CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 136

Al “MAO” di Torino, incontro con l’artista ed illustratore taiwanese Animo Chen

Il Museo di via San Domenico ospita la mostra “Una breve elegia”

Martedì 7 novembre, ore 18,30

“I suoi fumetti – è stato scritto – insegnano ad abitare la quotidianità di un dolore”. Animo Chen è un artista ed illustratore taiwanese. Ha lavorato come fotografo, art director per il cinema e regista di video-animazioni. Il suo primo libro “Una breve elegia” (“add editore”) ha vinto il “BRAW” come miglior fumetto alla “Bologna Children’s Book Fair” del 2020, dove anche il suo ultimo lavoro (2021) “Love Letter” si è portato a casa una menzione speciale nella categoria dedicata alla “Poesia”.


Artista di grande interesse e sicuramente in grado di coinvolgere emotivamente, attraverso le sue opere, una larga fetta di pubblico, Animo Chen sarà presentato, in dialogo con Ramona Ponzini (artista e performer), martedì 7 novembre, presso gli spazi del “MAO-Museo d’Arte Orientale”, in via San Domenico 11, a Torino. L’occasione nasce (creando una suggestiva continuità di parole ed immagini) dall’esposizione “Una breve elegia” (a cura di “add editore”, fino al 7 gennaio 2024), che raccoglie nelle sale del “MAO” una selezione di tavole estratte dai suoi due ultimi succitati lavori editoriali, e un’animazione video con le musiche e la voce di Sam Liao, musicista taiwanese. Durante l’incontro, verranno anche presentate l’edizione italiana del volume “Una breve elegia” e la mostra delle tavole estratte dal libro omonimo e da “Love letters”, ultimo suo lavoro.

L’ingresso è libero, fino ad esaurimento posti.

“In un processo di conversione di parole in immagini – si scrive – le illustrazioni di Animo Chen restituiscono un racconto denso e delicato, un’esplorazione della mancanza, della perdita, della lontananza, dell’amore, con un linguaggio che permette alla poesia di prendere corpo nel colore e nelle immagini.

Nei suoi lavori l’artista indaga i sentimenti più profondi e viscerali dell’essere umano e racconta con tratto leggero ma di grande potenza visiva la gioia, il dolore, i desideri minuti di ogni giorni: il primo incontro di un bimbo con la morte, la vita di una coppia, la perdita di un figlio, il viaggio di una ragazza in una città lontana, alla ricerca del suo amato”.

L’esposizione è realizzata con il contributo del “Ministero della Cultura” della Repubblica di Cina (Taiwan).

Per ulteriori info: “MAO-Museo d’Arte Orientale”, via San Domenico 11, Torino; www.maotorino.it

g.m.

Nelle foto:

–       Immagine guida della mostra “Una breve elegia”

–       MAO: giardini interni

Gonzaga al castello San Giorgio Gozzani

L’illustre visita è avvenuta in forma privata nell’antico castello monferrino il 16-10-2021 a conferma della relazione materna tra i Gozzano di Agliè e i Gonzaga, pubblicata sul Torinese online il 3-8-2021. Il proprietario architetto Francesco Rolla ci ha descritto l’evoluzione della struttura risalente all’anno 859, costruita attorno alla torre di origine sassone detta del Barbarossa. Fu sede feudale di nobili famiglie investite dai marchesi del Monferrato. Con le possenti mura edificate dai Paleologi rappresenta una delle fortezze più antiche meglio conservate. Con il passaggio del Monferrato al duca Federico II° Gonzaga di Mantova, il maniero venne occupato dai francesi e in parte distrutto dagli spagnoli agli inizi del ‘600 durante la guerra di successione.
Fu ceduto dal duca Ferdinando Carlo Gonzaga-Nevers a Giovanni Gozzano il giovane per 2100 doppie d’oro nel 1670, succedendo alla famiglia dei Galeazzi-Salvati e infeudato della contea di San Giorgio, proprietà della famiglia Gozzano proveniente da Luzzogno fino agli inizi del ‘900. Nei piani nobili vivevano la corte e gli ambienti amministrativi mentre i piani inferiori erano adibiti a scuderie, cantine, granai e le strutture esterne a panificio, ghiacciaia e l’immenso parco a frutteto. Evidenti i segni lasciati dai marchesi Gozzani: stemmi di famiglia, il doppio scalone barocco, la terrazzata con finestre a scomparsa, il nome in rilievo sulla campana della torre.
La ricerca relativa alle due famiglie si è sviluppata tramite l’atto di cresima del principe SRI Maurizio Gonzaga, celebrata in Vaticano da papa Pio XII° il 16-6-1949 e conclusasi nell’archivio del duomo di Alba con la genealogia della ricca famiglia Alliana che ne ha confermato la parentela. Padrino della cresima fu il neuropsichiatra Mario Gozzano, figlio del generale Francesco di Agliè e nipote del generale principe SRI don Maurizio Ferrante Gonzaga. Ingrid Gozzano, neuropsichiatra infantile a Roma, unica figlia vivente di Mario è ancora in contatto con il cugino Maurizio Gonzaga.
Curiosamente, al battesimo di Maurizio Gonzaga del 3-12-1938 il padrino fu il duca d’Aosta, il re e cavaliere di Spagna a cui era stato offerto dagli ufficiali di cavalleria un trofeo in bronzo posto sulla tomba di Superga dal marchese generale Carlo Giovanni Gozzani, nipote di Evasio detto il marchese pazzo. A Roma venne istituita nel 2010 una visita virtuale a Villa Borghese con due guide d’eccezione, Paolina Bonaparte ed Evasio Gozzani, personale amministratore di casa Borghese e curatore delle nuove mostre nel 1812, accompagnati dalle preziose melodie di Bach, Monteverdi e Pergolesi.
Il principe Maurizio Gonzaga (*1938), discendente da Giovanni (1474-1525) terzo figlio di Federico I° di Mantova e Margherita di Baviera, ancora oggi utilizza una dialettica famigliare con accento italo-tedesco. Maurizio è autore di due romanzi: Fiori nel deserto (12 racconti che accendono una speranza ai piccoli e adolescenti oppressi e indifesi) e Assalto al castello (storia delle famiglie Scotti-Gonzaga nell’Italia del XVI° secolo dominata dalle due superpotenze dell’epoca, i guelfi allineati con la chiesa di Roma e i ghibellini, facenti capo al Sacro Romano Impero). Ad Agazzano i Gonzaga possiedono una rocca del 1200, elegante dimora signorile del rinascimento e un castello del 1700. Le due residenze nobiliari fanno parte dei castelli del ducato di Parma, Piacenza e Pontremoli, ereditati dai tre figli di Corrado Gonzaga (1941-2021) marito della principessa Erica De Ponti Gonzaga.
Armano Luigi Gozzano

Le sperimentazioni artistiche della fotografa e visual artist Loredana Frisoli

RITRATTI TORINESI

Le fotografie artistiche della visual artist torinese Loredana Frisoli sono percorse da rigore compositivo e attenzione alla qualità dei cromatismi. Il suo senso estetico si sposa alla sua eclettica personalità ed entrambi le consentono di tradurre contenuti e concetti ispirati anche dalla semplice quotidianità. Alle figurazioni nette l’artista alterna declinazioni informali vigorose, raggiungendo il risultato di una base variegata di progetti fotografici come in quello denominato “Metamorphosis”, in cui l’artista vede prevalere l’esigenza di rappresentare l’universo estetico e astratto, che connota il desiderio intimo di espressività libera da quei vincoli figurativi presenti in altri suoi progetti artistici. In questa serie, che si adatta anche agli interni abitativi e a quelli degli uffici, ella struttura le sue opere in sequenze di pura sperimentazione informale, dove la configurazione grafico espressiva si libera in una esasperata contrapposizione cromatica. Il risultato è un piacevole e efficace connubio tra forma e colore, intessuto in un equilibrio e in un’armonia grafica espressiva che risulta funzionale alla rappresentazione dell’espressività dell’artista, a metà tra istinto e razionalità. Metamorphosis è il frutto di un progetto artistico avviato nel 2012, quando l’artista decide di oltrepassare i limiti dell’arte figurativa per addentrarsi nell’astrattismo, e si protrarrà fino al 2016, anno in cui il progetto troverà il suo completamento naturale.

Loredana Frisoli nasce a Torino nell’autunno del 1964 e collabora per sei anni con lo studio fotografico “Fotoflash” in Torino, specializzandosi in lavori di fotoritocco e fotoritratti in studio, seguendo anche un corso serale di fotografia presso lo storico circolo fotografico “La Mole di Torino”. Ha poi collaborato con “Fotoarchivio internazionale “ in qualità di gestione dell’archivio fotografico e delle relazioni esterne, realizzando poi, dalla metà degli anni Duemila, in collaborazione e su commissione, servizi fotografici di taglio editoriale per la Regione Piemonte e per un fotografo giornalista, Roberto Borra.

Sue fotografie e servizi sono comparsi sulla rivista Italy Italy, distribuita in Canada e Usa, e Rivista 20, bimestrale di arte contemporanea. Dal 2015 fa parte dello staff grafico dell’Associazione culturale “Collettivo 37 Arte Contemporanea” a Torino.

E mail lore.art@virgilio.it

Mara Martellotta

Il Ministro Sangiuliano loda lo “spirito libero e curioso” del Centro Pannunzio

In un messaggio al presidente Pier Franco Quaglieni in occasione del 55. anniversario del Centro. Il Premio Pannunzio viene consegnato quest’anno a Giordano Bruno Guerri

Egregio Presidente,

purtroppo gli impegni di governo non mi permettono di partecipare al cinquantacinquesimo anniversario della fondazione del Centro Pannunzio di Torino, una realtà culturale che con le sue attività porta alta la bandiera dell’idea liberale crociana sviluppata nel dopoguerra da Mario Pannunzio nell’incredibile fucina di talenti giornalistici che fu la rivista settimanale “Il Mondo” da lui fondata e diretta dal 1949 fino alla chiusura nel 1966.

Furono molte e diverse tra loro le intelligenze raccolte intorno a questa iniziativa editoriale che seppe anche essere un centro di discussione sui principali temi della prima Italia repubblicana grazie ai “Convegni del Mondo”. L’approccio crociano, vivificato delle eredità di Gaetano Salvemini e Luigi Einaudi, produsse un ambiente di intensa vivacità culturale, in cui esperienze e percorsi differenti si incrociarono, portando al superamento delle pregiudiziali ideologiche dell’immediato dopoguerra. E ciò avvenne a beneficio di una militanza civile non subordinata alle discipline di partito, una militanza capace di accogliere idee delle più varie provenienze per contribuire al progresso sociale, civile e democratico della nostra Nazione.

L’Italia di oggi deve molto a Mario Pannunzio e la vostra attività da oltre  mezzo secolo ha il merito non solo di tener viva la sua memoria, ma anche di promuovere iniziative pienamente rispondenti al suo spirito libero e curioso. Nel rivolgere a tutti Voi il mio personale saluto, auguro alla celebrazione di questa importante ricorrenza il successo che merita.

Gennaro Sangiuliano 

Al via la nuova stagione dei Marcido Marcidorjs

 

 

La stagione dei Marcido si apre il 6 novembre alle ore 18,30 con un appuntamento inaugurale d’eccezione, la presentazione di La nostra minima arte. Il teatro estremista dei Marcido, un videoritratto che racconta la poetica e il percorso ormai quasi quarantennale della Compagnia. Il videodocumentario – prodotto dall’Associazione Culturale Ateatro con il sostegno del Ministero della Cultura-Direzione Generale dello Spettacolo e il contributo di Fondazione Cariplo – è stato presentato in anteprima il 7 settembre scorso all’80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, con la partecipazione di Daniela Dal Cin e Paolo Oricco. La proiezione sarà seguita da un incontro con i Marcido, il regista Domenico Cuomo e il curatore Oliviero Ponte di Pino.

La programmazione del Teatro MARCIDOFILM! (corso Brescia 4) proseguirà fino a maggio presentando, tra gli altri eventi spettacolari, due importanti titoli del repertorio della Compagnia: primo appuntamento “Nel lago dei leoni”, dalle Estasi di Maria Maddalena de’ Pazzi; nel febbraio 2024 verrà riproposto “Loretta Strong” di Copi, allestimento per cui Daniela Dal Cin ha ricevuto nel 2011 la nomination ai Premi Ubu per la migliore Scenografia. Tra novembre e dicembre tornano in scena “Cenerentola” e “L’avaro di Molière”, riadattati secondo la particolare cifra stilistica della Compagnia e con un cast di giovani interpreti della “scuola” Marcido.

La stagione prosegue a gennaio con un recital a più voci dai “Promessi Sposi” manzoniano, a febbraio con il fortunatissimo “Hansel e Gretel” e nei mesi di marzo e aprile con “Sogno di una notte di mezza estate” da Shakespeare.

A maggio inoltre presenteremo un nuovo poeta per continuare il felice esperimento di Teatro/Poesia avviato nelle scorse stagioni e dedicato ad esplorare la relazione tra parola scenica e testo poetico, in collaborazione con il Salone del Libro.

Ultimo appuntamento della stagione, uno studio dall’ “Elogio della pazzia” di Erasmo da Rotterdam, a fine maggio.

Scrive Marco Isidori, regista della Compagnia: “Segniamo l’ottava stagione di MARCIDOFILM! inaugurandola con la prima proiezione pubblica di La nostra minima arte. Il teatro estremista dei Marcido; docufilm che racconta la quasi quarantennale avventura d’arte della Compagnia (1985/2023) attraverso l’incalzare vorticante di immagini che restituiscono bene, giustificandolo appieno, il sottotitolo della pellicola “Il teatro estremista dei Marcido” (il film è stato presentato in anteprima alla Biennale Cinema di Venezia, riscuotendo consensi calorosi e apprezzamenti importanti da parte della critica, soprattutto per la prospettiva dello sguardo con il quale l’opera è stata elaborata. Rammento che questo è un documento “sulla Marcido”, e non “della Marcido”, precisazione questa che mi pare doverosa). Certo lo scorrere della visione sintetizzata dei tanti spettacoli prodotti nel tempo (era il lontano 1985 quando debuttammo col nostro primo Studio dalle Serve di Jean Genet; di ieri, invece, 2023, l’andata in scena dell’ultima produzione, “David Copperfield sketch comedy”) si è rivelata fonte di una grande ed anche stupita emozione nel toccare con mano quella “fedeltà” ad una linea interpretativa che ha fatto del rigore e della tensione verso un risultato comunque “alto”, un modo consueto per noi di affrontare i rischi del palcoscenico. I Marcido hanno sempre e da sempre creduto nella persistenza nel tempo, oltre ogni moda, del repertorio delle loro creazioni spettacolari. Ci sembra scandaloso che un lavoro importante, una rappresentazione dove si è concentrata al massimo l’intelligenza e la passione della Compagnia, venga messa in soffitta poco dopo il debutto soltanto per la pressione di esigenze mercantili; ed è in una tale ottica che quest’anno riproponiamo in apertura di stagione, due “punti fermi” del nostro cammino di teatranti “laterali”: “Nel lago dei leoni”, dalle estasi di Maria Maddalena de’ Pazzi (2010), e “Loretta Strong” di Copi (2011), spettacoli che si possono considerare due facce della stessa medaglia drammatica. La loro presentazione “in coppia” quindi, riveste non soltanto un carattere occasionale, bensì interpreta una volontà dimostrativa specifica; offrire cioè al pubblico la visione di due allestimenti certamente diversi per scenografia, interpreti, testualità e quant’altro, ma, e qui sta la scommessa, entrambi in “fase entanglement”; comunicanti tra loro e nello stesso tempo comunicanti allo spettatore proprio il cuore di questa tale identità ideale, cuore che sostanzia tutto il portato artistico delle pièces. Specificando meglio, Maddalena con la sua “Sedia elettrica” (accenno scenografico) e Loretta con la sua “Astronave” (idem) cercano con gli astanti quella complicità sentimentale che è appannaggio e traguardo del Teatro maiuscolo; a questo proposito ci piace chiamare questa complicità col nome di comunione. Sempre all’interno del nostro programma di conservazione repertoriale, la stagione proseguirà con la ripresa di un classico: “L’avaro” di Molière, che i Marcido tengono sul filo di una comicità continua ma acre e soprattutto rivelatrice del sottofondo “nero” della vicenda in apparenza esilarante, adottando per l’occasione soluzioni scenografiche agili nonostante la notevole incisività visiva che raggiungono.

Tre sono infine le novità di quest’anno: un’edizione particolare dello shakespeariano “Sogno di una notte di mezza estate”, che con i suoi infiniti travestimenti ha offerto un terreno fertilissimo allo sbrigliarsi della fantasia, sia a livello di decoro scenico e costumistico, che di “manipolazione” drammaturgica; andando così a comporre uno spettacolo dove la conclamata attoralità speciale dei Marcido ha modo di mettere in mostra, spiegandole in un ventaglio di cromatismi sonori, tutte le sue “carte”. Seguirà poi un divertissement, un gioco teatrale, diremmo quasi un “capriccio”, la messa in scena di “Cenerentola”, fiaba ultra nota che abbiamo trattato come fosse un’assoluta scoperta, potenziandone gli aspetti più scontati nella direzione di un folle grottesco carosello, carico di colore e di ironia, facendo dei “caratteri” della storia (sorellastre, matrigna, principe, nonché, perché no? la zucca) i protagonisti di una kermesse di straordinaria valenza iper-teatrale. L’ultimo appuntamento della stagione propone una riflessione scenica in forma di studio dell’“Elogio della pazzia”, di Erasmo da Rotterdam: il progetto di dar corpo drammatico al discorso filosofico di Erasmo cova da parecchio nel pensatoio Marcido; finalmente, abbiamo preso la decisione di metterlo in cantiere, pur se a tutt’oggi non sono ancora ben chiare le linee interpretative che sceglieremo per realizzarlo praticamente.

L’ottavo anno di attività del nostro teatro – MARCIDOFILM! – lo poniamo sotto il segno benaugurante del documentario intitolato “La nostra minima arte”, contenti assai che una tal “dizione”, acclari sottotraccia una realtà indiscutibile: la Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa ha prodotto, attraverso il mezzo teatrale, dell’arte, minima o massima che sia ce lo dirà il futuro.»

 

LA NOSTRA MINIMA ARTE

Il teatro estremista dei Marcido

videoritratto a cura di Oliviero Ponte Di Pino, regia di Domenico Cuomo, produzione Ateatro 2023, durata 52’

Note del curatore: «La nostra minima arte è l’incalzante videoritratto dei Marcido, ovvero Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, compagnia torinese attiva dal 1986. Esplora la storia e la poetica di una delle formazioni più coerenti, rigorose e inventive della scena italiana. Protagonisti del documentario sono Marco Isidori, attore e poeta della Compagnia, e Daniela Dal Cin, la scenografa che ha creato i visionari sipari e i sorprendenti “ordigni” teatrali dei Marcido. Con loro, i due principali attori della Compagnia, Maria Luisa Abate e Paolo Oricco. Nelle loro parole, intrecciate alle immagini degli spettacoli e ai bozzetti di Daniela Dal Cin, esplode la forza visionaria di un teatro estremista, capace di sorprendere e affascinare gli spettatori in riscritture inventive dei classici, dalla tragedia greca a Shakespeare, da Pirandello a Beckett, da Dostoevskij e Kafka a Dickens.»

Primo appuntamento spettacolare

7-8-9 novembre

NEL LAGO DEI LEONI

dalle Estasi di Maria Maddalena de’ Pazzi, riscrittura di Marco Isidori, con Maria Luisa Abate, Paolo Oricco, Valentina Battistone, Ottavia Della Porta, scena e costumi di Daniela Dal Cin, direzione di Marco Isidori,produzione Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa 2010

Note di Marco Isidori: «Spettacolo ispirato alle estasi di Santa Maria Maddalena, per il secolo Caterina Lucrezia, la suora carmelitana appartenente all’autorevole famiglia de’ Pazzi, che, alla fine del Cinquecento, nella clausura del convento di Santa Maria degli Angeli, in San Frediano, a Firenze, sorprese e spaventò le consorelle con un’infilata di estasi di natura sconvolgente per l’intensità emozionale che ne caratterizzò sia la forma esteriore che la profondità inconsueta raggiunta dal dettato teologico. Ciò che soprattutto risultava anormale nella pur già scontata eccezionalità del fenomeno estatico, era la dilagante verbalità con la quale Maddalena esprimeva il suo contatto con il divino. La sua “uscita dal mondo” assumeva contorni decisamente barocchi, quasi il rilievo sconcertante di una rappresentazione teatrale. Il testo originale è stato “corretto/assai/corrotto” da Marco Isidori affinché le parole dell’estasi pronunciate oltre quattrocento anni addietro nella clausura di un convento fiorentino, potessero, per insistita/insistente virtù teatrale, diventar corpo scenico significativo per la sensibilità e per l’occorrenza dell’oggi.»

Teatro MARCIDOFILM! – Torino, corso Brescia 4 bis (int. 2)

orario spettacoli: martedì-sabato ore 20.45 – domenica ore 16.00

biglietti d’ingresso: intero 20€ – ridotto 15€

info e prenotazioni: 339 3926887 – 328 7023604

segreteria 011 8193522

ufficio stampa: cell. 329 9611663

info.marcido@gmail.com www.marcido.it

con il sostegno di:

MiC – Regione Piemonte – Città di Torino/TAP-Torino Arti Performative

 

Nell’immagine, Daniela Dal Cin e Marco Isidori in “La nostra minima arte” (prod. Ateatro 2023)

La sete dei Crociati, Hayez alla Gam

La grande sete tormenta sempre di più i Crociati che si avvicinano alle mura di Gerusalemme e l’unica preoccupazione che domina tra i cristiani è la mancanza d’acqua. La Prima Crociata sta per concludersi nel luglio 1099 ma rischia addirittura di fallire. La sofferenza dei crociati finisce impressa sulla tela del veneziano Francesco Hayez (1791-1882) che con straordinaria forza la raffigura nel quadro “La sete dei Crociati di fronte a Gerusalemme” esposto a Palazzo Reale mentre alla Galleria d’arte moderna e contemporanea, all’interno della mostra “Hayez, l’officina del pittore romantico”, si trova un focus sulla Sete dei crociati. Si tratta di una speciale sezione dedicata ai disegni preparatori per la sua opera più impegnativa e ambiziosa che l’artista aveva predisposto come il suo capolavoro ultimato a metà Ottocento per Re Carlo Alberto che lo commissionò ad Hayez nel 1833.
Il tema, storico-letterario, è tratto dal poema “I Lombardi alla Prima crociata” (1826) di Tommaso Grossi da cui fu tratta l’opera di Verdi. Nella tela monumentale si avvertono la fatica e le emozioni del pittore nel descrivere una scena così intensa e drammatica che si svolge di fronte alla Città Santa, sotto un cielo infuocato di sabbia e calore, a un passo dalla conquista. Persone che svengono, chi tenta di riempire l’anfora con la poca acqua rimasta, chi prega chi sta bevendo per farsi lasciare qualche goccia e c’è anche il soldato che respinge due donne che si stanno gettando su un’altra donna intenta a bere. “Il disastro cresceva ogni giorno, si implorava la pioggia o uno di quei miracoli con cui Dio aveva salvato dalla sete il suo popolo d’Israele. Il calore estivo infieriva su tutti, piante e animali morivano, il torrente di Cedron si era seccato, le cisterne del territorio erano colme di terra o avvelenate. La fontana di Siloe non bastava alla moltitudine dei cristiani. Così lo storico francese dell’Ottocento Joseph François Michaud descrive il dramma della sete per i Crociati davanti a Gerusalemme nel suo volume “Storia delle Crociate” (1812-1822). Hayez tratteggia una delle scene più struggenti della Prima Crociata.
Dietro l’opera c’è un lavoro studiato e preparato a lungo con decine di disegni, appunti visivi e fogli tracciati a matita. Spesso insoddisfatto dell’esito finale, Hayez ricrea, cancella, rielabora, modifica fino alla perfezione e pare soffra egli stesso, davanti alla sua tela, per il tormento che assaliva i Crociati. Il quadro lo tenne occupato per molto tempo e molte delle figure presenti furono ridipinte più volte. Non basta un intero esercito per conquistare la Città Santa, bisogna fare i conti con la mancanza d’acqua che indebolisce la grande armata cristiana. “In mezzo a una campagna arida e ardente, sotto un cielo di fuoco, incalza Michaud, l’esercito crociato fu presto vittima della sete che era così grave da curarsi poco della scarsità dei viveri”. C’è molta attualità nell’opera di Hayez che dipinge una pagina di storia drammatica in un luogo segnato nei secoli da tensioni perenni.
Laggiù si combatteva novecento anni fa e si combatte ancora oggi in Terra Santa, in Palestina, in luoghi sacri alle religioni monoteiste. Accanto alla Sete dei Crociati compare un altro quadro di carattere storico di Hayez che racconta un episodio della predicazione della Prima crociata di Pietro l’Eremita (1050-1115) che, attraversando città e borgate, predica la Crociata a cavallo di una bianca mula con il crocifisso in mano. Ammirato da Stendhal il quadro suscitò a Brera grande entusiasmo quando apparve dal momento che si era nel pieno del Risorgimento e “vi si poteva leggere un riferimento all’attualità politica e alla necessità di un riscatto nazionale”. Alla Gam, oltre ai dipinti a soggetto storico, si possono vedere, fino al 1 aprile 2024, un centinaio di opere di Hayez con i disegni preparatori provenienti da collezioni pubbliche e private.                       Filippo Re

GAM, MAO e Palazzo Madama: 25.390 visitatori

 

Da mercoledì 1 a domenica 5 novembre 2023 nei musei della Fondazione Torino Musei

 

 

 

 

Cinque giorni di grandissima affluenza alla GAM, al MAO e a Palazzo Madama. Sono stati ben 25.390 i visitatori che, dal 1 al 5 novembre 2023, hanno scelto i tre musei civici torinesi all’insegna dell’arte contemporanea, moderna, asiatica e antica in occasione del ponte di Ognissanti, ma anche grazie al grande fermento per tutte le iniziative dell’Art week Torinese. Tantissimi turisti, soprattutto appassionati di arte, hanno affollato la città, e le sale dei musei.

 

In particolare, 14.135 persone da tutta Italia hanno visitato in cinque giorni, formando lunghe code, la GAM con le mostre in corso Hayez. L’officina del pittore romantico; Gianni Caravaggio. Per analogiam; Michele Tocca. Repoussoir (Wunderkammer) e Simone Forti (Videoteca).

Il MAO ha accolto 2.711 visitatori tra le mostre Trad u/i zioni d’Eurasia, Metalli sovrani; Una breve elegia; Animo Chen (t-space) e centinaia di persone hanno affollato l’inaugurazione di Declinazioni contemporanee (progetto diffuso). 

 

Con le mostre Liberty. Torino capitale e Dove finiscono le traccePalazzo Madama ha accolto nelle sue sale ben 8.543 visitatori. Anche in questo caso molte persone hanno aspettato pazientemente in coda in piazza Castello.

 

L’importante affluenza di pubblico nei suoi musei si somma, per la Fondazione Torino Musei al grande successo di Artissima 2023 e Luci d’Artista 26° edizione.

 

Il giorno di maggiore affluenza è stato ieri, sabato 4 novembre con 6.692 ingressi (4.000 alla GAM, 872 al MAO e 1.819 a Palazzo Madama).

 

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Isabel Allende “Il vento conosce il mio nome” -Feltrinelli- euro 22,00

Non ha bisogno di presentazione la scrittrice cilena 81enne Isabel Allende che in questo romanzo affronta il dramma delle separazioni familiari causate da eventi storici o da politiche immigratorie. Due i protagonisti, età e latitudini diverse, ma lo stesso dramma che li unisce; lo sradicamento dalle loro vite per colpa della violenza e dei tempi bui in cui si trovano a vivere. Due destini che si incrociano nel presente.

Il titolo rimanda all’anonimato che avvolge i bambini dichiarati “illegali” alle frontiere e definiti solo con dei numeri. Invece la bimba protagonista si àncora agli affetti del passato sussurrando al fantasma della sorellina morta «Il vento conosce il mio nome»; afferma così di essere una persona che non ha perso la sua identità, qualcuno sa chi sia e magari la sta cercando.

Il personaggio maschile è Samuel Adler, anziano disincantato del quale la Allende ricostruisce la vita partendo da quando era bambino durante il nazismo. All’epoca aveva 6 anni, era ebreo – austriaco e il padre era scomparso durante la Notte dei cristalli il 9 novembre 1938. La madre era riuscita a metterlo in salvo, costretta però a separarsi per sempre da lui.

In quegli anni terribili, infatti, la Gran Bretagna si era offerta di aiutare i piccoli ebrei (ma solo loro e non i genitori, per non scompensare gli equilibri del mercato del lavoro interno). Era nato così il progetto Kindertransport: treni carichi di bambini che dovevano lasciare i parenti e affrontare prove durissime da soli, per essere poi accolti da famiglie o da orfanotrofi inglesi. I convogli che partirono tra 1938 e 1940 salvarono la vita a oltre 10mila piccoli ebrei. Loro sopravvissero, mentre le loro famiglie finirono nei forni crematori; ma si porteranno per sempre dentro il trauma dello sradicamento.

Il piccolo Samuel è uno di loro: intelligente, coraggioso, sensibile, dotato per il violino e lo attenderà una vita lunga, complicata e sempre con un buco nel cuore.

L’altra protagonista è stata ispirata alla Allende da una storia realmente accaduta, quella di una bimba salvadoregna non vedente e il fratellino che, in seguito alla politica immigratoria, vennero separati dalla madre. Nel romanzo la piccola si chiama Anita, ha 7 anni, è cieca, la sorellina è morta. Insieme alla madre Marisol è approdata negli Stati Uniti nel 2019, per finire stritolata dall’incubo delle separazioni familiari imposte da Trump al confine col Messico.

Una vicenda come la scrittrice ne conosce tante grazie alla Fondazione che ha creato nel 1996 in memoria della figlia Paula (morta nel 1992 a 29 anni per una malattia rara), alla quale ha dedicato l’omonimo libro. La Fondazione aiuta soprattutto donne e ragazze e, negli ultimi anni, soprattutto rifugiate.

Che ne sarà dei due protagonisti? Non resta che lasciarsi trasportare dalla bravura della Allende: pagina dopo pagina, orrori dopo orrori, ingiustizie dopo ingiustizie. Ma c’è anche la solidarietà, la determinazione e l’aiuto concreto di persone positive; come l’assistente sociale Selena Durán e l’avvocato Frank Angileri che faranno la differenza con il loro impegno e consentono un finale che scalda gli animi.

 

Alex Johnson “Una stanza tutta per se. Dove scrivono i grandi scrittori” -L’ippocampo- euro 19,90

 

Il 54enne scrittore e giornalista ci accompagna nelle stanze di 50 scrittori, e insieme alle illustrazioni di James Oses, ci permette di entrare con rispetto e curiosità nei luoghi in cui alcuni grandi mostri sacri a livello planetario hanno messo nero su bianco i loro capolavori. Ne racconta gli ambienti, i ritmi di lavoro, le fissazioni e le abitudini, permettendoci di andare dietro le quinte in cui “il genio” ha regalato immensi capolavori letterari.

In ordine alfabetico si parte da Isabel Allende, autrice di uno dei libri più belli mai scritti “La casa degli spiriti”; e scopriamo che inizia ogni nuovo romanzo rigorosamente l’8 gennaio, suo “giorno sacro” e scoprirete perché. Lo scrisse a Caracas dove si era rifugiata dopo il colpo di stato militare in Cile; nella cucina dell’appartamento di fortuna, e da allora di strada ne ha fatta parecchia scrivendo dove poteva: macchina, bar o altri luoghi di fortuna.

Nel 2001 nella casa nuova a San Rafael in California, in fondo al giardino che guarda la Baia di San Francisco fa costruire la sua “Casita”, stanza pensata inizialmente come spogliatoio per la piscina. Lì ha scritto almeno 12 libri, fino al divorzio e alla vendita della villa nel 2016. Nei suoi studi ci sono sempre oggetti che raccontano la sua vita, carichi di significati.

Il viaggio prosegue e tra le tante curiosità più o meno note ecco alcune particolarità dei grandi scrittori in ordine sparso.

Usavano uno scrittoio portatile in legno e con piano inclinato: Jane Austen nella casa di famiglia a Steventon nell’Hampshire; le sorelle Bronte nella sala da pranzo-soggiorno del presbiterio di Hawort dove il padre era ministro della chiesa anglicana; Thomas Hardy che lavorava in una stanza particolarmente spoglia.

Honoré de Balzac preparava personalmente la miscela di caffè e ne beveva almeno una cinquantina di tazze al giorno. John Steinbeck era fissato per le matite alle quali faceva la punta ogni mattina, rigorosamente nere e solo di alcune marche particolari. W.H.Auden, oltre a essere un fumatore incallito, amava lavorare immerso nel disordine di tazze e piatti sporchi, rimasugli di cibo; quello che gli amici chiamavano il “tugurio”. Anton Čechov pretendeva che la sua scrivania fosse rivolta verso il giardino, mentre ad Agatha Christie, per scrivere, bastava un tavolo robusto ovunque si trovasse, ed Ernest Emingway era solito scrivere in piedi.

Queste solo alcune delle tante chicche del libro.

 

Alberto Riva “Ultima estate a Roccamare” -Neri Pozza- euro 17,00

La prima cosa che viene in mente leggendo questo tenero e bellissimo libro è che la grandezza di certi personaggi –Calvino, Citati, Fruttero & Lucentini, Fellini, Age & Scarpelli, Garboli, Orengo, Tobino e altri a questo livello- sia scomparsa con loro. Lasciando il posto a un mondo spesso becero, superficiale, ignorante e volgare dove la caratura si misura in base a follower e comparsate in tv.

Niente a che vedere con il viaggio biografico e artistico che il giornalista e scrittore Alberto Riva compie nell’enclave dei personaggi che hanno fatto grande la cultura italiana (e non solo) del Novecento.

Fulcro di quella stagione fu Roccamare, sulla costa della Maremma. Tutto iniziò quando Pietro Citati, che aveva casa nella zona, sapendo che l’amico Gianni Merlini (patron della Utet), cercava un luogo di vacanza ideale, gli parlò di Castiglione della Pescaia. Lì le spiagge erano ancora vergini e il conte proprietario della pineta la stava lottizzando per fare case estive. E’ così che il grande editore insieme a Carlo Fruttero si innamorarono del luogo, acquistarono un lotto nella vegetazione a due passi dalla spiaggia, e costruirono due case vicine.

Quando Calvino andò a trovarli convinsero pure lui, e a seguire ci furono tanti altri che in quel paradiso si ritagliarono spazio e tempo. Ecco l’inizio di una stagione irripetibile, in cui personaggi straordinari vissero tranche importanti delle loro vite su quella striscia di litorale. Periodi di vacanze, vita in famiglia, creatività, incontri, conversazioni profonde e lievi allo stesso tempo. Tra spiaggia, libri, sceneggiature, amicizie profonde e durature.

Molti gli aneddoti che Riva racconta e che danno la misura di quanto quegli intellettuali fossero portatori meravigliosi di grande ingegno; ma vivessero con semplicità, unita a educazione, umiltà. Curiosi del mondo e indagatori dei massimi sistemi della vita; comunque capaci di godere delle piccole cose, di ciò che conta davvero e degli affetti più cari. Una grandezza che apparteneva a quel mondo e che Riva ricostruisce anche con una malinconia alla quale il lettore non può che associarsi immaginando Fruttero e Calvino che dialogano, Furio Scarpelli che a Roccamare scriveva più sceneggiature contemporaneamente…qui è nato il film di Scola “ La famiglia”.

 

Kate Barry “My own space” -Éditions de La Martinière- euro 34,90

La fotografa di questo splendido libro è la figlia primogenita di Jane Birkin.

E’ morta a 46 anni, nel 2013; volata dal quarto piano della sua casa parigina, dopo una vita appesantita dall’uso di droghe e male di vivere; lasciando aperto il dubbio sulla sua misteriosa morte, probabilmente cercata. Una vita piena di talento, ma tragica.

Era nata l’8 aprile 1967 a Londra dal primo matrimonio di Jane Birkin (appena 18enne) con il compositore John Barry. Un amore travolgente che si schianta contro il disinteresse da parte di lui, troppo preso da se stesso, la sua arte, le sue priorità e i tradimenti. La Birkin si sente come un’appendice e la nascita della figlia Kate accentuerà ancor più il senso di solitudine. La relazione turbolenta naufraga: nel 1967 Jane prende Kate piccolissima e vola a Parigi dove l’aspetta il futuro.

La svolta della sua vita è l’incontro con Serge Gainsbourg, e la canzone “Je t’aime …moi non plus” che interpretano insieme. Fanno scandalo, diventano la coppia erotica per eccellenza e segnano un’epoca. Da loro nasce Charlotte, altra talentuosa creatura.

Gainsbourg sarà comunque un padre amorevole anche nei confronti di Kate che vive con loro e lo chiama “papà”. Poi anche questa unione si infrange. Jane non ce la fa più a sopportare Serge, sempre più ubriaco, sporco, autodistruttivo, quasi irriconoscibile.

Lo lascia e a soffrire per la separazione è soprattutto Kate che all’epoca aveva16 anni e inizia a drogarsi. La vita familiare è costellata di litigate, Kate non rispetta nulla e nessuno, svaligia gli armadi griffati della madre ed è in perenne rotta di collisione

con lei. Segue la disintossicazione, ma lo spettro della droga segnerà la vita di Kate, fotografa di successo, compagna di un tossico e madre di Roman.

Kate Berry aveva un carattere schivo ed introverso e nessuna intenzione di diventare attrice o cantante. Il suo talento era la capacità di fermare la vita, volti e immagini con l’obiettivo. Durante una sfilata di moda trova la sua strada maestra: diventare fotografa professionista. Si rivela subito eccezionale in quel lavoro che le corrisponde perché le permette di esprimere la sua vena artistica, ma senza essere protagonista in prima persona. Lei che non ama parlare ed apparire, è invece bravissima nel dare voce ai volti e ai corpi dei suoi soggetti.

Ha una sensibilità speciale nell’interpretare quello che gli altri celano nell’anima e nel cuore. Alle foto di moda alterna quelle con grandi personaggi dello spettacolo e della cultura a livello mondiale. Predilige immagini in bianco e nero, volti senza trucco ed ha una capacità unica nel cogliere le profondità infinite di uno sguardo. Basta guardare le foto professionali fatte soprattutto ai suoi familiari, a partire da madre e sorelle.

In questo prezioso volume spiccano per bellezza e intensità le foto alle sorelle Charlotte e Lou (nata dall’ultimo matrimonio di Jane Birkin con il regista Jacques Doillon). Primi piani dei suoi affetti più profondi, di rara bellezza e spessore emotivo.

Ma anche spazi aperti come spiagge e baie che trasmettono la bellezza intrisa di solitudine.

Un libro postumo che diventa ancora più importante e testimonia un talento che non c’è più. Resta il dubbio sulla sua morte. Quel terribile 11 dicembre 2013 in cui a raccogliere il corpo della figlia sfracellata sull’asfalto dopo un volo di 4 piani dalla sua casa parigina, è la madre Jane. Per lei una tragedia dalla quale non si riprende più. Quel giorno interrompe per sempre la scrittura dei suoi diari e questo la dice lunga sullo strazio e il vuoto causati da quel dolore.

 

 

XII EDIZIONE DI THE OTHERS  Oltre il 20% in più di pubblico

 

Torino, 5 novembre 2023 – Si è chiusa la XII edizione di The Others Fair, la fiera dedicata all’arte contemporanea emergente del panorama dell’Art Week Torinese. “Sono stati oltre il 20% in più di pubblico per questa edizione 2023. È stata l’edizione con il più alto numero di visitatori di sempre, nonostante si sia chiuso alle 21 anziché a tarda notte” è questo il commento di Roberto Casiraghi e Paola Rampini, fondatori di The Others Fair.

 

La location scelta, il Padiglione 3 di Torino Esposizioni progettato da Pier Luigi Nervi, ha ospitato inoltre per l’ultima volta la fiera permettendo la realizzazione di un display espositivo cosmico per esplorare l’universo dell’arte contemporanea. Non è mancato anche l’invito a fare esperienza diretta dell’arte attraverso il gioco, con l’“InterstellArt Cup il campionato di biliardino a cui hanno partecipato galleristi, artisti, curatori, collezionisti e giornalisti con un premio vinto da due artisti del gruppo Cuicuocua (The Game Gallery)..

 

Oltre 70 gli espositori presenti in fiera provenienti da Argentina, Austria, Francia, Germania, Lituania, Perù, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna e Svizzera, oltre che dall’Italia, a partire da Torino (con la presenza di 5 realtà indipendenti) fino a Palermo attraverso gallerie, spazi non profit e artist run space. Particolarmente forte quest’anno la presenza di gallerie provenienti dai Paesi dell’Est.

 

Tra le novità di quest’anno al Padiglione 3 di Torino Esposizioni: 4 performance artistiche proposte da altrettante gallerie, italiane e internazionali, che hanno coinvolto il pubblico in un’esperienza dell’arte sempre più sensoriale e partecipata. Ma non solo, anche un programma di talk curato dall’art sharer Elisabetta Roncati con un’Arena che ha coinvolto oltre 30 ospiti per discutere e confrontarsi sull’arte contemporanea sui temi dell’attivismo, delle nuove tecnologie, del gender e della queerness.

 

La qualità della proposta artistica di questa XII edizione è stata particolarmente apprezzata grazie alla varietà dei linguaggi in un confronto artistico intergenerazionale che riconferma The Others come piattaforma di incontro, di scambio e di dialogo che da sempre si contraddistingue la fiera per la sua vocazione provocatoria, eclettica e internazionale, in grado di sprigionare energie creative sempre nuove.

 

La XII edizione ha riflettuto sui grandi temi d’attualità a partire dal focus su Iran e libertà, inadeguatezza e disagiolegame con il territorio di appartenenza e le proprie tradizioniincontro tra arte visiva e altri linguaggi creativi, l’approfondimento sul linguaggio della fotografia contemporanea, all’ambiente e ai suoi elementi ed una sezione dedicata allo sguardo al femminile.

 

Anche in questa edizione 2023, The Others Art Fair è riuscita nel proprio intento di dare spazio e visibilità alle realtà emergenti, rompendo gli schemi grazie a un format unico e indipendente che continua a sostenere il fondamentale dialogo tra pubblico, arte e territorio.

 

I SETTE PREMI ASSEGNATI DA THE OTHERS ART FAIR

Sono sette i Premi, nazionali e internazionali, assegnati nel corso della dodicesima edizione della Fiera, tra cui quattro Premi di acquisizione e tre di residenza, a partire dal “Premio Comitato PDA Amore e Colore” vinto da Felicija Dudoit presentata Contour Art Gallery di Vilnius (Lituania).

 

Operæ, il più diffuso sistema di archiviazione e gestione su smartphone e tablet per collezionisti, ha scelto Simone Negri con “Accadimento #149” proposto da Eshgallery e l’artista Koro Ihara con l’opera “Dyeing green #0” della galleria d’arte Faber da inserire nell’ambito della “Collezione Operæ”.

 

Il “Nice (He)art Prize” creato da Francisca Viudes,  è stato assegnato a Fausto Gilberti della Wizard Gallery e ad Andrea Fiorino di A.more Gallery. Questo premio dà ai vincitori la possibilità di partecipare al “The (He)art for (He)art Program” con base nella città di Nizza.

 

Spazio 88, società di servizi ha deciso di premiare Glenda Costa di Crumb Gallery per l’opera “Visioni notturne in un limoneto” e Giulia Sfernazza della galleria d’arte Faber con “Frammenti”. Il premio di acquisizione è rivolto a opere in grado di ispirare la fiducia nelle possibilità umane e di promuovere un sentimento di sicurezza e tranquillità.

 

“Prospettiva Insulare” ha scelto per la residenza a Tenerife rivolta a un artista under 35 residente in Italia Wang Yuxiang di Dose Art di Shanghai. L’artista sarà ospitato per due settimane nello spazio che Giovanni Ozzola ha realizzato a Santa Cruz de Tenerife.

 

Behnoode Foundation per il suo premio di acquisizione ha scelto tre opere ovvero “Swim Till I Sank” di Gabriele Stabile della galleria Raw Messina, “Hex for the swarm” di Catherina Cramer Giulietta Ockenfuss della galleria Mouches Volantes, ed “Efebo Stellina 4” di Elisa Marino della galleria Young Volcano.

 

Infine è stato consegnato il premio Zenato Academy per la fotografia contemporanea al milanese ventiduenne Giacomo Erba per l’opera “Rizoma” (2022) della galleria Stayonboard.

 

 

Rock Jazz e dintorni a Torino: Motta e la Bud Spencer Blues Explosion

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Per “Moncalieri Jazz” al Porto, si esibisce Sabrina Mogentale e Gilson Riveira. Al Teatro Colosseo arriva Raphael Gualazzi. Willie Peyote è di scena al Concordia di Venaria.

Martedì. Al’Otium Pea Club suona il quartetto Noi Duri in Pink.

Mercoledì. Al Lambic è di scena Lou Dalfin in versione acustica. Al Concordia si esibisce il rapper Il Tre. Per “Moncalieri Jazz” alle Fonderie Limone è di scena Karima preceduta da Osvaldo Di Dio e Ugo Viola.

Giovedì. All’Hiroshima Mon Amour si esibiscono Ensi e Nerone. Al Corso Parigi è di scena la cantante Carly Harvey. Alle Fonderie Limone si esibisce Serena Brancale e Elephant Claps.

Al Comala canta Paolo Archetti Maestri.

Venerdì. Alle Fonderie Limone tributo a Frida Kahlo con il messicano Israel Varela e il tributo a Calvino dal vocalist Albert Hera. All’Hiroshima arriva Motta con il suo nuovo disco “La musica è finita”. Allo Spazio 211 suonano i Cani Sciorri e Treehorn. Al Magazzino sul Po si esibisce Khalab. All’Off Topic suonano gli Studio Murena.

Sabato. Alle Fonderie Limone si esibiscono i We Wonder di Fabrizio Bosso. Alle OGR parte la tournèe dei Blues Spencer Blues Explosion. Al Folk Club suona il trio di Antonio Faraò. Al Magazzino sul Po si esibiscono gli Youff.

Domenica. Al Margot di Carmagnola sono di scena gli Antillectual. Finale di “Moncalieri Jazz” all’Auditorium Toscanini con un tributo a Lelio Luttazzi. L’Orchestra Rai diretta da Steven Mercurio e un gruppo di otto elementi con ospiti Bosso, Nico Gori e le Voci di Corridoio. L’Imbarchino ospita il duo Tarawangsawelas.

Pier Luigi Fuggetta