CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 176

“Panico” di Ferrini al Gobetti

Sarà in scena dal 23 maggio al 9 giugno prossimo “Panico”, nuovo spettacolo che giovedì debutterà al teatro Gobetti per la regia di Jurij Ferrini, che ha spiegato che, in comune con l’autore del testo, ha solo il fatto di essere regista e interprete.

Per il pluripremiato autore argentino Rafael Spregelburd il panico non rappresenta altro che la traduzione moderna del peccato dell’accidia, uno stato d’animo che si genera tra persone affannate a rincorrere una vita divisa tra due o tre lavori, che si arrangiano come possono e  cercano come pazzi le chiavi smarrite di una fantomatica cassetta di sicurezza.

Un panico ridicolo attanaglia, chiunque, come se i personaggi non fossero mai presenti a se stessi e tornassero affannosamente sui propri passi, cercando di ricominciare da capo.

È una pièce che Jurij Ferrini ha deciso di mettere in scena dopo aver affrontato con successo un altro capolavoro di Spregelburd, dal titolo “Lucido”.

MARA MARTELLOTTA

Teatro Gobetti

Dal 23 maggio al 9 giugno

Il panico

Traduzione di Manuela Cherubini

Con Simona Bordasco, Roberta Calia, Jurij Ferrini, Lucia Limonta, Viola Marietti, Elisabetta Mazzullo, Francesca Osso, Michele Puleio, Dalila Reas, Arianna Scommegna e, con voce al telefono, Toni Mazzara. Regia di Jurij Ferrini

 

Sentiero Rampante, l’anello che pensa circolare



Sentiero ludico-ricreativo al Borgo Rubens

Sabato 25 maggio – ore 16,30
Corso Casale, 438/16 a Torino

Inaugura “Il Sentiero Rampante – l’anello che pensa circolare”, il sentiero ludico-educativo posto ai piedi della collina di Superga che sarà aperto a tutte le persone e alle famiglie sabato 25 maggio alle ore 16.30 presso il Borgo Rubens in C.so Casale, 438/16 a Torino.

Il suggestivo percorso naturalistico, disposto ad anello e lungo circa 3 km, circonda l’intera area verde del Borgo Rubens e si snoda tra i boschi e i tipici affacci verdi che caratterizzano la collina di Superga, rappresentando un’occasione unica di movimento all’aria aperta a pochi passi dalla città e in prossimità, per altro, degli altri cammini escursionistici e dei sentieri più attrattivi della zona.

È stato realizzato grazie ad un contributo della Fondazione Compagnia di San Paolo, ispirandosi ai presupposti dell’approccio One Health, che riconosce un legame indissolubile tra la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema, in virtù del quale non esiste salute umana se non vi è salute ambientale e viceversa.

Ciò che rende speciale il Sentiero Rampante è di essere un sentiero interattivo, unico nel suo genere, che stimola la scoperta in chi lo pratica e può essere percorso molte volte, ogni volta scoprendo qualcosa di diverso.

Infatti, l’Associazione Rubens grazie alla collaborazione con la start up Mercato Circolare ha sviluppato un itinerario educativo che dà la possibilità alle persone di interagire con l’ambiente circostante e in questo modo di conoscere i principi essenziali dell’economia circolare attraverso 10 parole chiave. Ciascuna di queste è approfondita attraverso molteplici stimoli e dinamiche: ci sono stimoli più riflessivi, con riferimenti a brani musicali o a testi di libri, romanzi o saggi che pongono delle domande per la ricerca dei diversi significati del concetto stesso nella vita quotidiana; ci sono proposte di gioco da svolgere da soli o in gruppo; ci sono aneddoti sul Borgo Rubens e, in particolare, sugli animali che in esso vivono.

In più lungo il percorso sono presenti le casette ludico-educative, realizzate tenendo alta l’attenzione su alcuni aspetti sensibili come l’utilizzo responsabile dei materiali, in alcuni casi di recupero e ciò nonostante resistenti a qualsiasi condizione climatica (pioggia, vento, caldo, freddo) e la predisposizione ad offrire stimoli educativi, intercambiabili e sostituibili, allo scopo di favorire la diversificazione della dinamica ludico-educativa all’interno del sentiero, ma anche per permettere agli operatori dell’Associazione Rubens di utilizzarli in altri contesti.

 

La funzione principale del Sentiero Rampante è rivolta in primo luogo alla salute e al benessere sia umano sia ambientale e per questo si integra in modo ideale con la visione del Borgo Rubens e della sua Associazione, che promuove un tipo di benessere integrale, basato tanto sulla valorizzazione delle relazioni umane quanto alla cura del contesto all’interno del quale si muovono e si incontrano le persone.

Inoltre, un’altra sua caratteristica è di essere un circuito percorribile sia da coloro che intendono svolgere attività motorie come la corsa o escursioni in bicicletta sia da chi intende compiere passeggiate a piedi o a cavallo (per chi svolge un percorso riabilitativo-educativo con la Rubens).

La partenza del percorso è all’interno del Borgo Rubens che mette a disposizione dei visitatori il Bistrot del Borgo, un progetto sociale ispirato ai valori di fioritura delle persone che sono alla base di questo angolo di collina e di cui si può usufruire, approfittando delle sue specialità, dalla caffetteria alla ristorazione a base di materie prime biologiche e sostenibili, sia all’inizio che al termine della passeggiata.

 

 

 

L’inaugurazione è gratuita con prenotazione obbligatoria, consultando il seguente link: https://www.associazionerubens.it/sentiero-rampante/

L’accesso al Borgo è garantito tramite il servizio di navette gratuite a partire dalle ore 15 e durante l’evento alle ore 18 sarà offerto un buffet di aperitivo al Bistrot del Borgo.

“Ciarlatani”, il testo povero e inconcludente di Pablo Remòn

Silvio Orlando sino a domenica 26, sul palcoscenico del Carignano

Ad inizio di serata, a sipario rosso ancora chiuso, in una delle repliche, balza fuori la chiacchierata di Silvio Orlando che forse fa Silvio Orlando, oppure quella è già una parte del copione o soltanto forse una occasione un tantino subdola per ribadire “quanto ci fa piacere essere qui a Torino, in una città che ci accoglie sempre con simpatia, in questo bellissimo teatro che è il Carignano, davanti ad un pubblico preparato e competente. Ecco, adesso s’apre il sipario e andiamo a incominciare.” Dieci capitoli per quattro attori, il testo s’intitola nell’originalità “Los farsantes”, tradotto in italiano da Davide Carnevali con “Ciarlatani”, l’autore è il drammaturgo spagnolo Pablo Remòn, osannato in patria con premi prestigiosi, non ultimo il Lope de Vega per il Teatro, che per questa odierna fatica s’è caricato anche del ruolo di regista.

Poi il monologo della giovane Anna Velasco, un po’ trasandata ma tanto caruccia, che ha la malattia del palcoscenico a scorrerle dentro le vene, che aspira a grandi ruoli, che ha già frequentato produzioni di poco conto a sfornare opere classiche, che parla di Accademia e del Piccolo di Milano, che già stringe tra le mani il suo David di Donatello ma che intanto riempie la giornata con lavoretti fasulli e spettacolini per i più piccoli. Che coltiva un rapporto con il padre morto prematuramente, regista geniale negli anni Ottanta, ma probabilmente richiamato a sorreggere una vita di ragazza che altro non è se non un sogno, un sogno che ritorna, iperattivo e ingombrante. E poi Diego Fontana, un curriculum di film di successo, e di cassetta, pronto a soddisfare le mire e le voglie del proprio produttore che insegue la grande produzione internazionale e la star Veronica Del Rey che suoni propizia ai favori del pubblico: fino alla sveglia in un letto di ospedale, dopo aver visto la morte in faccia per quell’incidente d’aereo che ha il potere di sconvolgerti le idee e soprattutto l’esistenza. Risvegliarsi in quel letto bianco d’ospedale e scoprirsi un regista che vuole azzerare tutto quanto e tramutarsi in un autore d’essai, per una volta imporre la propria volontà all’alcolizzato produttore (avrà afferrato bene il concetto?) e fargli abbracciare l’ultima sceneggiatura di Eusebio Velasco.

Tanti piccoli, a volte impercettibili – nel senso che sono buttati in palcoscenico senza la più pura e necessaria costruzione, o se qualcosa sembra avere maggiore corpo poi non viene sfruttata, portata a compimento, avvolta da un senso che le dia vita vera – squarci pensa Remòn all’interno del proprio testo, surreale, pronto a inciampare, nebbioso, con il seme principale della fragilità, di modo che, quando vedi gli attori richiusi nella scena finale al di qua e al di là (d’obbligo la abbondante mescita di un assurdo barista kazako?) del bancone di un bar, in vena delle ultime confessioni e degli ultimi alleggerimenti del cuore, quando il cuore di Anna s’è acquietato con un “sto bene”, quando per un paio di concludenti (?) battute quello che hai visto sinora altro non sarebbe che il sogno venuto fuori dalla mente e dagli occhi di un cane (??), che cosa rimane allo spettatore? Sì, situazioni assurde che spingono inevitabilmente alla risata e spremono il divertimento della serata, le intromissioni degli attori chiamati con i loro nomi e cognomi, il bambino con il palloncino e Dorothy dalle trecce rosse del “Mago di Oz”, la scena di vele grigiastre, a trasudare leggerezza, inventata da Roberto Crea, la citazione della produzione Cardellino srl che ha dato vita al pasticciaccio giù giù sino alla direzione generale di Maria Laura Rondanini, le entrate e le uscita tra vita e finzione, i ricordi e i rimandi e gli sberleffi di quegli avvenimenti e di quelle esistenze che ruotano intorno al modo della celluloide e dei palcoscenici della penisola: ma hai la netta sensazione che dietro quegli accartocciamenti teatrali e quella fiumana di parole, non rimanga molto, che il fuoco delle buone intenzioni si smorzi con troppa facilità e troppo presto.

Non cercate insomma uno straccio di trame. Cercate un buon quartetto d’interpreti. C’è il viso sghembo e stralunato di Silvio Orlando a muoversi attraverso i tanti nonsense della serata, c’è il divertimento e la bravura senza se e senza ma di Francesco Brandi alle prese con l’oceano infinito dei plagi, c’è la sicurezza della giovane Blu Yoshimi che padroneggia il palcoscenico. C’è in ultimo – ma io direi, per come mi sono sentito a fine spettacolo (110’), soprattutto – la maestria e la bellezza nel vedere Francesca Botti trascorrere da un personaggio all’altra, davvero eccezionale sorpresa. Ma si ritorna al davvero poco di Remòn: e ti chiedi quanta trasandatezza e quanta inconcludente scrittura ci sia nel teatro di oggi.

Elio Rabbione

Al Museo MIIT una personale dedicata allo scultore Fernando Delìa

 

 

Il Museo MIIT di Torino presenta la mostra antologica dedicata allo scultore Fernando Delìa, dal titolo “Artistico guazzabuglio”, in programma da sabato 25 maggio a domenica 2 giugno prossimi. L’inaugurazione sarà sabato 25 maggio alle ore 18.

Saranno in mostra una cinquantina di sue opere, tra sculture in terracotta, bronzo, altorilievi e pannelli.

Fernando Delìa era non solo a Torino, ma per tutti “l’avvocato scultore”. Il ricordo del museo MIIT e di Italia Arte, unitamente alla famiglia dell’artista e alla Fondazione Faro, a cui è dedicata la raccolta fondi organizzata in occasione dell’esposizione, intende omaggiare la figura di uomo e di creatore di sogni, di quegli “artistici guazzabugli”, come recita il titolo dell’esposizione, che lui amava comporre dapprima nella sua immaginazione e poi plasmando e modellando le crete con fare rapido e istintivo, come se si corresse il rischio che quei personaggi e quelle forme immaginate potessero svanire del tutto all’improvviso.

La genesi dell’opera, il suo essere concepita, pensata e poi realizzata descrive al meglio l’attività del maestro e la sua attenzione meditata al messaggio artistico, attraverso un procedimento che si sviluppa in seguito ad un fare immediato, istintivo, gestuale, nel modellare la materia e nel plasmare forme, volumi e idee.

L’arte di Fernando Delìa è un’arte quotidiana e intimista, caratterizzata fortemente da uno sguardo interiore e profondo sull’uomo, sulla sua storia e sul suo destino.

Nato a Trieste, fin da piccolo ha manifestato una spiccata attitudine per il disegno e la scultura, tanto da frequentare a Bologna privatamente anatomia artistica e tecnica del modellato. A Torino ha conseguito la laurea in Giurisprudenza e vi ha esercitato la professione forense. La prima mostra personale risale al 1975, presso la galleria della Conchiglia e, da allora, ha partecipato a diverse importanti mostre collettive a Roma, Milano e Torino. Ha organizzato mostre personali a Finalborgo e Saint Vincent e a Torino, tra le altre, presso la Società Promotrice di Belle Arti, il Piemonte Artistico, la Fondazione Fulvio Croce presso palazzo Capris, Villa Gualino e la Galleria Fogliato.

I personaggi immortalati da Delìa potrebbero essere i nostri vicini di casa o chi la casa non ce l’ha più, come “Gli sfrattati”, tristemente in cammino sulla scala di un’esistenza tra alti e bassi, lo sconosciuto osservato nel parco, seduto su una panchina a meditare sulla sua vita, il collega di lavoro frustrato e sommerso da scartoffie, il perenne insoddisfatto, l’annoiato.

Delìa osserva il mondo, le persone che incontra sul suo cammino, ne scandaglia pregi e difetti, caratteri, ne coglie l’essenza e la trasforma in maschere universali. La sua è una commedia dell’arte contemporanea, specchio di una società spesso confusa e disorientata, mascherata e ipocrita, che l’artista è capace a cogliere nelle espressioni, nelle pose, nei gesti, nella verità del momento, nell’anima dell’Essere.

La sua tecnica è volutamente quella del non finito, dell’abbozzato e sembra volerci comunicare che tutto è effimero e passeggero, che la vita può mutare all’improvviso, senza guardare in faccia nessuno, in uno scorrere degli anni vorticoso e affannato.

Il tempo nell’Opera di Delìa assume una valenza concettuale profonda e la realtà diventa istante vissuto, ma anche immagine dello spirito, in un moto interiore subitaneo, che passa rapidamente per lasciare spazio ad altri affanni o ad altre gioie.

Sarebbe errato definire l’arte di Delìa malinconica o solitaria, a volte abitata da incubi, come alcune sculture indubbiamente ci inducono a pensare.

“Verso il baratro”, “Davanti un’intera giornata da affrontare”, “L’attesa”, “La deposizione” narrano lo stato d’animo universale e condiviso in una società sospesa e ineluttabilmente condannata. Nelle sue creazioni non mancano, però, sfumature ironiche, divertenti, sarcastiche e argute, quasi una sorta di vignette storiche da gustare con gli amici, riconoscendo in un personaggio o in un altro qualche parente o conoscente.

La terracotta modellata da Delìa, come i bellissimi bronzi a cera persa, fanno rinascere ogni volta l’Uomo, plasmato da un Dio benevolmente, come noi, di carne e di spirito, consapevole di tutti i difetti e di tutta la piccolezza della nostra specie, ma anche capace di gesti e di atti eroici, sacrali, quotidiani e immortali.

Basti considerare le opere celebrative di Delìa, quali i busti dedicati a Bruno Caccia e a Fulvio Croce nell’atrio d’ingresso e nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Torino, o quello che ricorda il papa Emerito Benedetto XVI presso la casina Pio IV.

A volte in Delìa si accende anche la scintilla divina che riaccende la speranza in un futuro migliore come nelle opere “L’importante è non arrendersi’” e “Sogni di adolescente”, o nei ritratti affettuosi e palpitanti dei nipotini, mentre in altri lavori non manca mai il sorriso dolceamaro dell’artista, una firma che sancisce il destino di ognuno.

“Trovo difficile spiegare – affermava Fernando Delìa – come sia nato in me il desiderio di modellare e per quale motivo. È una necessità che ho sempre avuto e che non riesco a definire razionalmente. Posso cercare di spiegarlo guardando quello che più spesso è l’oggetto delle mie opere, cioè la figura umana, di preferenza il volto e le mani, nella quale non è il bello che mi attira, ma la caratterizzazione, forse la deformazione, mai la deformità.

Se questo è il mio motivo ricorrente posso ipotizzare che la mia “ricerca” sia quella di rappresentare, attraverso l’esasperazione dei lineamenti, il modo di essere, il vissuto, l’originalità di ciascuno di noi. Non penso che nella rappresentazione dei miei personaggi ci sia la cattiveria necessaria perché li si possa definire grotteschi. Forse c’è la semplice ironia, il divertimento triste di ridere di noi stessi. E ai miei personaggi mi affeziono, forse perché in fondo non fanno altro che rappresentarmi. Mi dicono che, secondo la psicoanalisi, sognare la casa significhi rappresentare la propria interiorità. Penso che la sensazione che provo quando riesco a chiudermi nel mio luogo dove mi fermo a modellare, il mio studio, sia la stessa. È il luogo dove ( a differenza di Machiavelli che, prima di prendere la penna in mano, si paludava da antico romano) riesco a spogliarmi di tutti i personaggi, le convenzioni, dietro le quali mi nascondo nella vita quotidiana. È come se quello spazio costituisse una prosecuzione immaginaria della mia persona. Uno spazio che, oltre che delle mie opere, ho riempito di vecchi ricordi e oggetti di affezione. Confesso che, forse, proprio per questo, aprire il mio studio a estranei un poco mi spaventa come farmi sorprendere scoperto nella mia intimità”.

MARA MARTELLOTTA

Italia Arte. Museo MIIT Corso Cairoli 4

Tel. 0118129776

Info@italiaarte.it

Apertura da martedì a sabato 15.30-19.30, domenica 26 maggio e domenica 2 giugno orario 15.30-19.30.

Lettura di pensieri di Fernando Delìa con Cristiana Voglino giovedì 30 maggio alle ore 18.

“Ridicola” di e con Annamaria Troisi al Torino Fringe Festival

Lombroso 16, via Cesare Lombroso 16, Torino 21-26 maggio, ore 20

 

In prima assoluta un racconto liberamente ispirato a Dostoevsky riadattato al femminile

 

 

“Ridicola” di e con Annamaria Troisi, liberamente ispirato al racconto “Il sogno di un uomo ridicolo” di Dostoevskij e riadattato al femminile, è la storia di una prostituta, di una donna e del suo dolore, un dolore silenzioso e sapientemente nascosto agli occhi di un mondo che vede e che finge di non vedere. Un mondo pronto a giudicare senza farsi troppe domande, senza provare ad andare oltre l’immagine, oltre lo stereotipo; un mondo affaticato, abituato a sputare sentenze e prendere le distanze, con sconvolgente indifferenza, da ciò che solo in apparenza non lo riguarda.

Annamaria Troisi, attrice diplomata nel 2021 alla Scuola del Teatro Stabile di Torino sotto la direzione di Valter Malosti. Negli anni ha recitato per diverse produzioni.

 

Oltre a “Ridicola”, nella prima settimana del Torino Fringe Festival, dal 21 al 26 maggio, sono in programma 20 spettacoli di artisti e compagnie nazionali e internazionali, tra cui 6 eventi speciali, con Igor Sibaldi, lo scrittore, studioso di teologia e storia delle religioni; Marianna Folli, vincitrice del Premio Troisi 2023 come migliore attrice comica, Sofija Zobina, attrice di origine lituana di cinema e teatro; Marco Ripoldi, l’attore che ha studiato giurisprudenza per poi finire nei più grandi teatri italiani a recitare al fianco di Paolo Rossi; Stefano Santomauro, nel cast del film The Return con Ralph Fiennes e Juliette Binoche, di prossima uscita. In programma la parata con incursioni d’opera open air in piazza della Repubblica, la performance sui suoni del Moby Dick di Melville, i talk e il workshop, lo spettacolo di giocoleria, quelli che si fanno satira feroce sull’attualità (le guerre, il sesso, la femminilità e la mascolinità) e quelli liberamente ispirati ai testi di Dostoevsky o all’Ulisse di Joyce in un’inedita fusione di parole e musica.

INFO

Dal 21 al 26 maggio, ore 20

Lombroso 16, via Cesare Lombroso 16, Torino

Ridicola

Di e con Annamaria Troisi

Progetto sonoro Daniva

Tecnica Niccolò Mazzon

Assistente alla regia Sara Consoli

Produzione AMA Factory

Spettacolo per maggiori di 14 anni

Biglietti: intero 12 euro, ridotto 10 euro

 

TORINO FRINGE FESTIVAL

Dal 21 maggio al 2 giugno, la XII edizione del festival di teatro off e delle arti performative tra i più originali d’Italia, mette in scena a Torino 154 repliche di 27 spettacoli, tra cui 6 prime assolute, e 14 eventi speciali in 16 spazi performativi con 38 compagnie nazionali e internazionali selezionate tra più di 700 artisti candidati.

“Una fetta di sorriso”, quando la tv privata era leggenda

Un viaggio tra gli aneddoti di Antenna 3 Lombardia fondata dal mitico Renzo Villa, compiuto da Cristiano Bussola con la giornalista Mara Martellotta 

Ha avuto luogo nei giorni scorsi a Torino la presentazione del libro di Cristiano Bussola, dal titolo “Una fetta di sorriso”, editrice Paola Caramella, moderata dalla giornalista Mara Martellotta.

 

Lo Studio Uno di Antennatre: ospitava 1200 spettatori

Cristiano Bussola si è  appassionato alla televisione e al giornalismo sin da bambino seguendo proprio le trasmissioni andate in onda su Antenna 3 Lombardia, la mitica televisione fondata dal patron Renzo Villa negli studi di Legnano, in viaperbusto15, negli anni Settanta.

Martellotta e Bussola

Renzo Villa fu un grande sognatore, ma anche un abile imprenditore. Lasciata la città  natale, Luino, per approdare a Roma per ricevere una scrittura come aspirante attore, che non arrivò,  a Varese fondò  una compagnia di filodrammatici. Erano gli anni delle prime televisioni via cavo come Telebiella di Peppo Sacchi.

La comparsa in scena dell’imprenditore Giuseppe Mancini rese concreto il sogno di Renzo Villa che, insieme a Enzo Tortora, dal 1975 animò la prima televisione via etere d’Italia, TeleAltoMilanese, dando vita ad un sodalizio che li accompagnò per tutta la vita.  Nel ’77 fondarono a Legnano Antenna 3 Lombardia, di cui Villa fu editore ma anche ideatore di molti fortunati programmi delle stagioni 1977-1986, tra le quali Bingo, che considerava una delle sue più  care.

Bussola ripercorre il cammino di Antenna 3 attraverso le interviste rivolte a più di quaranta dei suoi protagonisti, con garbo e con quel pizzico di malinconia che non può mancare in chi ha seguito la storia di questa emittente, nata dalla trasformazione di un capannone in viaperbusto15, oggi abbandonata, ma che è stata il primo fenomeno della televisione commerciale via etere italiana.

A margine della presentazione Cristiano Bussola e Mara Martellotta hanno consegnato una copia del libro al presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, che partecipava a un precedente incontro.

Cuneo, “Città in note. La musica dei luoghi”

A Cuneo, non solo i teatri, ma anche parchi e giardini si aprono alle note della quarta edizione del “Festival” di primavera

Dal 22 al 27 maggio

Cuneo

Oltre 30 appuntamenti (aperti al “Teatro Toselli” dall’attesissimo concerto di Noemi) e sei giorni di programmazione ospitati nelle location più suggestive del capoluogo della Granda. Dalla musica classica al pop, dalla world music all’elettronica, dal jazz alla “contemporanea” senza escludere eventi site specific, a Cuneo con la primavera ritorna – per la sua quarta edizione – il Festival “Città in note”, la rassegna ideata e promossa da “Fondazione Artea” con il “Comune di Cuneo” e la direzione artistica di Claudio Carboni e Carlo Maver. Importanti novità di quest’anno la conquista di nuovi spazi verdi, con il progetto “Note di Verde” realizzato in collaborazione con “Società Orticola del Piemonte-Festival del Verde” ed il maggiore coinvolgimento delle “Scuole” e delle “Istituzioni Musicali” del territorio. Non mancheranno poi due fiori all’occhiello dell’attività concertistica della Città di Cuneo: l’“Orchestra sinfonica Bartolomeo Bruni” e, per la prima volta, la “Società Corale Città di Cuneo”.

Impossibile dare nota di tutti gli eventi in programma (per il cui calendario e costo biglietti si può consultare il sito: www.fondazioneartea.org), cominciamo col dare conto dei tre “highlights”, da sicuro “sold out”, in programma al “Teatro Toselli” (via Teatro Giovanni Toselli, 9), dove, mercoledì 22 maggio, alle 21, si terrà il concerto di Noemi, straordinaria cantautrice romana (classe ’82) che, con la sua voce unica e graffiante, porterà sul palco, in “versione inedita al pianoforte”, le canzoni che l’hanno resa dal 2009 (dopo la partecipazione alla seconda edizione italiana di “X Factor”) una delle voci italiane più amate di sempre.

Giovedì 23 maggioalle 21, a salire sul palco sarà l’indimenticata Nada, che, accompagnata dal talentuoso chitarrista della scuola jazz-bluessenese Andrea Mucciarelli, proporrà un viaggio nella musica d’autore italiana. Il concerto di Nada sarà aperto dagli studenti dei corsi di “Pop e Jazz” del “Conservatorio G.F. Ghedini” di Cuneo, coordinati dal Maestro Paolo Franciscone.

Sabato 25 maggio, alle 21, il Trio russo Boriso-Glebsky, Tchaidze, Rummukainen, composto da musicisti giovani e di alto profilo internazionale, eseguirà musiche di F. Schbert, J. Suk e A. Dvořák.

Altra importante location, il “Complesso Monumentale di San Francesco” (via Santa Maria, 10). Classificato come “monumento nazionale” e rara testimonianza architettonica di epoca medievale, come negli anni passati, sarà luogo destinato, in specifico, a “crocevia” di vari generi musicali da tutto il mondo. Mercoledì 22 maggio, alle 22,45, Andrew Quinn, video-artist e musicista australiano che ha curato gli effetti digitali di molti film e che ora si occupa di “sound reactive” per la musica, sarà protagonista insieme al “METS”, il Dipartimento di Musica Elettronica del Conservatorio “G. F. Ghedini” di Cuneo, di una performance immersiva de “La création du monde” di Bernard Parmegiani, capolavoro “acusmatico” (musica elettronica creata per essere ascoltata tramite altoparlanti) del 1984 nel quale il celebre compositore francese ripercorre la storia dell’universo, dal “Big Bang” fino alla comparsa della vita e dell’uomo. “San Francesco”, nei giorni del Festival, diventerà anche, luogo ospitante una micro-rassegna dal titolo “EFFETTO NOT(T)E” per tre suggestivi concerti notturni.

Altri incontri di indubbio interesse. Nell’ambito di “Note di Verde”, domenica 26 maggio, alle 11 e alle 12, nell’area del “Parco Fluviale”, si potrà ascoltare e vedere lo spettacolo di teatro musicale “Il Mototrabasso” di e con Luigi Lullo Mosso.  “Mototrabbasso” che altro non è che uno stravagante “strumento-veicolo” frutto dell’unione tra un “contrabbasso” ed una “motocicletta”, che permette di “viaggiare” spostandosi tra una canzone e l’altra. Il suo pilota, quasi “condannato” al movimento, ci racconta un viaggio nell’universo della musica narrando storie e personaggi sotto forma di suoni.

Appuntamento clou, sabato 25 maggio, alle 11,30, nella “Chiesa di Santa Croce” (Centro storico), l’“Orchestra Sinfonica Bartolomeo Bruni”, celebra il Maestro Giovanni Mosca, suo infaticabile animatore e direttore per oltre mezzo secolo, in occasione dei 100 anni dalla nascita, proponendo un programma con musiche di Mozart e Puccini. Sempre sabato 25, alle 19, nel cortile della “Biblioteca Civica” (via Cacciatori delle Alpi, 9) il “Quintetto” composto da Dan Kinzelman(sassofono), Beatrice Miniaci (flauto), Ludovico Franco (tromba), Nicola Traversa(chitarra e voce) e Nicolò Masetto(contrabbasso) proporrà “Six Memos for the Next Millennium”, una performance ispirata alle “Lezioni Americane” di Italo Calvino.

Da sottolineare ancora che il Festival, oltre a spettacoli e concerti, proporrà anche“workshop” e “incontri paralleli” con alcuni dei suoi protagonisti e con altri musicisti e critici in un’ottica formativa e di scambio culturale. La conclusione, lunedì 27 maggio, alle 20,30, al “Palazzetto dello Sport” di via Aldo Viglione, con l’esecuzione dei Carmina Burana” dell’Orchestra e del Coro del “Conservatorio Ghedini” di Cuneo, diretti rispettivamente dai professori Presutti e Peiretti.

Gianni Milani

Nelle foto: Noemi; Nada (ph. Simone Cecchetti); Andrew Quinn; Luigi Lullo Mosso (ph. Motofo); “Il Quintetto” (A.D.A. Vicenza)

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Daniel Mason “La foresta del nord” – Neri Pozza- euro 20,00

Daniel Mason, biologo e medico, nato a Palo Alto nel 1976, ha esordito nella letteratura nel 2002 ed è stato finalista al Premio Pulitzer nel 2022. Ora torna in libreria con questo suo quinto romanzo.

La trama è impossibile da riassumere in poche righe, ma tutto ruota intorno a una casa dalla facciata giallo limone in New England. Si parte dal XVII secolo quando un uomo e una donna fuggono nei boschi, più lontano possibile dalla Colonia puritana di cui sono membri. Nella loro vita adamitica e libera gettano le fondamenta di quella casetta.

Non possono saperlo, ma sarà l’avvio di una storia lunga 4 secoli, in cui le 4 mura nei boschi del Massachusetts diventano testimoni dell’avvicendarsi delle stagioni, con le comparse vegetali e animali. Spore, funghi, insetti e roditori si adattano all’habitat e lo manipolano; come quando uno scoiattolo fa cadere una ghianda e i frutteti si arricchiscono di una specie in più.

Ma più di tutto nella casetta transiteranno infinite vite dal 600 in poi: nascite, morti, vendette, uccisioni, e le suppellettili che ogni inquilino porta, usa, e poi lascia dietro di sé. Infinite testimonianze di vite che travalicano il tempo.

Rimangono in un certo senso anche i fantasmi dei morti, e in queste pagine Daniel Mason riesce a connettere meravigliosamente la condizione umana con i ritmi e gli equilibri della Natura. Da foresta selvaggia a orto, da alberi da frutto a prato, passando e sopravvivendo a catastrofi naturali, deforestazioni e la devastazione dei parassiti.

 

Jane Sautière “Corpi mobili” -La Nuova Frontiera- euro 16,90

Jane Sautiere è nata a Teheran nel 1952 ed ha trascorso la sua adolescenza in Cambogia, al seguito del padre che era una spia dei servizi segreti, salvo scappare quando i Khmer rossi presero il potere.

Arrivata in Francia, è lì che diventa educatrice penitenziaria. Nella letteratura ha esordito nel 1998. Questo libro narra gli anni vissuti a Phnom Penh con la famiglia, da luglio 1967 a quello del 1970. Tanti echi di memoria e storia, una meravigliosa ricerca del tempo perduto.

Corpi mobili” intreccia le vite e l’esperienza personale con le vicende di un popolo. I ricordi sono riaffiorati e hanno chiesto di essere raccontati per essere strappati all’oblio. Pagine struggenti in cui compaiono persone che hanno fatto parte della vita dell’autrice. I genitori, i fratelli morti prima che lei nascesse, poi le sue vicende personali con i primi moti amorosi e la spinta a crescere.

Soprattutto tornano le vittime del genocidio, il popolo cambogiano annientato dalla follia dei Khmer rossi che hanno falciato intere generazioni.

Poco più di 100 pagine in cui la Sautiere riporta a galla i suoi 15 -18 anni del liceo trascorsi in Cambogia; con le emozioni, il caldo umido, l’incrocio con vite altrui. La storia di un paese martoriato, ma bellissimo.

 

 

Guendalina Middei “Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera” -Feltrinelli- euro 16,00

Quante emozioni può suscitare un libro? Infinite, come quelle che in queste pagine l’autrice vive quando legge soprattutto i classici, che definisce amici con cui dialogare.

Guendalina Middei è nata nel 1992 e da sempre adora leggere. Dopo la laurea in lettere e un master in giornalismo culturale ha aperto, nel 2019, la pagina facebook Professor X e poi si è affacciata anche su Instagram dove è seguitissima.

Ora la brillante idea di questo libro da considerare una sorta di guida letteraria in cui ha scelto alcuni grandi autori classici; da Tolstoj a Kafka, da Austen a Tomasi di Lampedusa.

Di ognuno racconta brevemente la biografia, ripercorre le loro tematiche principali, le pagine che più l’hanno colpita e ci avvicina all’essenza delle loro opere.

Accorcia drasticamente le distanze tra noi e scrittori di altre epoche che hanno fatto la storia della letteratura universale e ce li racconta in un modo lieve e profondo al contempo.

Non è il solito manuale e neppure un saggio critico; piuttosto il tentativo –riuscito- di trasmettere ai lettori l’incanto e la magia di opere senza tempo.

Lei le conosce a fondo, le rilegge e ci contagia con le sue emozioni e i suoi pensieri invogliandoci a leggere sempre di più e con occhi nuovi.

 

Emily Austin “Moriremo tutti, ma non oggi” -Blackie Edizioni- euro 21,00

La Austin è una giovane scrittrice canadese, nata in Ontario, oggi residente a Ottawa, e questo è il suo primo romanzo con cui ha vinto il premio canadese per la letteratura umoristica Leacock Medal Award.

Il libro è ispirato ad alcuni tragicomici spaccati della sua vita e delle sue esperienze. Protagonista è Gilda: ha 20 anni, è atea, lesbica e con il chiodo fisso della morte a ossessionarla.

Incapace di conservare a lungo un impiego, finisce per trovarsi a lavorare come rimpiazzo della segretaria di una chiesa cattolica, morta da poco. Tutto quello che segue è il racconto paradossale di come il pensiero fisso della morte possa essere potentissima molla che accresce la vitalità dell’esistenza.

Rock Jazz e dintorni a Torino: Loredana Bertè e Stewart Copeland

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Al Blah Blah suonano i TVOD.

Mercoledì. Inaugurazione a Cuneo all’ex convento San Francesco di “Città in note” con Andrew Quinn e Noemi che canta al Toselli. All’Alfieri omaggio a Mina da parte di Silvia Mezzanotte con il recital “Vorrei che fosse amore”.

Giovedì. All’Hiroshima Mon Amour suonano i Delicatoni. All’Ex convento di San Francesco di Cuneo è di scena Edmondo Romano mentre al Toselli canta Nada. Al Blah Blah suona il quartetto di Marco Piccirillo.

Venerdì. All’Hilton canta Rossana Casale. Al Bunker inaugurazione di “Jazz is Dead!” con Massimo Silverio, William Basinski, Marta Salogni, Moritz Von Oswald e Valentina Magaletti. Al Diavolo Rosso di Asti si esibisce Tricarico. Al Blah Blah è di scena il trio Le Sacerdotesse dell’Isola del Piacere. Al Capolinea 8 suona il trio del trombettista Giovanni Falzone. Al Colosseo “sold out” per Loredana Bertè. All’Hiroshima si esibisce Lou Seriol. Allo Spazio 211 è di scena Puma Blue. All’Off Topic si esibisce Alessio Bondì. Al Castello di Rivoli sono di scena Enrico Intra e Carlo Balzaretti. A Cuneo per “Città in note” si esibisce Michel Godard con Natasa Mirkovic. Al Museo Storico Reale suonano i Rebel Bit.

Sabato. All’Alfieri di Asti va in scena “The Witches Seed” di Stewart Copeland. All’ Inalpi Arena suonano i Thirty Seconds To Mars.  Per “Città di note” si esibisce il percussionista Kalifa Kone e il quintetto di Dan Kinxelman. Allo Ziggy sono di scena gli Undertakers.  Al Bunker  per “Jazz is Dead!” si esibiscono DJ Storm, Dave Okumu, Le Cri Du Caire e I Hate My Village. Al Barrio sono di scena Heimdall e Ulvedharr. Al Blah Blah suonano i Kadabra. Al Capodoglio sono di scena i Somedays  mentre a El Paso suonano i Transmission N.

Domenica. Al Barrio si esibiscono i Secret Sphere e i Inner Vitriol. Per “Jazz is Dead!! Rob Mazurek con Gabriele Mitelli , Daniela Pes, Godflesh, Zu e Ruins. Al Blah Blah metal con Sanguine Relic , Black Cilice e Warmoon Lord.  

Pier Luigi Fuggetta

Erwin Olaf. Scatti di ordinaria solitudine

Nell’ambito dell’“Extend Programme” di “EXPOSED Torino Foto Festival”, la Galleria “metroquadro” di Torino ricorda il celebre fotografo olandese

Fino al 1° giugno

Credo di non sbagliare. All’interno dei lavori fotografici di Erwin Olaf Springveld, in arte solo Erwin Olaf (Hilversum, 1959 – Groningen, 2023), sono parecchie  e insistenti le citazioni e i riferimenti (tributo) a quel senso di ovattata, triste e inquietante solitudine, propria del grande, realistico cantore dell’“Amercan Way”, Edward Hopper. Di quel profondo, spirituale, “realismo americano”, in parte sbirciante alla più “intimististica” e “romantica” (ma per Olaf meno pregnante) architettura narrativa dell’altrettanto celebre pittore e illustratore statunitense Norman Rockwell.

Di fronte agli scatti sospesi in un deserto di silenzio ed attesa, propria delle opere di Olaf raccolte in un’interessante retrospettiva (l’artista è di recente scomparso) organizzata da Marco Sassone, fino a sabato 1° giugno, nella “metroquadro” di corso San Maurizio, a Torino, non si può non andare con occhi e mente agli interni – universi senza voci e scatole del tutto chiuse all’empatia umana, fino alla celeberrima “I nottambuli” pagina aperta su una notte di solitudine a New York – opere del grande Hopper. Che pare fosse solito ripetere “non dipingo quello che vedo, ma quello che provo”. Ed Olaf “dovrebbe esserci un enigma in ogni immagine potente, che ti incuriosisca e ti inviti a guardare più e più volte”. Come dire. A te, spettatore, per ogni mia opera, la tua storia. Per la giovane nuda di colore, affogata in un oceano di tormenti e silenziosamente seduta ai bordi di un letto in una misera stanza di albergo o per la distinta signora di antica eleganza appesa al filo della memoria o ad una chiamata dal bianco telefono che sembra per lei non aver più voce … a te, spettatore, il filo della storia. Sono quattro le serie di fotografie messe insieme, nell’ambito del mese dedicato da Torino alla Fotografia, da Marco Sassone: “Rain” (2004), “Hope”(2005), Grief (2007) ed “Hotel” (2010). E proprio in quest’ultima, Olef trasmette con maggiore intensità quel senso di “distacco dal mondo esterno” che diventerà il suo massimo segno distintivo.“La serie ‘Hotel’ – diceva lo stesso artista – riguarda l’alienazione e la sottile gamma di oscure emozioni che essa provoca in una persona. Le stanze di hotel in cui dormo quando viaggio sono tutte diverse, ma la sensazione che trasmettono è sempre la stessa, ha luogo una sorta di distacco”. Camere simili a rifugi anonimi, senz’anima, in cui i personaggi (quasi sempre donne) appaiono intrappolati in un’annoiata e inquieta attesa. Scrive bene Marco Sassone: I bellissimi nudi femminili delle foto sono avvolti in sofisticate atmosfere di velluto che evocano sottilmente le diverse città in cui le camere d’albergo si trovano. L’ambiguità e il senso di nostalgica frustrazione che le immagini trasmettono contrastano con la perfezione meticolosa dei dettagli della rappresentazione, confermando ancora una volta l’abilità dell’artista nel ricostruire il contesto e la scena fin nei minimi dettagli, con un’attenzione quasi cinematografica al trucco, all’acconciatura, all’abito, all’oggetto d’arredo, alla luce dell’ambiente”.


Se n’è andato troppo presto Erwin Olaf. A soli 64 anni, nel settembre del 2023, per un enfisema polmonare che lo aveva portato, qualche settimana prima, al trapianto di un polmone. E qualcuno afferma lo avesse predetto. Nella Galleria newyorkese “Hasted Kraeutler”, in occasione della presentazione della sua serie di “autoritratti” del 2009, si ferma davanti alla parete che espone il trittico “I Wish/I am/I Will Be” … si gira lentamente verso il giovane fotografo che lo sta ritraendo e diventa così il quarto ritratto della serie. “Ovvero un momento già passato all’interno di una storia che va avanti”.

Contemporaneamente alla retrospettiva di Erwin Olaf, prosegue, fino a sabato 22 giugno, alla Galleria “metroquadro”, la mostra “Marks and Traces” di Shinya Sakurai, che con questa rassegna (venti le opere esposte) celebra il ventennale del suo arrivo sotto la Mole.  Nato a Hiroshima nel 1981e laureatosi ad Osaka in “Belle Arti”, Shinya si divide oggi fra l’isola di Honshu e la nostra (ma ormai anche sua) Torino, dove ha studiato “Scenografia” all’“Accademia Albertina”, portando avanti con parametri tutti suoi una pittura di evidente “chiave astratta”, in cui s’intrecciano, su monocrome superfici di raffinato “velluto” e in un perfetto connubio di segno e colore (olio, resine e colle traslucide), citazioni stilistiche, piacevolmente contese ed ammiccanti alla serialità neo-pop, fra cifre di matrice orientale ed occidentale, capaci di tenere ben insieme echi della tradizione e della più audace contemporaneità.

Gianni Milani

Erwin Olaf

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/f, Torino

Fino al 22 giugno

Orari: giov. – sab. 16/19

Nelle foto: Erwin Olaf: “Hope Portrait”, 2005; “Hotel Winston Salem, Room 304”, 2010; “Hotel Paris, Feline Portrait”, 2010; Shinya Sakurai: “Marks & Traces n. 17”, tecnica mista su velluto, 2023