CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 153

Liberi si nasce e liberi si resta!

UN INCONTRO SULLA LIBERTÀ E LA TIRANNIA

 

Un appuntamento culturale di rilievo è in programma venerdì 16 febbraio alle ore 18:30 al Circolo dei Lettori di Via Bogino 9 a Torino. Si terrà infatti, la presentazione con lettura e dibattito di “Il Contr’uno remix o della servitù volontaria”, adattamento di Fabrizio Odetto del saggio epocale sulla tirannia e la servitù dei popoli, scritto intorno alla metà del XVI secolo dal giovane filosofo francese Étienne de La Boétie. Il libro è edito da Lisianthus.

Nell’odierno clima culturale, pieno di contraddizioni, questo breve saggio ci ricorda che la libertà e il libero arbitrio sono tesori dal valore inestimabile; beni così preziosi che, una volta perduti, sono capaci di spogliare l’uomo della sua stessa umanità.

Il celebre “Discorso sulla servitù volontaria” è ritenuto uno dei più grandi testi mai scritti contro la tirannia, in difesa dei diritti naturali dell’uomo. Una lucida visione che proviene da un remoto passato, diretta verso un lontano futuro, che rischia di diventare un eterno presente.

“Non occorre che il tiranno lo scacciate con la forza” scrive Étienne de la Boétie, “non serve buttarlo giù dal trono: basta smettere di sostenerlo e, simile a un gran colosso a cui si tagliasse via la base, eccovelo a terra, cadere sotto il proprio peso, e andare in mille bricioli!”

L’attore Fabrizio Odetto ha rielaborato e adattato la prima versione italiana a cura di Pietro Fanfani e al Circolo Lettori ne porterà viva testimonianza attraverso la sua interpretazione.

L’incontro sarà moderato da Riccardo Cristiani.

 

L’ingresso è gratuito, è gradita la prenotazione.

Per informazioni contattare il numero 0118904401 o scrivere un’e-mail: info@circololettori.it

 

Mara Martellotta

“Goddam, Nina!”, con Doppeltraum Teatro allo Spazio Kairos

Sabato 17 febbraio alle 21 allo Spazio Kairos

ANTEPRIMA NAZIONALE PER “GODDAM, NINA
In occasione del compleanno, che cade il 21 febbraio, l’omaggio a teatro a Nina Simone

 

Cosa ci racconta oggi Nina Simone? Come possono tre donne, bianche, europee, immedesimarsi nella rabbia e nelle sofferenze di una donna dannatamente dotata? Debutto nazionale sabato 17 febbraio alle 21 allo Spazio Kairos, via Mottalciata 7, per “Goddam, Nina!”, portato in scena da Doppeltraum Teatro per la regia di Thea Dellavalle all’interno della stagione “Riflessi” organizzata da Onda Larsen.

 

Sul palco Chiara Bosco, Luana Doni e Cristina Renda mettono in scena il testo scritto da Elvira Scorza che tratteggia la geografia umana, emotiva e politica di Nina Simone, mappa delle passioni universali. A pochi giorni dal suo compleanno (Nina era nata il 21 febbraio 1933 a Tryon) un ricordo in musica ed emozioni della  cantante che Rolling Stone ha posizionato al 29º posto nella lista dei 100 migliori cantanti di tutti i tempi. Ma Nina Simone, scomparsa nel 2003 a causa di un tumore al seno, è stata anche pianista, scrittrice e attivista per i diritti civili statunitense.

 

Lo spettacolo
Nel 2023 le attrici della compagnia Doppeltraum Teatro hanno eleborato  il progetto pluriennale “Drops” con la volontà di riportare alla luce quelle figure di donne che, in ambito politico, letterario, musicale e artistico, hanno lasciato un segno indelebile nella storia e, come piccole gocce d’acqua, hanno eroso con perseveranza e attraverso la loro arte un panorama di pensiero dominante, cambiando per sempre la storia della cultura di massa.

La prima tappa di Drops è proprio “Goddam, Nina!”, un dialogo artistico e un omaggio poetico a una figura fuori dagli schemi, quasi marginalizzata eppure cardine della cultura popolare: Nina Simone che, tra pochi giorni, il 21 febbraio 2024, avrebbe compiuto 91 anni. Emblema di genio creativo, divismo ed eccezionalità musicale accompagnati da sofferenze e sconfitte personali, ma anche simbolo del black power e delle lotte per i diritti civili in USA, Nina Simone viene ritratta poeticamente dalle attrici che interpretano la sua storia, incarnano il suo passato e immaginano un dialogo tra la Sacerdotessa del Soul e il tempo presente.


LO SPETTACOLO

Regia di Thea Dellavalle
con Chiara Bosco, Luana Doni e Cristina Renda
scritto da Elvira Scorza

Produzione Doppeltraum Teatro


UTILITA’

Spazio Kairos è via Mottalciata 7.
Intero 13 euro. Ridotto (ex allievi Scuderia Onda Larsen, Over 65, studenti universitari) 10 euro.
Ridotto speciale (allievi Scuderia Onda Larsen 23/24, under 18 e disabili) 6 euro.
Biglietti online su: www.ticket.it. Necessaria la tessera Arci. Info: biglietteria@ondalarsen.org

 

“Risuona la Resistenza”, concorso musicale

E’ finanziato da Regione Piemonte e promosso da Arci Torino

Creare brani che celebrino l’antifascismo usando campioni del Concerto del 14 novembre 1964 a Torino

Comporre brani su Resistenza e antifascismo usando i campioni musicali del “Concerto per la Resistenza” che si svolse al Teatro Gobetti di Torino il 14 novembre del 1964. E’ la proposta del concorso “Risuona la Resistenza”, finanziato dalla Regione Piemonte e promosso da Arci Torino in collaborazione con le associazioni Arci Gamma Music Institute, Circolo Margot e Dewrec e la Fondazione istituto Piemontese Gramsci.

Il contest musicale, rivolto a musicisti under 40, nasce per celebrare con nuove canzoni e musiche il sessantennale del concerto, un evento decisamente unico nella storia di Torino e dell’Italia. Una giovanissima Arci, allora nata da pochi anni, commissionò a tre grandi compositori – Giorgio Ferrari, Guido Ferraresi e Carlo Mosso – tre opere musicali sui testi poetici di autori come Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo e Corrado Govoni per un tributo alla Resistenza e all’antifascismo.

Come partecipare

Il concerto fu voluto e organizzato dall’Associazione Culturale Arturo Toscanini e dall’Arci di Torino grazie al presidente Enzo Lalli che, quel giorno, registrò l’evento in maniera amatoriale. Arrivato a noi, il nastro è stato ripulito e distribuito digitalmente. Nel 2022 è stato scomposto in più di 150 campioni musicali dai maestri Andrea Maggiora e Giorgio Mirto: con questi campioni è stata costruita una bacheca online all’interno del sito risuonalaresistenza.it.

“Risuona la Resistenza chiede proprio ai musicisti di comporre una canzone (durata: dagli 1 ai 4 minuti) utilizzando almeno uno dei campioni musicali originali (massimo tre) disponibili sulla piattaforma risuonalaresistenza.it. La composizione deve riflettere i valori della Resistenza, dell’antifascismo. Regolamento su https://risuonalaresistenza.it/il-concorso-305/

Premi
I vincitori riceveranno riconoscimenti pubblici sul sito web risuonalaresistenza.it. Al primo classificato verranno assegnati 500 euro in denaro. Altri premi minori saranno annunciati durante il concorso.

La data di scadenza per le iscrizioni e per il caricamento dei brani è il 15 marzo 2024. La giuria è formata da Elisa Salvalaggio, Giorgio Mirto, Andrea Maggiora, Edoardo Dadone, Francesco Salinas e Max Borella.

«Dopo 60 anni dal Concerto per la Resistenza al teatro Gobetti, Arci Torino di nuovo si appella alla creatività musicale per celebrare la Resistenza e l’Antifascismo. Questo concorso è un omaggio alla libertà di espressione conquistata nel 45’ grazie alla lotta partigiana e vuole essere di stimolo per la comunità artistica a non dimenticare quella possibilità che ci è stata donata con il sacrificio di tanti» afferma Max Borella per Arci Torino. E conclude: «Come allora fece la dirigenza Arci con Mosso, Ferrari e Ferraresi anche oggi vogliamo stimolare il mondo artistico emergente a non dimenticare, a continuare a comporre e a costruire cultura per celebrare il momento che è la base della conquista di tutti i nostri diritti e mattone fondamentale del nostro futuro e della nostra felicità».

Il manifesto di “Librolandia” è di Sara Colaone

La XXXVI edizione del Salone del libro sarà ispirata alla raccolta di scritti intitolati “Vita immaginaria” di Natalia Ginzburg, uscita esattamente cinquanta anni fa.

“Questo salone – spiega Annalena Benini, la direttrice editoriale – rappresenta un omaggio alla vita immaginaria, in tutte le sue forme, al suo modo creativo, malinconico, fiducioso e sempre nuovo di creare altri mondi e di farli incontrare, sperando che qualcuno di essi possa diventare reale”.

“Il manifesto di quest’anno – aggiunge Annalena Benini – è stato creato dall’illustratrice Sara Colaone ed è il racconto di un territorio dove lo sguardo si fa libero di immaginare e di contemplare vite e pensieri che crescono in modo autonomo. Un inno alla immaginazione e alla comunità, un invito a inventare insieme mondi nuovi e spazi nuovi, che appartengono alla collettività. Sogniamo insieme pagine, parole, vite che già esistono e si nutrono”.

MARA MARTELLOTTA

Graal e Sindone a Torino: leggende fra magia e religione

Spesso magia e religione sono due mondi che condividono alcune sfumature. Entrambe infatti si occupano della sacralità, in maniera differente. Non c’è da stupirsi dunque che la città esoterica per eccellenza presenti anche una forte impronta di matrice cattolica. Infatti attorno ad essa orbitano proprio le storie di due reliquie di estrema importanza per la cristianità: si tratta del Graal e della Sindone, di cui Torino pare che custodisca i segreti e le storie.

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Graal Sindone Torino

Graal e Sindone: Torino e le leggende

Il Sacro Graal è, secondo il mito, il calice con cui Gesù celebrò l’ultima cena e il contenitore in cui Giuseppe di Arimatea raccolse il suo sangue durante la crocefissione. Infatti l’etimologia della parola pare derivare dal latino medievale “gradalis” (vaso), poi storpiato nel francese “Greal”: da qui nasce l’equivoco linguistico che trasforma il “san Greal” in “sang real”. Questa accezione del sangue reale andrà poi a gettare le basi al mito fondativo della dinastia dei Merovingi, che fecero risalire la loro stirpe ai figli di Cristo e Maria Maddalena.

Tutte queste narrazioni sono delle rielaborazioni fantastiche, dovute principalmente all’ampia letteratura che si è ispirata a quest’oggetto. Infatti si può trovare nei poemi cavallereschi francesi, principalmente nell’opera di Chretien de Troyes. L’autore l’ha associato per la prima volta alla figura di Parsifal, eroe del ciclo arturiano. Secondo le leggende metropolitane il Graal è collegato alla Gran Madre. In particolare per trovarlo risulterebbe fondamentale la statua che regge una coppa e scruta oltre il fiume. Seguendo il suo sguardo sarebbe possibile risolvere uno dei misteri più grandi di tutti i tempi.

 

Graal Sindone Torino Duomo I Il Torinese

I fatti storici

La Sindone invece è conservata all’interno del Duomo di Torino ed è visibile al pubblico solo in determinate occasioni di ostensione. Si tratta di un lenzuolo su cui è riportata l’impronta di un uomo con una corona di spine, che presenta delle ferite compatibili con una morte in croce. Dal 1889, momento in cui è stato reso pubblico il negativo di una foto scattata a questo sudario, sono iniziate varie indagini scientifiche per comprenderne la natura ed attestarne l’autenticità. Solo recentemente però è stata rilevata una datazione più precisa. La prova del carbonio 14 ha collocato storicamente la Sindone in un periodo che può variare dal XIII al XIV secolo.

La sua presenza a Torino è principalmente dovuta alla casata dei Savoia: il prezioso lino infatti era di proprietà di Goffredo di Charny. L’uomo lo donò alla Collegiata di Lirey. Dopo la sua morte, tornò in possesso della figlia Margherita a causa della guerra civile: il timore infatti era quello che potesse venire distrutto durante gli scontri. La donna però ne approfittò per venderlo ai Duchi nel 1453, scatenando non pochi malumori. Fu infatti scomunicata e citata in giudizio per ripristinare i precedenti equilibri, ma senza successo. Inizialmente il velo venne conservato a Chambéry ma poi venne trasportato da Emanuele Filiberto a Torino nel 1532. Fu questa infatti l’occasione del trasferimento della capitale dalla Francia al Piemonte.

Prima di queste date alcune fonti storiche ne riportano l’esistenza: l’unico dato sicuro risiede nella sua comparsa nella cittadina di Lirey a metà Trecento. Non si è tuttora riusciti a ricostruire in maniera certa la sua origine -anche se sono state rilevate tracce di pollini della Terra Santa- e il suo eventuale percorso fino all’Europa.

Francesca Pozzo

Leggi anche – Torino e le leggende fondative: il toro rosso e la discendenza egizia

La gara di scrittura per aspiranti scrittori

Bob Marley one Love, sugli schermi dal 22 febbraio

Bob Marley one Love, sugli schermi dal 22 febbraio la vita ,la storia, la musica del re del reggae. Le lotte in Giamaica, il successo ,le tournée, il ritorno in patria in un concerto che ha riunificato l’ isola Caraibica. La vita di un bambino come tanti cresciuti con i suoi fantasmi, una grande fede che le ha permesso di vivere e fare della sua
musica un mezzo di  lotta contro l’oppressione politica e razziale e all’invito all’unificazione dei popoli di colore come unico modo per raggiungere la libertà e l’uguaglianza. L’aspetto politico della sua vita è stato più importante di quello artistico. Un film bello che esalta la breve ed intensa vita del famoso musicista Giamaicano.

GD

Un ballo in maschera, il Maestro Riccardo Muti torna al Teatro Regio per il capolavoro verdiano

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Atteso ritorno al teatro Regio di Torino di Riccardo Muti  per dirigere l’Orchestra e il Coro del teatro Regio e un cast di interpreti di eccezione in ‘Un ballo in maschera’ di Giuseppe Verdi.

Il nuovo allestimento andrà in scena per sei recite da mercoledì 21 febbraio prossimo fino a domenica 3 marzo ed è firmato da Andrea De Rosa, direttore del TPE teatro Astra di Torino

Saranno protagonisti del capolavoro verdiano Piero Pretti nei panni di Riccardo, Luca Micheletti, protagonista dell’ultimo don Giovanni, nel ruolo di Renato, e Lidia Fridman in quello di Amelia.

“Siamo emozionati e orgogliosi di accogliere nuovamente al teatro Regio il maestro Riccardo Muti – dichiara Mathieu Jouvin – insieme al direttore artistico Cristiano Sandri abbiamo programmato la stagione 2023/2024 intitolata ‘Amour toujours’intorno a due punti centrali, Giacomo Puccini, nell’anno delle celebrazioni del Centenario, e la presenza straordinaria del maestro Muti con una nuova produzione del capolavoro verdiano”.

Regista teatrale di prosa e opera lirica, Andrea De Rosa è statodirettore del Teatro Stabile di Napoli e ora è  alla direzione del TPE teatro Astra di Torino. Poche opere verdiane ebbero tanti problemi con la censura come “Un ballo in maschera “. Nel 1859, anno della sua prima messinscena, era scandalosa unadrammaturgia che prevedesse un regicidio, una scena di magia e un amore extraconiugale. Per Verdi fu una sfida irrinunciabile.

“La corte di Riccardo, governatore di Boston – afferma Andrea DeRosa  descrivendo un ‘Ballo in maschera’ – sarà costantemente immersa in un clima di festa. Sin dalla prima scena tratteggerò un’atmosfera di spossatezza, stanchezza, ubriacatura, come sefossimo alla fine di uno dei tanti balli in maschera che si svolgono in questa casa. Ho immaginato un Riccardo Giovine che, prima di essere governatore, è un uomo che sprigiona un’energia vitale simile, per certi versi, a  quella di don Giovanni. Per un uomo così l’amore impossibile per Amelia, la moglie del suo migliore amico, diventa il limite invalicabile che egli è tentato di scavalcare. Il lato oscuro di questo amore, che trascina i malcapitati verso la rovina e la morte, avrà il volto di Ulrica, maga e veggente che, come le streghe in Macbeth, darà la spinta definitiva a quello che stava già precipitando.

La maschera sarà il tema centrale di tutta l’opera, non soltanto nel Ballo finale, ma nella messa in scena di tutto lo spettacolo.

Il melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Antonio Somma tratto dal dramma di Eugène Scribe, “Gustave III, out le bal masqué” debuttò al teatro Apollo a Roma il 17 febbraio 1859 e non a Napoli come previsto, dopo un’estenuante disputa con la censura borbonica che impose a Verdi di mascherare i messaggi potenzialmente antimonarchici al centro della vicenda. Riccardo, conte di Warwick e governatore di Boston, Renato, suo segretario, Amelia, moglie di Renato, questi i personaggi principali. Il conte ha organizzato un gran ballo in cui potrà rivedere Amelia, la donna di cui è innamorato segretamente, ma che è sposata con Renato. Questi lo avverte di una congiura ordita dai suoi nemici Samuel e Tom, mentre l’indovina Ulrica predice che la morte di Riccardo avverrà per mano di Renato,  profezia che nessuno ascolta. La scoperta dell’amore tra Riccardo e Amelia convince Renato a collaborare per uccidere il conte. Tutto accade durante la celeberrima scena del ballo in maschera quando Riccardo viene colpito a morte da Renato, accecato dalla gelosia.

Nell’opera, tratta da una storia vera, convivono in equilibrio magistrale il comico e il tragico, la frivolezza del paggio Oscar,  unico personaggio en travesti del teatro verdiano, e la passionalità del duetto d’amore del II atto e della grande aria di Renato “Eri tu che macchiavi quell’anima”.

La nuova produzione si avvale delle scene estremamente elegantie raffinate di Nicolas Bovey, premio Ubu 2021 per la miglior scenografia de “La casa di Bernarda alba” e “Le sedie”, premio Ubu 2022 per il miglior disegno e luci de “La signorina giulia” e “I due gemelli veneziani”.

I costumi sono firmati da Ilaria Ariemme, torinese, ma che vive e lavora a Milano. I movimenti coreografici sono di Alessio Maria Romani, le luci di Pasquale Mari. Il coro del teatro Regio è istruito  dal maestro Ulisse Trabacchin.

Muti sarà nuovamente sul podio del Teatro Regio dopo esservi stato in “Così fan tutte” di Wolfgang Amadeus Mozart, presentato in streaming nel marzo 2021, e dopo Don Giovanni, sempre di Mozart, nel novembre 2022.

L’Anteprima Giovani, riservata agli under 30, è in programma lunedì 19 febbraio alle 20.

MARA MARTELLOTTA

Emma Stone è Belle, un lungo percorso verso la conoscenza e la libertà

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Yorgos Lanthimos, ateniese d’origine e classe 1973, fa cinema ormai da più di vent’anni, ventitrè per l’esattezza, lasciando presto le sponde dell’Egeo per essere chiamato a Hollywood e trovarvi successi e candidature agli Oscar e opere controverse. Film che non possono esimere nessun critico o spettatore dalla discussione, anche la più accesa, film che sconquassano, che non ti lasciano certo indifferente. Capolavori, come qualcuno li definisce senza alcun freno? Interessanti, controversi, barocchi, discontinui, assurdi, violenti, eccessivi, insopportabili, ammirevoli. Si ammirano e/o si detestano. Esci e avverti che qualcosa ti hanno lasciato, altro ti hanno immesso a forza. Capolavori io definirei “Il sacrificio del cervo sacro” e “La favorita” per la loro interiore quanto diversa “bellezza”, su altri titoli dubito.

Oggi, dopo il Leone d’oro veneziano, dopo gli osanna arrivati dalla stragrande parte della critica, arriva sugli schermi “Povere creature!” – con tanto di punto esclamativo ben in vista rispetto all’originale “Poor Thinghs” – che il regista ha affidato in primo luogo alla sceneggiatura di Tony McNamara, scivolato a sua volta nelle pagine dell’omonimo romanzo dello scozzese Alasdair Grey, scomparso nel 2019. E ci ritroviamo nuovamente a decidere quanto e se l’ultima fatica possa godere del termine “capolavoro”. Due Globe alle spalle e undici candidature agli Oscar di marzo, e qui pare che abbia già parecchie certezze sui podi definitivi e più alti: pieni convincimenti? leggi del cinema d’oltreoceano? la finale quanto inevitabile lotta con il superfavorito (assai più robusto) “Oppenheimer” per cui qualcuno non dormirà la notte e che dal giorno dopo la premiazione farà versare gli antichi fiumi d’inchiostro?

In una Londra vittoriana spruzzata qua e là da tracce di una fantasiosa modernità (scenografie di Shona Heath e James Price, oscarizzabilissimi, come i costumi della collega Holly Waddington), una donna, elegante nel suo abito blu, si suicida gettandosi da un ponte. In una fotografia (di Robbie Ryan, altra candidatura altra statuetta?) in bianco e nero, che si aprirà poi a sinfonie di colori, chiuso al riparo del suo gabinetto scientifico, cultore del più freddo positivismo, con il solo aiuto di un dolcissimo quanto in seguito innamoratissimo assistente, agisce il professor Godwin Baxter (Willem Defoe) – un viso distrutto e vistosamente ricucito, larghe orribili fessure che lo attraversano, una sorta di Frankestein uscito dalla mente di Mary Shelley, lo si udrà chiamare semplicemente God, radice divina, come il Godot beckettiano – che riporta alla vita la povera donna innestandole il cervello del feto che aveva in grembo. Ha inizio una storia d’amore e di protezione, una storia che s’immerge nell’horror, un percorso di ribellione e di emancipazione, un attraversamento di gironi danteschi a far assaporare tutto il male della terra, un urlo contro la sopraffazione dell’uomo nei confronti dell’essere femminile? Bella, questo il nome della nuova creatura, poco a poco impara ad assumere la posizione eretta, a leggere e a scrivere, a mangiare senza sputare nel piatto o addosso a chi è a tavola con lei; impara e predilige alla scoperta il piacere sessuale, quotidiano, mai trattenibile, fuori di ogni norma e misura.

Per soddisfarlo maggiormente, seguirà un avvocato (l’istrionico, famelico Mark Ruffalo), un bellimbusto che le farà gustare piaceri e viaggi attraverso varie città europee e non solo, sino all’ultima tappa parigina, in cui l’amante è messo di fronte ad una brusca ribellione e abbandona l’impresa, mentre Bella può anche saggiare i peccati del bordello e la varietà di esseri che ci bazzicano in cerca di compagnia. Nel ritorno a casa, sarà Bella a uscire netta vincitrice al traguardo di quel lungo, estenuante, eroticissimo (intriso di filosofia nelle chiacchierate di una coppia con cui si ritrova ad attraversare il mare) cammino: annientando in ultimo anche un preteso consorte, avendo appreso appieno quella scienza che un tempo vedeva operare dal suo forse folle professor Godwin.

Surreale, felicemente fanciullesco (come non sorridere davanti a quegli pseudo animali usciti fuori da una favola e dagli esperimenti di God?), sghembo, furbo (figuriamoci se il cinema si lasciava scappare il soggetto di Grey), liberissimo e trasgressivo come forse di rado si è visto sullo schermo, ardito per quanto riguarda il corpo (spesso nudo) e la interpretazione della protagonista, nonché coproduttrice, Emma Stone (è da incubo vedere come Lanthimos sappia rigirarsela tra le mani qui, dopo i già alti livelli della “Favorita”, e guardare soprattutto nella parte iniziale – la più convincente – i movimenti, le giravolte, gli squilibri, i gorgoglii, i gesti inaspettati con cui l’attrice riempie la sua Belle), probabilmente prossima migliore attrice anche se (e direi che il doppiaggio italiano insiste su questo versante) con lo svilupparsi del personaggio nelle varie stazioni di quella che potremmo intendere come la sua “crescita” tenda ad appiattirsi, s’egualizzi in una fissità (forse imposta?) che sottrae qualcosa a Belle. Anche se “Povere creature!” esula dal cinema che sta nelle preferenze e negli amori di chi scrive queste note, è innegabile la visionarietà, la costruzione di perenni fuochi d’artificio, la folle e strampalata immaginazione, il desiderio di stupire, il talento, il piacere nello sbrigliare il cervello e la pancia, da parte del regista, in un susseguirsi senza freni, smodato, ineguagliabile, di invenzioni e di aridità di (umani?) sentimenti, di sensazioni venute su allo stato brado. Viene il desiderio di andarsi a leggere subito subito “Poor Things” per vedere, conoscendo come a volte siano più stretti i confini del cinema, quanto della pagina scritta sia stato trasportato con fedeltà – tutta? in parte? – sullo schermo, quanto le pulsioni, gli smodati appetiti, la sfrontatezza, i desideri irrefrenabili, le novità di prospettiva, la lotta forse non del tutto chiarita della protagonista nemmeno a se stessa siano state rese da Lanthimos.

Il Bolero di Sarajevo nel giorno di San Valentino

ACCADDE OGGI

Quattordici febbraio 1984, giorno di San Valentino. Quarant’anni fa a Sarajevo si svolgevano le XIV Olimpiadi invernali, ultima grande occasione di festa e di pace prima che la città finisse sotto assedio nella prima parte della “decade malefica” dei conflitti balcanici nell’ultimo scorcio del Novecento, segnata dalla violenza e dalle atrocità della guerra. Attorno a Sarajevo le montagne innevate (il Trebevic, dalla vetta del quale si domina la città; l’Igman, severo e imponente; la Bjelašnica, immensa e bianca principessa delle nevi, e l’impettita Jahorina) ospitarono gran parte delle gare. Di fronte allo stadio Olimpico, nel quartiere di Koševosotto le volte del palaghiaccio Zetra, una coppia di pattinatori inglesi di Nottingham, Jayne Torvill e Christopher Dean, raccolsero un incredibile successo nella danza su ghiaccio in una gara contro i rappresentanti dell’allora Unione Sovietica, Natalja Bestemianova e Andreij Bukin. Una gara entrata nella storia del pattinaggio e che nessuno potrà mai dimenticare. La coppia dell’URSS presentò nella danza libera, ultima prova della disciplina, la Carmen di Bizet ma Torvill e Dean trionfarono sulle note del Bolero di Maurice Ravel con una interpretazione che fece venire i brividi agli spettatori. Fu qualcosa di straordinario, di irripetibile e i due pattinatori danzarono leggeri sul ghiaccio come creature appartenenti a un altro mondo. Il loro fu un programma perfetto che meritò l’oro olimpico e dodici sei, il massimo punteggio raggiungibile a quel tempo. Jayne Torvill e Christopher Dean entrarono a buon titolo nella leggenda delle olimpiadi e trent’anni dopo tornarono nel giorno della festa degli innamorati nello stadio Zetra ricostruito dopo la guerra, e pattinarono nuovamente accompagnati dal ritmo incalzante e sensuale del grande compositore francese. I fondi raccolti con l’esibizione vennero utilizzati per costruire una pista di pattinaggio permanente e il ricordo di quella giornata è rimasto impresso negli occhi di chi ama le evoluzioni artistiche sul ghiaccio e crede nello sport come mezzo di promozione di una cultura di pace e dialogo.

Marco Travaglini