

Nel libro “Una vita in Dono”, a “Palazzo Conti di Bricherasio”
Domenica 14 luglio
Bricherasio (Torino)
L’incontro rientra nella quinta edizione di “Bellezza tra le righe”, rassegna (che nasce, attraverso incontri e presentazione di libri e letture, “per guardare al futuro e acquisire nuovi punti di vista e strumenti per meglio viverlo e comprenderlo”) organizzata da alcune fra le più prestigiose dimore storiche del Pinerolese, in programma – dopo l’avvio di domenica 30 giugno scorso – fino a domenica 13 ottobre. Tema di quest’anno: “Ci vuole coraggio”. Un tema che affronta con grande determinazione e “coraggio”, per l’appunto, il libro “Una vita in dono” (“ed. 99 Edizioni”), opera di Claudia Roffino (torinese,docente liceale di Latino e Greco) insieme a Barbara Di Clemente, che verrà presentato domenica prossima 14 luglio, alle 17, nel giardino di “Palazzo Conti di Bricherasio”, residenza storica costruita fra Sei e Settecento ai piedi del Castello di Bricherasio, dove sorgevano le fortificazioni distrutte nel corso dell’assedio del 1594 in cui Bricherasio, occupata dai Francesi, venne riconquistata dai Savoia.
Contenuto di grande attualità e di profondo valore etico-sociale, “Una vita in dono” è la storia di un’adozione, di un parto in anonimato e di una figlia (la stessa scrittrice) non riconosciuta. Una storia, dunque, autobiografica, in difesa delle donne e della scelta di “partorire in anonimato”. Troppo spesso, infatti, si parla di loro con assoluta e impietosa superficialità e troppo spesso si abusa, di conseguenza, del termine “abbandono”. La “presunta” vittima, Claudia, si schiera invece, in una non semplice autobiografia di 314 pagine, dalla parte della presunta “colpevole”. Sua madre. Che Claudia difende nella sua sicuramente non facile scelta. Quella donna, non conosciuta ma immaginata (attraverso le parole di Barbara Di Clemente) che l’ha messa al mondo e che Claudia non conoscerà mai, per una duplice scelta: quella della donna, che scegliendo il non riconoscimento alla nascita della bambina optò per non essere nominata per cento anni nella documentazione ufficiale come madre biologica e quella di Claudia stessa, che dopo essersi interrogata per una vita su questa scelta si schiera a suo favore, difendendo il “parto in anonimato” come una tutela fondamentale per i bambini e per le donne che non possono o non vogliono essere madri. Due storie. Due vite. E intorno un fitto intreccio di esistenze: quelle di chi ha accolto, amato e cresciuto Claudia, quelle di chi ne ha messo in questione le origini portandola a interrogarsi su sé stessa e quelle di chi ha accompagnato la madre biologica nel suo percorso dopo una decisione troppo spesso oggetto di un giudizio semplicistico.
“Una vita in dono” è, quindi, una difesa della “libertà delle donne” e dei “diritti dei bambini”, nella forma di un invito alla società contemporanea a pensare “con più delicatezza e più profondità i concetti di famiglia e adozione”.
Il libro è stato scritto facendo “interviste in vari ospedali” del Piemonte e della Lombardia, da Torino, Novara a Milano e raccogliendo testimonianze di assistenti sociali, ginecologi, infermieri e operatori dei reparti di Neonatologia. “Io sono nata– afferma Roffino – in tutta sicurezza, in ospedale, per questo non riesco a dire di essere stata abbandonata. Vedo dietro questa scelta la consapevolezza della mia madre biologica di non farcela, ma di decidere per me un’altra possibilità. È forse questo che mi ha permesso di condurre la mia ricerca, da adulta, nel modo in cui ho scelto di farlo”.
Gli incontri di “Bellezza tra le righe” sono compresi nel biglietto di ingresso valevole sia per gli interni sia per il parco. E’ consigliabile prenotare la visita per gli interni e al parco (con visita guidata) al costo di 8 euro, gratuito fino a 10 anni.
Per info e prenotazioni: Palazzo Conti di Bricherasio, via Vittorio Emanuele II 7, Bricherasio (Torino); tel. 366/6866556 o www.palazzocontidibricherasio.com o palazzocontidibricherasio@gmail.com
La novità di quest’anno è che la rassegna si è anche dotata di un sito: www.bellezzatralerighe.it, dove vengono caricate le registrazioni di tutti gli incontri.
g.m.
Nelle foto: “Palazzo Conti di Bricherasio”, Claudia Roffino, Cover “Una vita in dono”
Uno dei luoghi più belli di Parigi è senz’altro Place des Vosges al Marais, nell’ XI arrondissement della ville lumière. Realizzata per volere di Enrico IV sul posto dell’antico Palais des Tournelles fatto distruggere nel 1559 da Caterina de’ Medici in seguito alla morte del marito, il re Enrico II, la piazza più antica della capitale francese venne inaugurata ufficialmente con il nome Place Royale nel 1612. In breve tempo diventò il posto più frequentato e alla moda di Francia, punto d’incontro di aristocratici e intellettuali. Dopo la Rivoluzione, nel 1799, prese il nome di Place des Vosges, in onore del dipartimento dei Vosgi che per primo versò le imposte al neonato Stato Repubblicano. Oltre alla sua bellezza architettonica esercita un fascino letterario. Nel marzo del 1924 i giovani coniugi Simenon vi si trasferirono al numero 21. Quell’abitazione ebbe un significato particolare nella toponomastica della letteratura di George Simenon. Non per caso era vicina a quel Boulevard Richard Lenoir dove lo scrittore collocò l’abitazione del commissario Maigret, e poco distante dalla Senna dove, quasi all’altezza dell’Ile de la Cité, si trova il Quai des Orfèvres che al numero 36 ospitava la polizia giudiziaria di Parigi. A Place des Vosges Simenon scrisse il suo primo degli oltre duecento romanzi popolari, siglati con più di venti pseudonimi. Anche il suo Maigret amava la zona del Marais: “un quartiere che conosceva bene tanto che gli sarebbe piaciuto andare ad abitare”. Per un breve periodo, a causa di alcuni lavori di ristrutturazione nella sua casa di boulevard Ginard-Lenoir, ci abitò e la descrizione di un risveglio mattutino in quell’appartamento svela le autobiografiche sensazioni dello scrittore belga: “In casa c’era un buon odore di caffè. Si sentivano gli uccelli e le fontane di place des Vosges. La gente andava al lavoro nel sole ancora fresco e leggero del mattino”. Al numero sei della stessa piazza c’è la maison parigina di Victor Hugo, la casa dove l’autore di Notre-Dame de Paris e de I Miserabili visse per più di sedici anni, dal 1832 al 1848. Fu tra quelle mura che Hugo scrisse i suoi più grandi capolavori. L’appartamento nell’elegante palazzo Rohan-Guéménée rappresenta oggi, insieme alla Maison de Balzac e al Museo della Vita Romantica, uno dei tre musei letterari di Parigi.
Marco Travaglini
Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato
Torino e le sue donne
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce.
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Con la locuzione “sesso debole” si indica il genere femminile. Una differenza di genere quella insita nell’espressione “sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto “sesso forte”, uno stereotipo che ne ha sancito l’esclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa “categoria” appartengono figure di rilievo come Giovanna D’arco, Elisabetta I d’Inghilterra, Emmeline Pankhurst, colei che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nell’elenco anche Coco Chanel, l’orfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel “sesso debole” che “non si è addomesticato”, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan. Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il “gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario l’etimologia della parola “donna”: “domna”, forma sincopata dal latino “domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere. (ac)
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9. Tristemente Amalia
Negli articoli precedenti ho voluto proporre storie di donne medico, donne soldato, paladine dell’istruzione, figure imponenti, dal carattere forte che non deflette. Eppure non tutte le eroine sono fatte della stessa pasta, in più, parlando di protagoniste al femminile, è impossibile non incappare in una storia d’amore, legata ai canoni romantici della passione travagliata e devastante, tipica delle eroine tragiche che si consumano per qualche immeritevole eroe, con la medesima grazia di Madama Butterfly o con la cruda, suicida determinazione di Didone. Amalia Guglielminetti nasce a Torino il 4 aprile 1882. Rimane orfana di padre a soli cinque anni e viene accolta nella casa del nonno paterno, Lorenzo. Il nonno è molto religioso e fedele ai valori tradizionali del cattolicesimo ortodosso, delega quindi l’educazione della bambina ad istituti privati di stretta osservanza cattolica. All’età di 22 anni, Amalia dimostra passione per la letteratura e doti di scrittrice pubblicando la sua prima raccolta di poesie “Voci di Giovinezza”, di impronta carducciana. A Torino frequenta la Società di Cultura insieme a illustri personaggi quali Thovez, Pastonchi, Graf, Gozzano e Borgese; è in questo ambiente che la giovane cresce e diventa donna appassionata e sensibile, sempre vestita all’ultima moda parigina, proprio secondo i canoni del gusto Liberty. Nel 1907 pubblica “Le vergini folli” dove si intravvedono i temi che saranno poi dominanti nei lavori successivi. E’ questo scritto a incuriosire il poeta torinese Guido Gozzano, che si interessa a lei e con cui Amalia inizia una travagliata, intensa e breve storia d’amore. La relazione tra i due poeti viene ricostruita attraverso una serie di carteggi, che vedono Gozzano proiettato in una dimensione letteraria scritta e cerebrale, mentre Amalia desidera trasformare il rapporto in un concreto legame sentimentale. Da questa altalenante esperienza nascono “Le seduzioni”, poesie in cui si trova riflesso l’amore sognato e perduto, già presente nelle precedenti raccolte poetiche. L’influenza della relazione con Guido rimane evidente, tuttavia Amalia sa andare oltre e si colloca con autorevolezza nella storia letteraria italiana del primo Novecento. D’Annunzio la definirà “l’unica vera poetessa che abbia oggi l’Italia”. Nel 1909 pubblica “Emma” un volumetto di poesie dedicato alla sorella morta di tifo a soli 29 anni. Nel 1911 cura l’introduzione del volume “Versi”, edito a Torino dai Fratelli Pozzo, di Edmondo Rubini Dodsworth, il futuro primo traduttore italiano (nel 1923) dell’opera di William Blake. Nello stesso anno pubblica “l’Amante ignoto”, prima opera teatrale e omaggio a D’annunzio. L’opera diventa nota anche grazie all’attrice Lyda Borelli, diva del cinema muto tra le più amate dal pubblico, che recita qualche scena nel salotto “Donna di Torino”.Nel 1913 esce l’ “Insonne”, volume poetico all’interno del quale la lirica “Risposta a un saggio” sembra essere un controcanto alle poesie di Gozzano “L’onesto rifiuto” e “Una risorta”. Questo è l’ultimo lavoro poetico impegnativo di Amalia, che nel 1934 pubblicherà “I serpenti di Medusa”, senza particolari novità artistiche. Scriverà ancora versi, soprattutto per volumi rivolti all’infanzia. Intanto si dedica ad opere narrative, in cui tuttavia i personaggi femminili restano in linea con le tematiche oggetto della precedente produzione in versi. Sempre nel 1913 esce il suo primo lavoro in prosa, “I volti dell’amore”, ma la critica è piuttosto severa. Amalia collabora anche con alcune riviste su cui scrive di poesia e di prosa. In questo contesto conosce lo scrittore e critico letterario Dino Segre (di dodici anni più giovane) e con lui inizia una difficile relazione che tuttavia si protrae per alcuni anni. Nel 1917 esce “Nei e cicisbei” e nel 1919 “Il Baro dell’amore”, lavori che saranno un clamoroso insuccesso.
Amalia torna in auge con il romanzo del 1923 “La rivincita del maschio”, in cui è evidente l’influenza di Pitigrilli, (pseudonimo di Dino Segre), ma la pubblicazione le procura problemi giudiziari. I guai per la poetessa si intensificano con l’interruzione della relazione con Pitigrilli che finisce malamente con denunce, calunnie e querele; il tutto termina con una condanna di quattro mesi di reclusione per Amalia stessa, che pare avesse falsificato alcune lettere nel tentativo di far passare Pitigrilli come antifascista. La donna viene anche processata per oltraggio al pudore nel 1935, a motivo di un articolo sulla rivista “Cinema illustrazione”. La vicenda tormentata della Guglielminetti non trova pace nemmeno alla fine della sua vita. Muore il 4 dicembre 1941 per setticemia, provocata da una ferita che si era causata qualche giorno prima, cadendo da una scalinata per raggiungere il rifugio anti-aereo, in seguito all’allarme per il bombardamento che stava per incombere su Torino. Aveva lasciato poco tempo prima le sue volontà relative alle modalità di sepoltura: una tomba a piramide con l’iscrizione “Essa è pur sempre quella che va sola” e l’istituzione di un premio letterario a suo nome. Entrambe le richieste non saranno realizzate. E’ sepolta al Cimitero Monumentale di Torino e il suo valore di poetessa è oggi, purtroppo, quasi completamente dimenticato e ignorato.
Alessia Cagnotto
Music tales, la rubrica musicale
“Se dovessi essere il personaggio di una sit com morirei sempre da solo”
Qualche mese fa un volto da bravo ragazzo ed una voce che ho trovato interessanti, mi hanno spinta a voler parlare nel mio articolo di Eric Picatti.
Quindi sono andata a fare un’intervista perchè amo dare spazio ai giovani.
Spero che possiate sostenerlo ed alimentare la sua ascesa. Lo merita.
1- Chi sei e cosa ti ha spinto a fare musica ?
Mi chiamo Eric, in arte Finix24, o per gli amici e conoscenti FINIX, sono un ragazzo di 25 anni proveniente dalla provincia di Torino, più precisamente da Cercenasco.
La passione per la musica rap ( da artista) è nata in maniera in aspettata da pochi anni in realtà, diversamente da altre persone da piccolo ascoltavo musica ma molto più generale, per poi in adolescenza avere anche molte influenze da parte della musica elettronica, preciso da ascoltatore. Ho iniziato a scrivere testi per diletto in pandemia ( metà 2020 ) per poi dedicarmici totalmente nel gennaio 2021, grazie al supporto di amici e familiari.
Da quel momento in solo 3 anni di carriera sono riuscito a pubblicare, in maniera del tutto indipendente, 1 ep chiamato Storie del Solidiario, uscito nel 2022 e un album chiamato NARRATORE, uscito quest’anno, tutti e due disponibili su tutte le piattaforme e il secondo anche in formato fisico.
2- Cosa ti ha spinto a scegliere questo pezzo e come è nato ?
Il pezzo che ho scelto fa parte di una saga, ora con solo 2 capitoli, potrei rispondere a tutte le due domande con una risposta. Il pezzo nasce dalla volontà di esprimere il senso di resilienza alle difficoltà che possiamo trovarci ogni giorno della nostra vita, sotto forma di una favola (o di un anti fiaba) di un cavaliere solitario che affronta un lungo viaggio, fatto di insidie , pericoli, difficoltà, cadute. Un viaggio alla ricerca di un tesoro che, chi nella vita si è sentito e si sente SOLO, cerca sempre e comunque, l’amore e la felicità. La ricerca di qualcuno che voglia condividere un cuore già spezzato in due e rinchiuso a chiave, la felicità e la consapevolezza che si possa trovare quel tipo di persona anche attraverso i propri amici e familiari. È un pezzo che semplicemente racconta di noi, che ogni giorno cerca di tenere la testa alta il più possibile contro eventi complicati, tristi, dovuti al lutto, alla dipendenza, alla depressione, al bullismo, alla difficoltà economica dalla società odierna. Racconta di chi rialza, chi nonostante tutto, riesce a mantenere un buon cuore e chi non ha sovrastrutture, chi riesce ogni giorno a mostrare la propria faccia in un mondo fatto di tante maschere. È un pezzo che racconta anche una parte della mia vita, dal momento che io, come tutti ho affrontato e sto affrontando tutt’ora ciò che ho appena detto. Fortunatamente con un sorriso in più .
3- Quali sono i tuoi progetti futuri ?
Non so effettivamente cosa mi attenderà il futuro, in questo 3 anni a dispetto di ciò che può pensare la gente, sono riuscito a far uscire 2 progetti che volevo fortemente pubblicare, in modo che tutti quelli che hanno ascoltato e che ascolteranno i miei lavori, potessero ascoltare la mia idea di musica, la mia idea di Rap e Hip Hop. Al momento sto lavorando ad un secondo ep, che spero di far uscire nel 2025. La volontà di fare anche un secondo disco c’è, ma al momento è una cosa su cui mi concentrerò più avanti. Spero anche di lavorare anche all’interno di una label, anche indipendente, per vedere come si lavora all’interno di quel mondo.
Non so se avverrà, solo il tempo ce lo può dire.
Buon ascolto e tanta buona fortuna a Finix24!
CHIARA DE CARLO
scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!
L’asilo infantile di Malesco, in Valle Vigezzo, a ridosso del confine con la Svizzera, venne inaugurato nel 1853, ventisei anni dopo la “scuola per bambine”, ed entrambe le istituzioni educative trovarono alloggio per tutto l’800 nell’edificio dell’ex ospedale Trabucchi, nel centro storico del paese. Agli inizi del ‘900, agli albori del “secolo breve”, in ragione degli spazi angusti in cui erano costretti i piccoli frequentatori dell’asilo e delle scuole femminili, l’Amministrazione comunale maleschese progettò la costruzione di una nuova scuola, considerato l’aumento della popolazione scolastica. Così, con una delibera del 1907, venne scelta piazza Brié che, al tempo, era stata pensata già larga (105 metri per 45), contornata da un bel viale a doppia fila, utilizzata sul finire del secolo (nel 1896) per festeggiamenti dell’acqua potabile che, in paese, veniva distribuita alle otto fontane pubbliche, alle scuole e all’asilo. Un vanto per gli amministratori del più popoloso centro vigezzino, a quel tempo guidati dal sindaco Bartolomeo Trabucchi. L’edificio doveva comprendere al piano rialzato i locali dell’asilo, al primo piano tre spaziose aule per le scuole femminili e al secondo, sulla destra della scala, un piccolo appartamento privato per le suore, e dall’altro lato un’altra aula. L’edificio subì, nel tempo, ulteriori sistemazioni e aggiustamenti ma già negli anni ‘30, come si può desumere da testimonianze e foto d’epoca, le classi erano miste e gli insegnanti laici. In quel luogo – una scuola – attraversato, abitato e frequentato dai ragazzi in crescita si dovrebbe sperimentare lo stare insieme anche tra persone che non sono legate da un comune affetto, come nel caso della famiglia. La scuola è il luogo che fornisce contenuti di conoscenza, dove si sta con gli altri condividendo regole comuni. Ovunque, e – ovviamente – anche in quell’edificio di piazza Brié, a Malesco, quasi agli estremi dell’Italia di “mezzanotte”. Soprattutto in un asilo come quello che rappresentava il primo livello di un cammino dove, nel tempo, i bambini avrebbero incontrato le maestre che avrebbero spiegato loro i numeri, gli anni della storia, i luoghi della geografia. Si sarebbe scritto, più avanti, con il pennino e con l’inchiostro che stava nel calamaio, su ogni banco.
C’era, e lo si coglieva nei paesi di montagna come nelle città, una generosità civile nella scuola pubblica, gratuita che permetteva di imparare. L’istruzione era (lo è ancora) utile perché non discriminava e dava importanza a tutti, a partire dai più poveri. Come ha scritto Erri De Luca, “la scuola dava peso a chi non ne aveva, faceva uguaglianza. Non aboliva la miseria, però fra le sue mura permetteva il pari. Il dispari cominciava fuori”. Ovunque, appunto. Anche a Malesco. Ma così non fu, in tempo di guerra. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, la nascita della Repubblica fascista di Salò, l’occupazione nazista e l’avvio della lotta partigiana, le cantine di quelle scuole diventarono protagoniste, loro malgrado, di indicibili atrocità. Lì, nazisti tedeschi e fascisti italiani, rinchiusero e seviziarono i partigiani fatti prigionieri durante il rastrellamento del giugno 1944. L’impervia Val Grande (oggi parco nazionale e area wilderness più grande d’Italia) e le zone circostanti ospitavano diverse formazioni partigiane come la Valdossola, la Giovane Italia e la Battisti contro cui, in quell’inizio d’estate, si scatenò l’attacco di diverse migliaia di nazifascisti con l’appoggio di artiglieria e di aerei. Tedeschi e fascisti attaccarono in quasi cinquemila, bene armati ed equipaggiati; i partigiani che si difesero erano dieci volte di meno, male armati, peggio equipaggiati e privi di viveri. Per le formazioni partigiane e per la popolazione civile furono venti terribili giorni di spietata caccia all’uomo, fucilazioni, incendi e saccheggi. Le operazioni in montagna dell’Operazione Köeln – organizzata dal comando SS di Milano – terminarono il 22 giugno con l’eccidio dell’Alpe Casarolo, in alta Val Grande, dove morirono nove partigiani e due alpigiani. Poi in Val Grande le armi tacquero ma continuarono le fucilazioni dei partigiani catturati nei paesi ai piedi dei monti. Numerose vittime rimasero senza un nome e così anche molti dispersi, come nel caso di tanti giovani lombardi saliti in montagna per sfuggire ai bandi della Repubblica Sociale Italiana e non ancora censiti sui ruolini delle formazioni partigiane. Le vittime del rastrellamento – compresi molti alpigiani in zona per la monticazione estiva – furono circa trecento, la metà delle quali uccise dopo la cattura. Nelle cantine dell’asilo di Malesco, trasformato in prigione, transitarono decine e decine di partigiani, picchiati e torturati in interminabili “sedute” d’interrogatorio dai loro aguzzini. Molti di loro vennero poi tradotti nei luoghi di fucilazione, a Fondotoce di Verbania, Beura, Baveno. E nella frazione maleschese di Finero dove, nel piccolo cimitero, in quindici vennero messi al muro e fucilati il 23 giugno 1944. Oggi, a memoria di quella tragica vicenda, è stata posta una lapide sul muro della scuola e al centro della piazza (che ha cambiato il nome in piazza XV Martiri) dove, dalla fontana, l’acqua esce da quindici zampilli, tanti quanti i partigiani che persero la vita nel camposanto lungo la strada che scende per la Valle Cannobina.
Marco Travaglini
Approda a Busca, nel cuneese, la settima edizione della rassegna organizzata da “Fondazione Artea”
Sabato 13 e domenica 14 luglio
Busca (Cuneo)
Grandi ospiti, reading, visite guidate e approfondimenti su storia, civiltà e scoperte rivoluzionarie tese a valorizzare tre “luoghi – simbolo” del territorio, le suggestive “Cave di alabastro”, la prestigiosa Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea “La Gaia” ed il monumentale “Castello del Roccolo”: sono questi i ricchi ingredienti della due giorni, sabato 13 e domenica 14 luglio, che porterà a Busca (dal 2015, parte dell’“Unione Montana Valle Varaita”) la settima edizione di “Carte da decifrare”, la rassegna culturale organizzata da “Fondazione Artea”, in collaborazione con il “Comune di Busca” e il “Salone Internazionale del Libro di Torino”, con la curatela dello stesso segretario generale del “Salone” torinese, Marco Pautasso.
Il via è in programma sabato 13 luglio, con la passeggiata con sonorizzazione elettronica immersiva “Le stanze di Alabastro”, presso le ex cave di “alabastro rosa”, antichissime grotte (5 “canyon”) , a pochi minuti dal centro cittadino, in parte a cielo aperto e formatesi oltre 350mila anni fa. La “performance” site-specific, il cui titolo richiama sia gli omonimi versi di Emily Dickinson, sia il significato di “stanza quale porzione di testo poetico” nasce da un concept del musicista e compositore Gianluca Verlingieri: un percorso artistico-creativo “dove pensieri, immagini e sensazioni si intrecciano con musiche originali ed elaborazioni di suoni della natura, sfumature sonore d’alabastro e citazioni letterarie” affidate alla voce dell’attrice Claudia Ferrari. All’esperienza sarà anche abbinata una breve visita guidata alle cave.
Sempre nella giornata di sabato 13 luglio, presso la straordinaria Collezione “La Gaia”, sulla collina di Santo Stefano (ad un chilometro dal centro storico), si terrà il reading musicale “Annalena”, protagonista Annalena Benini, direttrice del “Salone Internazionale del Libro” e autrice del romanzo (“Annalena”, Einaudi, 2023) che narra la storia della missionaria italiana cattolica Annalena Tonelli (Forlì, 1943 – Borama, 2003), insignita dall’“Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati” del “Premio Nansen” per l’assistenza ai profughi, volontaria in Kenya e Somalia, prima di essere trucidata da un “commando” nel 2003 a Borama, in Somailland. “Una storia che Benini conosce da sempre, che fa parte della sua famiglia, ma anche un viaggio moderno e accidentato, ricco di domande e confessioni, nel tentativo di guardare dal basso … la scala che sale fino all’assoluto”, per arrivare a scoprire che “il pensiero più libero e coraggioso del Novecento è un pensiero femminile”. Ad accompagnare il racconto, il violino di Anais Drago, fra le più talentuose musiciste dell’attuale panorama musicale italiano. Al reading, organizzato in collaborazione con “Giulio Einaudi Editore” è abbinata una breve visita guidata alla prestigiosa Collezione “La Gaia”, avviata negli Anni ’70 dalla passione per l’arte di Bruna e Matteo Viglietta e che, ad oggi, conta oltre 2.500 opere di arte moderna e contemporanea.
L’iscrizione è obbligatoria su www.ticket.it, biglietto unico 18 euro. Il pubblico verrà suddiviso in due gruppi che partiranno con navetta contemporaneamente da piazza F.lli Mariano alle 16,30, alternandosi nelle due tappe del percorso.
Domenica 14 luglio, alle 18,30, presso il “Castello del Roccolo”, importante espressione del revival neo-medievale in Piemonte (costruito a partire dal 1831 dai Marchesi Taparelli d’Azeglio), si terrà un incontro con Christian Greco, direttore del “Museo Egizio” di Torino, incentrato sul filo del suo ultimo libro “Alla ricerca di Tutankhamun” (Ed. Panini, 2023), straordinaria scoperta, la tomba del faraone nel 1922 da parte di Howard Carter, “che annulla la distanza temporale fra l’antico Egitto e l’epoca delle missioni archeologiche”. La narrazione di Greco sarà accompagnata dalle note del violoncellista Antonio Cortesi e guidata dal vice-direttore de “La Stampa”, Gianni Armand-Pilon.
In caso di maltempo, l’incontro, organizzato in collaborazione con “Franco Cosimo Panini Editore”, si terrà presso il “Teatro Civico”, vicolo del Teatro 1, a Busca.
I biglietti sono disponibili in prevendita fino a venerdì 12 luglio su www.ticket.it, oppure il giorno dello spettacolo, dalle 17,30, presso la biglietteria del “Castello”, salvo esaurimento posti, al costo di 18 euro (intero), 12 euro (under 25), gratuito per i minori di 12 anni e i diversamente abili con accompagnatori.
È possibile acquistare il carnet delle due giornate di rassegna al costo di 25 euro, solo su www.ticket.it (salvo esaurimento posti)
g.m.
Nelle foto: Il “Castello del Roccolo” (Ph. Daniele Molineris), Annalena Benini e Christian Greco