A luci spente, il 41mo TFF lo si guarda lasciando riaffiorare – forse troppo impietosamente – i difetti che sono serpeggiati attraverso questi otto giorni di proiezioni. Forse il ritorno alla direzione di Steve Della Casa lo scorso anno e le scelte fatte per il concorso e fuori avevano mandato la testa di ognuno in piena euforia, l’aria allegra del quarantennale, il mantenimento del popolare e del colto era ancora una volta riuscito, l’imbarazzo tra una proiezione o l’altra, persino le code e i panini mangiati al volo erano benedetti. Quest’anno, anche cogliendo chiacchierate qua e là, scambi d’idee tra amici e vecchie conoscenze, di pubblico e di addetti ai lavori, è parso che un po’ di magia e di smalto si siano persi per strada e che l’entusiasmo generale abbia difettato, che anche le proiezioni per la stampa al Centrale non abbiano mai visto le resse, che le code all’ingresso delle sale si siano fatte desiderare. Forse un po’ di ripetitività, forse un po’ di stanca, forse la vana ricerca di prime e di anteprime capaci di incuriosire e di farsi inseguire come era capitato negli scorsi anni.
Con l’anno prossimo ci sarà l’arrivo di Giulio Base (prodotto del nuovo corso politico: ma anche chi va spesso al cinema mi chiedeva in questi giorni “chi è?”), già guardato malamente e con occhio “sinistro” prima che ancora metta piede in città, e neppure troppo a torto – anche se sarebbe ed è parecchio ingiusto e gratuito buttargli la croce addosso con dodici mesi d’anticipo -, visto il completo digiuno di festival, della presenza di una filmografia un pochino sbiadita, di una perseveranza nei salotti romani e della presenza di una consorte che favoleggia e instaura eventi mondani e che vorrà ben volentieri dare una mano. Il colto e il popolare, da sempre cifre dominanti del TFF, spariranno o per lo meno avranno una brusca virata? Vedremo davanti al Regio o al Lingotto i tappeti rossi, tanto per scimmiottare, con i nostri poveri fichi secchi, Venezia o Roma? Saliranno verso le Alpi manipoli di cinematografari romani, stelline d’alto lignaggio, fior di nomi che si muovono soltanto a certe regole? I finanziamenti, soprattutto, individueranno le strade giuste per poter lievitare? Dovrà lavorare, il Base, far quadrare i conti, magari dovrà scegliere percorsi nuovi che non siano, per le retrospettive, né l’horror della Martini né il western di Della Casa, magari sarà capace di buttare all’interno quella ventata d’aria fresca che rinnovi un po’ il festival.
Viene il forte dubbio, a scorrere i premi che chiudono il concorse di questo 41mo Torino Film Festival che il momento storico che stiamo attraversando, l’Europa in prima linea, abbia forzato un po’ la mano ai giurati, tra i quali i nomi italiani di Lyda Patitucci ed Elisabetta Sgarbi. Delle quattordici opere in concorso, suddivise secondo leggi vigenti (!) non sempre condivisibili tra sette registi e sette registe, il miglior film è stato giudicato “La palisiada” dell’ucraino Philip Sotnychenko, con una motivazione che, in sottotraccia, nella sua estrema stringatezza, pare lasciar intravedere una decisione politicamente corretta e sbrigativa: “Film complesso, di grande libertà registica nella costruzione delle scene che, concatenandosi trovano il loro senso autonomo. Il regista, alla sua opera prima, dimostra assoluta padronanza di mezzi”. Film complesso, perché? Per quali ragioni? Sicuri che quella affermata concatenazione sia la forza del film e la sua superiorità? Sicuri che i due colpi di pistola che dovrebbero far da specchio al passato – del 1996, quando sta per essere abolita la pena di morte – e al presente – ma la guerra attuale non c’entra – dell’Ucraina siano cinematograficamente chiariti, che il cammino tra rastrellamenti e sommari processi porti in tutta chiarezza alla sbrigativa esecuzione del finale? Che la ricostruzione della polizia e la rappresentazione di una realtà falsata siano rese in maniera approfondita e concreta? Le zone buie rimangono, senza negare al giovane regista una sua personale ricerca. Per chi scrive, con la convinzione dell’indomani, assai più coerente, narrativamente potente, capace di tratteggiare con estrema padronanza i vari caratteri della storia, “Le ravissement” della francese Iris Kaltenbäck (una motivazione che non fa una grinza o un piccolo dubbio: “film armonicamente riuscito, dove tutto concorre all’ottimo risultato finale. Iris Kaltenbäck, con la complicità degli interpreti Hafsia Herzi, Alexi Manenti e di tutto il cast, realizza un’opera prima matura e coinvolgente”). Che aggiunge il premio alla migliore attrice (la Herzi: mentre per la nostra Barbara Ronchi, sempre più matura e convincente nell’assolo di “Non riattaccare” di Manfredi Lucibello si è dovuto inventare una Menzione speciale); il premio per il migliore attore all’argentino Martìn Shanly, protagonista (e regista ricco di pretese) del dimenticabile “Arturo a los 30”.
Elio Rabbione
Nelle immagini: “La palisiada” di Philip Sptnychenko, premiato miglior film al 41mo TFF; “Le ravissement” di Iris Kaltenbäck, premio speciale della giuria e miglior attrice a Hafsia Herzi (a sinistra); un intenso primo piano di Barbara Ronchi, menzione speciale per “Non riattaccare” di Manfredi Lucibello.