CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 11

Torino sul podio: primati e particolarità del capoluogo pedemontano

 

Malinconica e borghese, Torino è una cartolina daltri tempi che non accetta di piegarsi allestetica della contemporaneità.
Il grattacielo San Paolo e quello sede della Regione sbirciano dallo skyline, eppure la loro altitudine viene zittita dalla moltitudine degli edifici barocchi e liberty che continuano a testimoniare la vera essenza della città, la metropolitana viaggia sommessa e non vista, mentre larancione dei tram storici continua a brillare ancorato ai cavi elettrici, me nel contempo le abitudini dei cittadini, segnate dalla nostalgia di un passato non così lontano, non si conformano allirruente modernità.
Torino persiste nel suo essere retrò, si preserva dalla frenesia delle metropoli e si conferma un capoluogo a misura duomo, con tutti i pro e i controche tale scelta comporta.
Il tempo trascorre ma lantica città dei Savoia si delinea unica nel suo genere, con le sue particolarità e contraddizioni, con i suoi caffè storici e le catene commerciali dei brand internazionali, con il traffico della tangenziale che la sfiora ed i pullman brulicanti di passeggeri sudaticci ma ben vestiti.
Numerosi sono gli aspetti che si possono approfondire della nostra bella Torino, molti vengono trattati spesso, altri invece rimangono argomenti meno noti: in questa serie di articoli ho deciso di soffermarmi sui primati che la città ha conquistato nel tempo, alcuni sono stati messi in dubbio, altri riconfermati ed altri ancora superati, eppure tutti hanno contribuito e lo fanno ancora- a rendere la remota Augusta Taurinorum così pregevole e singolare.

1. Torino capitale… anche del cinema!

2.La Mole e la sua altezza: quando Torino sfiorava il cielo

3.Torinesi golosi: le prelibatezze da gustare sotto i portici

4. Torino e le sue mummie: il Museo egizio

5.Torino sotto terra: come muoversi anche senza il conducente

6. Chi ce lha la piazza più grande dEuropa? Piazza Vittorio sotto accusa

7. Torino policulturale: Porta Palazzo

8.Torino, la città più magica

9. Il Turet: quando i simboli dissetano

10. Liberty torinese: quando leleganza si fa ferro

 

1-Torino capitale… anche del cinema!

Torino è grande! Torino è bella, lo gridava Sandro Replay alle serate Parhasar, e vediamo quanti di voi, cari lettori, sorridono continuando la cantilena che quasi tutti i veritorinesi hanno pronunciato goliardicamente almeno una volta, certo ormai un podi tempo fa.
Vi ho sbloccato un ricordoperché in questo articolo vorrei raccontarvi di Torino sotto veste di capitale, tuttavia non dItalia (1861 – 1865), ma della Settima Arte, che proprio qui vede i suoi natali, grazie a personalità come Vittorio Calcina e Arturo Ambrosio.
È il 1895, nel negozio di ottica di Arturo Ambrosio viene esposto il Kinetoscopio di Edison, parente prossimo del celeberrimo cinematografo Lumière, strumento che proietta immagini in movimento, creando quella magia immortale che illude losservatore e lo inganna, trasportandolo in luoghi e momenti inaspettati attraverso rappresentazioni fittizie.
Anche se alcuni attestano una prima proiezione nel mese di marzo 1896, presso il Caffè Romano di piazza 
Castello, la versione ufficiale vuole che tale avvenimento si fosse svolto il 7 novembre dello stesso anno, presso l’Ospizio di Carità di via Po 33.
Lasciamo stare i cavilli, la rivoluzione cinematografica è ormai nata e da subito stupisce e destabilizza gli osservatori increduli; le immagini scorrono su un formato di 1,60 mt per 1,29 mt -quasi quanto alcune televisioni odierne-, i filmati hanno breve durata, come attesta “La Bohémienne dei bébès”, una delle prime pellicole trasmesse, con protagoniste otto bambine con i grembiulini bianchi che ballavano la polca.
Limpatto è talmente sconvolgente che ad esso seguono altri due primati: la prima proiezione con un pubblico pagante qualche mese più tardi rispetto al primo evento gratuito- e decisamente diversi anni dopo, nel 1971- la nascita del primo cinema dessai in Italia, il Cinema Romano, situato nella Galleria Subalpina, oggi rinominato Lux. E siccome non c’è due senza tre, nel 1983, Torino si conferma città del cinema con linaugurazione del cinema Eliseo, il primo multisala della penisola.
Ma andiamo per ordine: il 30 aprile 1911 si svolge nel capoluogo piemontese l’Esposizione internazionale delle industrie e del lavoro, una manifestazione imponente che espone numerosi cinematografi nei diversi padiglioni, a dimostrazione del fatto che già nel 1908 a Torino si girava ben il 60% della produzione filmica italiana, senza tener conto che a partire dal 1910 la casa di produzione Ambrosio distribuisce su larga scala i noti film serie nera, una sorta di storie gialle impreziosite dai drammi personali dei personaggi.
Pare incredibile, ma lAmerica allepoca guardava verso lItalia con stupore ed invidia, non solo per la grande macchina dellindustria cinematografica, ma anche per i divi e le dive che il grande schermo rendeva idoli indiscussi.
Sono gli anni del bianco e nero e del cinema muto, tutto è incentrato sulle movenze degli attori, gli sguardi, la gestualità estremizzata e teatrale, gli attori divengono Stars, impongono mode, dettano regole non scritte, infrangono i cuori dei giovani.


È il caso della bella Mary Cléo Terlanini, nota per aver recitato in Spergiura!, o di Lydia Borrelli, particolarmente amata dal pubblico maschile torinese, che addirittura morivaper il suo fascino, mentre le donne la imitavano a tal punto da far nascere una moda basata su un atteggiamento di emulazione totalizzante nei confronti della bella attrice, ilBorellismo. Francesca Bertini, charmantee gracile, invece era lincarnazione della divaper eccellenza, si dice infatti che pretendesse un abito nuovo e diverso per ogni scena girata, ovviamente cucito su misura dalla sua sarta personale, e che terminasse di lavorare alle 17.00 del pomeriggio per prendere il té in un grande albergo. Notata addirittura dalla Fox, Francesca preferisce alla grossolana America un amorevole banchiere svizzero, Alfred Paul Cartier.
Dietro i volti iconici e ben truccati degli interpreti in primo piano, si svolge il duro lavoro dei macchinisti, dei truccatori, degli scenografi, dei musicisti e di tutti coloro che finiscono nel dimenticatoio dei titoli di coda, eppure Vittorio Calcina, indifferente al rischio di non passare alla gloria, non si arrende ed elabora le prime pellicole con regia torinese, tra di esse si annovera un filmato realizzato presso il Castello di Monza, con protagonisti re Umberto I e consorte, i quali dimostrano una discreta curiosità per questa nuova tecnologia. Il girato viene trasmesso nella Birraria in via Garibaldi 10, luogo in cui si svolgono numerosi spettacoli diurni e serali, anche se il primo locale effettivo e stabile, in cui i film verranno proiettati periodicamente, sarà l’Edison, in via delle Finanze ora via Cesare Battisti-.
Nel frattempo il lungimirante Arturo Ambrosio parte per una gita in montagna, carico di una macchina da presa donatagli da uno dei fratelli Pathé – i creatori dellomonima società cinematografica, nata a Varennes, in Francia- con la quale gira il primo film prodotto a Torino: La corsa automobilistica Susa-Moncenisio. È linizio del successo per Arturo, che grazie alla riuscita del suo operato, apre uno studio di posa nel giardino di casa sua via Nizza 187- dedicandosi alla realizzazione di film comici, drammatici e diversi documentari.
La nascita della Settima arte porta con sé lo sviluppo del sonoro e della comunicazione senza fili, è tutta una tecnologia brulicante di scoperte e sviluppi, che dun tratto portano alla realizzazione di Cabiria, un vero e proprio kolossal, sceneggiato da Gabriele DAnnunzio e passato alla storia per essere stato il film più lungo, costoso ed innovativo dei tempi del cinema muto.
Impossibile non temporeggiare su tale argomento, tanto più che il temibile dio Moloch ancora ci osserva, incatenato, dallinterno del Museo del Cinema, situato presso la Mole Antonelliana.
Tra il 1913 e il 1914 Torino non invidia nulla alla celebre Hollywood, la stessa pellicola di Cabiria è nota negli Stati Uniti come the daddy of spectacles, ossia il papà di tutti gli spettacoli: la vittoria è garantita.
Giovanni Pastrone, il regista, propone un modello di spettacolo innovativo, che si differenzia dal cinema prodotto in precedenza, sotto molteplici punti di vista come la durata (tre ore e dieci minuti), il budget esorbitante (un milione di lire-oro), gli effetti speciali, i movimenti di carrello e luso espressivo della luce, senza dimenticare la Sinfonia del fuoco composta da Ildebrando Pizzetti e laccompagnamento in sala di coro e orchestra, per le proiezioni più prestigiose. È lopera darte totale, non stupisce a questo punto la collaborazione con DAnnunzio, il quale provvede alla stesura delle didascalie letterarie ed inventa il nome Cabiria, ossia nata dal fuoco.
Le scene del kolossal vengono girate in molteplici zone tra Torino, Tunisia, Sicilia, le Alpi, i laghi di Avigliana, Valli di Lanzo e allinterno di Villa Pastrone di proprietà del regista-.
Della musica invece si occupa Manlio Mazza con la breve ma intensa Sinfonia del fuoco di Ildebrando Pizzetti.
La prima si svolge il 18 aprile 1914, al Teatro Vittorio Emanuele di Torino e in contemporanea al Teatro Lirico di Milano. Le innovazioni del film quali lampade elettriche per il chiaroscuro, scenografie ricostruite in cartapesta, il carrello per muovere la cinepresa sulla scena e la tecnica della sovrimpressione, donano fama immediata a Cabiria, la critica rimane benevolmente impressionata dallopera, così come il pubblico, tanto che il kolossal resterà in cartellone per sei mesi a Parigi e per quasi un anno a New York. È bene non dimenticarsi che proprio Cabiria è stato il primo lungometraggio della storia ad essere proiettato alla Casa Bianca.


Ben si collega a questi gloriosi inizi il progetto di costruzione di un museo del cinema italiano, idea portata avanti a partire dal 1941 da Maria Adriana Prolo, con il sostegno artistico dello stesso Giovanni Pastrone e con laiuto del giornalista Francesco Pasinetti.
Sarà tuttavia necessario attendere il 1995 affinché la Mole Antonelliana venga scelta come sede ultima della grande esposizione, proprio in occasione del centenario della nascita del cinema; per tale evento collaborano l’architetto torinese Gianfranco Gritella e lo scenografo svizzero François Confino, il progetto in seguito si amplia e si modifica, accrescendo di pari passo fama e apprezzamenti, tanto che nel 2000 il museo viene visitato da oltre due milioni di visitatori.
Già conosciuto a livello internazionale, nel 2004, con il film Dopo Mezzanottedi Davide Ferrario, il Museo del Cinema di Torino tocca lapice della notorietà, mentre due anni dopo viene ulteriormente restaurato e rinnovato in occasione dei XX Giochi Olimpici invernali; lallestimento si arricchisce di postazioni multimediali e interattive, tre nuovi ambienti dedicati al western, al musical e alla fantascienza.
È proprio negli anni 2000 che Torino festeggia il suo personale legame con il cinema, grazie allinaugurazione del suggestivo apprestamento già citato di François Confino, il 20 luglio dello stesso anno, ma anche perché nel medesimo giorno viene costituita la Film Commission Torino Piemonte, con lo scopo di promuovere Torino ed il Piemonte come locations cinematografiche e televisive.
Ventanni dopo il capoluogo è ufficialmente nominato Capitale del Cinema 2020. È in tale occasione che si sottolinea la numerosa varietà di enti, associazioni, istituti e laboratori che si contraddistinguono per eccellenza nel panorama cinematografico nazionale ed europeo e che hanno sede proprio qui, nella città attraversata dal Po e ombreggiata dal Monviso. Sempre nel 2020 si svolge Torino Città del Cinema 2020. Un film lungo un anno, un progetto ambizioso, sostenuto da Città di Torino, Museo Nazionale del Cinema e Film Commission Torino Piemonte, con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in collaborazione con Regione Piemonte, Fondazione per la Cultura Torino, media partner Rai. Liniziativa continua a crescere e a coinvolgere ulteriori proposte, che nel tempo hanno contribuito a fondere linvenzione del grande schermo con il territorio torinese, a tal proposito è impossibile non citare lideazione de I luoghi del cinema, piano che prevedeva la realizzazione di allestimenti impattanti ed immersivi in alcuni specifici angoli della città.
È bene a questo punto fare i conti con il nostro snobismo torinese e riconoscere il ruolo più che rimarchevole che Torino ed il Piemonte hanno assunto nel mondo del cinema, nonché la loro notevole rilevanza dal punto di vista dello sviluppo dellindustria cinematografica, dello sviluppo di talenti e professionalità e delle ricadute in termini di promozione, anche internazionale, dellimmagine della città e dellintero territorio.
Vi invito dunque, cari lettori, a tornare ad andare più spesso al cinema, magari a vedere qualche produzione nostrana senza scetticismi o giudizi a priori, non solo per laria condizionata, ma perché siamo ormai talmente abituati alla comodità delle piattaforme da divano, che ci siamo scordati della meraviglia e della vera magia del grande schermo.
Daltronde è da tempo che il cinema ci insegna a guardare, ad ascoltare e a sentire, ci apre al confronto, ci fa affacciare su mondi distanti, ci racconta grandi storie, e anche se imparare costa fatica, sarà sempre meglio che restare inscatolati in una comoda e preconfezionata routine.

ALESSIA CAGNOTTO

 

 

Quando VideoGruppo era la finestra televisiva su Torino

TORINO CITTA’ DEL CINEMA, DELLA RADIO E DELLA TELEVISIONE

 

VIDEO PIEMONTE  – Intervista a Paola Zeni

Quando VideoGruppo Piemonte era la finestra televisiva su Torino (e non solo)

In un mondo televisivo dominato da produzioni internazionali, parlare di riscoperta degli archivi delle televisioni locali italiane può sembrare un discorso molto lontano dalla nostra contemporaneità. Al contrario, la prima vera televisione, quella fatta dalle emittenti locali, custodisce un tesoro inestimabile della cultura e della società della seconda metà del ‘900.

La Professoressa Paola Zeni dell’Università di Torino è una delle collaboratrici di ricerca del progetto ATLAS – Atlante delle televisioni locali, nato dall’Università di Bologna, e volto a indagare le pratiche delle emittenti private in Italia dal 1976 al 1990.

Di seguito, la Professoressa Zeni racconta lo sviluppo e i risultati della unità di ricerca incentrata sull’emittente piemontese VideoGruppo.

Nella sezione PERCORSI del sito ATLAS si trovano 15 percorsi tematici: 5 dedicati alle emittenti e gli altri dedicati a delle tematiche ricorrenti – come l’uso del telefono, la cronaca bianca o lo sport – che si evincono dai palinsesti delle televisioni locali.

Dal sito ATLAS è possibile entrare gratuitamente e senza registrazione su AMSHistorica, il database digitale che contiene molti dei filmati originali di VideoGruppo ritrovati e resi disponibili proprio grazie al lavoro di ricerca.

B: Come è nato il progetto?

P. Z.: Il progetto nasce da un’intuizione del Professor Luca Barra dell’Università di Bologna, che da sempre si occupa di televisione a 360°. L’interesse e la passione accademici continui e decennali di Barra lo hanno spinto a dedicare un approfondimento alle televisioni private in Italia. Se la televisione nazionale è un tema su cui ormai ci sono numerosissimi studi ed approfondimenti, la televisione locale è ancora poco affrontata, se non da un punto di vista memorialistico. Un esempio è Giuseppe Sacchi, fondatore di Telebiella nel 1971, ha lasciato delle memorie da cui si è costruita la vita dell’emittente.

Luca Barra voleva studiare queste televisioni in maniera più sistematica, dedicare all’emittenza privata in Italia un’attenzione più specifica e che vada ad indagare come complessivamente si è sviluppata un’idea di televisione che è un’alternativa alla televisione nazionale.

L’intento ultimo, quindi, è quello di studiarla a fini estetici, culturali e sociali; per fare ciò è necessario studiare la teoria ma soprattutto le pratiche, che spesso nascono in contesti piccoli. Video Piemonte è infatti un’iniziativa famigliare nata da un ingegnere che si occupa di mineralogia, Sergio Rogna Manassero, che acquista apparecchi di trasmissione e inizia a fare la televisione.

Dopo aver avuto l’intuizione della ricerca, lo step successivo è stato capire come muoversi.

L’idea vincente è stata quella di selezionare delle 5 emittenti campione in giro per l’Italia (Video Gruppo Piemonte, Telesanterno, AntennaTre, Sardegna 1 e TeleRoma56) ed affidare lo studio delle singole a un’unità di ricerca.

B: Come mai solo cinque mittenti e perché proprio queste?

P. Z.: Ogni triennio il Ministero della ricerca finanzia dei progetti di rilevante interesse nazionale che si strutturano con un’unità capofila – in questo caso l’Università di Bologna con Luca Barra come Principal Investigator – affiancata da altre legate a sedi universitarie che contribuiscono alla ricerca. A Torino il Professor Fassone è il Responsabile dell’Unità e io, Professoressa Zeni, sono collaboratrice di ricerca.

Sono state selezionate, quindi, le emittenti che meglio hanno rappresentato la regione di nascita e i cui palinsesti hanno avuto maggiore risonanza anche a livello nazionale.

B: Cosa differenzia VideoGruppo Piemonte delle altre emittenti locali?

P.Z.: Grazie alla direzione di Sergio Rogna Manassero, VideoGruppo si propone come televisione con intenti sia culturali che politici, molto interessata a trasmettere sia le iniziative culturali della città, sia a portare personalità politiche regionali in studio. Non mancano anche i programmi ludici e i quiz, ma si tratta sempre di un intrattenimento orientato a una postura particolare, molto diversa da quella milanese o di AntennaTre. Rispetto a queste emittenti, che hanno aspirato a fare il salto a televisione nazionale, Sergio Rogna ha sempre seguito la vocazione della località. Non a caso, lo slogan di Sergio Rogna era “Il nostro studio è la città”.

B: Dove e come sono stati reperiti i materiali audiovisivi studiati dalla ricerca?

P. Z.: Ogni unità ha avuto un’esperienza diversa: chi si è occupato di AntennaTre ha potuto contare su un patrimonio già digitalizzato, dovuto a un’efficiente archiviazione interna; in altri casi il materiale è stato poco e difficile da reperire. Per quanto riguarda VideoGruppo, bisogna partire dal presupposto che non esisteva un vero e proprio archivio, ma, come spesso accade, era frammentato, disperso.

Io, dovendo pur partire da qualche parte, sono andata alla Camera di Commercio di Torino, ho chiesto l’apertura del fascicolo VideoGruppo, mi hanno dato qualche scatolone che ho meticolosamente consultato: ho trovato principalmente materiale che descrive l’emittente da un punto di vista burocratico. Un’altra gran parte di materiale cartaceo ci è stato dato da Sergio Rogna Manassero.

Con VideoGruppo bisogna ammettere di aver avuto una grande fortuna: l’emittente ha tenuto traccia in maniera rigorosa, anno per anno, di tutti i programmi andati in onda, di tutti gli ospiti intervistati, di tutto ciò che succedesse in studio, grazie anche a Federico Peiretti (fondatore dell’AIACE).

Per quanto riguarda i materiali video, è stato necessario chiedere il permesso a Sandro Parenzo, il presidente di Mediapason, per prendere gli umatic ancora presenti nella vecchia sede di VideoGruppo. Una volta reperite decine di cassette e un lettore idoneo, è partita l’analisi e la digitalizzazione di tutto questo materiale.

B: Dove è possibile consultare i risultati della ricerca?

P. Z.: Abbiamo implementato il sito ATLAS con i risultati della ricerca. L’output principale della ricerca è stato il caricamento del materiale audiovisivo e scritto su AMSHisitorica, una sorta di galleria digitale dell’Università di Bologna che contiene una selezione ampia di materiali che sono stati raccolti durante la ricerca di VideoGruppo Piemonte. Ci sono degli estratti video e interviste con professionisti che sono stati digitalizzati e sono visibili da tutti. Ad esempio, è possibile vedere il servizio fatto da VideoGruppo sul Papa Giovanni Paolo II in visita a Torino nel 1980.

B: Cosa differenzia un filmato realizzato dalla televisione nazionale da uno realizzato da una tv locale, come ad esempio questo del Papa a Torino?

P. Z.: Nel filmato dell’emittente locale c’è una certa specificità, ha un gusto e un orientamento spiccatamente locale. È più attento al tessuto cittadino: anche durante un evento così grande, l’interesse di VideoGruppo è quello di sentire la parola dei passanti, dei cittadini. Dagli anziani ai bambini, si trasmette un contenuto libero, genuino, che rispecchia la cittadinanza. È anche per questo che VideoGruppo ha avuto così tanto successo.

B: Se dovesse nominare un programma di VideoGruppo che più rappresenta Torino, quale sarebbe?

P. Z.: Viene alla mente “La città chiama, risponde il sindaco”. Durante la trasmissione l’allora Sindaco di Torino, Diego Novelli, ingaggiato da Sergio Rogna Manassero, accetta in diretta ogni venerdì sera alle 19 negli studi televisivi (ai tempi nei sotterranei della galleria Cinema Romano) le chiamate dirette dei cittadini. Un piccolo estratto si trova proprio nel sito. Questo programma, unico nel suo genere, ha un successo enorme, tanto da occupare l’intero traffico telefonico della città. Con questo programma si rivaluta la comunicazione televisiva, che diventa ora bidirezionale, uno scambio tra spettatore/cittadino e conduttore.

B: Sono da poco terminati i tre anni di questa ricerca che ha riscoperto e riportato alla luce il valore culturale e sociale delle emittenti locali. Cosa rimane?

P.Z: Più che pensare a cosa è rimasto, mi piace pensare a cosa è stato avviato.

Sicuramente rimane un nuovo deposito digitale consultabile da tutti e ricco di materiale che fino a poco tempo fa era inaccessibile.
Quello che speriamo di aver avviato è, innanzitutto, un interesse per l’emittenza privata e la volontà di ricostruire questi archivi. In generale, speriamo di aver dato il via a una modalità di studio diversa, che non sia solo quella storica e sommaria, ma che sia fatta di casi studio particolari.

Grazie all’intuizione del Professore Luca Barra, questa ricerca ci ha permesso di mettere 5 puntatori dell’emittenza privata in una cartina dell’Italia che fino a tre anni fa era muta. La speranza è che questi puntatori diventino sempre più e sempre più consistenti.

BEATRICE PEZZELLA

Teatri storici del Piemonte: il Sociale “Giorgio Busca” di Alba

A cura di piemonteitalia.eu

Le nuove esigenze culturali e sociali dell’emergente borghesia albese contribuiscono a rendere obsoleto, a metà Ottocento, il vecchio Teatro Perucca, costituito da appena ventisei palchi: perciò nell’ambito della ristrutturazione urbanistica che in questi stessi anni ridisegna la città, sulla scia della ripresa economica, viene anche inserito il progetto per un nuovo teatro…

Leggi l’articolo:

https://www.piemonteitalia.eu/it/cultura/teatri-storici/teatro-sociale-giorgio-busca-di-alba

Ghëddo, il progetto innovativo che promuove l’arte a Torino

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Ghëddo, associazione culturale no profit guidata da Olga Cantini, Barbara Ruperti, Marta Saccani, Rachele Fassari e Davide Nicastro, nata nel 2021 insieme a TO.BE, l’open call arrivata oggi alla sua quarta edizione, è un progetto finalizzato all’organizzazione di progetti culturali che valorizzino e promuovano la giovane arte emergente, creando una rete dinamica tra artistə e spazi artistici del territorio torinese, come gallerie, spazi indipendenti, fondazioni e istituzioni.

“Come gruppo, al biennio di Comunicazione, temevamo di non avere tutti gli strumenti necessari per il nostro futuro lavorativo nel mondo dell’arte, sia noi come curatorə e comunicatorə, sia per lə giovani artistə – racconta il team di Ghëddo – É dalla necessità di colmare il vuoto che percepivamo, quello tra la formazione e l’effettivo lavoro nel mondo dell’arte che nasce Ghëddo, ma soprattutto il suo progetto di lancio TO.BE che permette allə artistə di esporre in gallerie e spazi del territorio di Torino. Concepiamo l’arte come strumento comunicativo, e al contempo come messaggio in grado di mettere in moto azioni e di generare valori nuovi all’interno di una comunità. Il nostro progetto mira a creare una rete dinamica con artistə e spazi indipendenti del territorio, favorendo esperienze di cooperazione e di scambio tra artistə e realtà cittadine al fine di costruire un legame solidale e generare delle dinamiche di scambio umano, etico, artistico coerenti con il tema dell’accessibilità, attraverso eventi gratuiti ed equi (parità di genere)”.

Ghëddo è guidato da cinque persone che operano in maniera orizzontale, condividendo responsabilità e decisioni. Olga Cantini si occupa di una parte della comunicazione, in particolar modo dei social media, dei rapporti con i partner e i media partner e dell’ideazione dei progetti e la loro messa in pratica. Rachele Fassari, tesoriera dell’associazione, si occupa della gestione economica e dei rapporti con lə collaboratorə esternə, si impegna a gestire i fondi. Barbara Ruperti cura la linea artistica e curatoriale, si occupa dell’ideazione dei progetti, della scrittura dei contenuti critici e delle relazioni con i partner culturali. Marta Saccani si occupa dell’ideazione, coordinamento e gestione dei progetti, gestisce i rapporti con lə artistə, collaboratorə e amicə di Ghëddo. Davide Nicastro è una figura jolly e trasversale, dall’ideazione dei progetti al reperimento di materiali utili.

“Oggi in Italia assistiamo a un panorama artistico estremamente frammentato, ma anche fertile, dove convivono pratiche tradizionali e sperimentazioni ibride – spiega il team di Ghëddo – Il panorama degli spazi indipendenti, dei collettivi e artist-run space è vitale e in fermento, ma spesso manca un riconoscimento istituzionale o una vera continuità progettuale. In questo contesto, molte realtà faticano a creare progettualità sostenibili e accessibili, non solo per lə artistə, ma anche per la sperimentazione artistica e curatoriale tout court. Spesso mancano gli spazi, le risorse economiche, ma anche i contesti relazionali in cui pratiche artistiche, riflessioni critiche e coinvolgimento attivo possano coesistere fuori dalle logiche di sistema. Ghëddo e le altre realtà come la nostra nascono in risposta a questo vuoto. La nostra proposta si colloca in una zona di confine tra spazio espositivo, laboratorio di pensiero e piattaforma di cura delle relazioni. Intendiamo l’arte non solo come produzione di oggetti o di mostre, ma come occasione di incontro, di interrogazione, di ricerca aperta e condivisa. Più che mancare in senso assoluto, realtà come la nostra rispondono a un bisogno diffuso ma ancora inascoltato. Quello di spazi che non siano solo contenitori, ma contesti dove attivare e riflettere su diverse qualità del fare. In un ecosistema artistico frequentemente orientato alla produzione, alla competizione e alla visibilità, riteniamo essenziale preservare luoghi di sperimentazione viva, in cui l’arte possa entrare in dialogo con la città, con le istituzioni e con le gallerie, mantenendo intatta la propria radicalità e accogliendo la complessità che caratterizza il panorama”.

“Per quanto riguarda la nostra open call TO.BE – continua il team di Ghëddo – selezioniamo lə artistə sulla base dei criteri del nostro bando: originalità dell’opera, efficacia espressiva, capacità innovativa nel campo delle arti visive. Lavoriamo con qualsiasi disciplina: scultura, installazione, sound art, performance, video, fotografia, pittura, grafica, arte multimediale o testuale. Quando collaboriamo con lə artistə nel progetto TO.BE, il nostro impegno non si esaurisce con la fine del programma: cerchiamo di dare continuità al dialogo e al supporto, creando occasioni future di collaborazione e valorizzazione delle loro ricerche. Per portare qualche esempio: l’artista torinese Silvia Basano, che negli ultimi due anni ha preso parte a due mostre collettive all’interno del progetto TO.BE (nel 2023 con Kissinkemmer e nel 2024 in Questo il mondo non lo saprà), a gennaio è stata coinvolta per partecipare alla prima edizione del nostro programma di residenza. In occasione della restituzione del progetto che Silvia Basano ha realizzato durante la residenza, in collaborazione con l’antropologo Mirko Vercelli, è stata coinvolta anche lə performer e artista Lux Aeterna, con cui avevamo già collaborato in occasione della mostra collettiva Il futuro è una schiuma cosmica. L’artista Rac Montoro, già presente nella mostra collettiva Kissinkemmer nel 2023, è statə nuovamente coinvoltə nel febbraio 2025 con la performance Broken Violet Dream, da noi curata, insieme ad altrə artistə con cui collabora abitualmente: Sirius Alexander Venus Rose, Erauqave e H’im. Nel luglio 2024, abbiamo portato un lavoro dellə artistə Lorenzo Peluffo e Enrico Turletti, che hanno partecipato alla mostra collettiva Il futuro è una schiuma cosmica, nella mostra curata da Osservatorio Futura al Forte di Exilles, intitolata Materie: sulla linea temporale del progresso la vita danza in cerchio. Nella stessa mostra, era presente anche un lavoro di Volga Sisa, artista che aveva esposto alla mostra personale Flor Inmortal da A PICK Gallery nel 2024. Entrambe le ricerche sono state oggetto di una riflessione critica a firma di Ghëddo, pubblicata all’interno del catalogo della mostra a cura di Osservatorio Futura. Al di fuori del bando TO.BE abbiamo avuto la possibilità di conoscere, interessarci e lavorare con altrə artistə torinesə e non solo. Nel novembre 2023, in occasione di Artissima, abbiamo curato la perfomance Sintetico di Plurale, collettivo di Verona insieme al quale abbiamo realizzato la fanzine Body of evidence: power, desire, desolation. Nel 2024 abbiamo esposto due lavori di Emma Scarafiotti e Virginia Argentero, artiste selezionate nella prima edizione del Premio promosso dalla Fondazione Recontemporary, a cui Ghëddo ha partecipato come partner in qualità di partner per una menzione speciale”.

“Nell’ambito del progetto TO.BE – conclude il team – abbiamo una novità per l’edizione 2025: oltre alle gallerie, fondazioni, e spazi indipendenti che collaborano e ospitano le mostre dellə giovani artistə, ci saranno anche alcune istituzioni torinesi. Questo ci rende molto felici perché significa ampliare le possibilità di crescita per lə artistə oltre ad essere una manifestazione di crescita di Ghëddo stesso. Per il nostro futuro ci auguriamo di raggiungere maggiori finanziamenti, in modo da poter dare ulteriori opportunità allə artistə e avere uno spazio in città tutto nostro. Ci piacerebbe sostenere le spese di produzione delle opere, offrire più budget per i trasporti delle opere e per tutte quelle spese di realizzazione di una mostra, ci stiamo lavorando. Se si scava bene e nel modo giusto, la città di Torino offre buone possibilità a realtà come la nostra”.

Gian Giacomo Della Porta

CAMERA a Les Rencontres d’Arles con la mostra su Letizia Battaglia

 

Arles, dal 7 luglio al 5 ottobre 2025

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia è lieta di annunciare la sua partecipazione al prestigioso Les Rencontres d’Arles 2025, il più importante festival di fotografia in Europa, in programma dal 7 luglio al 5 ottobre 2025 nella famosa cittadina francese, con la mostra Letizia Battaglia. Always in search of life curata da Walter Guadagnini, direttore artistico di CAMERA.

Il festival, nato nel 1970 nella città provenzale, si tiene ogni estate e rappresenta un punto di riferimento fondamentale per fotografi, curatori, critici e appassionati che raggiungono la Francia da ogni parte del mondo. Con numerose esposizioni diffuse in luoghi storici e spazi culturali della città, Les Rencontres d’Arles offre uno sguardo sul panorama internazionale attraverso progetti fotografici innovativi e approfondimenti su tematiche sociali, artistiche e culturali.

La mostra, coprodotta da CAMERA con Jeu de Paume, dopo una prima tappa a Tours trova una nuova casa nell’affascinante Chapelle Saint-Martin du Méjan di Arles con 160 immagini, tra stampe originali e moderne, e 20 documenti tra riviste e giornali per raccontare il lavoro della fotografa palermitana.

Grazie alla collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia, il progetto vuole mostrare le tante sfaccettature dell’attività della fotografa e il suo costante impegno sociale dagli esordi a Milano negli anni Settanta fino alla morte, avvenuta nel 2022. L’esposizione restituisce la potenza narrativa delle sue immagini, capaci di documentare senza filtri la violenza mafiosa, la dignità dei più fragili, ma anche la bellezza e le contraddizioni di Palermo e della Sicilia.

“CAMERA è tra i protagonisti al festival di Arles con una mostra dedicata a Letizia Battaglia, una delle più importanti fotografe italiane e un personaggio dalla dimensione internazionale. Siamo felici di trovarci in questo luogo che, nel corso dell’estate, diventa il centro nevralgico della fotografia mondiale – commenta Walter Guadagnini, direttore di CAMERA – un festival che da sempre scrive la storia della fotografia, trampolino per i talenti di domani e piattaforma dove si costruiscono nuove visioni. A rendere ancora più bello questo momento è la collaborazione con il Jeu de Paume, tempio della fotografia francese, che riconferma la reputazione anche internazionale che CAMERA ha conquistato nei suoi primi dieci anni di vita”.

 

“Una grande estate per CAMERA – commenta Emanuele Chieli, il presidente di CAMERA – che ha ricevuto, lo scorso 21 giugno ad Ostuni, uno dei più importanti riconoscimenti internazionali per la fotografia: il Lucie Award, nella categoria Spotlight. E ora CAMERA approda ad Arles e lo fa con una mostra di grande rilievo scientifico e sociale, realizzata insieme a prestigiose istituzioni. Nuove collaborazioni che ci rendono molto fieri e che confermano una crescita nazionale e internazionale, particolarmente significativa nell’anno che coincide con il nostro decimo anniversari. Dopo Arles l’esposizione proseguirà il suo tour in Italia e, nel 2026, approderà infine a Torino, negli spazi di CAMERA.”

Riparte Movie Tellers: la carovana del cinema

Riparte Movie Tellers – La carovana del cinema, rassegna di cinema & food che mette al centro le sale cinematografiche regionali e il loro pubblico, promuovendo la circuitazione di opere filmiche legate al territorio.

La 5a edizione, in programma dal 2 al 31 luglio, porterà in 25 città delle 8 province regionali, 25 film frutto della fervida produzione piemontese indipendente  4 lungometraggi, 4 documentari, 17 cortometraggi -, dando vita a una ricca rassegna composta da 27 appuntamenti con 123 proiezioni totali, grazie al sostegno del bando per la valorizzazione delle sale cinematografiche della Regione Piemonte e all’instancabile lavoro sul territorio di partner come Film Commission Torino Piemonte, Museo Nazionale del Cinema, TorinoFilmLab, Torino Film Festival, Agis-Anec Piemonte e Valle d’Aosta e Distretto Cinema.

Tra gli ospiti di questo mese all’insegna del cinema local, i registi Gianluca e Massimiliano De Serio, Davide Ferrario, Matteo Tortone, Alessandro Negrini, Andrea Icardi, le registe Beatrice Surano e Miriam Muraca, i produttori Enrico Cerasuolo e Fabrizio Nucci, l’attore Emilio Scarpa, il musicista e compositore Cristiano Lo Mele.

Organizzata dall’Associazione Piemonte Movie, che festeggia così i propri 25 anni di vitaMovie Tellers fa tappa anche a Torino l’8, 9 e 10 luglio, intrecciandosi con ’Cinema sulla Pista 500’ per le proiezioni di tre documentari: Canone effimero di Gianluca e Massimiliano De Serio, The Lost Legacy of Tony Gaudio di Alessandro Nucci, Italo Calvino nelle città di Davide Ferrario.

Nel corso di Movie Tellers, saranno proiettati anche i lunghi di fiction Onde di terra di Andrea Icardi, Sulla terra leggeri di Sara Fgaier, L’ultimo viaggio di Lorenzo Ceva Valla e Mario Garofalo e Zamora di Neri Marcorè; il doc La luna sott’acqua di Alessandro Negrini; e i film brevi Al termine della notte di Stefano Moscone, Choices&Changes di Miriam Muraca, Domenica sera di Matteo Tortone e Mefite di Beatrice Surano. 

Accompagnati dalle sonorizzazioni dal vivo di film muti dalla Cineteca del Museo del Cinema e un cortometraggio contemporaneo realizzato dall’archivio di Alfieri Canavero; i 9 corti del progetto TFF Sguardi Puri ad opera di giovani filmmaker local; e la nuova esibizione della mostra fotografica Ritratti Di Cinema a Verbania.

                     

A Torino si uniscono Asti, Cuneo, Novara, Verbania, Vercelli e 19 comuni sparsi per il Piemonte.

Qui, Movie Tellers porterà il classico format che unisce film e degustazioni, per valorizzare condivisione e convivialità: dalle 18 si susseguono le proiezioni di corti, doc, lunghi e sonorizzazioni, inframezzati da un aperitivo a base di prodotti enogastronomici locali, il tutto a un costo d’ingresso volutamente accessibile di 7€ (ridotto 5€).

Rock Jazz e dintorni: Lucio Corsi-Baustelle e i Thirty Seconds to Mars

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA

Lunedì. Per Flowers Festival a Collegno, si esibisce il cantautore Alfa.

Martedì. Per il Festival “Collisioni” ad Alba in piazza Medford, suoneranno i Thyrty Seconds to Mars, preceduti dai Les Votives. Per Flowers è di scena Lucio Corsi e i Baustelle.

Mercoledì. Allo stadio Olimpico Grande Torino arriva Marco Mengoni. All’Osteria Rabezzana si esibiscono i Ritmo Diferente. Al Flowers Festival sono di scena gli Offlaga Disco Pax + Murubutu , preceduti dal rapper Dutch Nazari. Per Evergreen Fest alla Tesoriera si esibisce Ron.

Giovedì. Al Flowers Festival arriva Tananai. Per Evergreen Fest musica dal vivo e visual performance con Giorgio Li Calzi, Valerio Corzani e Andrea Daddi.

Venerdì. Per Evergreen Fest si esibisce Andrea Cerrato. Al Circolino, jazz con gli Hibaku Jumoku.

Sabato. Per il Flowers Fest a Collegno sono di scena i Pop X e Dov’è Liana. Allo stadio Olimpico Grande Torino arriva Cesare Cremonini. Per “Collisioni” ad Alba è di scena Irama preceduto da Sayf. Per Evergreen Fest suona il Duo Dans Le Vent, a seguire Il Muro del Canto presenta :La mejo medicina.

Domenica. Al Flowers Festival si esibisce Marco Castello. A chiudere il Festival “Collisioni” arriva Sfera Ebbasta, preceduto da Promessa, Nabi e Kid Yugi. Per Evergreen Fest suona il Mythos Random Quartet.

Pier Luigi Fuggetta

Corconio, il lago d’Orta e “l’esilio rigeneratore” di Soldati e Bonfantini

 

Corconio è una frazione in collina di Orta San Giulio dove, tra il 1934 e il 1936, Mario Soldati e Mario Bonfantini trascorsero un lungo periodo dopo averlo scelto come luogo di volontario “esilio rigeneratore” per uscire da “storte vicende sentimentali”. Nel 1934 Mario Soldati aveva 28 anni, era già stato in America, si era sposato con Marion Rieckelman  – una sua allieva della Columbia –  e da qualche tempo scriveva sceneggiature per la Cines-Pittaluga di Roma. Ma, sfortunatamente, era incappato in Acciaio, film tratto da un soggetto di Pirandello, diretto da Walter Ruttmann: più che un insuccesso, un vero disastro. Si ritrovò licenziato, senza una lira e per di più anche un po’ sospetto agli occhi del Regime. Così prese una decisone netta, pur essendo per indole poco incline agli atti estremi: lasciò Roma e raggiunse l’amico Bonfantini a Novara e da lì,  in bicicletta, pedalando su strade sterrate e polverose “con ritmo quasi da professionisti” arrivarono al buen retiro di Corconio, stregati da panorama tra il lago, le montagne e le antiche case di pietra. Quel posto divenne il suo luogo dell’anima, del vino, delle carte : ci rimase due anni, lontano da Roma e dal cinema, in compagnia di Mario Bonfantini  (“vivendo la scrittori”) e della gente del posto. Nel racconto Un lungo momento magico lo scrittore torinese rievocò le circostanze che lo avevano spinto a cercare rifugio sul Lago d’Orta. Lo fece dopo la morte di Bonfantini, “ponendo fine al silenzio su quell’esperienza dovuto forse a quella forma di pudore cui si ricorre a volte per proteggere le cose più care”.

In quel tempo Soldati scrisse il suo primo e bellissimo libro, America primo amore, diario e racconti del giovanissimo intellettuale europeo della sua esperienza di vita negli Stati Uniti, tantissimi articoli e vari altri scritti tra cui la prima parte de La confessione. Soggiornarono all’albergo della famiglia Rigotti , quasi adottati da quella famiglia, dove Angioletta e sua sorella Annetta, la “Nitti”, mandavano avanti l’attività , perché il padre, pa’ Pédar, “badava alla campagna, alle bestie, a fare il vino, a distillare la grappa clandestina, a commerci vari, a divertirsi e battere la cavallina”. Corconio, cento abitanti allora, fu un luogo importante per Soldati e Bonfantini, in grado di offrire sorprese e meraviglie tra le pieghe più insospettabili della vita quotidiana, in prossimità del lago e sotto il “meraviglioso miraggio” del Monte Rosa. Lì condivisero con la comunità del piccolo borgo la vita, lenta e piacevole, scandita dalle partite di bocce e dalle “lunghe giornate al tavolino, ore interminabili proficue, difese e ovattate dal silenzio delle lente nebbie”. Conoscono personaggi eccentrici, ascoltando i loro racconti: il Nando, un “matto pacifico” che credeva di essere un genio della politica e si riferiva a se stesso in terza persona; il Cesarone, un uomo che aveva venduto sua moglie a un ricco capo mastro emigrato negli Stati Uniti. Insomma, fu un periodo d’incontri e di lavoro in un atmosfera dove Mario Soldati, cresciuto negli ambienti della borghesia sabauda, scoprì i valori della civiltà contadina, restandone influenzato. Soldati riconobbe l’importanza di quell’esperienza , parlando dell’antica amicizia con l’altro Mario, quando scrisse:..il momento più importante della nostra amicizia e forse anche della sua e della mia vita è tra l’autunno del 1934 e la primavera del 1936, quando il destino ci appaiò, ci assecondò nella scelta di un volontario esilio sul lago d’Orta: quell’autoconfino rigeneratore, quel delizioso paradiso perduto e ritrovato che accogliendo lui e me, Mario il vecchio e Mario il giovane, ci salvò in extremis da strazianti, estenuanti, storte vicende sentimentali e restituì l’uno e l’altro al suo vero se stesso. Fa bisogno di dire che recuperammo allora, e conservammo poi per sempre, il senso della realtà, della bellezza, della vita”. Sul finire della lunghissima parentesi romana, a metà degli anni Cinquanta, poco prima del suo “rientro al Nord”, Soldati frequentò assiduamente le zone della giovinezza come “villeggiante fuori stagione”, sul lago d’Orta e sul Maggiore, dove nacquero – ad esempio – i racconti de La Messa dei villeggianti.

A Orta e Corconio, Mario Soldati tornò anche per girare nel ’59 Orta mia, un magnifico cortometraggio della collezione Corona Cinematografica, di grande ed elegante narrazione, girato in un superbo Ferraniacolor. Già nel  1941 aveva scelto il lago per realizzarvi le scene conclusive del film Piccolo mondo antico e, successivamente, vi ambientò alcuni dei suoi Racconti del Maresciallo. Il filmato di Orta mia si chiude sulla terrazza di una vecchia osteria affacciata sul lago, richiamando il luogo che aveva accolto i due amici tanti anni prima. Per una significativa coincidenza, anche Mario Bonfantini, nel suo volume Il lago d’Orta del 1961, scelse di congedarsi dai suoi lettori con la stessa immagine di Soldati, descrivendo così l’albergo Rigotti: “Una modesta casa di belle linee dove era fino a non molti anni fa una cortese locanda: v’è chi sostiene che dalla sua lunga terrazza si gode, in ogni stagione, la più bella vista del lago”. Ora l’albergo non c’è più, ma tutto il resto è rimasto più o meno come allora. Dalla Chiesa di S. Stefano alla seicentesca villa della famiglia Bonola. La stazione , col quel rosso ferroviario dei muri sempre più smunto, da tempo è una casa privata: lì, i treni che sferragliano sulla Domodossola-Novara, non si fermano più da una vita. Ma se i muri delle case potessero parlare chissà quanti racconti avrebbe in serbo Corconio. Storie per chi sa ascoltare e non ha fretta. Come non ne avevano, a quel tempo, i due Mario.

Marco Travaglini

Le arcaiche “creature” di pietra di Savin

Oggi fra i più apprezzati e noti artisti – artigiani della Vallée

“Stele. Donato Savin” al valdostano “Forte di Bard” 

Fino al 31 dicembre

Rocce allungate verso il cielo o verso cime più alte. “Stele” come divinità protettrici o guerrieri posti in difesa di mura e ardui luoghi fortificati o ancora (perché no?) presenze aliene, sicuramente pacifiche, radicate in costoni di pietra diventati ormai protettivo rifugio terreno. Da alcuni giorni, e fino a mercoledì 31 dicembre, chi è salito o salirà lungo l’ultima parte della strada interna che porta alla sommità del “complesso fortificato” di Bard, troverà lungo il cammino, a fargli buona e piacevole compagnia, le opere di Donato Savin (classe ’59), valdostano doc di Cogne, residente e operante in frazione Epinel. La mostra, curata da Aldo Audisio in collaborazione con l’“Associazione Forte di Bard”, presenta dopo una serie di importanti esposizioni in Italia e all’estero,  una selezione di 30 opere del progetto “Stele” avviato dall’artista alcuni anni fa: si tratta di rocce posizionate su essenziali basi di ferro che ben si integrano con la maestosità delle grandi murature e creano un’inedita esposizione “en plein air”.

Gli inizi artistici di Savin risalgono piuttosto indietro negli anni, allorchè un bel giorno, visitando la celebre “Fiera di Sant’Orso” ad Aosta, scopre l’artigianato tradizionale, ricco di espressioni artistiche. Per Donato è un’autentica folgorazione. Alla vista di quelle opere che spesso é troppo riduttivo chiamare “artigianali”, gli si apre un nuovo entusiasmante mondo. Lì, sceglie un suo nuovo percorso di lavoro e di vita, avvicinandosi alla pietra che inizia a scolpire instancabilmente. Tanto che, nel 1987, partecipa lui stesso alla “Fiera” e vince uno dei più prestigiosi premi. È l’inizio della sua carriera, che lo vede scegliere definitivamente a materia del suo “produrre” le rocce delle sue montagne, tastandole, scolpendole, modificandone con avveduta oculatezza le forme, soffermandosi sui verdi acidi dei licheni mescolati alle venature del marmo o alla lieve porosità della pietra.

“L’idea della ‘Stele’ – racconta Savin – mi venne ad Aosta al ‘Museo Archeologico’. Vidi in quelle forme di rocce allungate ‘Dèi di Pietra’ e iniziai a cercare pezzi di scisti di quel tipo, cosparsi di licheni. Le mie opere restano aperte ad ogni interpretazione. Io ci vedo degli Dèi, specialmente femminili, che salgono verso l’alto; quando non ci sarò più, saranno i testimoni del mio passaggio nella vita terrena”. Un mondo di pietra, immobile, grandioso, fermato nel tempo a raccontare l’amore di Savin per la sua terra. Opere di pietra solide, dure, inamovibili ma palpitanti nel battere di un loro “cuore” che è il “cuore” dell’artista, che le rende ”uniche” ed “irripetibili”. Proprio come sono i frutti di un infinito amore.

“Toccare la roccia, sentirla con le mani e poi modificarla – sottolinea ancora Savin – è un modo per estraniarsi dal mondo. Liberarsi e sognare, far rivivere tante cose che ho appreso da bambino osservando i montanari. Un mondo di cui sono parte che, con le mie opere, cerco di perpetrare nel futuro, rinnovandolo”. Una sorta di “universo parallelo”, eppure così tenacemente radicato ad un paesaggio che ne è grembo materno, da cui prende vita e forma nella sua essenziale verticalità e in quel suo voluto, suggestivo gridare, di voce alta, al cielo.

Spiega la presidente del “Forte di Bard”, Ornella Badery“Siamo lieti di presentare ai tanti visitatori che ogni giorno percorrono il camminamento interno del ‘Forte’ questo iconico progetto firmato da Donato Savin, maestro dell’artigianato contemporaneo che interpreta e rivisita le rocce delle sue montagne in modo essenziale. Le rocce di Savin creano un potente dialogo con le pietre del ‘Forte’ e si fondono con armonia nel paesaggio circostante creando un itinerario artistico ricco di suggestione”.

Arte, spiritualità e natura. I tre elementi che fanno da ideale collante alle “rocciose” opere dell’artista cogninese (o cougnèn, in patois valdostano), che sarà altresì presente, da lunedì 28 luglio e per tutta l’estate, a Cogne nella mostra diffusa “Donato Savin. La vita attorno a me”, organizzata da “Fondation Grand Paradis” nell’ambito del 28° “GPFF – Gran Paradiso Film Festival”.

Gianni Milani

“Stele. Donato Savin”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 31 dicembre

Orari: dal mart. al ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19

Nelle foto: Donato Savin: “Stele”