Cosa succede in città- Pagina 181

Sono Altro Sono Altrove. Una mostra di Art Brut e Arte Irregolare. Anche nel mese di agosto

La mostra vuole far emergere un’arte significativa, prodotta ai margini di quella ufficiale, con un importante allargamento di senso dato dal progetto europeo DEEP ACTS (Developing Emotional Education Pathways and Art Centered Therapy Services against gender violence) indirizzato al contrasto della violenza di genere, attuato grazie a una partnership internazionale composta da diverse realtà europee, in cui la Onlus torinese Fermata d’Autobus è capofila. L’obiettivo è offrire metodi innovativi e strumenti di lavoro specifici, con l’uso dell’arteterapia e dell’educazione emozionale, ai professionisti e alle organizzazioni che operano nella prevenzione della violenza di genere e del disagio psichiatrico.Ad annunciare la mostra un video sul percorso virtuale Brut’Incontri a cura del corso di Comunicazione e valorizzazione delle collezioni museali dell’Accademia di Belle Arti di Brera, coordinato dalla docente Chiara Nenci con Cristina Cilli e Gianluigi Mangiapane del Sistema Museale di Ateneo dell’Università degli Studi di Torino. Un dialogo fra opere provenienti dalle collezioni di Art Brut dei musei universitari torinesi e dalla Casa dell’Art Brut di Casteggio (Pavia).Le 20 opere, di sette artisti piemontesi più una grande opera collettiva, esposte nella mostra “Sono altro, Sono Altrove” abbracciano temi ed utilizzano tecniche molto differenti tra loro. L’impatto visivo principale è dato dalla grande installazione interattiva di arte contemporanea Centosettantaperottanta |What comes first? di Sara Conforti: un tavolo lungo 5 metri e mezzo con 70 taccuini Moleskine scritti da altrettante donne durante il periodo di lockdown e un libro ricamato su cui campeggia la domanda: cosa viene prima? Un gioco introspettivo a cui sono invitati a partecipare tutti i visitatori. Alle pareti una serie di fotografie della stessa artista completa il progetto collettivo.
Di Carlo Cattaneo, un singolare contadino-pittore, ironico e sarcastico personaggio che fu muralista dello sconforto e della polemica, sono presentati una grande opera pittorica e un video di Pietro Perotti della sua casa a Cavaglio d’Agogna (Novara), aperta da lui stesso per un solo giorno nel 2005, pochi anni prima della sua morte nel 2010: una cascina in cui tutte le pareti interne sono coperte da opere di grandi dimensioni dipinte dall’autore: una particolare realizzazione artistica che avrebbe bisogno di essere valorizzata.
Seguono i dipinti di Cosimo Cavallo (alias Fabio Elettroni) “filosofo” residente in un personale iperuranio con apparizioni di umanoidi alieni; le fotografie degli abiti di seconda mano di Sabine Delafon, le sculture fantascientifiche di Massimo Mancini, i paesaggi di chiesette ripetute dipinti di Francesco Rusinà, le figure fantastiche dell’ingegnera iraniana Samaneh Atef.
Tutte queste opere così insolite invitano a rivolgere lo sguardo a ciò che ci sembra “altro” e a cercare patrimoni artistici nascosti in un “altrove” spesso non lontano geograficamente, ma distante dalle consuete rotte culturali.La mostra “Sono Altro Sono Altrove” rimarrà aperta – con ingresso gratuito – fino al 2 settembre 2022 nella sede del Consiglio regionale del Piemonte, a Palazzo Lascaris (via Alfieri 15 a Torino), dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17 (escluso sabato e festivi).

Poste, riaperture pomeridiane degli uffici

Poste Italiane comunica che da lunedì 29 agosto, gli uffici postali di Grugliasco, Orbassano, Rivoli, Sant’Antonino di Susa, Nichelino, Torino 35, in Via Marsigli 22, Torino 30, in Via Foglizzo 28, Torino 33, in Corso Taranto 28/E, Torino 16, in Via Lessolo 19, Torino 18, in Via Principe Tommaso 3, Chieri, Chivasso, Ciriè, Ivrea, Pianezza, Rivarolo Canavese, San Mauro Torinese, Venaria Reale e Volpiano torneranno ad essere disponibili per la cittadinanza anche durante il pomeriggio.

Gli uffici che ricominceranno ad osservare l’orario continuato, saranno quindi aperti dal lunedì al venerdì, dalle 8.20 alle 19.05 e il sabato fino alle 12.35.

Dopo la pausa estiva che ha interessato anche quest’anno un numero limitato di giorni con riduzione oraria, gli Uffici Postali saranno a disposizione fino alle 19.05 per tutte le operazioni di spedizione lettere e pacchi, pagamenti, consulenza e investimento.

Per facilitare l’accesso negli Uffici ricordiamo che è possibile prenotare il proprio turno tramite l’App Ufficio Postale: è sufficiente scaricare gratuitamente l’applicazione sul proprio smartphone, tablet o pc,  selezionare l’operazione richiesta, il giorno e l’orario preferito per svolgere l’operazione. All’interno dell’ufficio, un’apposita segnaletica indicherà il punto di attesa per accedere al primo sportello disponibile.

Torino e il museo Pietro Micca celebrano la liberazione dall’assedio del 1706

316^ RIEVOCAZIONE STORICA 

29 agosto – 10 settembre 2022

Da lunedì 29 agosto a sabato 10 settembre, Torino e il museo Pietro Micca celebrano la liberazione dall’assedio del 1706 con novità, appuntamenti e opportunità per tutti

Come da tradizione, la Città di Torino, in collaborazione con il museo civico Pietro Micca e il Gruppo Storico Pietro Micca della Città di Torino, integrato dai Dragoni Rossi di Revello e dal Coordinamento Rievocazioni Storiche 1600-1700, celebra annualmente la liberazione della Città dall’assedio del 1706 nel primo sabato successivo alla battaglia conclusiva del 7 settembre, che quest’anno sarà il 10 settembre.
Per il 316° anniversario un programma innovativo rispetto al passato con interessanti motivazioni storiche, didattiche e sociali per favorire il coinvolgimento più ampio possibile, una ambientazione più legata agli eventi storici e anche una più diretta partecipazione di giovani e famiglie a giochi storici.
Nel 2022, infatti, cadono anche appuntamenti significativi per le fortificazioni di Torino: il 445° di completamento della Cittadella e anche del Mastio nella sua funzione di collegamento città-cittadella e il 450° anniversario di inizio costruzione della Casamatta del Pastiss in rinforzo alla Cittadella.
Pertanto, l’anno è dedicato alle “fortezze alla moderna” delle quali la cinquecentesca e pentagonale cittadella di Torino è stata uno dei più innovativi e seguiti esempi in tutta Europa.
E le celebrazioni avranno sviluppo quasi esclusivamente nella sua area storica e in particolare si concluderanno al Maschio, unica fortificazione rimasta a testimonianza sua storica possanza.

Il programma complessivo riserva moltissime occasioni di coinvolgimento e divertimento.

Si inizia il lunedì 29 agosto con l’apertura straordinaria del museo dalle ore 10,30 fino a mezzanotte con visite guidate e gratuite, ultimo ingresso ore 23.
È la notte di Pietro Micca che ricorda il suo gesto di primo eroe della storia d’Italia venuto dal popolo.
Sarà anche la speciale occasione per il ritorno dove sono state trovate nel 1958 le testimonianze dell’ignoto soldato, probabilmente francese, tornato alla luce con la riscoperta della scala di Pietro Micca.

Il secondo importante evento avrà luogo al Circolo dell’Esercito di corso Vinzaglio 6, che nel 1706 era l’area della Porta del Soccorso della Cittadella, su cui si concentrarono le azioni offensive degli assedianti.
Una travolgente conferenza-spettacolo a cura del Generale Fulvio Poli dello Stato Maggiore dell’Esercito e di Michele D’andrea del Museo Nazionale del Risorgimento sull’interessante tema “1706 e dintorni: caratteristiche e curiosità militari sabaude, tradizioni dell’Esercito di oggi”. Necessario prenotare.

La giornata dedicata alla celebrazione storica è sabato 10 settembre con una serie di appuntamenti simpatici e coinvolgenti.

Al mattino si potrà assistere ai cambi della Guardia d’Onore a cura dei rievocatori del Gruppo Storico Pietro Micca della Città di Torino all’ingresso di Palazzo di Città, già nel 1706 sede dell’Amministrazione comunale. Dalle ore 9 alle 12, ogni quanto d’ora sembrerà di essere a Buckingham Palace, con il suono dei tamburi, gli ordini in piemontese antico, le uniformi storiche del 1706. Si terminerà a mezzogiorno con gli onori al Principe Eugenio di Savoia, liberatore di Torino a capo dell’esercito imperiale di soccorso.

Al pomeriggio si potrà perfino scegliere:
⦁ Si inizia alle ore 14 al Maschio della Cittadella (incrocio tra Corso Galileo Ferraris e via Cernaia) con attività fino alle 16 per visitare il grandioso salone a pian terreno e anche partecipare al gioco dell’oca a tema militare, organizzato su quattro tavolieri storici adatti ai giovanissimi, giovani e meno giovani. Partecipazione gratuita ma bisogna iscriversi entro il 5 settembre nel sito ⦁ www.museopietromicca.it
Al termine premi ai vincitori e un ricordo per tutti.
⦁ In contemporanea, dalle ore 15 appuntamento al museo Pietro Micca in via Guicciardini 7/A per i tradizionali onori a soldati sabaudi e francesi sul luogo degli scontri del 1706 per continuare con la sfilata rievocativa all’interno del perimetro dell’antica Cittadella che farà tre tappe storiche commentate davanti ai sito del Pozzo Grande o Cisternone (via Valfrè 8), della fortezza sotterranea del Pastiss (via Papacino 1) e del Rivellino degli Invalidi in corso Galileo Ferraris 14, per concludersi ai Giardini del Maschio.
⦁ Alle ore 16 circa inizierà la coinvolgente rievocazione dinamica dell’assedio e della liberazione di Torino nei Giardini del Maschio a cura dei Gruppi storici già citati, con colpi a salve di cannone, fucileria e artifizi pirotecnici.
⦁ Concluderà con inizio circa alle 17 la tradizionale cerimonia istituzionale con la partecipazione di Gonfaloni, autorità e gruppi storici, con saluti del Sindaco e della Regione Piemonte, che premieranno anche i vincitori dei gioghi storici prima della deposizione finale della corona d’alloro al monumento a Pietro Micca

Non perdete gli appuntamenti da lunedì 29 agosto a sabato 10 settembre per immedesimarsi nella storia e nelle tradizioni di Torino ma anche in gioioso divertimento e tutto in completa GRATUITA’

INFORMAZIONI, ISCRIZIONI E PRENOTAZIONI
⦁ Informazioni e prenotazioni per visita GRATUITA al museo del 29 agosto. Tel. 01101167580 e ⦁ info@museopietromicca.it

⦁ Prenotazione obbligatoria per la conferenza del 7 settembre ore 18 al Circolo Esercito di corso Vinzaglio 4: ⦁ eventi@museopietromicca.it

⦁ Iscrizione GRATUITA per il gioco dell’oca storico, ⦁ eventi@museopietromicca.it oppure ⦁ www.museopietromicca.it entro 5 settembre

Leasys Rent: in fase di test Recharge, la nuova app per l’apertura delle colonnine di ricarica al pubblico

Realizzata in partnership con Bosch, l’applicazione è attualmente in fase di test: sarà presto disponibile al pubblico di Torino e non solo.
Nei prossimi mesi la rete di ricarica di Leasys Rent nella città di Torino si espanderà fino a comprendere 560 chargingpoints.

Prosegue l’impegno di Leasys Rent a supporto dellamobilità sostenibile a Torino. La società del Gruppo FCA Bank, specializzata in soluzioni di noleggio e di abbonamento all’auto, ha sviluppato una nuova app, Recharge, per l’apertura delle proprie colonnine di ricaricaelettrica al pubblico di Torino e non solo.

L’app, realizzata in partnership con Bosch, è attualmente in fase di test e sarà disponibile a partire dal 19 settembre sugli store Apple e Android con il nome di Drivalia Recharge, permettendo così l’accesso ai circa 480 charging points e alle relative zone di sosta presenti in città, attualmente a disposizione degli utenti Leasys Rent e Leasys. La nuova applicazione permetterà di attivare o disattivare le sessioni di ricarica, così come di localizzare le colonnine disponibili e attivare la navigazione verso il punto di ricarica desiderato.

Leasys Rent è da tempo impegnata ad ampliare la rete di ricarica presente in città. Nel dicembre 2021 sono state installate 200 nuove colonnine di ricarica elettrica con potenza fino a 22 kW, e nei prossimi mesi il numero complessivo è destinato ad aumentare ulteriormente, fino a raggiungere i 560 charging points.

Al via l’Ikea Festival: nuova vita agli spazi domestici

UN CALENDARIO DI APPUNTAMENTI GRATUITI CON GLI INTERIOR DESIGN IKEA PER CELEBRARE LA VITA IN CASA E DARE NUOVA VITA AGLI SPAZI DOMESTICI

 Trasformare gli angoli di casa e rinnovare gli spazi, è questo il tema centrale dell’IKEA FESTIVAL, l’evento che a partire dal 26 agosto animerà lo store di Collegno con attività e seminari a tema design e creatività: per tre weekend un denso calendario di attività, volte a raccontare come creare, con una piccola spesa, un ambiente bello e funzionale. Con pochi ma essenziali consigli, gli interior designer IKEA aiuteranno i clienti a sprigionare la propria creatività per dare nuova vita ai propri prodotti e spazi domestici.

IKEA FESTIVAL – APPUNTAMENTI IN STORE

 

Seminario IKEA Family “Arredare con gusto” – 26 agosto ore 18.00 – I soci IKEA Family potranno partecipare ad un appuntamento speciale in cui gli esperti IKEA condivideranno tips&ideas per arredare la propria libreria di casa in modo non convenzionale. Alla fine del seminario, i soci potranno partecipare ad una food experience al Ristorante, con una degustazione dedicata alle iconiche polpette svedesi.

Iscrizione al seminario, fino a esaurimento posti, su IKEA.it/festival

 

Seminari sul sistema componibile IVAR – Ogni venerdì e sabato dalle ore 16.00 alle ore 19.00 – Gli esperti IKEA mostreranno ai presenti il sistema IVAR, evidenziando come si presti ad essere utilizzato per diverse attività e come, grazie alla sua versatilità, all’utilizzo sapiente degli accessori e ad alcune piccole modifiche, sia possibile adattarlo al proprio stile e ai propri spazi.

Non è necessaria l’iscrizione

 

Seminari su come creare un ambiente creativo e funzionale – Ogni venerdì e sabato dalle ore 16.00 alle ore 19.00 – Gli esperti IKEA mostreranno ai partecipanti come è possibile ottimizzare e personalizzare gli spazi domestici con creatività, focalizzandosi su punti chiave essenziali quali la scelta degli accessori e del colore, il layout, lo storage e l’illuminazione. I visitatori potranno lasciarsi ispirare per trasformare la propria casa, risolvendo le problematiche di arredo con sistemi  innovativi e accessibili.

Non è necessaria l’iscrizione

 

Appuntamento con l’ispirazione – Ogni venerdì e sabato dalle ore 16.00 alle ore 19.00 – Per chi lo desidera sarà possibile partecipare, nell’area Ristorante, a uno “speed date” di 20 minuti con un esperto IKEA, con cui chiacchierare di nuove possibili soluzioni per sfruttare al meglio anche i piccoli angoli di casa con decorazioni, accessori e sistemi modulari.

Iscrizione direttamente in negozio

Un nuovo look per mobili e accessori – Ogni venerdì e sabato dalle ore 16.00 alle ore 19.00 – Esperti IKEA mostreranno, attraverso delle dimostrazioni pratiche negli spazi del laboratorio della circolarità, come dare nuova vita ad alcuni prodotti, rinnovandoli con semplici accorgimenti.

Non è necessaria l’iscrizione

Agosto, operazione solidarietà. Prosegue la distribuzione di cibo recuperato dai mercati

 

Proseguono nel mese di agosto le attività nei mercati delle Sentinelle Salvacibo dell’associazione Eco dalle Città, realizzate nell’ambito del progetto RePoPP, sostenuto da Città di Torino, Amiat – Gruppo Iren ed Eco dalle Città, con il duplice obiettivo di sostenere le persone in difficoltà in un periodo dell’anno in cui  diminuiscono le attività di assistenza, e di continuare nell’azione di recupero e ridistribuzione delle eccedenze alimentari nei mercati cittadini.

L’intenzione è di garantire una copertura completa in ogni giorno della settimana; sarà possibile procurarsi gratuitamente le eccedenze alimentari donate presentandosi a fine mercato (a Porta Palazzo è necessario ritirare prima il numero a partire dalle h.13:30), o al Mercato Centrale di piazza della Repubblica (presso il Banco Circolare) dove peraltro ogni pomeriggio si raccolgono anche donazioni di cibo (per esempio, alimenti prossimi alla scadenza).

Questo è il calendario delle distribuzioni:

– lunedì: Borgo Vittoria h.14:00, Porta Palazzo h.14:30, Mercato Centrale h.15:30

– martedì: v. O. Vigliani h. 14:00, c. Svizzera h.14:30, Porta Palazzo h.14:30, Mercato Centrale h. 15:30

– mercoledì: Santa Rita h. 14:00, p. Foroni h. 14:00, c. Cincinnato h. 14:00, Porta Palazzo h.14:30, Mercato Centrale h. 15:30

– giovedì: v. O. Vigliani h. 14:00, c. Svizzera h. 14:30, Porta Palazzo h. 14:30, Mercato Centrale h. 15:30

– venerdì: Santa Rita h. 14:00, p. Foroni h. 14:00, c. Cincinnato h. 14:15, Porta Palazzo h. 14:30, Mercato Centrale h. 15:30, v. Montanaro n.2 h. 15:30

– sabato: c’è il Sabato Salvacibo!

Anche ad agosto infatti proseguono gli appuntamenti del Sabato Salvacibo: la rete dei mercati nei sabati si allarga, arrivando a coprire una dozzina di aree sparse su tutto il territorio cittadino e oltre.

Per essere aggiornati sulla lista di luoghi e orari di distribuzione, è possibile consultare i canali social delle Sentinelle Salvacibo, che ogni venerdì pubblicano sempre un aggiornamento dedicato. Sabato Salvacibo è un progetto di Eco dalle Città realizzato con ARCI Torino, Maìs, Re.Te. ong e in collaborazione con la Città di Torino.

Inoltre tutti i venerdì di agosto, a partire dalle ore 16:30, è prevista un’ulteriore attività di distribuzione delle eccedenze recuperate al CAAT e presso Battaglio Frutta dal progetto Carovana Salvacibo (sostenuto dalla Città di Torino) presso l’area di piazza Foroni (via Montanaro n. 2) e, nelle due settimane centrali del mese, all’interno dell’area Skate Park del Parco Dora. Grazie a questa iniziativa, solo nel mese di luglio il punto di raccolta di via Montanaro 2 ha salvato e redistribuito oltre 1000 kg di frutta e verdura.

RePoPP e le altre attività collegate nel recupero e nella distribuzione non vanno in vacanza. Il progetto, così come le altre iniziative collegate (la Carovana Salvacibo, e la Cucina Ecomora che presso il Mercato Centrale trasforma quanto recuperato in pasti caldi) continua a operare in questi giorni.

La distribuzione è aperta a tutti i cittadini che si presenteranno nei luoghi e negli orari indicati. Una forte affluenza, sostenuta dall’informazione veicolata dai media e agevolata dal passaparola tra cittadine e cittadini che hanno a cuore la lotta agli sprechi, permetterà di salvare tonnellate di cibo e di aiutare chi rimane in città in un periodo così difficile da affrontare.

Torino e i suoi musei. Il MAO

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Torino e i suoi musei

Con questa serie di articoli vorrei prendere in esame alcuni musei torinesi, approfondirne le caratteristiche e “viverne” i contenuti attraverso le testimonianze culturali di cui essi stessi sono portatori.

Quello che vorrei proporre sono delle passeggiate museali attraverso le sale dei “luoghi delle Muse”, dove l’arte e la storia si raccontano al pubblico attraverso un rapporto diretto con il visitatore, il quale può a sua volta stare al gioco e perdersi in un’atmosfera di conoscenza e di piacere.

1 Museo Egizio
2 Palazzo Reale-Galleria Sabauda
3 Palazzo Madama
4 Storia di Torino-Museo Antichità
5 Museo del Cinema (Mole Antonelliana)
6 GAM
7 Castello di Rivoli
8 MAO
9 Museo Lomboso- antropologia criminale
10 Museo della Juventus

8 Mao

“Oriente”: una parola così piccola che cela un significato così grande. Geograficamente il termine indica il “mondo” che si estende ad est, il Vicino, Medio ed Estremo Oriente, rispetto all’Europa, con le sue numerose culture e religioni assai lontane da noi, forse più da un punto di vista concettuale che del territorio. Oggigiorno, nel mondo della globalizzazione e del livellamento culturale, nulla pare irraggiungibile, aerei, treni ad alta velocità e colossali transatlantici inaffondabili ci portano ovunque e noi godiamo mentre, abbronzati, ci scattiamo “selfie” con sfondi esotici e che fanno tanto moda “blogger”: è evidente che non si esce dal tranello della società dei consumi.  Per me l’ “Oriente” è qualcosa che conosco appena, un’infinità di mistici saperi che ancora non ho avuto modo di approfondire e studiare.
L’ “Oriente” è un enigma che l’ “Occidente” non potrà mai risolvere. La parola deriva dal latino “orior”, “nascere”, riferito al Sole che sorge; in geografia diventa sinonimo di “levante”, termine che per assonanza di significato si collega a “Nippon”, uno dei nomi del Giappone, “Ji Pen Kwo”, letteralmente traducibile con “Paese dove sorge il Sole”.

Una delle tante definizioni recita: “L’opposto dell’oriente è l’occidente, associato viceversa al concetto di tramonto e decadenza”. E con questa serafica affermazione potrei anche terminare qui le mie riflessioni di oggi, ma volutamente continuo perché voglio portarvi nel luogo in cui Torino conserva il suo “Sol Levante”.  Nel cuore del Quadrilatero romano, mimetizzato tra ristorantini, “torterie” e locali chiassosi, sorge il MAO-Museo d’Arte Orientale. Il museo, uno dei più recenti tra quelli ospitati dalla città, ha sede a Palazzo Mazzonis, noto come “Palazzo Solaro della Chiusa”, abitazione dell’omonima famiglia. L’edificio venne restaurato nel 1870, divenendo proprietà del Cav. Paolo Mazzonis di Pralafera, importante industriale tessile. Successivamente esso fu adibito a sede della Manifattura Mazzonis s.n.c. fino al 1968, anno in cui l’attività cessò. Nel 1980 fu ceduto al Comune di Torino, nel 2001 il palazzo fu oggetto di altri restauri e finalmente il 5 maggio 2008 si inaugurò l’apertura del MAO. L’esposizione del MAO è formata dalle collezioni già precedentemente conservate nel Museo Civico d’Arte Antica e dai reperti provenienti dalle raccolte della Regione Piemonte, della Compagnia San Paolo e della Fondazione Agnelli.

Lo scopo è quello di rendere note al pubblico opere emblematiche della produzione artistica orientale. Il compito di curare l’allestimento interno è stato affidato all’architetto Andrea Bruno, il quale ha previsto una tipologia di esposizione a rotazione di circa 1500 opere disposte in cinque sezioni corrispondenti ai diversi piani del Palazzo: il primo ed il secondo piano sono dedicati al Giappone, il terzo ospita la “Galleria Himalayana” mentre il quarto, che conclude il percorso, offre preziosi esempi d’arte islamica.
Vi sono poi anche altre collezioni, come quella del Gandhara che comprende la produzione artistica dell’Afghanistan e del Pakistan nord-occidentale; una zona è dedicata all’India, in cui sono visibili sculture, busti, bronzi, terrecotte e dipinti su cotone originari del Kashmir e del Pakistan Orientale; un’altra area è dedicata al Sud-est asiatico, nella quale sono esposte opere della Cambogia, Myanmar, Thailandia e Vietnam. Un’ultima sala espositiva si propone di presentare al pubblico interessanti elaborati dell’arte islamica provenienti dalla Turchia, dalla Persia e dall’Asia Centrale.

Eccoci allora pronti per la visita.
“Saltellando” tra un sanpietrino e l’altro, finalmente raggiungo l’ingresso del Museo. Appena varcata la soglia, pare subito evidente che stiamo entrando in un altro mondo: l’atrio fatto di vetrate e sabbia bianca propone un’elegante ricostruzione di un giardino “zen” giapponese con tanto di muschio e, proprio in linea retta con il mio sguardo, un saggio “Buddha” mi sorride, conscio della sua superiorità filosofico-intellettuale. Mi dimentico sempre di quanto sia grande il MAO, con i suoi quattro piani ricolmi di opere meravigliose, abilmente disposte e illuminate. Come molto spesso mi capita di dire, penso “la teoria la so”: i primi due piani sono dedicati al Giappone, dovrei trovare dapprima dipinti, paraventi e sculture lignee, poi armature e preziose stampe, al terzo piano, invece so che ci sono rari esemplari di “thang-ka” tibetani mentre all’ultimo dovrei trovare, tra gli altri ricercati oggetti, alcune copie del Corano.
Solo per non creare più dubbi del necessario, “thang-ka” in tibetano significa “messaggio registrato” o “arrotolato” e indica dei dipinti didascalici che danno degli aiuti per la vita, in quanto ogni dettaglio rappresentato cela un significato preciso e profondo. Questa è la teoria, in pratica inizio il percorso e subito mi perdo, un po’ a causa del mio inesistente senso dell’orientamento, un po’ perché appositamente mi voglio abbandonare in questo minuscolo viaggio sensoriale alla scoperta di ciò che “so di non sapere”.

Quando mi imbatto nel “Kongo Rikishi stante su base rocciosa” mi sembra quasi di incontrare un demone di Luca Signorelli: non sono riuscita a lasciare il mio occidentalismo fuori dalla porta. La scultura che mi trovo davanti è enorme, eseguita in legno di cipresso giapponese dipinto, alta 230,5 cm e risalente al periodo Kamakura, (seconda metà XIII secolo). L’opera è stata realizzata con la tecnica “yosegi-zukuri”, (pezzi assemblati) e rappresenta uno dei due “dvarapala”, ossia i guardiani del tempio e della dottrina buddhista, generalmente posti in coppia ai lati della porta dei monasteri. Il viso espressivo è segnato dalla particolare illuminazione della sala, gli occhi esorbitanti sono eccessivamente in fuori, la bocca è contratta ed esprime l’esplosività della sillaba “hum”, il terribile mantra delle divinità furiose. La penombra segna il petto nudo, ne esalta i muscoli e le vene in rilievo, la figura, imponente e possente, rispecchia i canoni della “Scuola Kei”, apprezzata dalla casta militare che a quell’epoca dominava il paese.

Mi sento come in un viaggio fantastico, le opere che vedo le percepisco come esseri alieni che mi dispiace non identificare e forse proprio per questo li scruto con l’attenzione di un pioniere.
Continuo a perdermi e intanto che tento di capire geograficamente dove mi trovo, incontro “Zhenmushou” e quasi mi spavento. Capisco di essere in Cina, sto guardando una creatura protettrice delle tombe, è una scultura in terracotta a impasto marrone-rosato, ingobbio bianco e pigmenti appartenente alla seconda metà VII secolo d.C, (dinastia Tang). Mi sento osservata di rimando, il mostro multicolore,-bianco, arancione, nero e rosso- è accucciato in una postura rigida e frontale, ha testa di animale, il muso largo e schiacciato, tiene le fauci spalancate, lunghe corna da antilope e piccole ali sul dorso. Mi accorgo della coda sinuosa che pare muoversi appena distolgo lo sguardo, ha artigli aguzzi nelle zampe e pancia piatta. Forse non è cattivo, ma preferisco allontanarmi.
Come inseguendo una bussola rotta mi trovo magicamente in India. I reperti sono assai numerosi, eleganti, agghindati e sinuosi come la “shalabhanjika” che mi conquista con la sua danza immobilizzata nella pietra. L’immagine, scolpita a rilievo nel marmo, raffigura la tipica movenza del corpo chiamata “tribhanga” che subito mi rimanda all’iconografia della danza del ventre, l’anca è incurvata, il busto si dispone di conseguenza e a me sembra di sentire dei campanelli sonanti in risposta a quei movimenti. La fanciulla ha il braccio alzato sopra la testa e con la mano sta afferrando un ramo rigoglioso, è la posa dello “shalabhanjika”, ossia “colei che spezza un ramo dell’albero”.

Un altro balzo temporale e geografico e sono in Tibet. Qui l’iconografia del Buddha la fa da padrona ed è proprio davanti ad uno di questi Buddha che decido di fermarmi. Mi avvicino alla teca e scruto la scultura –o forse è lui a guardare me- leggo la targa, c’è scritto: “akshobhya” che significa “l’Irremovibile”, “l’Imperturbabile”. La nomenclatura è più che azzeccata, il Buddha del Paradiso d’Oriente non si smuove davanti alla tentazione di Mara, “Morte” (dalla radice sanscrita “mri”), l’asura che cerca di distogliere il Buddha dal “Risveglio”. Gautama Buddha raggiunge così l’Illuminazione. La figura maestosa, il volto scolpito con un sorriso appena accennato, tipico del periodo Pala, siede in “vajrasana”, la mano sinistra è nel tipico atteggiamento meditativo, con l’altra sfiora il suolo, è, cioè, in “Bhumisparshamudra” ossia con il “gesto che chiama la Terra a testimone del diritto maturato in infinite vite precedenti”.
La sintesi non rientra nei requisiti necessari per raggiungere il Nirvana.

Trasportata dalla penombra arrivo al termine del percorso, sono circonda da preziosità islamiche e anche qui sento la vastità della definizione -tutta occidentale- di “arte islamica”, con cui si identifica la produzione artistica eseguita in quasi mille anni, dalla fondazione dell’Islam (ad opera del profeta Maometto, nel VII sec. d.C,) fino al XVII secolo, quando iniziano a definirsi i grandi imperi islamici. Soprattutto in un primo momento i motivi che caratterizzano tale produzione artistica sono disegni geometrici e vegetali, come quelli che decorano la cupola della roccia di Gerusalemme (VII sec. d.C.). L’artista musulmano deve seguire alcuni dettami estetici, definiti dal Profeta: “Dio è bello e ama la bellezza”; “Dio ha iscritto la bellezza in tutte le cose”; “Dio desidera che se fate qualche cosa, ciò sia fatto alla perfezione”; “Il Lavoro è una forma di adorazione”.  In questo contesto mi colpisce un manoscritto proveniente dalla Persia, il Commentario sulle “40 Tradizoni”, databile al periodo timuride. L’opera è attrib uita al Profeta, tradotta dal poeta Ahmad al-Jami e copiata dal calligrafo Muhammad al-Sabzevari. Il testo, scritto in grandi caratteri “muhaqqaq” è stilato in oro con vocalizzazioni in blu, i caratteri più piccoli e neri sono persiani (“rayhani”), i primi due fogli sono interamente miniati in oro e colori.
Immersa tra tali reperti, mi sembra difficile capire come sia stato possibile arrivare alle miserie violente che purtroppo continuano a non cessare là dove l’integralismo religioso ha vinto sulla cultura e sulla bellezza.

Il mio viaggio è finito, l’astronave su cui ero salita mi ha riportato a “riveder le stelle” occidentali, non mi resta che mescolarmi tra la folla chiassosa, conscia del fatto che quando si torna da un viaggio, non si è mai la stessa persona di prima.

Alessia Cagnotto

Ultimi giorni per “Invito a Pompei”, mobili, affreschi e suppellettili all’interno di una domus romana

Nella Sala del Senato a Palazzo Madama, sino al 29 agosto

“Mi chiedi di narrarti la morte di mio zio affinché tu possa tramandarla ai posteri con maggiore esattezza” scriveva Plinio il Giovane nelle “Lettere ai familiari”. E ancora: “Frattanto in molte parti del monte Vesuvio risplendevano larghe fiamme e vasti incendi, il cui chiarore e la cui luce erano resi più vividi dalla oscurità della notte… Intanto il livello del cortile s’era così tanto innalzato per la caduta di cenere e pomici che, se avesse più a lungo indugiato, non sarebbe più potuto uscire dalla stanza”. Una vittima e un testimone, immagini che ci ridanno il dramma di quegli istanti. Era il 79 d.C., il 24 ottobre secondo gli studi più o meno recenti che hanno posticipato di un paio di mesi gli avvenimenti rispetto all’antica datazione, motivi una vinificazione che ad agosto non poteva ancora essere in atto, la presenza di certi frutti soltanto nei mesi autunnali, e altri ancora. Un passato tragico che cominciò a vedere la luce il 30 marzo 1748 per ordine di Carlo III di Borbone e sotto la famigerata direzione dello spagnolo Gioacchino de Alcubierre (“L’attinenza di Alcubierre con l’archeologia è la stessa che ha la luna con i gamberi”, ebbe a dire il tedesco Winkelmann, “una volontà di scavo ingorda e distruttiva”, aggiunge Federico Villa, direttore oggi di Palazzo Madama), fatto soltanto per depredare, riscoprire tesori poi ricoperti o distrutti, scavare cunicoli per recuperare una statua con la distruzione di antichi edifici. Poi arrivarono i Bonaparte e i Murat, l’interesse profondo o il disinteresse dei tanti Borbone, gli scavi sistematici all’indomani dell’Unità, la figura predominante nell’Italia del XX secolo di Amedeo Maiuri, soprintendente di Pompei dal 1924 al 1962. Una vetrina che oggi, grazie alla direzione di Massimo Osanna e del suo successore Gabriel Zuchtriegel, nell’ambito del “Grande Progetto Pompei”, ha messo a cielo aperto cinquanta ettari su una complessiva superficie di 66.

Un assaggio di quel mondo è fino al 29 agosto a Torino, all’interno della Sala del Senato di Palazzo Madama, con un suggestivo “Invito a Pompei” che non vuol essere soltanto una mostra comunemente intesa ma altresì uno spaccato di vita quotidiana, espressa attraverso la visione di 132 reperti, con le abitudini degli abitanti, con gli ambienti in cui passavano il loro tempo, con gli oggetti che li circondavano, gli arredamenti e gli affreschi. Un invito che, attraverso la visione di un modellino della Casa del Poeta Tragico – quella che è stata l’ambientazione nel 1834 del romanzo “Gli ultimi giorni di Pompei” dell’inglese Edward Bulwer-Lytton, quella al cui ingresso il turista s’imbatte nel celebre mosaico “Cave canem” -, prende forma, a rappresentare quanto stava all’interno delle case più lussuose della Pompei del I secolo d.C., elementi in più per noi visitatori, che idealmente colmano una geografia cittadina che un evento capace di cancellare in un attimo intere esistenze ha reso del tutto vuota. Ha detto il sindaco Lo Russo, durante la presentazione alla stampa di un evento la cui preparazione e l’allestimento sono avvenute nel tempo veramente ristretto di 51 giorni: “La mostra vuol essere l’inizio di un rapporto che i nostri Musei Civici vogliono tessere sempre più con i musei nazionali, è una delle occasioni per rendere la nostra città più visibile a livello internazionale”, anche a ribadire come la cultura abbia un’importanza non secondaria in questa amministrazione.

“Una mostra che non sarebbe stata possibile senza l’abnegazione, la costanza e la non comune disponibilità degli archeologi e della direzione di Gabriel Zuchtriegel”, sottolinea ancora Villa. E allora eccoli i vari ambienti di “questa” casa, che ci spalanca le porte, mostrandoci i vari aspetti di una vita che cresceva all’ombra del Vesuvio. Attraverso l’atrio, che era illuminato soltanto da luce naturale e dove trovavano posto i lari, le divinità della casa – dove troviamo un Ninfeo (quello della Casa del Bracciale d’oro, prima metà I sec. d. C.), una stupenda costruzione in mosaico a tessere di vetro, dove predominano l’azzurro e il verde e dove in alcune zone è ancora ben visibile l’intreccio di conchiglie decorative, e una “Parete con pittura da giardino” (25 – 50 d.C.), un fitto raggrupparsi di piante, fiori dai tenui colori e uccelli diversissimi, con centrale una finestrella dalla quale il padrone di casa si entusiasmava con uno spicchio del golfo di Neapolis -, s’accede nel triclinio, il luogo dei banchetti, con un tavolino su cui deporre i vini e le vivande, il letto su cui sdraiarsi con le parti lignee rifatte ma quelle originali in bronzo e argento di squisita bellezza. Si può dire che qui si stabiliva lo stato d’agiatezza dell’ospite, secondo la fattura e i materiali e la elegante ricchezza di bicchieri o coppe o altro vasellame che erano presentati agli invitati che erano l’élite della città.

Vetrine con cartellini chiarissimi, appoggiate a pareti rosse e gialle, mostrano poi i gioielli che nelle case e nelle strade della città facevano la celebrità di tante matrone, coppie di bracciali e orecchini rigorosamente d’oro e con piccole pietre incastonate, anelli con pietre preziose lavorate; come i cofanetti, gli specchi, i pettini e i trucchi (curioso un minuscolo contenitore che mostra ancora al suo interno un trucco rosato che serviva alla padrona di casa per rendere vive le guance). Copiosa la presenza di dipinti, “Pegaso e Bellerofonte” e “Adone bambino” tra i meglio conservati e belli, da una villa rustica di Gragnano “Diana al bagno spiata da Atteone”, come non può non incuriosire il visitatore una imbarcazione a forma fallica circondata da una coppia d’anatre e da un gruppo di pigmei danzanti. E ancora, con la ricostruzione di una camera da letto, di piccole dimensioni com’era d’uso, statue marmoree e piccoli oggetti per il culto, colonnine votive, un altare in miniatura di marmo e bronzo, coppe con decorazioni a sbalzo, erme da giardino, bracieri, lanterne, meridiane, applique (da notare quella che rappresenta un piccolo cane, probabile decorazione di un mobile, ancora I sec. d.C.).

In ultimo, a conclusione della mostra, alcuni esempi delle vittime dell’eruzione, con il loro ultimo gesto, il dolore e la disperazione, un patrimonio che gli scavi ci hanno reso in un numero non inferiore alle mille unità. Dalla Casa di Orfeo, il calco di un cane da guardia, rimasto legato alla catena (si vedono ancora i due anelli), in una posizione innaturale, nell’atto convulso di districarsene. Dalla Casa del Criptoportico proviene una coppia, creduta sino a ieri un uomo e una donna ma che oggi il DNA corregge verosimilmente in due uomini, caduti uno con la testa sul grembo dell’altro. Forse l’immagine più cruenta e dolorosa è quella di un uomo (proviene dalla Casa di Maio Castricio), appoggiato su un fianco, che s’è portato nell’ultimo istante la mano destra alla bocca: stringe qualcosa, forse un fazzoletto, un pezzo di tessuto nel gesto disperato di proteggersi dalla cenere.

Elio Rabbione

Le immagini della mostra (Ph. Perottino) 

Prosegue l’estate al Museo Nazionale del Cinema

Il Museo Nazionale del Cinema sarà regolarmente aperto per tutto il periodo estivo.

Oltre alla ricca collezione permanente sarà possibile visitare la grande mostra Dario Argento – The Exhibit realizzata dal Museo Nazionale del Cinema Solares Fondazione delle Arti, il primo omaggio completo dedicato al genio e all’opera del cineasta, visionario maestro del thriller. La mostra, a cura di Domenico De Gaetano e Marcello Garofalo, sarà ospitata in Mole fino al 16 gennaio 2023.

Nel rinnovato piano di accoglienza della Mole Antonelliana, il Museo Nazionale del Cinema presenta fino al 26 settembre 2022 IL GUARDIANO DEI NOSTRI INCUBI, una raccolta di 21 tavole tratte dal numero monografico di LINUS (maggio 2022), edito da La nave di Teseo, dedicato a Dario Argento e pubblicato in occasione di DARIO ARGENTO – THE EXHIBIT.

L’esposizione ripropone le tavole che, con stili differenti propri a ogni autore e autrice, narrano e danno vita ad altrettante visioni contemporanee di Dario Argento e delle sue opere, capaci di coinvolgere il visitatore e di attirarlo a compiere un passo oltre in quell’universo onirico in cui il cinema di Argento invita ogni spettatore ad affacciarsi e immergersi.

Come durante tutto l’anno, si confermano per il periodo estivo le visite guidate previste tutte le domeniche: il percorso “Alla scoperta del Museo” permette di conoscere il Museo e le sue meraviglie, dal teatro d’ombre ai fratelli Lumière, fino ai grandi protagonisti della storia del cinema.

Durata: 1 ora e 30’. Costo visita: 6.00 euro a persona + biglietto d’ingresso ridotto.

Inoltre, su prenotazione per famiglie e piccoli gruppi lo speciale percorso di visita “Scopri il Museo”. Il visitatore può scegliere direttamente con la guida il percorso che più lo interessa e incuriosisce.

Al piano dedicato all’Archeologia del cinema le diverse sale tematiche consentono di scoprire i dispositivi ottici, le tecniche, i giochi e gli spettacoli che hanno portato al “Cinématographe” dei fratelli Lumière; La Macchina del cinema è invece l’area dedicata ai protagonisti e alle fasi della realizzazione del film: dalla sceneggiatura alla postproduzione, dai costumi alle riprese sul set.

Durata: 1ora / 1-5 persone – Costo: euro 85.00 complessivo (Incluso ingresso + attività).

Per orari, informazioni, tariffe e prevendite www.museocinema.it

La prevendita online è fortemente consigliata.

Il Cinema Massimo sarà chiuso per la pausa estiva da giovedì 14 luglio a mercoledì 24 agosto 2022 compresi, mentre la Bibliomediateca “Mario Gromo” e l’Archivio saranno chiusi al pubblico da lunedì 8 a venerdì 26 agosto 2022 compresi.

Dario Argento e il fascino misterioso di Torino

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La grande mostra dedicata a Dario Argento sta riscontrando un grande successo al Museo Nazionale del Cinema, ospitato alla Mole Antonelliana di Torino.

 

Un evento che sarà aperto al pubblico per nove mesi sino a lunedì 16 gennaio 2023. L’omaggio torinese a uno dei maestri del cinema italiano più conosciuti e apprezzati a livello internazionale è quasi un atto dovuto che ricompensa il rapporto speciale che il regista ha sempre avuto con la prima capitale d’Italia. Come ha più volte sottolineato Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema, è dagli esordi “dietro la macchina da presa con L’uccello dalle piume di cristallo fino all’ultimo film Occhiali neri, spaziando con talento visionario tra giallo, thriller e horror” che Dario Argento ha scelto Torino per le ambientazioni dei suoi film restituendo della città “un’immagine inedita e perturbante che arricchisce di fascino e mistero lo sguardo che le viene rivolto”. L’esposizione Dario Argento-The Exhibit propone un percorso cronologico attraverso tutta la carriera del regista e sceneggiatore, costruita sul confine tra cinema di genere e d’autore. Un antico sodalizio all’insegna della paura e del mistero si potrebbe definire lo speciale feeling che lega il maestro del brivido, il regista che è stato definito “l’Hitchcock italiano” con la città magica, fascinosa e austera, tanto da guadagnarsi da parte del grande Le Corbusier il titolo di “città con la più bella posizione naturale del mondo”. Dario Argento, nella sua autobiografia ( “Paura”, Einaudi 2014) aveva confessato come  Torino  fosse il luogo dove i suoi incubi stavano meglio, rendendo esplicito l’amore per la città all’ombra delle Alpi.“ Ero giovanissimo, un bambino – raccontava — e venni a Torino con mio padre, che doveva andarci per lavoro. Arrivammo di sera, pioveva e subito la trovai una città bellissima. Aveva appena piovuto, le strade riflettevano le luci di questi lampioni, queste luci gialle… le strade luccicavano. Mi piaceva molto, aveva un’aria malinconica e al tempo stesso inquietante. Non pensavo che avrei mai fatto il regista, ma ero sicuro che Torino sarebbe stata una città ideale per girarci dei film ; anche se non conta la città in se stessa per rendere più o meno pauroso il film, perché dipende da come la si inquadra, da come la si illumina”.

La sua carriera dietro la macchina da presa iniziò nel 1970 con “L’uccello dalle piume di cristallo”, ma è dal secondo film che il regista scelse Torino come set naturale per dare corpo ai suoi incubi. Ne “Il gatto a nove code” gran parte delle scene vennero filmate nel capoluogo piemontese. I luoghi e i volti della città emersero nel film: da via Vincenzo Vela, 12, dove abitava l’enigmista Franco Arnò (l’attore Karl Malden) con la piccola Lori, al misterioso “Istituto di ricerche genetiche Terzi” che, nella realtà, era il retro della GAM, la Galleria di Arte Moderna, per passare dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova, da via Santa Teresa e da piazza Solferino. Altre scene vennero girate ai piedi della collina torinese, a due passi dal Po, in corso Fiume, 2, per finire tra le tombe del cimitero Monumentale in piazzale Carlo Tancredi Falletti di Barolo (già corso Novara). Torino piacque a Dario Argento a tal punto che, nello stesso anno, la scelse anche per il thriller “Quattro mosche di velluto grigio”. Le location, anche in questo caso, furono molte: dal giardino Lamarmora, incastonato tra le vie Cernaia, Stampatori, San Dalmazzo e Bertola, all’Auditorium RAI di piazza Rossaro,angolo Via Rossini; dalla galleria Umberto I all’esterno del Conservatorio Giuseppe Verdi, in piazza Bodoni; dalla galleria Subalpina al Caffè Mulassano,al numero 15 di piazza Castello. Ma Dario Argento raccolse a piene mani l’aurea misteriosa di Torino tre anni dopo, nel 1974, girando le scene più importanti del suo capolavoro, l’inquietante “Profondo rosso” dove si scorgono, oltre alle piazze e alle vie più note del centro, il Teatro Carignano, la Galleria San Federico e piazza CLN, dove si riconoscono le fontane di fronte alle quali Gabriele Lavia e David Hemmings assistono al primo terribile delitto del film, quello della sensitiva Helga Ullman ( l’attrice Macha Méril). Hemmings (che nel film interpretava il pianista inglese Marc Daly ),sulla collina torinese incrociò alcune dimore importanti come Villa della Regina (residenza storica dei Savoia), lungo la Strada Comunale Santa Margherita, per poi raggiungere l’obiettivo della sua ricerca : Villa Scott, in Corso Giovanni Lanza, 57. È quella, infatti, la lugubre “villa del bambino urlante” che si trova in Borgo Po, sulle colline della città: un edificio bellissimo, uno degli esempi più straordinari dell’art decò. “L’avevo scoperta per caso — confessò il regista — mentre giravo in auto in cerca di posti interessanti dove girare il film. La villa era in realtà un collegio femminile diretto dalle monache dell’Ordine delle Suore della Redenzione e, siccome ne avevo bisogno per un mese, offrii alle occupanti una bella vacanza estiva a Rimini, dove si divertirono tantissimo. Con noi restò una monaca-guardiano, che sorvegliò le riprese con austerità”.

Un’ulteriore curiosità merita di essere segnalata. Quando Marc, nel film suonò al campanello di casa del suo amico Carlo, si trovò di fronte la madre di lui (Clara Calamai) che lo fece entrare in un appartamento ricco di cimeli e foto d’ogni sorta. La casa era davvero quella dell’attrice e, quindi, ciò che si vede nel film era probabilmente in gran parte ciò che davvero c’era in quell’appartamento nel 1974, diventato set per l’ultima prova cinematografica della grande interprete del cinema italiano. Il film, quinta prova dietro la macchina da presa per Dario Argento, uscì nelle sale il 7 marzo 1975 e lo consacrò, grazie al successo, come il vero “maestro del brivido made in Italy”. Il ritorno di Dario Argento alle atmosfere tipiche del genere thriller, parecchi anni dopo “Profondo Rosso”, coincise ancora con una pellicola girata a Torino dove la città venne scelta per ambientare praticamente tutte le location di “Non ho sonno”. Anche la colonna sonora, firmata dai Goblin, è un trade-union con il capolavoro del 1975. E come dimenticare l’inquietante filastrocca del fattore, quella che iniziava con “è arrivata mezzanotte, con il letto faccio a botte, ora inizia la mia guerra con le bestie della terra”? Alcune scene furono girate presso i teatri di posa della Euphon Communications, a Mirafiori Sud, mentre per gli esterni il primo ciak avvenne alla stazione Dora di Torino, capolinea della Torino-Ceres. Le immagini del film accompagnano luoghi facilmente riconoscibili dalla Crocetta a piazza della Gran Madre, da San Salvario a piazza Carignano, da piazza Castello al vecchio deposito della SATTI di Lungo Dora Agrigento, al cimitero Monumentale, alla Casa di Riposo ex Poveri Vecchi di Corso Unione Sovietica. Per non parlare di due locali storici come la celebre discoteca “Big Club” di Corso Brescia e il pub “Barbican’s”di piazza Vittorio Veneto. In “Non ho sonno” le analogie con “Profondo rosso” sono molte, come se Dario Argento intendesse citare più volte il suo film più riuscito. Gabriele Lavia, tanto per fare un esempio, interpreta anche in questa pellicola il presunto colpevole e, in una scena importante ,sbotta con un secco “È’ tutta colpa tua” come nell’altro film, recitando con la stessa, identica espressione. La scena dell’omicidio della ballerina venne girata al Teatro Carignano, la medesima location dove la sensitiva Helga tenne la conferenza nelle scene iniziali di “Profondo rosso” e, infine, anche in ”Non ho sonno” si scelse di usare un manichino con le sembianze dell’assassino. Dopo questo ritorno al thriller classico, Argento girò sempre a Torino un film per la televisione: “Ti piace Hitchcock?”. Ai giornalisti, confessò: “Questa città è uno stupendo teatro di posa, quando penso a un film lo immagino qui”. Nelle sequenze la sulfurea capitale dell’auto si vede dappertutto, da via Vincenzo Vela (già nota per aver ospitato la casa di Arnò e l’Istituto Terzi ne “Il gatto a nove code”) al Politecnico di Corso Duca degli Abruzzi, dalla fontana dei Dodici Mesi al parco del Valentino a Corso Francia, per finire nella videoteca, luogo d’incontro di tutti i protagonisti, immaginata al n. 26 di via Cesare Balbo. “La terza madre “, diretto nel 2007 da Dario Argento con la figlia Asia nel ruolo della protagonista (aveva già lavorato con il padre in “Trauma”, “La sindrome di Stendhal” e “Il fantasma dell’Opera”) rappresentò il capitolo conclusivo della saga delle tre madri di cui fanno parte Suspiria (1977) e Inferno (1980), narrazione horror di tre sorelle streghe, madri degli inferi: Mater Suspiriorum, Mater Tenebrarum e Mater Lacrimarum. Anche per questo film Torino prestò se stessa per molte scene, dagli interni della libreria La Bussola di Via Po alla villa abbandonata di viale Thovez dove si trovavano i sotterranei dove si rifugiavano la strega e i suoi discepoli; dalle Molinette di corso Bramante a piazza Emanuele Filiberto, per finire nel Quadrilatero romano, in Via Belleziaall’altezza del noto ristorante Le tre galline. Anche i dintorni della capitale sabauda ospitarono il set del film: dall’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso a Buttigliera Alta alla chiesa dei Batù e al cimitero di Andezeno, da strada Cenasco a Moncalieri, all’aeroporto di Caselle. Nel 2009 Dario Argento ambientò a Torino “Giallo”, un thriller dove una hostess statunitense, accompagnata da un investigatore italiano, segue le tracce della sorella scomparsa, vittima di un serial killer. Il cast aveva in Adrien Brody un protagonista d’eccezione mentre la sua partner era Emmanuelle Seigner, moglie di Polanski, il regista con cui Brody vinse un premio Oscar per “Il pianista”. Dopo vari problemi distributivi il film venne commercializzato direttamente in home video. Anche in quella pellicola le scene conducono gli spettatori tra le vie e i quartieri della città. Da corso Vercelli a via Pietro Egidi, nei pressi del Duomo; dal Conservatorio Giuseppe Verdi, in Piazza Bodoni, al Mastio della Cittadella; dai Portici di via Cernaia al Teatro Regio di piazza Castello e al Caffè San Carlo nell’omonima piazza. S’intravedono anche il palazzo dell’Elettricità in via Bertola e il mercato del pesce di Porta Palazzo. Una citazione a parte merita la macelleria Curletti, ormai “ex” dopo un secolo di onorata attività. E’ lì che, nel film, viene assassinato il macellaio. In corso Moncalieri, ai piedi della collina sulla riva destra del Po, la notissima macelleria venne aperta all’inizio del Novecento da Oreste Curletti che affiancò alla professione svolta con grande competenza la passione per la pittura, arricchendo la sua bottega di una notevole galleria di quadri raffiguranti quarti di bue, costate, bovini d’ogni razza commissionate ad artisti del calibro di Soffiantino, Calandri e Tabusso. L’ultimo film girato in terra piemontese dal maestro del brivido è del 2012 e non venne accolto molto bene dal pubblico e dalla critica. “Dracula 3D” (conosciuto anche come Dracula di Dario Argento) non è certo annoverabile tra le migliori prove del regista, nonostante il cast impegnato sul set (il tedesco Thomas Kretschmann nei panni del più famoso “succhiasangue” della storia, il grande Rutger Hauer come interprete di Van Helsing, il cacciatore di vampiri, e la figlia Asia). Le riprese del film vennero ambientate nella splendida cornice medievale del Ricetto di Candelo, nel biellese, e nel castello di Montaldo Dora, sull’erta del monte Crovero, nell’anfiteatro morenico di Ivrea. Dopo il recentissimo “Occhiali neri” chissà se il maestro del thriller avrà ancora voglia di tornare ancora dietro alla macchina da presa scegliendo come “luogo del delitto” l’amata città dei quattro fiumi?

Marco Travaglini