CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 151

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Melissa Panarello “Storia dei miei soldi” -Bompiani- euro 18,00

E’ stata una delle candidate al Premio Strega, Melissa Panariello, che aveva esordito a soli 17 anni con “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire”, diventato subito un caso letterario e trasposto in un film di Luca Guadagnino nel 2005.

Ora è in lizza con questo nuovo romanzo che racconta come sia possibile definire una persona anche dal modo in cui gestisce il suo denaro.

Molto più che un semplice calcolo economico, perché a ben guardare dall’estratto conto si possono capire un’infinità di cose. Il modo in cui i soldi li guadagniamo, li gestiamo, sperperiamo o risparmiamo, cosa e come compriamo, sono tutti indicatori di come siamo fatti. Insomma: dimmi come spendi e ti dirò chi sei.

In queste pagine la Panarello racconta l’incontro di due donne i cui destini si erano in un certo senso incrociati anni prima, poi avevano preso direzioni divergenti.

Una è la scrittrice di successo Melissa, che si è costruita una carriera e una famiglia dopo l’esordio strepitoso all’epoca in cui era appena 17enne.

L’altra è l’attrice Clara, che aveva interpretato la protagonista nella trasposizione cinematografica del romanzo della prima.

Melissa (voce narrante) dopo anni incontra per caso e per la prima volta l’ex attrice Clara che, dopo l’inaspettato trionfo, la fama e il denaro, ora è precipitata nell’indigenza più nera.

Il romanzo parla di successo, autodistruzione, rapporto tra donne e denaro. E mette a confronto due personaggi che hanno toccato la vetta quando erano giovanissime e poi, laddove una ha saputo costruirsi una vita gratificante, l’altra, invece, ha finito per fidarsi di persone sbagliate, perdere tutto e precipitare nella miseria.

L’incontro del tutto casuale tra Melissa e Clara darà l’avvio a un insieme di sviluppi che animano il romanzo.

 

 

Elizabeth Day “Confessioni di un’amica” -Neri Pozza- euro 19,00

 

Quanto è salvifica e di cosa è fatta l’amicizia tra donne?

A sondare l’argomento ci prova la giornalista, scrittrice e guru inglese Elizabeth Day con questo libro il cui titolo originale in inglese è “Friendaholic”, che rende meglio l’idea di una vera e propria dipendenza dall’amicizia.

Tra riflessione e memoir l’autrice si chiede se la relazione tra amiche possa accostarsi a quelle romantiche, e se si, in che modo e quando. Indaga intervistando più donne diverse tra loro per età, formazione, esperienze, emozioni e modo di intendere ed affrontare la vita.

Tra le voci del libro, quella di un’artista 25enne che, alla morte della madre, quando lei aveva appena 15 anni, si è aggrappata alle amiche, diventate nucleo protettivo nei complessi anni della crescita e di fatto la sua famiglia.

Ma ci sono anche: una matura 68enne, una 35enne legata soprattutto a due migliori amiche, una studentessa di 10 anni e la sua intesa innanzitutto con il fratello e la sorella più un pool di amici e amiche.

Di testimonianza in testimonianza, le pagine ci riconfermano che l’amicizia, se costruita in un certo modo, spesso è un potente antidoto alla solitudine.

 

 

Carmen Mola “La sposa gitana” -Salani- euro 18,00

Carmen Mola è lo pseudonimo adottato dai tre scrittori e sceneggiatori che hanno scritto a 6 mani il precedente thriller di successo “La bestia” (ambientato a Madrid, oltre un milione di copie vendute e 600 mila euro vinti con il Premio Pianeta).

Sono il 54enne Antonio Mercero, il 61enne Jorge Díaz Cortéz e il 48enne Augustín Martínez. Sceneggiatori di serie tv di successo che un bel giorno hanno deciso di cimentarsi applicando lo stesso metodo di lavoro a un romanzo. Il nome di donna è stato scelto per focalizzare l’attenzione dei lettori sulla trama e non sul pool di autori.

Ora il collettivo mette in scena il ritrovamento del cadavere di una ragazza in abito da sposa, abbandonato come un manichino disarticolato in un parco periferico di Madrid. Il punto è che questo brutale omicidio è la fotocopia di uno analogo avvenuto 7 anni prima.

C’è di più, le due vittime erano sorelle, e sono state uccise allo stesso modo, alla vigilia del loro matrimonio.

Ora il colpevole del primo assassinio è in carcere da anni, allora chi lo sta emulando?

A indagare è l’ispettrice Elena Blanco, detective trasgressiva che fa parte della Bac, ovvero la Brigada de Analisis de Casos, squadra madrilena sguinzagliata per risolvere i casi più difficili ed intricati.

 

 

Jordan Harper “Tutti sanno” -Neri Pozza- euro 20,00

E’ un romanzo del tipo vecchia scuola “Hard boiled” con l’aggiunta di una lingua spedita e incisiva, derivante dall’esperienza di Harper come sceneggiatore e produttore televisivo che vive a Los Angeles.

Protagonista è Mae Pruett che di mestiere fa la protettrice dei vip losangelini carichi di soldi, perversioni e capacità sovrana di infilarsi dritti dentro ai guai. Scenario del libro è il famoso hotel Chateau Marmont, strettamente legato alla storia dei divi di Hollywood.

Val la pena ricordare che in quelle stanze hanno trovato la morte John Belushi stroncato da un overdose e Jim Morrison precipitato da un balcone. E sempre nel mitico hotel avevano soggiornato Polanski e la moglie Sharon Tate prima che la furia del satanico Charles Manson la straziasse, lei e il bimbo che portava in grembo.

Il lavoro di Mae non è di quelli facilissimi; deve tenere i vip al riparo dai media, ripulirne la reputazione, farli uscire indenni da situazioni off limits. A complicare la vita della ragazza c’è anche l’omicidio del suo capo, Dan Henningan, trovato morto nel famoso Sunset Boulevard.

Sullo sfondo campeggia una Los Angeles spietata, intrisa di corruzione, strapotere di personaggi potentissimi e dall’anima nera che fanno parte di una rete occulta. Come si destreggerà la protagonista tra bene e male?

Being Orlando in Iran

Nella cornice del public program della mostra Tradu/izioni d’Eurasia Reloaded, il MAO è orgoglioso di ospitare martedì 4 giugno 2024 alle ore 18 una lecture/performance degli artisti Shadi Harouni e Mohammad Salemy.

“Orlando” di Sally Potter, liberamente ispirato al romanzo di Virginia Woolf, racconta la storia di un aspirante poeta di origini nobili che, convocato dalla regina Elisabetta I sul suo letto di morte, riceve dalla sovrana l’ordine di non “svanire, appassire o invecchiare”. Orlando si ritrova – immortale – in viaggio dall’Inghilterra a Costantinopoli e agli Stati Uniti per cercare l’amore, fare arte e occupare un posto nel mondo. A un certo punto, si risveglia in un corpo di sesso opposto, rischiando così di perdere i diritti di proprietà, mentre assiste a molteplici eventi storici da posizioni molto diverse.
Orlando è un testimone che interagisce con il mondo, scrivendosi dentro e fuori la storia.
Questa oscillazione assomiglia all’esperienza che molti iraniani vivono, nel loro Paese o all’estero, spiazzati da grandi lacerazioni e trasformazioni regionali. I membri della diaspora, in continua crescita, sono testimoni dei principali eventi storici, che osservano da lontano e attraverso le narrazioni storiche del passato.

In questa lecture/performance, Shadi Harouni e Mohammad Salemyabbracceranno la posizione di testimoni della trasformazione storica delle strutture sociali iraniane. Combinando le narrazioni storiche con le conoscenze vernacolari e la mitopoiesi, intrecceranno storie alternative del loro Paese attraverso molteplici prospettive epistemiche.

Utilizzando la loro ricerca e la loro pratica artistica come linea del tempo, Harouni e Salemy evocheranno e contempleranno le storie emotive, formali, personali e collettive della speranza e della disperazione, così come si sviluppano all’interno di movimenti politici di massa, colpi di stato, guerre, rivoluzioni e altre rotture storiche.

La scultura di Shadi Harouni, MOSADEGH*, per la quale Mohammad Salemy ha scritto un testo pubblicato nel libretto della mostra Trad u/i zioni d’Eurasia, funge da punto di partenza per questa conversazione visiva tra i due.

*MOSADEGH
Reza Nik era un calzolaio di Hamedan. Pochi giorni dopo la Rivoluzione, cambiò il nome del suo piccolo negozio in Mosadeqh, il nome del primo ministro eletto dell’Iran, deposto da un colpo di Stato della CIA. Installò un’insegna al neon con il nome, quattro lettere collegate che in farsi si leggevano MSDQ. Dopo circa un mese, le nuove autorità gli ordinarono di cambiare il nome del negozio. Reza Nik fece togliere la prima lettera e ora il negozio si chiamava Sedqh, che significa verità. Dopo qualche anno, anche la luce della S si spense. Il suo nuovo nome era Deqh, che significa morte per crepacuore. Così è rimasto.

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili.

Incontro in lingua inglese.

 

 

 

Shadi Harouni (Hamedan, Iran, 1985) è un’artista visiva con sede a New York.  Il lavoro di Harouni è incentrato su storie di cancellazione e resistenza negate, soprattutto nelle tradizionali terre d’origine curde, e collega silenziosi atti personali di dissenso a movimenti di massa globali. La pratica di Harouni intreccia modalità e media – film e fotografia, scultura e interventi site-specific con testi e folklore.

Harouni è borsista Guggenheim 2024-25 per il settore Film-Video. È educatrice, docente e direttrice di Video e Fotografia presso il Dipartimento d’Arte Steinhardt della New York University.

Mohammad Salemy è un artista, critico e curatore indipendente canadese con sede a Berlino. Ha conseguito un BFA presso la Emily Carr University e un MA in Studi critici curatoriali presso la University of British Columbia. Ha esposto le sue opere in Home Works 7 di Ashkal Alwan (Beirut, 2015), Witte de With (Rotterdam, 2015) e Robot Love(Eindhoven, 2018). I suoi scritti sono stati pubblicati su e-flux, Flash Art, Third Rail, Brooklyn Rail, Ocula, Arts of the Working Class e Spike. L’esperimento curatoriale di Salemy For Machine Use Only è stato incluso nell’undicesima edizione della Biennale di Gwangju (2016). Insieme a un cast in continua evoluzione, forma il collettivo di artisti Alphabet Collection. Salemy è organizzatore presso il New Centre for Research & Practice. Dal 2014 è organizzatore e co-fondatore del New Centre e caporedattore del suo braccio editoriale, Triple Ampersand. È anche il curatore di For Machine Use Only: Contemplations on Algorithmic Epistemology (&&&, 2016) e Model is the Message: Incredible Machines Conference 2022 (&&&, 2023).

Rock Jazz e dintorni a Torino. I Blonde Redhead e Gianluca Petrella

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. All’Hiroshima Mon Amour si inaugura la stagione del Sound Garden con il cantautore americano Micah P. Hinson.

Martedì. Allo Ziggy si esibiscono i Negative Approach. Al Milk suonano i Blonde Redhead.

Mercoledì. Al Blah Blah sono di scena i Total Chaos.

Giovedì. All’Off Topic si esibisce Ziùr. Cristina Donà insieme a Saverio Lanza presenta “Spiriti Guida” all’Hiroshima. Al Cafè Muller per il “TOM Fest” suonano i Metales del Terror. Al Blah Blah si esibiscono i Dirty Deep.

Venerdì. Al Planetario di Pino Torinese suona Gianluca Petrella. Alla Suoneria di Settimo tributo ai Suicide da parte di Lydia Lunch e Marc Hurtado. Al Blah Blah per “TOM Fest”si esibisce KillaBeatMaker e i Jukebox 74.

Sabato. Al Cafè Muller suonano gli Oratnitza. Al Margot di Carmagnola sono di scena i Call The Cops. Al Magazzino sul Po si esibisce Roberta Russo in arte Kyoto.

Domenica. Al Blah Blah Paolo Spaccamonti e Enrico Gabrielli accompagnano Antonio Rezza nel reading del suo romanzo “ il fattaccio”. Al Margot di Carmagnola suonano i Nebula.

Pier Luigi Fuggetta

I libri più commentati del mese

Ecco una piccola rassegna dei titoli più commentati dalla community de Un libro tira l’altro ovvero iL Passaparola Dei Libri nel mese di maggio:

I Giorni Di Vetro di Nicoletta Verna, molto dibattuto e apprezzato nel nostro gruppo, Redenta e Iris, due protagoniste che subito entrano nel cuore del lettore, le vediamo, si seggono a fianco a noi e non ci lasciano fino all’ultima frase; One Day, di David Nichols è tornato presente nelle discussioni grazie a una fortunata trasposizione televisiva e il suo autore è stato “riscoperto” e discusso anche nel nostro gruppo; Roberta Recchia è uno dei nomi più citati nelle nostre discussioni e Tutta La vita Che Resta un romanzo molto amato.

Incontri con gli autori

Questo mese abbiamo intervistato:

Marta Fanello è l’autrice di Modi Finiti  (Affiori, 2024) è il suo primo romanzo e racconta una storia di crescita, dagli inaspettati risvolti noir; Mirko Francesconi che torna con un romanzo autobiografico dal titolo  Quando Le Rondini Sfioravano La Strada (Tempo Al Libro, 2023)che  racconta una storia di crescita e rievoca l’Italia degli anni ’80 e ’90, tra ricordi e nostalgia; Vitaliano Fulciniti saggista che di recente si è cimentato con la narrativa, pubblicando Il Viaggio E La Mente (2024) una spy story dall’inconsueto taglio nostalgico.

 

Per questo mese è tutto. Vi invitiamo a seguire Il Passaparola dei libri sui nostri canali sociali e a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: La frociaggine – Matteotti – Lettere

La frociaggine
L’espressione certo non raffinata ne ‘ rispettosa usata da Papa Francesco ha suscitato l’indignazione di molti tra cui quella del raffinato teologo fuori le righe Mancuso. Nel linguaggio popolare “froci” rappresenta il popolo gay da tempo immemorabile. Il punto non è il sostantivo, ma se sia inopportuno o meno che i  seminari già in crisi di vocazioni siano pieni zeppi di gay. Qual è l’insegnamento del magistero – dimenticato da tempo – e la realtà dei fatti ? Può essere un fatto marginale per un futuro sacerdote l’omosessualità? Bisognerebbe uscire dalle frasi di circostanza del politicamente corretto e vedere senza le deformazioni del politicamente corretto la realtà. Senza la rozzezza da caserma  del generale in cerca di voti, ma anche senza aver compreso davvero cosa sia un seminario per futuri sacerdoti cattolici  a cui è fatto obbligo il celibato, oggi considerato sempre più di  un ‘ipotesi di vita lontana dai nostri tempi libertini senza regole? La Chiesa ha conosciuto secoli bui da cui Concili e riforme hanno cercato di riscattare la navicella di Pietro governata dallo Spirito Santo. Oggi ridurre la fede all’ essenziale, guardando alla pace e alla guerra e all’ odiata ricchezza  è  sufficiente? Il sesso come elemento indifferente e  marginale e ‘ cosa non facile da accettare. Tutto è permesso a tutti porta lontano dalla Chiesa e dalla sua storia .
Invece di Mancuso vorrei sentire cosa ne pensava un pastore di vocazioni come don Bosco . La chiesa divorata da questo nuovo modernismo di costumi più che di idee,  lascia perplessi . Vorrei sapere cosa ne penserebbe il grande prete spretato don Ernesto Buonaiuti. Con il pifferaio  Mancuso siamo finiti nella “palude” protestante con che le chiese sempre più deserte. Essere laici cioè tolleranti è tutt’altra cosa. Una fede senza certezze è  un non senso.
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Matteotti
L’anniversario del rapimento di Giacomo Matteotti ha fatto compiere il miracolo: la presidente del Consiglio ha parlato di squadracce fasciste, anche se in effetti i sicari di Matteotti erano qualcosa di più di semplici squadristi; adesso la Meloni ha compiuto il gran passo, esprimendosi su un episodio- simbolo della storia del fascismo che proprio con l’ omicidio Matteotti diventò regime. Ha sgomberato il campo in una sede istituzionale come la Camera dove il discorso di Matteotti costò la vita al deputato socialista rapito il 10 giugno 1924. E dovrà coerentemente trarne le conseguenze in tutte le sedi storiche, condannando il fascismo, senza salvarne una parte buona rispetto a quella cattiva. Meloni non si è spinta a dichiarare il fascismo come “male assoluto” al pari di Fini  anche perché gli assoluti nella storia non esistono.  Rimarrà una nostalgia di fondo  da sfoderare solo in casa? Gli anniversari del regime cadranno a ripetizione nei prossimi decenni. Forse sarebbe ora che anche un più ampio riconoscimento di cosa fu il comunismo, anche quello italiano, sarebbe sarebbe opportuno che fosse evidenziato da chi continua ad esaltarlo. Anzi, forse basterebbe da parte di  tutti del pieno riconoscimento della democrazia sancita dalla Costituzione che seppe guardare non al passato che divide, ma al futuro che dovrebbe unire. Ma il cammino della storia dei popoli è un cammino spesso tormentato ed imperscrutabile e non bisogna mai dare nulla per scontato. La pianticella della libertà è sempre fragile e le tempeste economiche e le guerre possono farla  appassire e crollare in modo non prevedibile. E’ per questo che bisogna sempre vigilare contro i  nuovi pericoli in agguato. La storia non si ripete, ma può manifestarsi in nuove forme sempre più insidiose di malattia.
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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com
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Movida elettorale
Nei bar e nei locali del centro e della periferia sono esposte  in grande evidenza locandine di un candidato progressista di “Stati Uniti d’Europa “che propone di rilanciare la movida a Torino. Cosa ne pensa?     Giusy Ambro  San Salvario
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La fantasia dei candidati è smisurata. C’è’ da stupirsi che la candidata presidente Pentenero si faccia sostenere da candidati che vedono nella movida il futuro del Piemonte. Pentenero fino a pochi giorni fa era assessore alla Polizia urbana che stenta a controllare un fenomeno che non porta migliorie, ma chiasso e rumori fastidiosi fino alle ore piccole, creando disturbi al sonno e alla quiete dei cittadini.

Tutti alla ricerca di una chiave: o c’è dell’altro?

Il panico” di Spregelburd, uno spettacolo difficile ma di gran successo

Il nome di Rafael Spregelburd – attore, drammaturgo e regista teatrale argentino, oggi 54enne, tradotto ormai in una ventina di lingue, autore residente in teatri inglesi e tedeschi, una trentina di opere proposte in Sud America, in Europa e negli Stati Uniti – circola con sempre maggiore curiosità e convinzione nelle sale teatrali di casa nostra, più o meno dal 2008, con il lavoro dell’abituale traduttrice Manuela Cherubini (un lavoro pressoché intimo, sempre più profondo, “il primo incontro è stato quello con le sue opere, e per conoscere e comprendere meglio sono stata a lungo a Buenos Aires, a guardare da vicino questo “Pinter tropicale”, a guardare dove vivesse, quale fosse l’ambiente teatrale in cui era possibile concepire opere così straordinariamente classiche e rivoluzionarie”; un affetto e una partecipazione presto contraccambiati, “quello che ha avuto tra le mani Manuela Cherubini, la più coraggiosa traduttrice italiana, caro spettatore, fu soltanto la mappa del labirinto, attraversarlo è un altra cosa, e traghettarlo verso un’altra cultura, tramite una traduzione, è un atto di fede e di empatico coraggio”), con la pubblicazione della sua intera “Eptalogia”, con le principali messe in scena di Ronconi (di cui non si disse particolarmente soddisfatto) e di Juri Ferrini, che dopo “Lucido” ha affrontato per la presente stagione dello Stabile torinese “Il panico”: con una regia tutta fuochi d’artificio, impetuosa, folgorante, intelligente, molto aiutato dall’ambiente fisso inventato da Anna Varaldo, nei colori rosso e giallo di esplicita memoria almodovariana (e penso che ad Almodovar imbattersi in Spregelbrud piacerebbe un sacco).

Il panico” è parte di un vasto disegno teatrale che nasce nel 1996, guardando alla tavola dei “Sette peccati capitali” dovuta al fiammingo Hieronymus Bosch, un accumularsi di infiniti e godibilissimi dettagli che impediscono la distinzione di un centro che ti venga in aiuto per la più soddisfacente disanima, la rappresentazione con linguaggio moderno della dissoluzione morale del nostro tempo come il pittore mostrava quella di un Medioevo prossimo ad un Umanesimo “non ancora definito”. Sette testi per sette peccati, che guardano alle colpe antiche per sviscerare le colpe moderne, sette opere che avrebbero dovuto essere brevi nella loro stesura, di facile e non costoso allestimento, magari date in contemporanea in sette teatri della città o una per ogni singolo giorno della settimana. Al contrario, in molti casi, le parole si sono moltiplicate alle parole, i personaggi ai personaggi, e se “L’inappetenza” ha una durata di “soli” venticinque minuti altri testi (“La stupidità”) possono arrivare alla durata delle quattro ore. Un arcipelago teatrale che può sconvolgere, spostare la mente e l’attenzione, dare delle certezze allo spettatore e rovesciarle dopo un attimo, legarsi a quella mancanza di punto focale e perdere (e far perdere) un intero percorso che logicamente debba avere un inizio e una sua conclusione.

Moduli, impressioni, sconcerti che rientrano perfettamente nel “Panico”: che tout court altro non è che il peccato dell’accidia, un ensemble di persone affannate a percorrere la propria vita, a tentare due o tre lavori, a correre senza requie nella ricerca di questo o di quello. Che -inoltre – a seguire ancora le parole della Cherubini – di perfetto aiuto nel dovere di districarsi in quello che è e rimane un rabbuiato labirinto – “è la parodia di un b-movie sulla trascendenza e sulla vita dopo la morte: la costruzione di una spiritualità attraverso banali strumenti retorici e grotteschi, con un riferimento alla contingenza della recessione argentina del 2001 (con la chiusura delle banche)… torna a emergere con chiarezza la messa in discussione del concetto di famiglia, che qui troviamo alle prese con la morte di un padre, fratello, amante, tra fantasmi incoscienti di esserlo ed esseri umani inconsapevoli di essere vivi”. Dove forse quel perno che cerchiamo (mentre in scena si catapultano ballerine tarantolate, un’agente immobiliare, una coreografa, un travestito e altri appartenenti ad una copiosa fauna umana) potrebbe essere la ricerca di una chiave che aprirebbe una cassetta di sicurezza, capace con il proprio contenuto di dare sicurezza ad una intera famiglia, lasciata ben nascosta in casa dallo scomparso Emilio qui ridotto a fantasma: ma siamo sicuri che sia quello il perno che stiamo cercando? Forse per un attimo (una delle scene più divertenti dello spettacolo visto al Gobetti in finale di stagione, capitanata in grande stile da una Arianna Scommegna in vero stato di grazie, certo non dimenticando i suoi compagni, Dalila Reas, Michele Puleio, Viola Marietti con una Roberta Calia d’eccezione come funzionaria di banca) ma non poi avanzando nello spettacolo (ma è lecito definire “Il panico” semplicemente “spettacolo”?); potrebbe essere il terapeuta (Ferrini) che visita la prigioniera in carcere (ancora la Calia, irriconoscibile, diversissima, ancora una bella prova) ma anche questo sbandamento non convince; perché non la sfacciata Susana (Elisabetta Mazzullo, un’altra pedina della serata che semina successo), con un linguaggio che corre a ruota libera, alle prese con il pupo di casa in fatto di grandi offerte erotiche.

Sta allo spettatore cercare, scegliere, muoversi (“non si tratta di opere semplici, ma sì, questo lo posso assicurare, in termini assoluti divertenti”, ancora la traduttrice) mentre non ha quel dizionario di riferimento che non solo una volta ci mettiamo a cercare come la chiave del testo. Divertimento certo, innegabile, scaturito a piene mani dalla risata e dalla satira e dal continuo stravolgimento delle leggi e delle abitudini e delle norme che coinvolgono la maggior parte del genere umano. Nei ghirigori, negli zigzag, negli andare e venire della vicenda (l’ho effettivamente rilevato al termine dei 130’) chi scrive ha la sensazione che lo spettatore un tantino squinternato si debba ritrovare, che si diverta alle frasi e alle situazioni e al linguaggio che non ha peli sulla lingua ma che allo stesso tempo non percepisca/possa percepire e districare appieno tutto il tessuto sottile con cui Spregelburd ha costruito questo suo “Panico”. Difficoltà certo, ci hanno avvisati, come ci hanno avvisati di non legarci più strettamente alle emozioni che sorgono dalla pancia come a quelle che sorgono dalla testa, “certe distinzioni fra testa e pancia ormai da tempo hanno provato la loro inconsistenza”. E a noi non rimane che decifrare che cosa esattamente “nasconda” quella cassetta di sicurezza, quali significati siano nascosti al suo interno, come seguire tutta l’illogicità, la spensieratezza, la sconfinata anarchia, i paradossi, le sgraffignature, i percorsi sconnessi di un autore che guardi con una certa titubanza ma anche con una gran dose di rispetto. Presente in sala ad una delle repliche a cui ho assistito, a prendersi tutto il mare d’applausi che un pubblico foltissimo gli tributava.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Luigi De Palma

In scena al teatro Carignano “Hybris”

Con Antonio Rezza e Flavia Mastrella. In scena fino al 9 giugno

 

martedì 4 giugno alle 19.30.

Si tratta di uno spettacolo scritto e diretto da Antonio Rezza e Flavia Mastrella, già vincitori del Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 2018.

Antonio Rezza va in scena con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli e Maria Grazia Sughi. L’habitat è di Flavia Mastrella, il disegno luci di Dario Crispino, le luci e la tecnica di Alice Mollica.

Lo spettacolo, coprodotto dalla Compagnia Rezza/Mastrella, la Fabbrica dell’attore Teatro Vascello, Sardegna Teatro e Spoleto Festival dei due Mondi resterà in scena per la stagione in abbonamento del Teatro Stabile fino a domenica 9 giugno.

Il nuovo lavoro di Rezza-Mastrella approda al teatro Carignano, portando con sé tutta la sua dirompente forza dissacratoria e innovativa. La loro folle ma, al tempo stesso, lucida scrittura scenica questa volta è incentrata su una porta, aperta e richiusa una decina di volte durante lo spettacolo, che diventa qui la cesura tra un ambiente e l’anticamera di un altro mondo o il filtro tra un dentro assoluto e un indefinibile fuori, tra l’essere, l’esserci e un eventuale sarei. Un pastiche teatrale e linguistico accuratamente studiato e calibrato per apparire disorientante quanto esilarante.

‘Come si possono riempire le cose vuole? È possibile che il vuoto sia solo un punto di vista? La porta… perché così ci si allontana. Ognuno perde l’orientamento, la certezza di essere in un luogo, perde il suo regno in terra. L’uomo fa il verso alla belva che lui stesso rappresenta. Senza rancore. La porta ha perso la stanza e il suo significato, apre e chiude sul nulla. Si ode quello che non c’è; intorno un ambiente asettico fatto di bagliori.

L’essere è prigioniero del corpo, fascinato dall’onnipotenza della sua immagine trasforma il suo aspetto per raggiungere la bellezza immobile e silente che tanto gli è cara. Le gabbie naturali imposte dal mondo legiferano della nascita, della crescita e della cultura, ma la morte di solito è insabbiata, al bambolotto queste cose sembrano inutili sofferenze, antiche volgarità. La porta attraversata dal corpo, che è di cervello e profondamente pigro, si trasforma in un portale nel vuoto. Al bordo del precipizio si può immaginare un mondo alternativo ma il bambolotto si lascia abitare da chiunque, di ognuno prende un pezzo, uno spunto, sicuro e consapevole di dare una direzione sua alle cose. La spina dorsale si allunga e si anima, finalmente si divide. Aprire la porta sulle altrui incertezze, sull’ambiguità, sull’insicurezza dell’essere e la meschinità dello stare. Chiunque sta in un punto. Detta legge in quel punto. Ci si conosce sotto i piedi, nulla può durare a lungo quando due persone si incontrano esattamente dove sono… I rapporti finiscono perché nascono sotto i calcagni, senza rispetto. Piccoli dittatori che fanno della posizione la loro roccaforte. Ma poi barcollano con una porta davanti gestita da un carnefice inesatto che stabilisce dove gli altri vivono. Non cambia molto essere un metro oltre o un metro prima, ma muta lo stato d’animo di chi sapeva dove era e adesso ignora dove andrà perché non sa da dove parte.

Chi bussa sta dentro, chi bussa cerca disperatamente che qualcuno da fuori gli chieda “Chi è“. Bussiamo troppo spesso da fuori per tutelare le poche persone che vivono all’interno , si tratta di famiglie di due o tre elementi , piccoli centri di potere chiusi a chiave. Dovremmo imparare a bussare ogni volta che usciamo perché fuori ci sono tutti, l’esterno è proprietà riservata, condominio esistenziale, casa aperta. L’educazione va sfoggiata in mezzo agli altri e non pretesa quando ci si spranga insieme al parentato. La famiglia la sera chiude fuori tutta l’umanità, che senso ha accogliere il diverso quando ogni notte ci barrichiamo dichiarando l’invalicabilità della nostra dimora? Infimi governanti delle pareti domestiche, come le bestie, L’uomo diventa circense, domatore della proprietà privata.

Teatro Carignano, piazza Carignano 6

Orario degli spettacoli martedì, giovedì e sabato ore 19.30, mercoledì e venerdì ore 20.45

 

Mara Martellotta

I nove danzatori di Pendleton in uno spettacolo fatto di pura magia

All’Alfieri, sino a domenica 2 giugno, “Back to Momix”

Che cosa dire ancora dei Momix? Che cosa dire al di là di quanto s’è detto in questi loro 45 anni di vita, gruppo fondato da un Moses Pendleton arrivato oggi ormai ai settantacinque, passato dai successi dell’iniziale sci di fondo ai palcoscenici di Broadway, con una laurea in letteratura inglese al Dartmounth College e la creazione del Pilobolus Dance Theatre come tappe di passaggio? Forse non c’è più spazio per ripetere della professionalità, della genialità in alcuni tratti, che nello spettatore porterebbe facilmente all’incredulità, della gravità continuamente sfidata, del trasformismo ininterrotto, dei mille movimenti costruiti e studiati e riproposti nella frazione esatta della loro esistenza e della loro necessità d’essere, dei corpi che esprimono tutto il potere che portano in sé e allo stesso tempo la leggerezza che li fa divenire impercettibili, aerei, leggerissimi, della luce che li circonda e ne ricrea ulteriormente le forme, la potenza dei corpi maschili e l’avvenente presenza di quelli femminili, la sensualità emanata e la delicatezza. Dell’amalgama di costumi e colori a cui fanno da sfondo scenografie stupendamente immaginifiche, di una colonna musicale che s’apre al moderno ma che è anche capace di viaggiare attraverso i secoli, che diventa attimo dopo attimo una festa per gli occhi. Oppure è guardare da parte dello spettatore ad un ricreare continuo, la battaglia di nove ballerini (tre) e ballerine (sei) anche intorno ad un passato interrotto da una pandemia che ha allontanato per qualche anno il gruppo dal pubblico italiano (torinese, per quanto ci riguarda: è sino a domenica 2 giugno sul palcoscenico dell’Alfieri, e sin d’ora dico a tutti non perdeteveli), il disinteresse nel fornire percorsi e suggestioni già proposti in passato senza ricorrere a invenzione del tutto nuove. “Back to Momix” è il titolo dello spettacolo, due tempi da tre quarti d’ora ciascuno, sedici brani a cui dà vita un gruppo dentro il quale alcuni per il primo anno danno il loro fantastico apporto, un gioco di parole che richiama un classico della cinematografia degli anni Ottanta, ma anche – “con il desiderio di leggerezza e spensieratezza”, recita il comunicato stampa – il desiderio di guardare al futuro, con ritrovata serenità, prendendo magari per mano il pubblico di domani.

Si catturano momenti degli storici “MomixClassics”, “Passion”, “Baseball”, “Opus Cactus”, SunFlower Moon” fino a “Bothanica” e “Alchemy”, setacciando ancora una volta sul palcoscenico e da parte nostra allo stesso tempo ricordi e frequentazioni, sensazioni, quelle emozioni forti che hanno occupato gli appuntamenti precedenti. Forse come un tempo, si continua a coltivare preferenze, magari un paio di numeri appaiono più statici e in ombra se paragonati a quelli srotolati prima o che verranno dopo: ma il successo non può cambiare. A fare da focus, anche impercettibile, dell’intero spettacolo, è l’amore di Pendleton (con l’apporto insostituibile della moglie Cynthia Quinn) per la natura, per la sua vita trascorsa tra il verde della campagna, per il mondo naturale che ci circonda e che troppo spesso avviliamo, che si fa intimità e forse sogno, impercettibile sino a fondersi in un panteismo che coinvolge tutti quanti: attimi che sfociano in quell’atmosfera di magia che percorre tutto quanto lo spettacolo. La Natura è bellezza nelle sue forme e nei suoi colori, a volte anche nelle proprie asprezze: e su quel palcoscenico ogni ballerino riconduce la propria bravura e la propria bellezza alla Natura, come in un cerchio magico.

La Natura che si esprime attraverso un fiore color corallo che si snoda sino a diventare una lunga gonna sui corpi delle cinque ballerine, attraverso il volo di un’ape, attraverso uno stormo d’uccelli, attraverso i corpi che si riflettono in uno specchio e si rifrangono con la bellezza dei loro movimenti in mille immagini. Una Natura che per un attimo può lasciare spazio all’Eros, al ricercarsi continuo di un uomo e di una donna, come all’ironia che spunta all’improvviso forse inaspettata. I fasci luminosi che attraversano velocissimi, in un alternarsi di linearità e di gibbosità, quasi uno spot televisivo di antica memoria, i rotoli di carta che giocano con avvolgimenti e srotolature, i tanti pupazzi con cui ballerine e ballerini fanno coppia per poi spedirli nel finale verso l’alto, felicemente, i tre cowboy spettacolari nella loro bravura: senza i cavalli, chiaramente, che tuttavia s’intuiscono nei loro immaginabili movimenti, i tre – credetemi – che li cavalcano e che agiscono in bellezza su quell’unico trampolo legato a una delle gambe, dritti, “in piedi”, obliqui, equilibristi perfetti. Una perfezione che ti lascia senza fiato. Non può non suonare perfetto al termine “Back to Momix”, nella risposta di un pubblico che non si stanca di applaudire e di ammirare.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Charles Azzopardi, di Renato Mangolin e di Quinn Pendleton

Le Nina’s Drag Queens e Dragpennyopera

Sabato sera al teatro Colosseo conclusione della stagione del Baretti

La prima stagione del teatro Baretti , intitolata “Regine” e capitanata dal direttore Sax Nicosia, ha preso avvio con le Nina’sDrag Queens e con loro terminerà stasera e sabato sera al teatro Colosseo alle 21 con “Dragpennyopera”.

Per la regia di Sax Nicosia, siamo di fronte ad una  storia di amore, morte, sesso e soldi  sullo sfondo di una città corrotta en travesti. Sono donne che tradiscono, che lottano, donne che si usano a vicenda. Cuori neri dalla nascita e anneriti dalla vita,  che pulsano vitali in uno scenario desolato. Si tratta di uno degli spettacoli più iconici di una compagnia iconica, rappresentato per la prima volta a Torino.

“Volevo dare la possibilità  a tutti i fan del Baretti di vedere uno show a un prezzo più basso rispetto ai circuiti teatrali – spiega Sax Nicosia – e siamo stati sostenuti dalle persone di San Salvario in questa stagione, che ha visto il pubblico aumentare del 30 per cento. Dragpennyopera è  uno spettacolo sontuoso che non poteva essere rappresentato al Baretti, così ci ha ospitati il Colosseo”.

“Le Nina’s si caratterizzano per interpretare e rivisitare i grandi classici della letteratura e del teatro, da Checov a Shakespeare “  – prosegue Sax Nicosia. Macheath è  l’unico uomo, il bandito, l’eterno assente, e suscita in questi cuori sentimenti neri assoluti. Amato, odiato e agognato.

La composizione di questo spettacolo si ispira a The Beggar’sOpera di John Gay, commedia musicale scritta nel 1728, in cui l’autore miscelava la musica colta alla canzone da osteria, la presa in giro del “gran teatro”, la satira più  nera e adatta a canzoni già note al pubblico, fossero ballate o arie d’opera. Il linguaggio teatrale delle Nina ‘s Drag Queens è  un pastone di citazioni, parodie affettuose, brani cantati in playback, attinti dal panorama della musica contemporanea e reinventati in un gioco scenico.

La Compagnia di Nina’s Drag Queens è formata da attori e danzatori che hanno scelto di coniugare teatro e arti performative intorno alla figura eclettica e irriverente della Drag Queen, vera e propria maschera post moderna, in un  percorso di ricerca legato alla rilettura e riscoperta dei classici teatrali. La compagnia propone una riflessione sul ruolo del teatro nella società,  sulle forme in cui una storia può essere esemplare e etica.

“È un’assemblea di attori che chiedono il permesso di parlare. Nel nostro caso siamo di fronte ad un rovesciamento dei ruoli, il travestimento dei personaggi, maschili e femminili,  è un’arma espressiva spiazzante in una società come la nostra ancora profondamente maschilista. È una piccola rivoluzione e le Ninassono portatrici di tutte le istanze, i problemi e le necessità della comunità Lgbtq+”.

Nonostante Sax Nicosia sia in futuro impegnato come coprotagonista in una serie di Netfix e nel primo film da regista di Davide Livermore accanto a Fanny Ardant e Vincent Cassell, la sua priorità rimane il teatro Baretti, dove le Nina’s torneranno con la performance Botanica Queer, una camminata artistica guidata da un biologo, Ulisse Romanò, per mostrare, per esempio al parco del Valentino, il lato queer della natura.

MARA MARTELLOTTA