CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 16

Lo Stabat Mater di Liv Ferracchiati in scena al teatro Gobetti

Dopo aver ricevuto il Premio Hystrio Nuove Scritture in Scena nel 2017 e aver conquistato le platee italiane, Stabat Mater torna sul palcoscenico  martedì 6 maggio prossimo alle ore 19.30 al teatro Gobetti di Torino, rappresentato fino all’11 maggio,  per la regia di Liv Ferracchiati, che ne è  anche interprete insieme  a Francesca Gatto, Chiara Leoncini e Livia Rossi.

Stabat Mater torna sul palco con un  nuovo cast e un allestimento completamente rinnovato per far rivivere un progetto che tratta tematiche politicamente  e socialmente centrali come l’autodeterminazione e la libertà di espressione identitaria.

La storia che viene narrata è  quella di uno scrittore, Andrea, incapace di prendere in mano la propria vita dal punto di vista personale e professionale. È un giovane alle prese con il diventare adulto  e con il trovare una propria collocazione nel mondo, collocazione che viene cercata nella relazione con l’altro e nell’emancipazione dalla madre, figura fagocitante e per lui simbiontica.

Il lavoro è un  invito a pensare noi stessi come “autori della nostra forma”, concependo i tasselli identitari che ci compongono non come una gabbia, ma come strumenti per comunicare con il prossimo.

La giuria del Premio Hystrio aveva motivato il premio medesimo assegnato a Stabat Mater spiegando che si trattava di “un raro esempio di riuscita commedia italiana dal sapore anglosassone”, percorso da dialoghi incalzanti e da una sottile ironia.

6-11 maggio 2025

Teatro Gobetti, Via Rossini 8, Torino

Mara Martellotta

La pieve di San Pietro a Pianezza. Uno dei tesori oltre la cintura di Torino

 

Eretta sulla sponda del Dora Riparia nel XII secolo in stile romanico lombardo, con il tetto a capanna, e dedicata a San Pietro, la pieve di Pianezza, a pochi chilometri da Torino, offre uno spettacolo unico e, probabilmente, inaspettato grazie ai suoi affreschi, un ciclo dipinto, quasi interamente, da Giacomo Jaquerio e altri artisti della sua scuola. Il pittore fu il rappresentante della pittura tardo-gotica in Piemonte e le sue opere, grazie al duca Amedeo VIII, arrivarono fino a Ginevra.

Sconsacrata oramai da molto, un tempo fu luogo di preghiera di pellegrini e viandanti, e venne costruita, con molta probabilita’, al posto di un tempio pagano; in origine era costituita da una sola navata, ma in epoca gotica (tra il 300 e il 400) ne furono aggiunte altra due piu’ piccole. La facciata, in un primo tempo poco curata, fu riqualificata a fine ‘300 con mattoni rossi romanici e materiali di recupero mentre l’entrata fu collocata nella parte laterale da dove si accede anche al presbiterio. Durante l’ultima fase dei lavori sono stati dipinti il Cristo in Croce, una santa non identificata sul pilastro di entrata ed un’altra vicina all’immagine di Santa Margherita. Molto belle anche le vetrate colorate, copie create nell’800, i cui originali di Antoine de Lonhy sono conservati al Museo Civico Torinese di Palazzo Madama.

I Provana, una tra le cinque famiglie feudali piu’ importanti del Piemonte, volle fortemente le decorazioni della Pieve di San Pietro, tra queste, oltre a quelle gia’ citate, abbiamo la raffigurazione degli Apostoli, l’Annunciazione e il dipinto dedicato a Santa Caterina; nella cappella che porta il loro nome, invece, troviamo il dipinto sulla vita di San Giovanni in cui si riconoscono anche i simboli della famiglia: il liocorno e i tralci di vite.

La Pieve di San Pietro si aggiunge alle moltissime opere in stile romanico del Piemonte (chiese, castelli, abbazie) che venivano edificate perlopiu’ sulle strade devozionali, come la via Francigena che portava i pellegrini dall’Inghilterra fino a Roma.

Normalmente non e’ aperta al pubblico, ma si può visitare contattando gli uffici comunali o i gruppi di volontari dedicati. In questa chiesa, inoltre, e’ possibile celebrare matrimoni civili assecondando cosi’ la volonta’ di valorizzare ancora di piu’ il patrimonio architettonico della citta’.

MARIA LA BARBERA

Apertura su richiesta; prenotazioni presso l’ufficio URP 011/9670211 oppure
presso UNECON: 3333903669 – 3394620103 – 3356171376
unecon2019@gmail.com

Il patrimonio svelato. Dietro le quinte della cura e del restauro 

Palazzina di Caccia di Stupinigi

5 maggio – 17 novembre 2025

I lunedì della scoperta: un ciclo di conferenze e visite esclusive ai luoghi della storia

“Il patrimonio svelato” è il nuovo e inedito ciclo di conferenze sulla conservazione del patrimonio della FOM – Fondazione Ordine Mauriziano, che offre al pubblico l’opportunità di scoprire il meticoloso lavoro di tutela e restauro che si cela dietro le quinte di musei e luoghi della cultura. Accompagnati da esperti, storici dell’arte, restauratori e scienziati della conservazione, si scoprirà il complesso processo che permette alle collezioni di rimanere accessibili e in perfetto stato di conservazione. I sei incontri sono in programma nella Sala Camini della Palazzina di Caccia di Stupinigi (uno alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso), il lunedì, durante il giorno di chiusura, per permettere una visita esclusiva ai luoghi e agli ambienti oggetto dell’approfondimento e conoscere gli aspetti tecnici, materici e tutte le curiosità sulle attività di salvaguardia del patrimonio storico e artistico.

Gli incontri sono organizzati da FOM – Fondazione Ordine Mauriziano in collaborazione con CCR – Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale.

Lunedì 5 maggio, ore 16

Sala Camini, Palazzina di Caccia di Stupinigi

Il cambiamento climatico e la conservazione dei beni culturali

Il primo appuntamento è un viaggio alla scoperta delle attività silenziose e costanti che fanno parte dei programmi di conservazione della Palazzina di Caccia di Stupinigi. Dalla lotta agli effetti del cambiamento climatico che hanno ripercussioni su arredi e ambienti, alla conoscenza di pratiche come il monitoraggio della presenza di colonie di coccinelle, della qualità dell’aria e delle polveri che forniscono interessanti dati sull’ambiente, sull’inquinamento e sulla necessità di mettere in atto azioni di protezione sui beni culturali.

A seguire, visita nella Palazzina alla scoperta della conservazione programmata e dell’Integrated Pest Management.

Lunedì 26 maggio, ore 16

Sala Camini, Palazzina di Caccia di Stupinigi

L’ascensore della Regina Margherita

Grazie a un restauro sostenuto dalla Fondazione CRT nell’ambito del Bando “Cantieri Diffusi”, la FOM presenta un inaspettato oggetto che riporta il visitatore all’inizio del 1900, periodo in cui la residenza era abitata dalla Regina Margherita e dalla sua Corte. L’ascensore ligneo della Regina Margherita collegava un piccolo ambiente dietro la Sala degli Scudieri con gli appartamenti del primo piano, dove la corte si riuniva per conversazioni e per la vita di tutti i giorni. Gli esperti del CCR La Venaria Reale sveleranno curiosità e funzionamento di questo oggetto, dismesso dall’utilizzo dopo la Seconda guerra mondiale.

A seguire, visita nella Palazzina e presentazione dell’ascensore restaurato con storico dell’arte e restauratore e rievocazione storica del gruppo Le vie del Tempo per rivivere la Palazzina ai tempi della Regina Margherita.

Lunedì 9 giugno, ore 16

Sala Camini, Palazzina di Caccia di Stupinigi

Il restauro dell’aula della Basilica Mauriziana a Torino

Dopo lunghi anni di chiusura, dovuti a problematiche di sicurezza, riaprirà al pubblico la Basilica Mauriziana di via Milano a Torino. Situata in uno dei punti più iconici della città, al vertice del cosiddetto “isolato Mauriziano”, dove aveva sede l’antico ospedale e la Galleria dei Cavalieri, la Basilica Magistrale Mauriziana dona il nome alla via dove è situata, circostanza che testimonia l’alto valore che l’edificio ha rappresentato nel tessuto storico della Torino sabauda. I recenti restauri, oltre a garantire la messa in sicurezza degli intonaci pericolanti, hanno permesso di riscoprire il magnifico dipinto di Paolo Emilio Morgari, il Trionfo della Croce, vero capolavoro dell’800 piemontese. Una riscoperta che affascina, apre a nuove ricerche e ridona alla chiesa una piena fruibilità.

Venerdì 3 ottobre, ore 16

Chiesa di Sant’Antonio di Ranverso

Conservazione e valorizzazione della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

A seguito di importanti finanziamenti e di un progetto che porterà a una nuova di riqualificazione del sito della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, funzionari, progettisti e restauratori incontrano il pubblico per raccontare un lavoro di ricerca e scoperta su uno dei beni storici più interessanti della Val di Susa. Il capolavoro del gotico internazionale sarà illustrato attraverso il racconto della sua storia e dei suoi cambiamenti nei secoli. I preziosi dipinti murali di Giacomo Jaquerio saranno letti da restauratori, storici e scienziati attraverso l’inedito punto di vista della materia di cui sono composti.

Lunedì 20 ottobre, ore 16

Sala Camini, Palazzina di Caccia di Stupinigi

Gli interventi di restauro nell’appartamento di Re Carlo Felice alla Palazzina di Caccia di Stupinigi

I vividi colori e le raffinate decorazioni della seconda metà del Settecento caratterizzano lo spettacolare appartamento reale denominato “del Re Carlo Felice”, nell’ala di Ponente della Palazzina di Caccia di Stupinigi. Dalle boiserie alle tele, alle volte finemente ornate da disegni dalle tematiche della natura, l’appartamento racconta il gusto e le scelte di arredo dei reali. Attraverso le sontuose anticamere si giunge alle camere da letto, ai gabinetti e all’atrio centrale che, sin dalla porta della prima anticamera, annuncia una continuità ricercata tra interni ed esterni, rafforzata dalle grandi superfici vetrate dei serramenti che sono uno straordinario segno di riconoscimento dell’architettura della palazzina. Si devono a Giovanni Battista Alberoni e Giovanni Franco Cassini gli affreschi della volta della Prima Anticamera, risalenti al 1754. Dello stesso anno sono i lambriggi (zoccolo) e le imposte delle finestre a finti stucchi e nature morte di Francesco Antoniani, autore anche delle tele raffiguranti Marine e Boscherecce che provengono dalla regia Manifattura di arazzi di Torino e che servirono da cartoni preparatori. La Seconda Anticamera conserva invece il prezioso nucleo di tele raffiguranti “Boscherecce” della pittrice torinese Angela Palanca, databili tra il 1740 e 1750, che servirono ugualmente a cartoni per gli arazzi della Regia Manifattura, le sovrapporte del pittore di corte Pietro Domenico Olivero. L’appartamento, interamente restaurato e riallestito, aprirà al pubblico dopo una minuziosa opera che ha coinvolto le parti lignee, i dipinti, i tessuti e il mobilio.

A seguire visita nella Palazzina alla scoperta dei restauri dell’appartamento accompagnati dalle restauratrici Tiziana Carbonati e Barbara Rinetti.

Lunedì 17 novembre, ore 16

Sala Camini, Palazzina di Caccia di Stupinigi

Restauro e conservazione degli arredi storici: l’allestimento dell’appartamento di Re Carlo Felice

Sin dal 1926, la Palazzina di Caccia di Stupinigi è museo dell’ammobiliamento. Quasi cento anni di storia del museo hanno portato alla conoscenza del grande pubblico l’opera dei più grandi ebanisti e mobilieri del Settecento, che hanno realizzato pezzi di grandissimo valore storico artistico e che hanno rappresentato un punto di riferimento non solo in Italia, ma nell’intera Europa dell’epoca. Il riallestimento dell’appartamento del Re Carlo Felice, nell’ala di Ponente della Palazzina di Caccia di Stupinigi, ha interessato decine di arredi di grande valore storico artistico, alcuni dei quali sono da considerarsi dei veri capolavori e sui quali sono stati condotti approfonditi studi e operazioni di diagnostica e restauro che condurranno il visitatore a conoscere materiali e tecniche degli ebanisti, anche oltre le superfici del visibile.

A seguire visita nella Palazzina alla scoperta degli arredi insieme ai restauratori.

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino

Ingresso libero, prenotazione obbligatoria

www.ordinemauriziano.it

Giorni e orari di apertura Palazzina di Caccia di Stupinigi: da martedì a venerdì 10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).

Rock Jazz e dintorni a Torino: Piero Pelù e Trilok Gurtu

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al teatro Colosseo si esibisce Samuele Bersani. Al teatro Concordia è di scena Olly.

Martedì. Alle OGR suona il quartetto di Lauren Henderson.

Mercoledì. All’ Osteria Rabezzana si esibisce Billi Spuma ei Gassati. Al Capodoglio suonano i Korishianti.

 Al Folk Club è di scena il batterista e percussionista Trilok Gurtu con il violinista Carlo Cantini.

Giovedì. Al Blah Blah suonano i The Blue Lies are a stoner + Gli Strangolatori del Gange. All’Hiroshima Mon Amour arriva Piero Pelù. Al teatro Q77 suona la JCT Big Band con ospite Emanuela Florio.

Venerdì. Al Blah Blah sono di scena i Genus Ordinis Dei preceduti dai No More Extasy. All’Off Topic si esibisce Alessandro Ragazzo. Al Folk Club suonano i Las Lloronas. Alla Divina Commedia sono di scena gli Yourmother. Alla Piazza dei Mestieri suona Giorgio Diaferia Ensemble. All’Hiroshima si esibiscono i Parbleu. Al Peocio di Trofarello suonano i Dicks Fall. Al Vinile è di scena Charlie & Dodo.

Sabato. Al teatro Colosseo si esibisce Fiorella Mannoia. Al Blah Blah si esibiscono i One Day in Fukushima +God Does. Al Peocio di Trofarello suonano i Corky Laing’s Mountain. Alla Divina Commedia sono di scena i Dogma. Al Magazzino sul Po si esibisce Fonzie 6 La Massa Critica.

Domenica. Al teatro Colosseo arriva Rita Pavone. Alla Divina Commedia suonano i The Fabulous Contromano. Al Blah Blah è di scena Elias  Ronnenfelt cantante degli Iceage.

Pier Luigi Fuggetta

Una città regale, le grandi famiglie e le preziose collezioni

Nelle Sale delle Arti della Reggia di Venaria, sino al 7 settembre

Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”, affermava nel 1352 Francesco Petrarca, mentre Montesquieu, al termine del secondo decennio del XVIII secolo, emetteva il proprio giudizio pesante come un macigno: “I Genovesi non si raffinano in nessun modo, sono pietre massicce che non si lasciano tagliare. Quelli che sono stati invitati nelle corti straniere, ne son tornati Genovesi come prima.” E non sai bene, ancora oggi, se il giudizio suoni lodevole caparbietà o presunzione. Due scrittori, due osservatori a guardare con occhi acuti ad una città che, con la sua maestosità, con l’eleganza, con la storia, con il suo stesso mare, dal 10 aprile – e fino al 7 settembre – occupa le Sale delle Arti al secondo piano della Reggia di Venaria con la mostra “Magnifiche collezioni. Arte e potere nella Genova dei Dogi”, a cura di Gianluca Zanelli, Marie Luce Repetto, Andrea Merlotti e Clara Goria, Genova città di patriziato ma una Repubblica con a capo un doge che, dal 1528, rimarrà in carica due anni, famiglie che si contendevano l’elezione, che mettevano in campo sfarzo e prestigio, prestigiose alleanze e protezioni, che allineavano saloni e ospitalità, servitù e carrozze, quelle collezioni che sono l’anima della mostra. Per secoli, i medesimi nomi, i Pallavicino, i Doria, gli Spinola, i Balbi, le collezioni oggi conservate a Palazzo Spinola della Pellicceria, qui un centinaio e oltre di opere tra dipinti, sculture, argenti e arredi, tra Sei e Settecento, la ricchezza delle raccolte ma soprattutto il racconto (e gli esempi splendidi) dell’affermazione di sé, dogi e cardinali – a ostentare la lucentezza dell’abito e della berretta, come Giovan Battista Spinola affida il proprio successo al pennello del Baciccio alla fine del Seicento -, politici, monache e nobildonne, ogni immagine rivolta al culto della persona, ogni tela o tavola pensata “ad maiorem domini gloriam”.

Suddiviso in sei sezioni e tredici sale – per apprezzare veramente quel che significhi “Superba” il visitatore non dimentichi e non si perda per un lungo attimo la bellezza delle grandi tele, i nomi sono quelli di Rubens, di Guidobono, di De Ferrari, e l’allestimento che Loredana Iacopino ha inventato e che nella ampia sala finale raggiunge l’apice della bellezza e della magnificenza, tra pareti e un pavimento riflettente che riporta alle porte di Torino la calma del mare genovese -, un percorso artistico in cui svettano Antoon van Dick (il pittore era giunto, appena ventiduenne, in città nel 1621: uno dei suoi capolavori è il “Ritratto di Caterina Balbi Durazzo”, eseguito in occasione delle nozze della fiera ed elegante signora) e Rubens (in città dal 1604, a lui si deve la redazione del volume “I palazzi di Genova”, uno studio illustrato delle più grandi e aristocratiche dimore): il suo “Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo”, opera che s’inserisce tra gli anni 1607 e 1608, vero “manifesto di potenza”, apre il percorso della mostra, ricco di riferimenti simbolici, il cane come segno di fedeltà, l’aquila a immagine della casata, la foga del cavallo a contrasto della calma del cavaliere ovvero “l’uomo che con le sue virtù riesce a vincere sull’istinto”, la rossa croce dell’Ordine di San Giacomo aggiunta pochi anni più tardi; e con loro Orazio Gentileschi, Guido Reni, Luca Giordano, Carlo Maratti e poi ancora Angelica Kauffman e Hyacinthe Rigaud e quanti furono i maestri della grande scuola figurativa genovese come Bernardo Strozzi, Domenico Piola, il Grechetto, al secolo Giovanni Benedetto Castiglione, e Gregorio De Ferrari, sino allo spegnersi della grande Gloria in un infelice tramonto con le tele di Anton von Marton, morto a Roma nel 1808, davvero autentico canto del cigno.

Di luci e ombre tutte caravaggesche è costruito “Qui vult venire post me” (conservato nel Rettorato dell’Università degli Studi torinese) di Giovanni Battista Caracciolo, detto Battistello, uno dei primi seguaci del pittore a Napoli, proveniente dalla quadreria genovese di Marcantonio Doria, fratello maggiore di Giovan Carlo, acquistato nel 1614 tramite il procuratore della famiglia nel capoluogo campano. Poco oltre, ancora Van Dick a darci l’immagine – seppur oggi frammentaria – del piccolo Ansaldo Pallavicino, figlio del doge Agostino, che trentenne acquisterà il palazzo di piazza Pellicceria dando vita a una quadreria che sarà il vanto della casata, prediligendo l’artista nato nelle Fiandre e il fantasioso Grechetto (qui presente, tra l’altro, con “L’entrata degli animali nell’arca”, un incredibile quanto variopinto insieme di cani e pappagalli, di capre e gatti, di oche e tacchini e vettovaglie). Le sale d’esposizione ci fanno sempre più immergere in quel desiderio di essere ritratti, di tramandare la propria immagine, una celebrazione che coinvolgeva una pittura non per il tempo presente ma per il futuro. S’allineano il “Ritratto del doge Pietro Durazzo” del Mulinaretto, una scenografia ad effetto, il prorompente color porpora, i segni del potere posti in bella vista, quello di Anton Giulio II Brignole-Sale, il proprietario di Palazzo Rosso, ambasciatore alla corte di Parigi, tramandato da Hyacinthe Rigaud, la nobildonna in veste d’Astrea (di Nicolas da Largillière, dal prestigioso prestito del Sovrano Ordine Militare di Malta) e il “Ritratto di monaca”, dovuto al grande Bernardo Strozzi, mirabile ritrattista, in quei tocchi di bianco che la mano del pittore deposita vistosamente corposi: gli ultimi due appartenenti – capolavori della sala 8 – alla raccolta della famiglia Balbi (banchieri, che all’inizio del Seicento fondarono una strada che porta il loro nome), Francesco Maria prima e Costantino (questo passato all’immortalità con il ritratto di Pellegro Parodi), con cui si scavalca il secolo d’oro per arrivare al Settecento, poi, compositori di una raffinata quadreria, patrimonio diviso due generazioni dopo e per una serie di vicende ereditarie confluito in parte – nel 1824 – nelle raccolte di Palazzo Spinola di Pellicceria.

Molto ancora andrebbe citato di questa mostra, che l’appassionato d’arte non dovrà lasciarsi sfuggire, e del carico di Storia che la contiene (esemplarmente formulate le targhe esplicative a corredo), genovese ed europea in un abbraccio più largo. Certamente “L’ultima cena” del Procaccini, bozzetto preparatorio per la monumentale tela commissionata da un anonimo nobile milanese per il refettorio del convento genovese della Santissima Annunziata – uno dei tanti esempi della predilezione che i Doria ebbero per il pittore bolognese, la proprietà invidiata di settanta e più dipinti -, le grandi tele del Grechetto, “L’aria e il fuoco”, “La terra e l’acqua”, “L’adorazione dei Magi” del Baciccio, la luce con cui Orazio Gentileschi ci trasmette il “Sacrificio d’Isacco” (appartenuto un tempo al nobile Pietro Gentile, grande estimatore di Orazio come della figlia Artemisia).

Le ultime sale ci danno la presa di coscienza da parte degli ultimi rappresentanti di un grande passato dello sconquasso che s’aggirerà per l’Europa sul finire del Settecento, nel dipinto della Kauffman a rappresentare Paolo Francesco Spinola c’è la calma ma la eguale consapevolezza del cambiamento di governo, della fine dei privilegi, dell’avvento dell’impero napoleonico. L’ultimo sguardo è, attraverso l’incisione di Antonio Giolfi del 1769, sulla prospettiva della Strada Nuova, oggi via Garibaldi, sui suoi palazzi, sui suoi signori e le ricchezze, il passeggio dei signori e il lavoro dei servi, sulle tante collezioni che hanno fatto importante e preziosa una intera epoca.

Elio Rabbione

Nelle immagini di Giuliano Berti alcuni allestimenti della mostra; Peter Paul Rubens, “Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo”, olio su tela, 1607 – 1608, Galleria Nazionale della Liguria; Orazio Gentileschi, “Sacrificio di Isacco”, olio su tela, 1612 ca., Galleria Nazionale della Liguria; Antoon va Dick, “Ritratto di Caterina Balbi Durazzo, olio su tela, 1624, Palazzo Reale di Genova.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: I ponti e il 1° Maggio – Dopo la Liberazione – I liberali e la loro storia – Lettere

I ponti e il 1° Maggio
Per molti italiani la Pasqua, il 25 aprile e il Primo Maggio sono stati l’occasione di un maxi ponte o di un ponticello. Mi ha colpito un Amministratore di condomini che ha chiuso gli uffici da Pasqua fino al 4 maggio. Per un lungo periodo i condomini sono stati abbandonati a sé stessi.
Il Primo Maggio quest’anno è diventato il pretesto per la Cgil di lanciare i referendum di giugno che divideranno profondamente il Paese e la stessa opposizione al Governo. Trasformare il referendum in una spallata, anzi in una vera e propria “rivolta”, come dice Landini, può ricompattare la maggioranza. L’estremismo è sempre un cattivo consigliere e il sindacalista a capo della Cgil oggi  non è certo Luciano Lama. A parte che l’insicurezza dell’ incolumità dei lavoratori  è anche colpa dei sindacati che hanno fatto politica più che fare i sindacati, merita una citazione Tito Boeri che giudica “antistorici” i referendum e ritiene che la vittoria dei si’ ”peggiorerebbe la situazione degli stipendi”.
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Dopo la Liberazione
Subito a ridosso del 25 aprile 1945 venne attuata l’epurazione dei fascisti applicando un deliberato del Cln Alta Italia predisposto tempo prima della stessa liberazione. Un regime di libertà che esordisca con un’epurazione può lasciare perplessi perché normalmente le epurazioni sono proprie dei regimi autoritari una volta andati al potere. Ma la storia è cosa complessa e quindi il ricorso all’epurazione  dopo il 25 aprile non era così inspiegabile.
Gianni Oliva
Gianni Oliva, nel libro dedicato ai 45 milioni di fascisti e ai 45 milioni di antifascisti, ha illustrato assai bene la situazione che si determinò che finì di confondere le acque fino ad annullare la linea netta di demarcazione tra fascisti e antifascisti. I veri davvero  epurati furono pochi, per lo più pesci piccoli. Al resto pensò Togliatti con l’amnistia del 1946 rivolta sia a partigiani sia a fascisti. Fu un atto necessario, ma certo inquinò l’intransigenza dell’azionismo fondato sulla illibatezza ideologica  e l’intransigenza rivoluzionaria dell’ala comunista alla Pietro Secchia, che nel biellese avallò i misfatti ignobili di Moranino, condannato all’ergastolo e fatto fuggire nell’Est fino a quando una grazia presidenziale richiesta dal Pci a Saragat non consentì il suo ritorno e la sua rielezione in Parlamento. Si tratta di pagine turbolente, come quella di piazzale Loreto in cui si vide a cosa poteva giungere l’odio della plebe sobillata. Quello di piazzale Loreto non fu popolo, ma plebaglia assatanata sempre presente durante le rivoluzioni.
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I liberali e la loro storia
Il 1925 segnò  l’uscita del libro di Guido De Ruggiero “Storia del liberalismo europeo” che dedica la parte conclusiva alla crisi del liberalismo italiano, considerato dal filosofo un pensiero debole rispetto ai liberalismi europei. Secondo l’autore, la fine dei liberali italiani è dovuta ai socialisti di fronte a cui essi cedettero già con Giolitti. Non so se l’analisi del seguace di Gentile e solo  successivamente di Croce avesse ragione.
Badini Confalonieri
Ci fu infatti soprattutto  un cedimento e un abbaglio nei confronti di Mussolini che provocò danni molto  maggiori. Volendo venire ad una storia più recente l’ipotesi del lib – lab  sostenuto dal PLI di Zanone portò il partito ad avere ministri e sottogoverno, ma appannò la identità storica  liberale. L’idea di porre il PLI a sinistra della DC fu un’operazione non politica, ma di potere che i veri liberali come Ostellino e Martino non poterono approvare. Se avessero meditato De Ruggiero avrebbero capito che il rapporto  succubo con i socialisti non poteva che portare alla confusione: de Lorenzo ministro della Sanità in cambio di una rinuncia ad essere sè stessi. Anche Vittorio Badini Confalonieri non condivise e si dimise dal partito, lui che dopo Gaetano Martino ne era stato il  presidente.
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quaglieni penna scritturaLETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Le epurazioni e i sequestri del CLN

Il cultore di storia e noto  collezionista di cimeli militari Alberto Turinetti di Priero ha pubblicato su Facebook un elenco di epurati  fascisti subito dopo il 25 aprile ‘45. Molti nomi non ci dicono oggi nulla, ma alcuni si’. Ad esempio, Emilio de la Forest de Divonne, Giorgio Bardanzellu, Giacomo Medici del Vascello, Alessandro Orsi, Vittorio Buratti, Ezio Maria Gray, Vittorio Valletta, Giovanni Agnelli senior, Giancarlo Camerana, Oreste Badellino e altri professori e presidi. Vennero anche sequestrati i patrimoni personali di De Vecchi di Val Cismon, quadrunviro della Marcia su Roma, Gen. Pietro Gazzera che fu ministro della Guerra, Paolo Thaon di Revel, anche lui ministro, Giovanni Agnelli senior, Giuseppe Burgo, Vittorio Cian,Adriano Tournon, Luigi Sambuy, Ugo Sartirana, Orazio Quaglia  e molti altri. Cosa ne pensa?   Tina Paratore

Ho già espresso un giudizio nella rubrica di oggi. Epurazioni e sequestri patrimoniali non sono propri di un regime di libertà. Le responsabilità nei confronti del fascismo furono diverse tra i nomi che Lei cita dei nomi che andrebbero tutti verificati; non sono riuscito a ottenere fonti attendibili in breve tempo quindi non mi assumo responsabilità in merito.  Va inoltre detto che almeno quelli che lei cita non credo abbiano avuto conseguenze serie perchè nel giro di poco furono “riabilitati” o addirittura assolti. Cito due esempi: Bardanzellu e Gray furono deputati della Repubblica, il latinista Badellino venne riconosciuto per il suo  alto valore scientifico come autore unico di un colossale dizionario. Non parliamo di Vittorio  Valletta che fu rapidamente richiamato alla guida della Fiat perché i nuovi amministratori si rivelarono incompetenti e incapaci . Quando Giorgio Amendola entrò alla Fiat indicò l’albero dove andava impiccato Valletta che invece tornò più forte di prima al ruolo di comando della Fiat anche per la morte del sen. Agnelli nello stesso 1945. I giacobini che volevano fare tabula rasa di tutto ,rimasero sconfitti .In alcuni casi ci  furono delle vere e proprie ingiustificabili   persecuzioni come nel caso  del  Gen. Gazzera che non fu mai fascista, come una volta mi disse Arrigo Olivetti che lo stimava molto. Gli eccessi ci furono, ma soprattutto andrebbe ricordato quello che Pansa ha definito il “sangue dei vinti”. I genitori, ad esempio, del prof. Vittorio Mathieu e il padre del prof. Nicola Matteucci sono casi di uccisioni  ingiustificate  che ancora oggi fanno accapponare la pelle.
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Mussolini resta cittadino onorario di Biella
Cosa pensa del fatto che il Comune di Biella che ha un sindaco di Fdi, ha respinto la cancellazione della cittadinanza a Mussolini ?Da biellese sono perplessa.   Teresa Quaglino
Non ho seguito il dibattito del Consiglio comunale di Biella e  quindi mi limito ad osservare che la proposta di togliere la cittadinanza a Mussolini per darla a Matteotti è  discutibile perché le cittadinanze onorarie non si tolgono e soprattutto non si conferiscono ai morti. I morti devono essere lasciati in pace. Per una ragione di rispetto che travalica la politica, direi anche  per una ragione di cultura. E’ gente che, ad esempio, non non ha mai letto i  “Sepolcri” di Foscolo. Trasferire dal Pantheon parigino delle salme di personaggi sgraditi fu cosa abominevole, praticata da giacobini e da  comunardi.
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Celebrazioni genetliache
Ho letto delle sontuose celebrazioni genetliache del signor Marzano-85 anni – presidente degli ex allievi del liceo Cavour con tanto di paginoni pubblicitari sui giornali che annunciano il compleanno. Mi è venuto alla mente il motto del “Cavour” che traduco dal piemontese: “Gli asini dei Cavour si lodano da loro perché nessuno li loda “.
Un ex allievo del Liceo classe di ferro ‘53
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In effetti non detto in piemontese perde un po’ di efficacia ironica; consiglierei al preside di aggiornare il motto, aggiungendo un * come per gli alunni /e.

Erbari a colori e d’autore al Castello di Miradolo

Domenica 4 maggio. Laboratori didattici e di stampa botanica per famiglie

 

 

In occasione della mostra Di erbe e di fiori. Erbari d’autore. Da Besler a Penone, da De Pisis a Cage al Castello di Miradolo (TO) sono in programma, domenica 4 maggio, un’attività didattica per realizzare un erbario unico, utilizzando foglie e fiori come timbri e un laboratorio di stampa botanica per esplorare la tecnica della cianotipia di Anna Atkins.

In “Erbari a colori”, alle 10.30, ispirandosi agli antichi erbari, i bambini realizzeranno un erbario artistico unico, utilizzando foglie e fiori come timbri per trasferire su carta le bellezze della natura, cogliendone ogni sfumatura con tempera e rullo. A cura di Elena Tortia e Greta Zamboni, operatrici museali. Età: 6-10 anni.

“Tracce d’erbari d’autore”, alle 15, è il laboratorio di stampa botanicaAnna Atkins è stata la prima ad utilizzare la tecnica della cianotipia con gli elementi naturali, pubblicando negli anni ’50 dell’800 i primi libri fotografici illustrati. A partire dal suo lavoro, si esplora questa tecnica di stampa fotografica utilizzando erbe, foglie e fiori del parco. A cura di Alice Serafino, artista.

INFO

Castello di Miradolo, via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo (TO)

Domenica 4 maggio, ore 10.30

Erbari a colori

Laboratorio didattico in mostra per famiglie

Costo FamilyLab: 5 euro bambini + 10 euro accompagnatori, comprensivo di ingresso e attività didattica.

Domenica 4 maggio, ore 15

Tracce d’erbari d’autore

Laboratorio di stampa botanica

Costo: 50 euro a partecipante, comprensivi dei materiali.

Il biglietto di ingresso è comprensivo di:

Accesso al Castello, al parco storico e alla mostra

Accesso alle audioguide disponibili e a tutti i percorsi di visita e di visita accessibile attivi

Accesso a tutte le visite guidate “Chiedimi”, quando programmate

Orari: sabato, domenica e lunedì, dalle 10 alle 18.30. Ultimo ingresso alle ore 17.30

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La parabola del “medico dei maiali” in lotta con l’erede al trono

Sul palcoscenico del Gioiello, repliche sino a domani 4 maggio

Una giornata particolare, una piovosa mattina di novembre, come per Ionesco il re muore. Non un re delle favole, al contrario un re della realtà, in carne e ossa, un re della vecchia Inghilterra schiattato durante i festeggiamenti per l’inaugurazione di un grande albergo. All’improvviso. Tutti stanno parlando di infarto, il medico di corte è impedito d’arrivare per il feroce temporale e le strade disastrate a stilare uno straccio d’autopsia: ma il caso, quel caso che sempre ti ritrovi tra i piedi, vuole che in quello stesso albergo circoli un veterinario, un tale Alfred Scott, specializzato a occuparsi di maiali e che debba essere lui a mettere quella firma. Ma a lui quella morte non sa di infarto, il suo parere è che il sovrano, come un antico sovrano shakespeariano, sia stato assassinato. Un complotto quindi, contro un re da eliminare, “umanissimo nella sua disumanità”, cinico e arrogante, per mettere al suo posto un fantoccio per adesso affidabile e per un giorno assai prossimo eliminabile pure lui. Al momento dell’arrivo del principe ereditario, un ragazzo stupido e inetto, cocainomane, immaturo, che per la morte del padre non prova nessun sentimento, reduce da una notte balorda di liquori e di baldorie e di travestimenti con un costume che mette ben in vista una croce uncinata – il principe Harry ha in passato insegnato -, “il medico dei maiali” rimane solo con lui, pronto a esporre per intero la sua filosofia politica, fatta di una rivoluzione che spazzerà via l’assurda idea di democrazia, instillando nella testa del principe un mare di dubbi – “se fosse…” – attraverso i quali sarebbe possibile arrivare a una (loro) certezza. “Stupido è chi lo stupido fa”, avrebbe sentenziato un tempo Forrest Gump: per cui l’erede si rivela per quella bestia sanguinaria che in realtà – “quando si è capito il gioco”, avrebbe altrettanto sentenziato Pirandello – è, e calcolatrice, capacissima di far tornare quella pretesa rivoluzione del tutto a proprio vantaggio. Perché sappiamo bene che il potere non muore mai.

Secondo appuntamento sui palcoscenici torinesi nella stagione, dopo “L’uomo più crudele del mondo” visto per il calendario dello Stabile, “Il medico dei maiali” – favola nera, grottesca, acida, forse troppo facilmente definibile assurda – ti lascia scoprire e sottolinea la crescita di Davide Sacco (di Torre del Greco, classe 1990), in primo luogo come autore italiano delle ultime leve, drammaturgicamente robusto, come regista in seguito, capace di abitare il suo testo in maniera serrata e in forte quanto salutare crescendo, pieno di chiaroscuri (a cui contribuiscono con alta tecnica le luci messe in campo da Luigi della Monica, la scena semplice e funzionale è di Luigi Sacco) e di passaggi sfumati, di giochi sottili (a tratti percepibili con difficoltà) tra vittima e carnefice, pronti a scambiarsi il ruolo. In una scrittura profonda e veloce, fredda e pungente e sottilmente ragionatrice, “loica”, di quelle che raramente si sentono a teatro. E che in una serata apprezzabile si continua a ricercare. Scrivevo, poco più di un paio di mesi fa, a proposito dell’”Uomo più crudele”: “Tutta in crescendo, una scrittura crudele la sua, spinosa, degradata e fuor di ogni dubbio aspra nell’esporre la crudeltà di un genere umano che non distingue facce e confini, dove gli aguzzini mostrano alla fine un’indole sino a quel momento nascosta. Una scrittura di dolore, di incredibile durezza, di dialoghi immediati e destabilizzanti, che catturano lo spettatore e come in un thriller di tutto rispetto lo tengono in lenta cottura, al massimo dell’attenzione; dove coabitano l’istinto e la ragione, lo sberleffo e la disperazione”, frasi che “Il medico” potrebbe benissimo conservare dentro di sé. Per aggiungere ancora: “Dove per Sacco sembrano aver più peso i pugni nello stomaco, platealmente dati, in spasmodica frequenza, che non certo maggiori, delicati approfondimenti, certe sfumature di caratteri e di parole di cui si vorrebbe più intriso il suo testo che comunque esce dalla penna convincente vincitore”: ecco, per questa nuova occasione, il giudizio positivo cresce, a farla da padrone non è più l’imprevedibilità della storia, i pugni nello stomaco arrivano ma dati con sequenza assai più calibrata, esistono e ben chiari e vanno in perfetta direzione gli approfondimenti, lo studio e le azzeccate costruzioni dei caratteri, i passaggi centellinati e le stazioni del percorso e le parole che come un bisturi sezionano a fondo questo o quel personaggio.

Peccato per il veloce passaggio sul palcoscenico del Gioiello (repliche sino a domani domenica 4 maggio) di un testo ricco di vitalismo e di intelligente coinvolgimento, ulteriore produzione di quel Teatro Manini di Narni di cui Sacco e Francesco Montanari sono direttori artistici. Il quale ultimo è un erede al trono che apertamente quanto sfacciatamente (Eddy, per un attimo d’amicizia), con rigorosi ragionamenti, sfodererà il successo e la scalata al potere, insinuandosi a poco a poco, con sicurezza, con crescente padronanza, da marionetta a tiranno, debellando i lacchè e cospiratori che hanno l’ottima presenza di David Sebasti e Mauro Marino; “il medico dei maiali” del titolo, rivoluzionario abbattuto, ha il piglio concreto ed estremamente sicuro di Luca Bizzarri, sottilmente ironico – i duetti con il collega Kessisoglu me lo hanno da sempre fatto presagire, non conoscevo l’eccellente quota drammatica -, credibilissimo come i suoi compagni di scena, divertente anche nell’arco della tragedia, affabulatore geniale di parabole, apostolo di una leggenda destinata a ricadere tristemente nel nulla.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Salvatore Pastore.

Torino dalle sue origini al toro più conosciuto al mondo

Scopri – To  Alla scoperta di Torino

La città di Torino fondata nel terzo secolo A.C dai Taurini fu poi tasformata in colonia romana dall’Imperatore Augusto che le diede il nome di Iulia Augusta Taurinorum passò sotto vari domini, fino a diventare nel 1861 la prima capitale del nuovo Stato unitario ovvero del Regno d’Italia. Torino è conosciuta in Italia e nel mondo con uno stemma raffigurante un toro, derivante dall’araldica medievale che nel 1360 scelse questo simbolo per la città perché assomigliava al nome della stessa. Numerose sono le leggende legate al nome della città, fra cui la narrazione di un drago che attaccò la città e un enorme toro che la portò in salvo. Nel 1300 nacque anche lo stemma con base azzurra a cui si sovrappone un toro in movimento e sormontato da una corona d’oro con nove perle. Il toro è diventato negli anni un vero e proprio simbolo della città, vi sono più di duecento fontane con questo simbolo (chiamate “Turet”) e in Piazza San Carlo, nel 1930, in onore di San Carlo Borromeo, è stata posta al suolo l’immagine in bronzo del toro, dove si crede che passandoci sopra si possa essere più fortunati.

IL TORO E LE SUE VARIANTI

Un’altra opera curiosa e molto conosciuta che si rifà al simbolo della nostra Città si intitola “T’oro” e si trova in via delle Orfane 20, l’opera rappresenta un toro con le corna dorate che esce diettamente da un muro. L’opera è stata creata dall’artista Richi Ferrero, il quale voleva raffigurare una città che sfonda e supera il passato trovando un nuovo futuro con occhi diversi. Vi è poi il “Toro tricefalo”, una scultura dello scultore francese Georges Faure su una balconata di C.o Vittorio Emanuele 58, che rappresenta un toro a tre teste, creato nel 2006 per la Biennale dei Leoni, Lione-Torino. Un’altra opera a forma di toro molto famosa è “Toh”, un manifesto della nuova società torinese che comunica i valori dell’inclusione e della pace, l’opera rappresenta un toro in metallo con dei pezzi di fontana che gli cingono il collo. Toh è stato creato dall’artista Nicola Russo che si è fatto ispirare dai “Turet” le fontane a forma di toro presenti nella città sabauda; Nicola ha immaginato tutti i torinesi che conoscono bene quel toro ma ne conoscono solo il volto e mai il corpo o lo stato d’animo, lo stesso toro immaginandolo rinchiuso nella fontana vivrebbe sensazioni negative di smarrimento e mestizia, proprio per questo crea una statua con un toro che rompe il metallo della fontana. Ecco, quindi, che il “Toh” diventa il simbolo non solo dei torinesi, ma di tutti coloro i quali vogliono uscire dagli schemi e guardare avanti evidenziando le proprie diversità, che in quanto tali li rendono unici. Parte dei proventi delle opere “Toh” va alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul cancro.

GLI ALTRI SIMBOLI DELLA CITTA’

Oltre al toro uno dei simboli classici di Torino è sicuramente la “Mole Antonelliana” situata nel centro storico della città, ed edificata dall’architetto Alessandro Antonelli nel 1863. Anche la Basilica di Superga è un simbolo del Capoluogo Piemontese oltre a molti altri edifici e monumenti storici come Il castello del Valentino, Palazzo Madama e la Porta Palatina risalente al periodo dell’Imperatore Augusto detta anche Porta Capitolina, ma comunemente nota ai torinesi col nome plurale di Porte Palatine. Torino ha numerosissimi simboli che rappresentano la città, ma è anche molto conosciuta per le numerose leggende esoteriche che riguardano la magia bianca e la magia nera, in particolare in un punto preciso di piazza Castello si dice che converga la magia bianca…ma questa è un’altra storia… che richiede una narrazione a parte.

NOEMI GARIANO