CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 16

Pier Luigi Borla, la bellezza come occasione d’arte

Il Museo Etnografico Maison de Cogne Gerard Dayné  prestigiosa architettura che valorizza il patrimonio artistico-culturale della valle, ha accolto in permanenza, datate tra il 1963 e  il 1974, molte opere del noto pittore piemontese Pier Luigi Borla (Trino 1916- 1992), grazie alla donazione della figlia Bruna e del genero Mauro Galfrè anch’egli affermato artista.

I bellissimi scorci del villaggio di Cogne, luogo amato e scelto per trascorrere le vacanze estive, siano essi disegnati di getto a matita, penna a sfera e ad inchiostro nero, oltre ai cromatici dipinti ad olio confermano il temperamento riservato e meditativo di Borla che, tra le montagne del Gran Paradiso, trovava l’ambiente adatto per soddisfare il proprio senso estetico della bellezza intesa  anche come suggestiva occasione d’arte.

Le raffigurazioni della parrocchiale di sant’Orso, la chiesetta di Sant’Antonio, la piccola cappella votiva di Rue Revettaz, le stradine che collegavano agglomerati di tipiche abitazioni, molte delle quali non esistono più o sono state rimaneggiate, costituiscono una preziosissima e documentata memoria del tessuto urbano di quegli anni.

Contrassegnate da un’atmosfera avvolta nel silenzio escludendo la presenza di figure umane (tranne nel disegno del circo arrivato in paese dove si notano figurine pressoché  impercettibili  quasi potessero turbare e contaminare la purezza e l’incanto della montagna), le opere sono fissate nell’immobilità, bloccate per sempre nel tempo per  preservarle dall’oblio.

Ancor più i paesaggi, verdeggianti o innevati, che riprendono le vette del Gran Paradiso pervaso dal senso di sospensione, vengono trasferiti in uno spazio mentale avvicinandosi in qualche modo alla più prepotente atmosfera metafisica soffusa nelle figure muliebri dipinte in atelier che rendono  Pier Luigi Borla “il pittore dei silenzi e delle attese” come acutamente è stato definito.

Giuliana Romano Bussola

Due grandi interpreti per il film (di un maestro) che lascia dubbi

La stanza accanto”, sugli schermi il Leone d’oro di Venezia

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

In fondo quel melodramma che gli è caro, certo quei tanti autentici sentimenti che gli abbiamo da sempre riconosciuto all’interno di non pochi capolavori – “Tutto su mia madre” e “Parla con lei” sopra tutti, per restare tra i titoli più celebri, e non dimentichiamo il grande “Dolor y gloria” -, quella passione smoderata per le architetture e gli interni, per l’arte che qui compare con Hopper, per l’esposizione di alto design, per quei colori che riempiono le immagini, per il cinema che qui s’affaccia con l’antico Buster Keaton e con “The Dead” ultimo film di John Huston e per la letteratura che qui rovista nella vita di Virginia (Woolf) e di Vita (Sackville-West), per la guida perfetta, senza nessun ripensamento da parte di chi guarda, delle sue tante attrici che per blocchi temporali si sono susseguite nel suo cinema, quel cinema che ha già visto l’Oscar e coronato tra gli altri lo scorso settembre con il Leone d’oro veneziano: ogni cosa resta, ben salda. Lo sottoscriviamo. Pedro Almodòvar tante volte ci ha appassionato e coinvolto, innanzi tutto per quel lavoro d’attenzione e di raffinato cesello drammaturgico, pur spingendosi più volte ben sopra le righe, che stava alla base delle sue opere, in alcuni momenti ci ha deluso con spazi vuoti che sembravano memento di tempi del tutto trascorsi o scommesse perdute o interruzioni di un lungo cammino, tutto completamente buttato via (“La pelle che abito” o “Gli amanti passeggeri”). Oggi, davanti alla storia che il regista stesso ha tratto in prima persona e liberamente dal romanzo “Attraverso la vita” di Sigrid Nunez e alle immagini e all’avvicendarsi dei fatti della “Stanza accanto” non ci sentiamo di gridare all’ennesimo capolavoro, inconfutabile, senza se e senza ma: innegabile la fermezza nel suo primo film in lingua inglese dell’immaginario e delle doti che in questi decenni ci ha regalato, le radici di una architettura filmica almodovariana, ma qualche dubbio, mentre scorrono i titoli di coda, sulla scrittura, su un certo schematismo che attraversa la vicenda, su certi flashback che disturbano nella loro visiva narrazione (per chi vorrà vedere il film, l’incendio della vecchia casa, una forzatura), sui dialoghi che i due personaggi femminili si scambiano, davvero più recitati che vissuti, quasi imposti da una certa interna geometria, su quel tanto di artefatto e di obbligato dal momento in cui noi – ovvero la terra intera intesa come natura, paesaggio, verde, ambiente: in totale sopravvivenza – viviamo e ci dibattiamo: avverti che qualcosa non sta al punto giusto, scricchiola, non ti convince appieno. Anche se continueremo ad accompagnare Almodòvar con la parola “maestro”.

Per cui, quasi per eccesso, ti metti a seguire gli sguardi e i silenzi, le rabbie e le commozioni, la malinconia soffusa di due attrici, Tilda Swinton (semplicemente da applauso incondizionato) e Julianne Moore, che qualcuno ha detto potrebbero leggere l’elenco del telefono e sarebbero altrettanto perfette. Non ci ha pensato la giuria di Isabelle Huppert, rimedieranno le cinquine degli Oscar? Procedono ferme e lucide, costruiscono sguardi e sospensioni ed è fuori di dubbio che l’asse portante dell’intero film siano quelle due interpretazioni. Sono Martha che è stata una fotoreporter del New York Times, un’inviata di guerra che alleggeriva le immagini dolorose e furiose con un sesso offerto a piene mani, e che ora è ricoverata in una camera d’ospedale a subire un tumore impossibile da curare; e Ingrid, scrittrice di successo, che nell’apprendere la notizia decide di starle accanto e accompagnarla lungo quella strada di ultimi istanti di vita quando la bionda amica ritrovata deciderà di morire nella pienezza della propria volontà, nella piena dignità della morte. Hanno avuto momenti di felicità comune in gioventù (“Ti ricordi quanto casino negli anni ottanta a New York”: e quanto ne ha fatto Pedro a Madrid, in quegli stessi anni?), hanno condiviso lo stesso uomo, si sono poco a poco abbandonate ma un solo richiamo è sufficiente a riavvicinarle, con solidarietà, con intrigo, con una amicizia che non ha confini. Martha, nell’avvicinarsi della fine, guarda anche con rammarico alla sua realtà di madre che una figlia (la figlia che apparirà per alcuni istanti, ha i tratti ancora della Swinton, con parrucca nera) l’ha allontanata, messa da parte, ignorata, incapace di rispondere alla insistente domanda di chi fosse il padre, mentre si dispera per le cure che non approdano all’effetto sperato, mentre rivela di aver trovato sul dark web quella pillola che l’aiuterà nel gesto finale, che ora affida all’amica, rivelandogliene il nascondiglio. Tanti momenti di passaggio e di scrittura controversa, momenti che raccolgono l’ospedale mentre la neve cade sulla città, rosata per il cambiamento climatico, e la casa di Martha e il rifugio all’interno del bosco dove il disegno del regista rimanda a un impianto teatrale, dove l’allegria dei colori – un maglione, una parete, un vaso di Venini, l’ultimo abito – giallo – indossato da Martha sconvolge in un attimo l’atmosfera di morte, guidata e accolta: un tragitto, una componente di sorellanza dove forse il momento più rabbioso e doloroso allo stesso tempo è la presenza indagatrice e accusatrice del poliziotto Alessandro Nivola, nel chiuso di una stazione di polizia, a forzare le domande e le risposte di Ingrid, nel considerarla “una delinquente”, nel volerla degradare completamente.

Siamo d’accordo, i messaggi che Almodòvar manda al suo pubblico sono autentici, innegabili, fanno parte di un cinema alto: ma allo stesso tempo non supportati da altrettanta altezza del racconto, toccato a tratti da una debolezza che, stranissimo a dirsi, ce lo fa apparire lontano da noi, forse preso troppo nell’ingranaggio di due persone, per vederlo espandersi in una più dolorosa universalità.

“Attraverso lo specchio” con la Gypsy Musical Academy

Da Micheal Jackson a Saturday Night Fever  al Teatro Concordia di Venaria sabato 14 dicembre

 

Due decenni di successi e trionfi, tra i quali la finalissima di Italia’s Got Talent 2019 e la carriera di alcuni suoi allievi, oggi vere star. La Gypsy Musical Academy, una delle più importanti accademie di musical in Italia, che ha sede in via Pagliani 25 a Torino, è pronta a festeggiare i suoi primi vent’anni con lo spettacolo “Attraverso lo specchio”, in scena il 14 dicembre al Teatro Concordia di Venaria. Lo show è realizzato con la supervisione artistica di Reece Richards, protagonista di grandi musical nel West End di Londra come “Hair Spray” e “Mootown”, nonché protagonista di “Sex Education”. Reece sarà la guest star della serata e creatore delle coreografie, insieme a Cristina Fraternale Garavalli e il contributo di Federica Nicolò. La direzione musicale è di Marta Lauria e la regia è di Neva Velli.

In scaletta pezzi tratti dai grandi Jukebox dei musical londinesi: “MJ”, il musical sulla vita di Micheal Jackson che debuttò a Broadway nel 2021; “&Juliet”, musical molto in voga nel West End di Londra come sequel di Romeo e Giulietta (cosa sarebbe successo se Giulietta non si fosse uccisa ?) con le musiche di Britney Spears, Backstreet Boys, Katy Perry, Bob Jovi, Justin Timberlake e molti altri; “Moulin Rouge”, che nella nuova versione comprende diversi mush up di brani di Lady Gagà e di Annie Lennox, altri brani tratti dal musical “Tina”, sulla vita di Tina Turner, fino ad arrivare al più classico Jukebox musical con le musiche dei Bee Gees “Saturday Night Fever”.

Teatro Concordia – corso Puccini, Venaria Reale / 14 dicembre, ore 16.30 e ore 21

Info e prenotazioni: 349 1446282

 

Mara Martellotta

Il Biellese nelle opere di Basso al Grattacielo Piemonte

L’artista biellese presenta la sua esposizione fino al 19 gennaio prossimo negli spazi di Sala Trasparenza a Torino. Il Vicepresidente della Regione Piemonte Elena Chiorino: “ L’evento raccoglie lo spirito del Natale e i valori del territorio”.

Il Natale e il Capodanno 2024/2025 si festeggiano con l’arte al Grattacielo della Regione Piemonte: fino al 19 gennaio 2025, infatti, la Sala Trasparenza ospiterà l’esposizione “Riflessi Biellesi” di Daniele Basso.

Un’iniziativa in cui le opere dell’artista racconteranno il Biellese in un percorso simbolico a tappe, non esaustivo, ma forte di alcuni dei tratti più distintivi di un territorio ricco di eccellenze e pronto per essere scoperto a livello nazionale e internazionale.

La mostra è un’occasione per far conoscere un patrimonio di cultura, tradizione e imprenditorialità. Ospitarla nel periodo del Santo Natale significa tenere vivo il sentimento delle tradizioni e riscoprire il significato profondo delle nostre radici. Le opere di Daniele Basso raffigurano il rapporto con i valori cristiani, ma anche la capacità di produrre, di innovare e di creare il saper fare d’eccellenza. Questi eventi sono fondamentali non solo per promuovere l’arte, ma anche per stimolare l’orgoglio delle comunità locali e rafforzare i principi della nostra identità” dichiara il Vicepresidente e Assessore a Lavoro e Istruzione della Regione Piemonte, Elena Chiorino.

Un’opportunità straordinaria per raccontare il Biellese attraverso un lavoro che dura da anni – prosegue Daniele Basso – Ringrazio non solo Elena Chiorino per l’invito, ma tutto il suo staff e l’Ufficio Patrimonio di Regione Piemonte che l’hanno reso possibile. E soprattutto ringrazio i diversi attori del territorio che nel tempo mi hanno commissionato parte delle opere oggi in esposizione, permettendomi di indagare significati e valori del Biellese e di interpretarli liberamente in simboli capaci di portarli in una dimensione universale, in cui tutti noi possiamo riconoscerci”.

Riflessi Biellesi è un allestimento altamente simbolico – sottolinea l’artista – che partendo da temi di attualità come spiritualità e famiglia, montagna e accoglienza, artigianalità e imprenditoria d’eccellenza, sostenibilità e progettualità futura, racconta un territorio attraverso l’arte contemporanea ed i propri simboli. Una storia intrisa dei valori identitari della cultura italiana… cristianità, etica, morale, coscienza, lavoro, saper fare… per riflettere anche sul carattere costruttivo del Biellese, e più in generale del Piemonte. Territori dallo spirito progettuale orientato al benessere, che tra “Spiritualità” e “Saper Fare Bene”, esprimono la propria attitudine all’eccellenza. In un momento di veloce evoluzione globale, l’allestimento è la testimonianza della capacità di reiventarsi nel solco del proprio passato, ma con valori saldi e lo sguardo rivolto al futuro”.

A Pinerolo si torna a ricordare Lidia Poët

In mostra, al “Museo della Cavalleria”, i cimeli della prima “donna-avvocato” d’Italia, in occasione della seconda stagione a lei dedicata su “Netflix”

Dal 15 dicembre al 6 gennaio 2025

Pinerolo (Torino)

Nata a Perrero, in Val Germanasca, nel 1855 e scomparsa a 93 anni, a Diano Marina (Imperia), è stata la prima donna – avvocato d’Italia. Laureatasi in “Giurisprudenza” all’Università di Torino, il 17 giugno 1881 (con una tesi sulla condizione femminile e sul diritto di voto per le donne), Lidia Poët, dopo aver praticato per anni la professione forense solo di fatto nello studio legale del fratello avvocato Giovanni Enrico (la Corte d’Appello di Torino, l’11 novembre 1883, annullò infatti la sua iscrizione all’albo, ritenendo disdicevole per le donne “esercitare l’avvocatura … nella razza umana esistono diversità e disuguaglianze naturali”) solo nel 1920, all’età di 65 anni, e a quasi a 40 dall’ottenimento della laurea, poté entrare ufficialmente – grazie alla “legge Sacchi” che autorizzò anche le donne a entrare nei pubblici uffici, tranne che nella magistratura, nella politica ed in tutti i ruoli militari –  nell’“Ordine degli Avvocati”, diventando, per l’appunto, la prima donna d’Italia ad esservi ammessa. Grande “guerriera”, Lidia Poët fu anche combattiva pioniera per l’emancipazione femminile e fra gli ideatori del moderno diritto penitenziario. Nel 1922 divenne la presidente del “Comitato pro voto donne” di Torino, partecipando con convinzione ai primi congressi femminili. Figura di altissima levatura etica e professionale, a lei, il 28 luglio 2021, il “Consiglio dell’Ordine degli Avvocati” di Torino ha dedicato un cippo commemorativo nei giardini del Palazzo di Giustizia, mentre a Milano le è stato dedicato un giardino di fronte al Tribunale e una via a San Giovanni Rotondo e a Livorno.

Ce n’è di che per dedicarle, nei luoghi che la videro adolescente e giovane avvocatessa combattiva a difesa dei diritti civili per le donne e per i più deboli (i “minori”) in primis, una seconda mostra, dopo quella organizzata un anno fa, sempre al “Museo Storico dell’Arma di Cavalleria” di via Giolitti 5, a Pinerolo. Mostra, in programma da domenica 15 dicembre a lunedì 6 gennaio 2025, promossa dal “Consorzio Turistico Pinerolese e Valli”, in occasione anche della messa in onda (dal 30 ottobre e già in programma la terza) su “Netflix” della seconda stagione de “La legge di Lidia Poët”, diretta da Matteo RovereLetizia Lamartire e Pippo Mezzapesa.

In mostra accanto alla sua nera “toga” forense”, tanto agognata e “vinta” con fierezza, troveremo anche vari libri appartenenti a Lidia,  arricchiti da sue annotazioni vergate a mano. E, ancora, l’abito di una pronipote, che proprio Poët aveva cucito a mano, e le borsette con le quali era solita andare a teatro a Pinerolo (al “Teatro Sociale”) con il fratello. In rassegna non mancheranno anche la cuffia e lo scialle dell’abito valdeseUn piccolo percorso – spiega Rossana Turina, presidente del ‘Consorzio Turistico Pinerolese e Valli’ – che racconta Lidia Poët come pioniera e prima avvocatessa d’Italia, ma anche come donna valdese che ha vissuto intensamente il nostro territorio”.

Parallelamente, il “Consorzio” torna a proporre il tour “La toga negata” che porta nei veri luoghi dove visse Poët, partendo dalla sperduta borgata di Traverse, a Perrero, per vedere la sua casa natale. Un lavoro meticoloso che ha impegnato il “Consorzio” nella ricerca dei discendenti della prima avvocatessa d’Italia. Si entrerà, anche, nel cimitero di San Martino dove Poët è sepolta.

La giornata prevede anche una sosta in Agriturismo, con un menù che propone ricette di inizi Novecento, la tappa all’esposizione allestita al “Museo della Cavalleria” e una passeggiata per Pinerolo dove Poët era solita incontrarsi con Edmondo De Amicis, scrittore e giornalista noto soprattutto per il suo “evergreen” “Cuore” e caro amico di Lidia.

Per partecipare: prenotazioni@turismopinerolese.it.

Per ulteriori info: “Consorzio Turistico Pinerolese e Valli”, Località Molino, Massello (Torino); 331/3901745 o www.turismopinerolese.it

Orari: mart. merc. giov. 9/12 e 13,30/16,30; dom. 10/12 e 14/18

g.m.

Nelle foto: immagini dall’allestimento espositivo e la “Casa” di Lidia Poët a Perrero  

Al Museo Miit “Gabriele Maquignaz- una vita per l’arte”

Da domenica 15 dicembre prossimo verrà esposta a Torino una selezione attenta e rigorosa di una prestigiosa collezione internazionale che unisce un centinaio di lavori del Maestro Gabriele Maquignaz, dal titolo “Una vita per l’arte-il Big Bang”, presentata nelle sale del Museo Miit di Torino. La raccolta, appartenente a un noto collezionista estero, e acquisita nel corso degli anni, comprende le opere del Maestro relative a tutta la sua ricerca sviluppata nel corso dell’ultimo ventennio, in un unicum per originalità e intensità espressiva che dagli esordi degli anni 2000 ha caratterizzato la sua produzione tra genialità artistica e spiritualità.

In particolare la mostra si concentrerà sulla serie dei Big Bang dell’artista, la più recente sperimentazione di Maquignaz, presentando una parte significativa della collezione da cui provengono. Sarà visitabile dal 15 al 21 dicembre 2024 e dall’11 gennaio al 15 febbraio 2025.

“Dalle sue ormai famosissime Porte dell’Aldilà – dichiara il direttore del Miit Guido Folco – scaturite da un taglio codificato e ragionato della tela, per permettere all’artista l’attraversamento dalla dimensione umana a quella divina, autentici e iconici passaggi dell’anima creativa da una fisicità terrena a una immaterialità sacrale, si giunge ora al ‘Big Bang’, uno sparo mistico e spirituale che ci interroga in merito alle eterne questioni morali e ancestrali dell’Uomo: la sua provenienza, la propria energia, il suo destino, la drammatica lotta tra la vita e la morte. Creando il Big Bang, sparando sulla tela e facendo esplodere il colore, Maquignaz prosegue il suo percorso sperimentale e concettuale unico e profondamente legato all’utopia della salvezza. Dopo aver attraversato le Porte della conoscenza del bene e del male, dell’esistenza nell’arte, l’artista opera ora in un’altra dimensione, quella da lui raggiunta, squarciando il velo che divide l’uomo artista dallo spirito creatore”.

Nella serie sei Big Bang, il Maestro ritrova e ricrea l’origine del tutto, ne codifica ancora una volta, com’era già avvenuto nel “Codice Maquignaz”, così ben illustrato nella splendida pubblicazione Skirà, l’evoluzione e la storia, con una coerenza concettuale e ideologica unica, stimolante e innovativa nel mondo del contemporaneo. Per questo, forse, non è azzardato dire, con le parole del noto scienziato Stephen Hawking “nella relatività non esiste un tempo unico assoluto, ma che ogni singolo individuo ha una proprio soggettiva misura del tempo, che dipende da dove si trova e come si sta muovendo”. Maquignaz sta esplorando modi nuovi dell’arte, e lo fa con la forza dell’idea, in un concetto perennemente in evoluzione tra la materia e lo spirito, quindi universale ed eterno che anticipa, completa e dà origine a tutto quanto finora espresso.

La mostra presenterà una ventina di Big Bang, tra cui alcune di grandi dimensioni, estremamente potenti nella resa cromatica e seguita, e sarà l’occasione per presentare il nuovo catalogo edito da Italia Arte, che dà il titolo all’esposizione “Gabriele Maquignaz – una vita per l’arte”.

Gabriele Maquignaz è un aartistadella Imago Art Gallery di Lugano.

Date: dal 15 al 21 dicembre 2024 e dall’11 gennaio al 15 febbraio 2025

Orari: da martedì a sabato 15.30/19.30

 

Mara Martellotta

Al via la nuova rassegna di “Pianisti del Lingotto” con il recital del pianista turco Fazil Say

Il funambolico pianista e compositore turco, che si destreggia tra jazz, pianismo romantico e folklore, martedì 17 dicembre, alle ore 20.30, presso la Sala dei Cinquecento di via Nizza 280, si esibirà in un concerto che segna l’avvio della nuova rassegna musicale “Pianisti del Lingotto”.

Già ospite dei concerti del Lingotto nel 2005, con la Rhapsody in Blue di Gershwin accanto alla Baltimore Symphony Orchestra, diretta da Juri Temirkanov, Fazil Say inaugura il ciclo che a partire da questa stagione Lingotto Musica dedica al pianoforte e alla letteratura per lo strumento dal Barocco alla contemporaneità. Da quasi trent’anni Fazil Say incanta il pubblico con il suo talento incontenibile e multiforme, in bilico tra la forma del virtuoso e l’improvvisazione da jazzista. Definito un “genio” da Le Figaro, si è affermato grazie al suo eccentrico modo di interpretare i classici e alla sua rara sensibilità per ogni genere. Il pianista turco, nel suo recital, al confine tra jazz, pianismo romantico e folklore, si misurerà con l’ultima Sonata di Shubert, la KV 331 mozartiana, con il suo celebre “allegretto alla turca” e un proprio lavoro nato nei tempi della pandemia: “Yeni Hayat”.

Apre il programma la Sonata n.21 in Si bemolle maggiore D 960 di Franz Shubert, l’ultima delle tre Sonate composte dall’autore nel settembre 1828, a poche settimane dalla morte. La prima esecuzione si tenne a Vienna in forma privata, un giorno esatto dopo la conclusione della partitura, e fu Shubert stesso a interpretarla in una serata musicale a casa del Dottor Ignaz Menz. Pervasa da un lirismo senza fine e dilatata nelle proporzioni, è considerata una sorta di testamento spirituale del compositore. Segue la giovanile Sonata n.11 in La maggiore KV 331 di Mozart, divenuta celeberrima grazie allo spettacolare “allegretto alla turca” finale, vivace reazione alla moda della “turquerie” diffusa in tutta Europa a fine Settecento. La pagina è inclusa nel monumentale ciclo integrale delle Sonate per pianoforte di Mozart inciso da Say al Mozarteum di Salisburgo nel 2016 per Warner Classics. Chiude la serata la Sonata op.99 Yeni hayat (New Life) composta dallo stesso Fazil Say per il suo primo concerto post-pandemia nel luglio 2021. Caratterizzato da una grande sperimentazione timbrica, il brano esprime il miscuglio di incertezza, ansia e speranza seguita a quella tragica esperienza globale.

Biglietteria: uffici Lingotto Musica – via Nizza 262/63

Telefono: 333 9382545

Solo il giorno del concerto, presso il foyer di Sala del Cinquecento, aprirà la vendita dei biglietti a partire dalle 19.30 fino alle 20.30

 

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Luigi Nacci “I dieci passi dell’addio”

-Einaudi- euro 16,00

E’ il romanzo di esordio del triestino (nato nel 1978) insegnante, giornalista, poeta e guida escursionistica ambientale, che racconta la fine di una storia d’amore, con tutto il dolore e i cambiamenti che comporta un addio.

Una sorta di manuale di autoaiuto che funge da terapia contro lo strazio di chi si è appena separato dalla compagna per stare con un’altra donna. In ogni caso è un uomo che sta male, malissimo, e mette a punto una specie di terapia “fai da te”.

Il protagonista programma 10 passi di sopravvivenza prima dell’appuntamento dal notaio per mettere nero su bianco il taglio netto con chi ha condiviso una parte della vita.

Il primo step consiste nel cambiare nome alle stanze; per es. la camera matrimoniale diventa stanza della resistenza e così via lungo un iter intriso di sensi di colpa, nostalgie varie e sofferenza che tutto avvolge. Un romanzo in cui molti potrebbero riconoscersi.

 

 

Benedetta Cibrario “Sono molte le cose umane” -Mondadori- euro 20,00

La scrittrice (nata a Firenze nel 1962 da padre torinese e madre napoletana, da anni stabilita a Londra) dopo averci regalato romanzi bellissimi come “Rossovermiglio”, ora si cimenta nei racconti. Ancora una volta scopriamo la sua abilità nel calarsi e immedesimarsi in personaggi ed epoche differenti. Queste short story vanno dalla Napoli del 700 alla Londra del 1945.

La raccolta è strutturata in tre parti, l’ultima è la novella lunga “Lo scurnuso” già pubblicata nel 2011. Al centro di ogni racconto troviamo situazioni della vita quotidiana, in cui si amalgamano bellezza e sofferenza, debolezze umane e riscatti, dolori e gioie.

Il primo racconto è ambientato nella Londra del 1953 ed è in forma epistolare. La direttrice di sala di un ristorante e uno chef hanno un fitto scambio di ricette che va ben oltre gli ingredienti dei piatti, perché svela molto delle loro personalità.

Poi ci sono esperienze limite, come quella del maestro spedito in una sperduta comunità montana dove gli alunni scarseggiano. O l’anziano salvato dalle preghiere di una bambina.

Ogni racconto nasce da un mix di osservazione ed immaginazione, spesso gli spunti arrivano da incontri reali che poi prendono il volo sulle ali della fantasia della scrittrice.

Il racconto più bello forse è quello della scoperta di 5 sanpietrini di ottone lucido in memoria di un’intera famiglia ebrea che era stata deportata ad Auschwitz. La protagonista del racconto fa di tutto per ricucire la loro storia, e scopre come una vile delazione abbia provocato annientamento, deportazione e morte.

 

 

Federica De Paolis “Da parte di madre”

-Feltrinelli- euro 18,00

E’ un romanzo a tratti struggente quello in cui Federica De Paolis mette in luce il complesso rapporto tra lei e la madre, e descrive come i ruoli possano finire per invertirsi.

Emerge la figura della genitrice, donna bellissima, sognante, simpatica, divertente ed ironica; ma anche indolente, sfrenata, immatura. A 20 dalla sua morte, l’autrice racconta il loro legame simbiotico e complice.

Una donna speciale, che tutti si voltavano ad ammirare, dotata di una bellezza intrisa di fragilità che la esponeva ad amori sbagliati, violenti e devastanti. Anche infantile e perennemente alla ricerca di affetto; talmente innamorata dell’amore da accettare situazioni intollerabili.

Un rapporto madre-figlia in cui spesso era la giovane ad accudire l’adulta, che muore a soli 56 anni per un tumore che non perdona, assistita fino alla fine dalla figlia.

Racconto autobiografico in cui Federica De Paolis non cerca rimedio al dolore del lutto, ma più che altro ha celebrato il suo immenso amore per la madre. Tutto raccontato con la maestria della scrittrice -non per niente è anche dialoghista per il cinema- e qui sciorina la sua abilità nel ridare vita a svariati episodi.

 

 

Chiara Valerio “Chi dice e chi tace” -Sellerio- euro 15,00

Come è possibile che una provetta nuotatrice affoghi nella sua vasca da bagno? Parte da questo rebus il giallo di Chiara Valerio che poi sconfina altrove.

Lea sul giornale parrocchiale di Scauri legge della morte di Vittoria, ritrovata senza vita nella sua vasca. Morte apparentemente inspiegabile, sulla quale Lea, che di professione fa l’avvocato – e da sempre affascinata dall’ enigmatica Vittoria- vuole vedere più chiaro.

Vittoria, 64 anni, convivente con la più giovane Mara, era una che si tuffava in mare sia d’inverno che d’estate, il nuoto le era connaturato. Pertanto la trama gialla è l’escamotage per scoprire chi era veramente.

Arrivata in paese negli anni 70, a 43 anni, aveva portato con se la 18enne Mara, e non era ben chiaro il loro legame. Poi aveva comprato casa -sempre aperta a tutti- e avviato una pensione per animali. Pare che non avesse mai avuto dissapori con nessuno e riesce difficile pensare alla dinamica di una morte accidentale.

C’è poi il suo testamento nelle mani di Lea e la trama parla anche di amicizia, identità, amore e verità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Canaletto, van Wittel e Bellotto: il gran teatro delle città

Si è aperta il 30  novembre nel complesso monumentale di San Francesco a Cuneo, in via Santa Maria, la mostra intitolata “Canaletto, van Wittel, Bellotto. Il gran teatro delle città. Capolavori dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica” a cura di Paola Nicita e Yuri Primarosa. Rimarrà aperta fino al 30 marzo 2025.

La mostra consolida per il terzo anno la collaborazione tra Fondazione CRC, da sempre attiva nel sostegno e nella promozione di attività culturali finalizzate ad accrescere il ruolo e la riconoscibilità del territorio cuneese come centro di produzione artistica, e Intesa SanPaolo che, con il progetto Cultura, esprime il proprio impegno per la promozione dell’arte nel nostro Paese, dando seguito con quanto realizzato congiuntamente con le esposizioni “I colori della fede a Venezia, Tiziano, Tintoretto e Veronese” del 2022 e “Lorenzo Lotto e Pellegrino Tibaldi. Capolavori della Santa Casa di Loreto” nel 2023, complessivamente visitate da oltre 54 mila persone.

La mostra, curata da Paola Nicita e Yuri Primarosa, delle Gallerie Nazionali di Arte Antica fa parte del progetto del museo dal titolo “Le gallerie nazionali nel mondo” e offre uno spaccato inedito sulla rappresentazione sugli scenari urbani di Roma e Venezia nel Settecento attraverso le opere di tre maestri indiscussi della Veduta, Giovanni Antonio Canaletto, Gaspar Van Wittel e Bernardo Bellotto, cui si aggiunge il pittore piacentino Giovanni Paolo Pannini.

Il progetto espositivo, appositamente ideato per lo spazio Cuneese, riunisce dodici capolavori provenienti dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, che esplorano e reinventano l’immagine della città nell’epoca del Grand Tour e degli ambienti culturali illuminati, a cavallo tra Seicento e Settecento, quando la prima tappa di ogni itinerario culturale attraverso l’Italia era Roma e la meta finale coincideva con Venezia. La grandiosità di Roma e il fascino lagunare di Venezia sono protagonisti delle scene catturate dai maestri in mostra, che ne immortalano momenti di festa, cerimonie, eventi mondani, allo scopo di restituire un ricordo vivido e duraturo ai viaggiatori che li avevano vissuti.

L’arte di Canaletto, van Wittel e Bellotto mette in scena la città antica accanto a quella moderna, spaziando dalla pittura di teatro al capriccio archeologico fino ad arrivare alla veduta topografica. Nel viaggio attraverso la penisola è la passione per l’antico ad accendere l’estro dei pittori, capaci di trasformare la città nel palcoscenico di un magnifico teatro all’aperto, catturato con sguardo fotografico e coinvolgimento poetico. I dipinti dei quattro vedutisti in mostra rivelano ritratti di città, fatti di architetture solenni e di scorci urbani popolari, dalla Roma antiquaria, tra mito e natura, alla moderna Roma dei Papi scenografica e contraddittoria, dalla città di Venezia, orgogliosa e cosmopolita, alle atmosfere austere di Dresda. Aprono il percorso espositivo le cinque vedute romane dell’olandese Gaspar Van Wittel, attivo tra Seicento e Settecento e non per la sua tecnica scrupolosa e per l’utilizzo sapiente della scienza ottica. Dopo la formazione in patria presso la bottega di un pittore di paesaggi e vedute, van Wittel si trasferisce a Roma nel 1675, per diventare ben presto il pittore della Roma moderna. Realizza grandi composizioni a volo d’uccello, animate da personaggi in movimento e invase da un’atmosfera vitale, rievocate in mostra da opere quali “Veduta di Roma dalla piazza del Quirinale “ (1684) e “Veduta del Tevere a Castel Sant’Angelo” (1683). I suoi metodi visivi e la resa realistica del paesaggio urbano contribuiranno a trasformare il genere della Veduta, aprendo la strada a generazioni di artisti.

Roma è anche protagonista delle due opere in mostra del piacentino Giovanni Paolo Pannini (1691-1765), tra i maggiori interpreti del capriccio architettonico, in cui architetture esistenti e fittizie si trasformano in vedute ‘ideate’. Un dipinto come “Capriccio con la statua equeste di Marco Aurelio” rivela la raffinata padronanza prospettica di Pannini e la sua abilità nel combinare elementi reali e immaginari in un equilibrio scenografico. Un altro esempio significativo è “Ruderi con terme”, in cui le rovine di antiche terme si integrano con un paesaggio idealizzato, comunicando un senso di nostalgia per il mondo classico.

Il percorso espositivo attraverso i capolavori delle Gallerie Nazionali di Arte Antica prosegue con le vedute veneziane di Giovanni Antonio Canaletto che della sua città di origine ha saputo cogliere l’essenza grazie all’uso magistrale della luce e dei colori. I quattro dipinti in mostra che portano la sua firma sono “Veduta di Venezia con piazza San Marco e le Procuratie” e Veduta di Venezia con la piazzetta rivelano la sua maniera di rappresentare le città, come scenari dinamici che riflettono la bellezza e la complessità della vita urbana, ampliando le possibilità formali del vedutismo settecentesco. Canaletto restituisce un’immagine di Venezia carica di dettagli e caratterizzata da una grande nitidezza descrittiva, unita a una forte sensibilità luminosa e atmosferica.

A concludere la mostra è l’opera dell’allievo e nipote di Canaletto, il Bellotto, di cui ha raccolto l’eredità estendendola oltre i confini della penisola italiana.

Le sue vedute, ritratti realistici dei centri urbani che scopre durante i suoi soggiorni, si differenziano da quelli dei suoi predecessori e contemporanei per un uso più freddo dei colori e di un chiaroscuro severo e malinconico. È soprattutto durante i suoi viaggi tra Italia, Germania e Polonia che Bellotto sviluppa uno stile personale e distintivo come dimostra “La piazza del mercato della Città Nuova di Dresda”, capolavoro della sua maturità, immagine di una città europea non solo come teatro di bellezza, ma anche come spazio vivo e complesso.

“Sulla traccia del successo registrato qui a Cuneo gli anni scorsi – spiega il Presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro- la mostra presentata oggi e realizzata insieme con la Fondazione CRC conferma come l’arte possa contribuire a consolidare la presenza di Intesa Sanpaolo nel Cuneese, uno dei suoi territori di elezione e rinsaldare il legame con gli azionisti stabili come le Fondazioni”.

Mara Martellotta