambino ma molte volte non li riconosco. La scala matta non c’è più e non più neppure la signora Bora Levi. Le finestre della sua casa sono murate, la fisionomia del luogo è cambiata. Quando chiedo non mi sanno rispondere. Gente giovane che non sa, oppure qualche vecchio che non vuole ricordare”.

Marco Travaglini

Tra speranze e illusioni l’insegnamento di Cesare Pavese a noi giovani degli anni ’70

27 agosto 1950 – 27 agosto 2023

E Cesare perduto nella pioggia sta aspettando il suo amore ballerina. Cesare Pavese era così fin da giovane. A 17 anni si era invaghito della cantante Milly che aveva altre mire come il futuro re Umberto, diventato famoso come il Re di Maggio.
Un Cesare Pavese sempre alla ricerca di un amore impossibile votato dunque alla sconfitta. Si era fatto il confino a causa della Donna dalla voce rauca alias Tina  Pizzardo iscritta al PCI clandestino. Anche Cesare Pavese si iscrisse al PCI dopo la liberazione.
E forse, non a caso le tessere del Pci le mise in bella mostra sul tavolino della stanza d’ albergo dove si suicidio’. Quel vizio assurdo che lo accompagnò tutta la vita.
Titolo della sua biografia scritta da Davide Lajolo.  I due si conoscono alla redazione dell’Unità di corso Valdocco. Chiuso il giornale camminano fino all’ alba per le colline di Torino. Cesare Pavese brutalmente, su se stesso disse : sono una vigna vecchia troppo concimata. Debolezza? Francamente non so.
Ma che grande scrittore fu. Cominciare dalla tesi di Laurea su Walt Whitman. Letteralmente sconosciuto nell’Italia fascista. Addirittura il Preside è Relatore si rifiutarono di partecipare alla commissione esaminatrice.
Professori fedeli al fascismo ma codardi verso le novità che arrivavamo da oltre oceano. La loro codardia non impedi’ la nascita di un gruppo di giovani intellettuali antifascisti torinesi da Leone Ginzburg a Massimo  Mila intorno alla casa Editrice Einaudi. Arrivarono il ligure Italo  Calvino e ed il siculo-lonbardo Elio Vittorini. Torino non solo classe operaia, capitale dell’antifascismo  tra tutti i ceti sociali.
Della casa Editrice Einaudi Cesare Pavese fu direttore editoriale. Qui uno dei suoi errori.
Rifiutò gli scritti di Beppe Fenoglio che dovette aspettare Italo Calvino per essere apprezzato. Del resto per Cesare Pavese la resistenza e la sua ignavia furono uno dei suoi punti dolenti. Rivoluzionario in letteratura e imboscato. Ne venne fuori un mirabile romanzo, la Casa in Collina.
” Io non credo che possa finire.  Ora che ho visto cos’è guerra civile, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: E dei caduti che facciamo? Io non saprei cosa rispondere. “Sono tra le ultime righe del romanzo. Emblematico.
O la sberla che rimedio’ da Mamma Pajetta perché aveva spronato il figlio Gaspare Pajetta nel diventare partigiano morendo a 17 anni, e poi lui non fece nulla per la resistenza. Sicuramente si portava dietro questi complessi di colpa. Il 26 agosto 1950 pose fine a questa sua esistenza travagliata tra dubbi e rapporti, soprattutto con le donne, di fatto, sbagliati. Per noi e per chi non lo conosce il compito di ricordarlo ed attraverso lui un’intera generazione di intellettuali che segnarono positivamente la cultura italiana a 360 gradi. Anche ricordarsi gli anni del liceo e delle scuole superiori. 1975 1976, tra speranze e forse illusioni. Avremmo capito dopo le velleitarietà, comunque orgogliosi di averci tentato. Ed in questo Cesare Pavese ci ha dato sicuramente una mano nel tentare.
PATRIZIO TOSETTO

Oropa Music festival: la classica che incontra il pop nelle dimore storiche del Biellese

La sfida è ardua. Stimolare la sensibilità e il coinvolgimento delle generazioni più giovani al potere della musica classica. L’intuizione è decisamente audace: dare un nuovo ruolo alla tradizionale orchestra sinfonica facendola diventare pop. Questa è l’ambiziosa risposta che arriva da Federico Gad Crema, giovane virtuosissimo concertista, che ha organizzato insieme al suo talentuoso fratello Giulio Emanuele, la prima edizione dell’Oropa Music Festival. Ecco che sul finire dell’estate tra il 28 agosto e il 3 settembre, si terrà nelle incantevoli cornici del Biellese, tra cui Villa Piacenza a Pollone (29 agosto), il Castello Montecavallo a Vigliano (31 agosto) e il Chiostro di San Sebastiano a Biella (1 settembre), il parterre di otto concerti che verrà proposta in collaborazione con il progetto umanitario Neojiba dal Brasile e la prestigiosa Orchestra Giovanile Italiana. Il Gran Concerto Finale del Festival (3 settembre) si terrà all’Arena Giovanni Paolo II di Sordevolo, che ha già ospitato questo luglio il Nabucco della Fondazione Teatro di Novara.

Eccellenza, questo è il fil rouge che il direttore artistico Federico Gad Crema ha voluto intrecciare tra gli straordinari artisti di talento provenienti da tutto il mondo (oltre quindici nazionalità diverse) che si esibiranno in questa kermesse musicale e culturale all’insegna dell’inclusione, dell’uguaglianza e della libertà: la musica unisce tutte le diversità attraverso un linguaggio emozionante che tutti possono comprendere. All’eccezionale caleidoscopio di musici si uniranno la violinista statunitense Aubree Oliverson, il giovane direttore d’orchestra italiano Giuseppe Mengoli, il direttore brasiliano Riccardo Castro e la celebre pianista argentina Martha Argerich.

Il Festival avrà come eccellenze protagoniste anche le dimore storiche private del Biellese dove si terranno i concerti, quindi le già citate Villa Piacenza e Castello di Montecavallo, ma anche le Cantine di Crono al Ricetto di Candelo, l’Anfiteatro Giovanni Paolo II di Sordevolo e il teatro Sociale Villani di Biella. Il Festival sarà anche occasione per apprezzare le performance enogastronomiche del territorio, con degustazioni di olio e vino durante le performance musicali del 29, 30 e 31 agosto. La delibazione avrà il pregio di ospitare il Marfuga, pluripremiato olio umbro, riconosciuto come uno dei migliori oli al mondo da l817, e i calici del Tenute Sella, del Cave du Roi e del Castello di Montecavallo.

« Conosco Federico da quando era bambino – commenta Claudio Corradino, sindaco di Biella – e mi emoziona pensare che, pur avendo raggiunto come concertista grandi traguardi che lo hanno portato lontano, abbia deciso di organizzare qualcosa di così prestigioso nella sua terra r’origine. Ciò mi riempie di gioia e gratitudine». Dettagli sul programma e acquisto dei biglietti sul sito www.oropamusicfestival.com

VALERIA ROMBOLA’

L’inesauribile vena poetica di Graziella Provera

L’inesauribile vena poetica di Graziella Provera rende

partecipi della sua anima sensibile e meditativa sullo

scorrere del tempo e della vita. Sempre affiorano delicati

accordi nostalgici dell’innocente fanciullezza, come in una

ricerca del tempo perduto. A contrappunto la consapevolezza

della fatica  del vivere dei nostri giorni, accolta senza accenti

drammatici e neppure con la sensazione di assenza della poesia

crepuscolare, poiché ci può salvare la consapevolezza delle

cnfinite risorse dell’Amore, che si rivela in ogni cosa, anche

la più piccola, offrendoci la contemplazione del creato

in tutta la sua bellezza, accolta con un senso di stupore

e incanto del mistero della vita.

Giuliana Romano Bussola

penna calligrafia

NEL CORTILE

Quand’eri bambino, sul principiare della notte

sortivi nel cortile a contemplar le stelle.

E al riguardar l’infinita distesa

di quel buio

e il tremolar di quelle luci lontane

nascevano  nel cuore l’incanto ed  il timore,

il mistero profondo dell’umana vita.

Brillavano le luci alle finestre,

e sommesse sentivi le voci

di chi lì viveva.

E lì restavi, nella frescura della sera,

ad ascoltare i fraterni rumori della notte,

finchè il richiamo del focolare e degli affetti

ti facevan ritornare dentro casa.

Allora lo sentivi che cielo, stelle

ed ogni essere che vive

è il palpitare di una sola unica Vita,

che dona sé stessa senza posa,

il cui principio e fine

è solo amore.

10 marzo 2022

 

***

 

UN GRILLO IN CITTA’

Lasciavo aperte le finestre

Per sentire il tuo frinire

nella notte estiva.

Mi figuravo  d’essere in campagna

in una casa circondata da siepi

di bosso e di ligustro.

Ora mi manca il tuo canto,

quella dolce

instancabile armonia

che mi cullava nella notte.

Anche tu,

nel tuo piccolo, umile essere,

hai dato gioia al mio cuore,

al mio sonno,

ai miei sogni.

28 giugno 2023

***

 

TI ASPETTO

Ti aspetto

Come si attende primavera

Quando, ancora buio, cantano i merli

Destandoti dal sonno,

e la magnolia carica di fiori

ti sorride dal giardino.

Più non sarò l’ombra fugace

Che porta il mio nome

Sarò soffio di vento, spirito nudo

Accordo celeste vibrante di gioia.

Sarà un cielo sommerso di luce

Che mi accoglierà

E note incantate, più belle

di qualunque terrestre armonia.

Entrerò nel verde giardino

Che vidi in un sogno

Dove la luce dolcissima

Non conosce tramonto

Sollievo e riposo

Per l’anima, dopo sì lungo viaggio.

24 agosto 2022

 

 

‘In-finita-Natura – Earth, our home” Personale di Karina Chechik

SABATO 30 SETTEMBRE 2023
@ OPEN ADA, Torre Pellice

Da sabato 30/9/2023 a domenica 22/10/2023

‘IN- FINITA NATURA – Earth, our home”.
Personale dell’artista argentina Karina Chechik (Buenos Aires, 1966)

 
Personale di fotografie, dipinti, installazioni
A cura di Massimo Ghirardini
Testo critico di Monica Nucera Mantelli

Open ADA, via Repubblica 6, Torre Pellice (TO)

Aperta nei fine settimana, sabato e domenica, ore 15 -18. Ingresso libero.

Opening: Sabato 30 settembre ore 16.

Ore 17 Talk su Natura, Estetica, Riuso, Botanica con Ippolito Ostellino,Anna Cantino, Paolo Varese. In collaborazione con La Natura torna ad Arte.

Ore 18.30 in onore dell’Artista:  Esibizione di Tango dei Maestri Alessandro Guerri e Anna Boglione.

Ore 20 presso il Cortile delle Arti del Caffe Arnaud, vicinissimo a Open ADA, Baires Tango Tribute in collaborazione con Etnotango LCMM.

La mostra è patrocinata dal Comune di Torre Pellice (To)

“IN-FINITA NATURA. EARTH, OUR HOME”

Presentazione critica di Monica Nucera Mantelli

Dalle opere di questa nuova mostra dell’argentina Karina Chechik emerge il bisogno dell’ essere umano di restare connesso alla rete degli esseri viventi che coabitano nel pianeta. Ed è proprio questo rapporto tra Natura e Arte, tra forme materiali e interpretative, tra tangibile e intangibile – anche queste da leggere come valori e non solo come “bisogni” – che si regola il termometro della nostra qualità di vita.

Per tali motivi Chechik ha scelto di indagare il tema della Natura attraverso l’Arte. Questa artista ha compreso come gli individui e le comunità rispondono favorevolmente al bisogno di dare forma alle proprie visioni del mondo, dell’esistente e delle proprie esperienze più connesse agli Elementi come acqua, aria, terra, fuoco.

Ispirandosi anche alla visione sistemica del fisico Fritijof Capra, (autore de IL TAO DELLA FISICA, LE RETI DELLA VITA, etc.),  Karina Chechik (Buenos Aires, 1966) dedica da molti anni la sua vocazione creativa alla reiterazione e re-interpretazioni dei paesaggi naturali, e in particolare degli alberi, che nella sua opera rimangono quasi sempre verdi.

Un rimando costante al ciclo ininterrotto della vita stessa, che nasce, muore e rinasce. D’altronde, sul simbolismo della natura basterebbe andarsi a leggere il saggio di James Frazer “Il Ramo D’Oro” sui misteri antichi, in cui si narra di come nelle varie tradizioni, alcuni simboli vegetali siano pegno di resurrezione e di immortalità, come ad esempio la Palma o la Rosa di Gerico.

Ma nella sua articolata produzione di arte visiva attinente al tema naturalistico (boschi, fiumi, alberi, laghi e foreste), la terra e il cielo della Chechik non sono solo i poli tra i quali si produce ogni manifestazione, ma comprendono anche il mondo intermedio nel quale il concetto di “casa fisica” – da qui il titolo della mostra “IN-FINITA NATURA. EARTH, OUR HOME” – equivale al centro spirituale di raccolta di vita e di morte iniziatica.

Trattare i temi attinenti a un Simbolo – come è la CASA (Home, non House, volutamente) – non è mai un affare semplice. Si sono cimentati nell’impresa antropologi, letterati, semiologi, fior fiore di intellettuali e naturalmente artisti di ogni categoria. Qui non entreremo nello specifico, ma esploreremo la fenomenologia del suo esprimersi così a lungo su questa argomentazione. Le ambientazioni e i soggetti agresti di Chechik sono ricchissimi di campi di luce eterica. Un microcosmo impalpabile dove si può viaggiare ed effettuare – in modalità protetta – la comunicazione con le altre dimensioni degli Esseri Senzienti, e con i loro Livelli/ Stati superiori e inferiori.

Uno scenario che coinvolge costantemente il fruitore sul piano emotivo, sottoponendolo a costanti sbalzi percettivi sul piano narrativo, contornando lo sguardo come con note musicali di un ideale pentagramma. E’ qui che l’ opera di Karina raggiunge il Sublime, uno stato che può essere raggiunto solo da una grande anima, che è tale solo se pervasa dall’ispirazione divina.
Sublime è quel pàthos dello spirito che, per ispirazione divina, permette all’artista di protendersi verso l’alto e di sciogliersi dai suoi legami terreni. Se la fonte del sublime è l’ispirazione divina, la via primaria per raggiungerlo è l’imitazione di ciò che si solleva nelle vicinanze del divino: gli alberi, appunto.

Tale condivisione profonda, crea e ri-crea nell’intimo umano percepito, l’afflato verso una versione migliore del proprio esistere, più in armonia con il Tutto: l’aura di benessere che i lavori di Chechik trasmettono, ci ricorda la sotterranea metafora insita ne “Le Vie dei Canti” di Bruce Chatwin, ovvero una litania esortativa verso il valore delle “radici” e il ritrovarsi.

L’ essere originari di una landa (non Desolata, come quella descritta da T.S.Elliot), ma di un piccolo universo fatto di umide radure, orizzonti assolati, silenti antri campestri, piante ventose ed arbusti accoglienti, ci fa sentire, tramite le sue opere, parte di un luogo che non è solo uno spazio terreno. E’ un luogo di appartenenza che diventa poi parte della nostra identità (si veda a riguardo la trattazione sull’Ecologia Affettiva che qui non approfondiremo) e su cui porre le basi di una ri-nascita.

Chechik dunque sposta l’accento della sua sceneggiatura sulle risultanze di suggestioni foto-pittoriche ed iconografiche attinenti alla rinascita della nostra esistenza e al nostro “belonging” = Be + Longing, ossia, essere a lungo desiderosi di essere connessi al mondo della Natura. Un plasma connettivo dove le proprietà essenziali di un organismo o sistema vivente sono proprietà del tutto che nessuna parte possiede, ma che nasce e si completa dalle interazioni e dalle relazioni fra le parti.

KARINA CHECHIK
Karina Chechik (Buenos Aires, 1966). Si è laureata in Pittura presso la Accademia Nazionale di Belle Arti Prilidiano Pueyrredon di Buenos Aires (1989). Nel 1995 si è trasferita a Miami, dove ha vissuto fino al 2007, ed è stata membro attivo della comunità artistica di Miami, come artista in residenza presso l’ArtCenter South Florida.
Chechik ha esposto in musei, gallerie, università, centri d’arte e fiere d’arte internazionali negli Stati Uniti, in America Latina e in Europa.
Recentemente Chechik ha lavorato a due importanti progetti: Un’installazione di grande formato per la mostra Amazing  Nature, commissionata dal KunstCentret Silkeborg Bad, Danimarca, da marzo fino alla fine del 2023, in cui 35 artisti  provenienti da tutto il mondo esprimono le loro idee sul futuro del pianeta. Partecipa inoltre alla mostra “By Degrees, Art and our Changing Ecology” presso l’Huntington Beach Art Center, California.

Nell’ottobre 2022 Chechik ha realizzato il progetto “Luci Migranti”, una mostra personale a Casa Argentina a Roma e  azioni simultanee nelle città di Roma e Buenos Aires.

-Nel 2021 Chechik ha presentato la serie #HereComesHope, con una mostra personale in Sardegna.

-Nel 2020 Chechik ha tenuto una personale virtuale “La consonancia de los Límites” presso la Biblioteca Centrale dell’
Universita Católica Argentina.

Nel 2019 la Ivy Plus Libraries Confederation* ha selezionato il suo sito web  per l’inclusione nel suo Latin American and Caribbean Contemporary Art Web Archive. Nota * La Ivy Plus Libraries Confederation è una partnership tra tredici importanti biblioteche accademiche di ricerca degli Stati Uniti – Brown University, University of Chicago, Columbia University, Cornell University, Dartmouth College, Duke University, Harvard University, Johns Hopkins University, Massachusetts Institute of Technology, University of
Pennsylvania, Princeton University, Stanford University e Yale University – che collettivamente forniscono l’accesso a una ricca e unica documentazione del pensiero e della creatività umana attraverso la condivisione delle risorse e la  collaborazione.

-Nel 2018 Karina Chechik ha creato una grande installazione e una mostra site specific: “Il Labirinto Verticale”, un  omaggio a Jorge Luis Borges e Franco Maria Ricci, curata da Rodrigo Alonso al Marq, Museo di Architettura e Design,
Buenos Aires. Ha realizzato anche un’altra mostra personale: “Terra promessa” all’ICANA, Istituto di Cultura Argentina e
Nordamericana, Buenos Aires.

Nel 2015 ha tenuto una mostra antologica a Palazzo Pretorio di Certaldo, Toscana: TERRA, Geografie di Viaggio.

-Ha realizzato ” Architetture di Luce”, mostra itinerante che è stata esposta al Patricia & Phillip Frost Art Museum di  Miami (2014), all’Istituto Nazionale di Studi Romani di Roma, al Museo Ebraico di Buenos Aires (2012), al Museo del Design Galliano Habitat, Torino e al Museo Cattedrale di La Plata, Argentina (2011).

-Nel 2003 è stata invitata da Ediciones Polígrafa a produrre a Barcellona una serie di litografie che sono state esposte nelle principali fiere d’arte come Art Basel, Art Basel Miami, ARCO Madrid e Art Cologne.

Tra le mostre personali e collettive più significative ricordiamo: Dome Gallery, New York (1990); Fondazione  Internazionale Jorge Luis Borges, Buenos Aires (1998); Bernice Steinbaum Gallery, Miami e Jewish Museum of Miami Beach (2002); Antonio de Barnola Gallery, Barcellona (2005); Silkeborg Bad Art Centre, Danimarca (2006); San Lorenzo
Art Gallery, Milano (2007, 2010); UBS Wealth Management gallery, Lugano, Svizzera (2008); MACO Art Fair, Messico

(2008); Biennale del Piemonte, Torino (2012), Fondazione Michetti Italia (2013); Young Masters Art Prize Londra (2012

/2013); Departures/ Arrivals show, Oolite Arts center, Miami (1999-2014); Untitled Art fair, Miami (2016); Espacio Cruz Bajo Madrid (2017); Plataforma Argentina at Pinta Art Fair, Miami (2017), Art Nexus Foundation Bogotà (2018) e Buenos Aires Photo art fair (2020).

Le sue opere si trovano in importanti collezioni pubbliche e private di tutto il mondo.

Chechik è professore di pittura e storia dell’arte presso il Museo Nazionale delle Arti Decorative di Buenos Aires. Ha
inoltre tenuto conferenze presso importanti musei, università e istituzioni pubbliche in Argentina, Stati Uniti e Italia.

Vive tra Torino (ITA) e Buenos Aires (AR).

Nove “mostri sacri” della “Magnum Photos” ospiti al Forte di Bard

“The Misfits by Magnum Photographers”

Il dietro le quinte del celebre film “Gli Spostati” di John Huston

Dal 17 giugno al 17 settembre

Bard (Aosta)

  1. Con la regia del mitico John Huston si gira (principalmente in Nevada, a Reno) e a Los Angeles (negli Studi della “United Artists”), “The Misfits– Gli Spostati”, un “superbo anti-western” (come lo definì l’importante rivista cinematografica “TimeOut”) e ancora oggi un sorprendente “cult movie”, interpretato da attori del calibro di Marilyn Monroe, Clark Gable e Montgomery Clift. Un cast eccezionale, che venne scelto di proposito per dar vita alla prima sceneggiatura cinematografica di Arthur Miller, all’epoca marito (quasi ex) della celebre diva. E proprio l’eccezionalità degli interpreti, con Marilyn e Clark Gabel  per la prima e ultima volta insieme sullo schermo, suscitò l’interesse dell’Agenzia fotografica “Magnum Photos”(fra le più importanti al mondo, fondata nel ’47, a Parigi, da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e William Vandivert) che nell’ambito della strategia promozionale del film, ebbe accesso esclusivo alla produzione, inviando sul set del film nove tra i suoi fotografi più talentuosi. Nove icone della fotografia mondiale del Novecento: l’americana Eve Arnold – prima donna ad entrare nel ’51 alla “Magnum”- insieme all’austriaca Inge Morath (anche lei inviata sul set), l’ungherese naturalizzato statunitense Cornell Capa (fratello del più celebre Robert), Henri Cartier-Bresson(l’“occhio del secolo”), Bruce Davidson, il fotografo “dell’ironia” Elliott Erwitt, il viennese Ernst Haas, Erich Hartmann(fotografo tedesco noto per le sue fantasiose multimateriche sperimentazioni) e l’americano Dennis Stock (celebri i suoi scatti dedicati a James Dean, così come quelli ispirati dalle proteste giovanili contro l’apartheid e la guerra in Vietnam nella California di fine anni ’60) . Ognuno di loro cristallizzò, secondo le proprie caratteristiche tecniche e concettuali, gli attori in scena, le luci e il paesaggio, fissando per sempre, con immagini di inestimabile valore, i momenti delle riprese e l’atmosfera sul set. “The Misfits” diventò così il film più documentato dell’epoca. Oggi, quelle fotografie (più di sessanta) possiamo ammirarle in bella mostra, da sabato 17 giugno a lunedì 17 luglio, al valdostano Forte di Bard, fatto riedificare sulle rovine di una fortezza medievale nel 1830 dai Savoia, aperto ai visitatori solo dal 2006 e oggi fra i Poli museali di eccellenza della Vallée.
USA. Nevada. Marilyn MONROE

“Le immagini – dicono gli organizzatori – rappresentano la testimonianza di un’esperienza unica, restituendo i singoli attori nei momenti di ansia e di entusiasmo, di tensione, di debolezza e di speranza, che accompagnano inevitabilmente la realizzazione di un film”. E di questo in particolare, su cui Arthur Miller decise di giocare il suo jolly, la sua prima – e ultima – sceneggiatura interamente pensata per il cinema e rendendola particolarmente aderente alla sua vita privata. “The Misfits” nasce, infatti, in seguito al divorzio di Miller dalla prima moglie Mary, e al quasi epilogo del suo secondo matrimonio (che finirà nel ’62) con l’allora stella indiscussa di Hollywood, Marilyn Monroe, sposata nel ‘56. Fatti di vita privata, il cui peso emotivo si fece sentire non poco sulla realizzazione della pellicola, in parte oscurata proprio dalla sorte dei suoi protagonisti e dal gossip che coinvolse l’intero set. Tant’è che le riprese, anziché durare circa cinquanta giorni, come previsto, si protrassero per ben quattro mesi, ostacolate soprattutto dalle precarie condizioni psicofisiche di Marilyn, dipendente dai sonniferi e provata dall’imminente fine del matrimonio con Miller. Problemi limitati, pare, e gestiti magistralmente da John Huston, ma che in qualche modo crearono ostacoli non da poco alla buona confezione del film, la cui fama – è stato detto – venne anche intralciata dal triste destino che toccò il cast: Clark Gable morì (a 59 anni) dodici giorni dopo la fine delle riprese a causa di un attacco cardiaco e la stessa Marilyn morì appena un anno dopo, scrivendo la parola fine a una delle carriere più importanti e folgoranti di Hollywood. Tragicità che bussavano alla porta e sicuramente intuite, a ben vedere, in quel fotografico “dietro le quinte”, che spesso abbandonava la sola voce della tecnica, per cogliere soprattutto voli impauriti di anime.

Gianni Milani

“The Misfits by Magnum Photographers”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Ao); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Dal 17 giugno al 17 luglio

Orari: mart. – ven. 10/18; sab. – dom. e festivi 10/19. Lun. chiuso

Nelle foto:

–       Eve Arnold: “Marilyn Monroe on the set of ‘The Misfits’”, Credits Magnum Photos

–       Elliott Erwitt: “Marilyn Monroe, Clark Gable, Montgomery Clift, Eli Wallach and Arthur Miller on the set of ‘The Misfits’”, Credits Magnum Photos

–       Eve Arnold “Marilyn Monroe going over her lines for a difficult scene she is about to play with Clark Gable in ‘The Misfits’”, Credis Magnum Photos

L’Orchestre du Conservatoire de la Vallée d’Aoste in concerto al Forte di Bard

Sabato 26 agosto 2023, alle ore 21.00, la stagione di concerti estivi nella Piazza d’Armi del Forte di Bard si conclude con l’esibizione dell’Orchestre du Conservatoire de la Vallée d’Aoste diretta da Stephanie Praduroux che proporrà il concerto Il grande sinfonismo delle scuole nazionali. Nel corso dell’800 la musica diventa parte attiva del processo di formazione e consolidamento degli Stati nazionali. La ricerca di identità propria e caratteristica porta così alla creazione di esperienze musicali autonome ed indipendenti dalle influenze straniere, sia in ambito educativo che compositivo, anche attraverso la rivalutazione del patrimonio folkloristico tradizionale. L’Orchestre du Conservatoire propone un viaggio alla scoperta di due opere significative appartenenti a questi repertori.

Jean Sibelius, compositore e violinista finlandese, compose nel 1899 una serie di sette brani sinfonici per celebrare la stampa e promuovere una raccolta fondi per il fondo pensione dei giornalisti. L’ultima di queste composizioni assunse il titolo emblematico di Finlandia, contribuendo a stimolare la cultura nazionale e le aspirazioni indipendentistiche dell’allora Granducato, che gravitava sotto l’influenza dell’Impero zarista.

Antonin Dvorak, compositore ceco, ebbe una produzione musicale molto prolifica, con una particolare predilezione per il sinfonismo, e una fervida attività educativa. Nel pieno della sua maturità, in seguito a numerose tournée di successo in tutta Europa e negli Stati Uniti, fu chiamato ad assumere la carica di Direttore del New York National Conservatory of Music. La IX Sinfonia ‘Dal Nuovo Mondo’ fu presentata nel 1893 alla Carnegie Hall e riscosse immediatamente successo, tanto che molti musicisti la considerarono l’inizio di un nuovo stile, nato dalla fusione della tradizione boema con il folklore americano.

 

Programma

J.SibeliusFinlandia Op. 26​​​​​​

​​Andante sostenuto – Allegro – Moderato – Allegro

 

A.DvorakSinfonia IX Op. 95 ‘Dal nuovo mondo’​​​​

​​I Adagio – Allegro molto

​​II Largo

​​III Molto vivace

​​IV Allegro con fuoco

Biglietti

Biglietto unico: 10,00 euro; 0-18 anni gratuito

Posti seduti non numerati

Prevendita online su fortedibard.it

I biglietti si possono acquistare anche alle Biglietterie del Forte di Bard la sera dell’evento.

 

 

Il “Cavour” a Patuelli, un premio meritato

DI PIER FRANCO QUAGLIENI
Il prestigioso premio Cavour di Santena, fondato da Nerio Nesi nel 2007 verrà conferito per il 2023 ad Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione Bancaria italiana e liberale di lungo corso. In passato fu premiato Carlo Azeglio Ciampi, l’ultimo in ordine di tempo è stato Mario Draghi. E’ un prestigioso riconoscimento che consiste nella riproduzione in oro degli celebri occhialini dello statista piemontese. Antonio Patuelli è stato deputato eletto a Bologna e Sottosegretario di Stato alla Difesa, in precedenza fu segretario nazionale della GLI e vicesegretario del PLI con Valerio Zanone. Imprenditore e giornalista ,è il direttore della rivista fondata da Giovanni Malagodi “Libro aperto”, l’unica voce della cultura liberale rimasta nel panorama delle riviste italiane. Nel 1993 ha pubblicato il volume “I liberali. Da Cavour a Malagodi”. Pur avendo una vasta esperienza politica e una coerenza lineare sul piano delle idee , Patuelli si distingue per la sua rigorosa indipendenza nello svolgimento degli incarichi pubblici a lui affidati, seguendo la tradizione degli statisti liberali da Cavour in poi. Quindi il premio di Santena appare particolarmente meritato per un uomo che ama e continua a studiare il Risorgimento di cui segue l’esempio anche sulle orme di Carlo Minghetti.

 

Il primo volo passeggeri italiano? A Torino nel 1926

Dalla capitale subalpina fino a Trieste il battesimo italiano dell’aviazione civile.

La storia italiana del volo deve molto a Torino, nei primi anni del 1900 sui cieli della città , per esempio,   si avvistò lo Zeppeling, un dirigibile  ad ossatura metallica, mentre nel 1908 a Piazza d’Armi avvenne un esperimento di volo con un percorso di 250 metri a 60 km l’ora. Il primo vero decollo, però, si vide sui prati diMirafiori il 13 gennaio del 1909 con il Triplano Spa-Faccioli, progettato e costruito a Torino dall’ingegner Aristide Faccioli, ex direttore tecnico della Fiat. Il figlio Mario fu il fortunato pilota di quella memorabile avventura e il primo italiano ad ottenere il brevetto; nello stesso anno Luigi Mina e Guido Piacenza stabilirono il record mondiale di altezza con il pallone aerostatico.

Non è finita qui, una fabbrica di aeroplani venne avviata nelquartiere Crocetta nel 1909 (i primi aerei ad essere costruiti furonoi biplani “Farman” e i monoplani “Blériot”) e nel 1912, nella città della Mole,  Modesto Panetti fondò il primo laboratorio d’aeronautica che diventò in seguito  la Scuola di Aeronauticaampiamente apprezzata anche da Italo Balbo. Il 10 luglio 1916 venne inaugurato l’aeroporto Torino-Aeritalia, uno dei più anzianitra quelli operativi sul nostro suolo dove si potenziò gran partedell’industria aeronautica italiana, e proprio da qui, la capitale subalpina vantò il primo servizio di posta area che avvenne il 22 maggio 1917 fino Roma con a bordo 200 chili di posta e 100 copie del quotidiano La Stampa.

Nel 1926, precisamente il primo di aprile, dallo specchio d’acqua del Po, all’altezza del Parco Valentino, piccoli idrovolanti partirono per il primo volo passeggeri italiano alla volta di Trieste con soste a Pavia e Venezia. Per la somma di 300 lire, con grande spirito di avventura ed entusiasmo per l’ incredibile novità, si attraversava la Pianura Padana sfruttando come punti di riferimento sulla  rotta linee ferroviarie e fiumi (in quell’epoca non esistevano i radar!). All’inizio gli idroplani, dei CANT 10, erano in grado di portare 3 persone ma con l’andare del tempo si potenziò il servizio arrivando fino a 6 viaggiatori. I passeggeri dei primi voli furono  rappresentati istituzionali e giornalisti e in verità qualche problema meccanico si ebbe tanto che una volta si dovette anche ammarare, ma questo non impedì ottimismi e operatività fino al 1936 quando la linea fu poi soppressa. I dieci anni di servizio ebbero comunque molto successo  con più di 570 collegamenti, circa 1590 ore di volo e quasi 1600 passeggeri.

L’utilizzo degli idrovolanti all’inizio fu considerato molto comodo perché non richiedeva infrastrutture dove far decollare e atterrare i velivoli e gli hangar per parcheggiarli potevano essere nelle vicinanze, poi però la necessità di avere un corso d’acqua nei pressi delle destinazioni divenne un limite e fu così che nel caso di Torino si optò per la costruzione di un vero aeroporto, il Gino Lisa, accanto a quello militare a Mirafiori da dove nel 1929 un Fokker inaugurò il volo Torino –  Milano – Roma che con 5 ore scarse raggiungeva la sua destinazione finale, mentre nel 1936 otto passeggeri arrivarono direttamente a Roma con un aereo Fiat che viaggiava a 300 chilometri, i prezzi non erano proprio competitivi ma neanche impossibili. Dopo un breve periodo i voli partirono da Collegno, ma nel 1953 nacque l’aeroporto di Caselle, l’attuale scalo del capoluogo piemontese.

MARIA LA BARBERA

La street art a Torino

Torino è la capitale del Liberty, una magnifica rappresentante di capolavori in stile Barocco, la sua conformazione a “scacchiera” di origine romana contiene e accoglie capolavori di Juvarra, Guarini, Castellamonte, splendori come il Palazzo Reale, Palazzo Madama ma anche opere dallo stile eclettico più recenti come la Mole Antonelliana, simbolo della città e uno tra i più emblematici d’Italia

Torino tuttavia non è solo un glorioso passato, non ha ispirato esclusivamente artisti lontani nel tempo, è un centro moderno, vivace, colorato, detentore di un patrimonio artistico culturale attuale e contemporaneo.

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La città della Gran Madre è un brillante esempio di Arte Urbana, dopo gli anni 2000 questa espressione artistica infatti, spesso praticata per motivi personali, come critica, manifestazione di dissenso o di rivendicazione sociale, è decollata riqualificando molti aree cittadine, valorizzando superfici grigie e anonime, dando inoltre la possibilità a molti artisti di avere uno spazio espositivo vastissimo, una vetrina enorme dove le immagini parlano, a volte urlano.

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Tra le più famose rappresentazioni di questa giovane arte c’è il Murale Thyssenkrupp – Corso Valdocco – che ricorda la tragedia del 2007: un orologio digitale con la data e l’ora della strage, fiamme, i nomi delle vittime. A Via Farini, al Palazzo Nuovo un collettivo di artisti ne ha realizzato uno immenso e verticale che raffigura attraverso corpi e simboli il malessere attuale della società,

un ex magazzino industriale – in Corso Tortona 52 – trasformato in un Centro Culturale: dallo stato di abbandono all’energia, le bellissime opere di Millo a Barriera di Milano si collocano all’interno dell’iniziativa B.Art “Habitat” , un concept unico che ha come filo conduttore il rapporto tra uomo tessuto urbano.

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La Street Art è una straordinaria espressione artistica capace di regalare emozioni forti, comunicare scontento sociale, regalare vitalità, dipingere le città creando musei a cielo aperto disponibili e visibili da tutti, opere da contemplare senza fretta, manifestazioni di talento puro, di passione, creatività.

Su Inkmap.it, un progetto dell’Associazione Il Cerchio E Le Gocce, troviamo una mappa-percorso che ci indica i murales presenti in città, un suggestivo e interessante viaggio all’interno di una arte adolescente, ma fortemente impattante comunicativa, un linguaggio ecumenico ed intenso che ci racconta storie, entusiasmi e malcontenti.

 

Maria La Barbera

 

(Foto Museo Torino)