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Torino Città per le Donne, l’iniziativa per una città a misura di donna

Rubrica a cura di ScattoTorino

torino città per le donneImprenditrici, libere professioniste, dirigenti, artiste, docenti, commercianti e tante altre: sono le protagoniste dell’economia e della cultura cittadina che hanno aderito al manifesto Torino Città per le Donne, un progetto senza finalità politica, che non si identifica con alcuna corrente politica e che si rivolge all’universo maschile e a quello femminile. Fondata dalla Manager culturale Antonella Parigi, dalla Docente di fisica del Politecnico di Torino Arianna Montorsi, dall’Amministratore Delegato di Socialfare Laura Orestano e dalla neurologa della Città della Salute e della Scienza Maria Claudia Vigliani, Torino Città per le Donne si basa su un programma articolato che nasce da un’analisi puntuale del presente. Un presente che, a tutti i livelli, necessita di un cambiamento inteso come esigenza primaria da tanti cittadini e cittadine. In molti, infatti, avvertono la necessità di operare in un contesto politico, sociale e culturale che favorisca l’inclusione, metta al centro la persona e il pianeta, ponga attenzione al benessere dell’essere umano ed operi pensando anche alle generazioni future. Consapevoli che le donne – per skill, empatia, know-how e sensibilità – possono essere il delta che fa la differenza per promuovere una nuova visione della politica e del sociale, il gruppo promotore di Torino Città per le Donne ha redatto un manifesto. L’obiettivo è far sì che l’universo femminile venga maggiormente coinvolto nei processi decisionali e lavorativi a tutti i livelli e in tutti i settori così da soddisfare i requisiti basilari necessari a vivere bene. Per questa ragione sono stati individuati 8 verbi emblematici: lavorare, abitare, decidere, educare, amministrare, convivere, curare, promuovere benessere. Ad oggi i numeri di TOxD sono molto lusinghieri: 55 aderenti al comitato promotore, circa 400 aderenti ai tavoli, 557 sottoscrizioni del Manifesto, pagina Facebook seguita da quasi 2000 persone e 23000 visualizzazioni della Maratona delle Idee. ScattoTorino ha incontrato le quattro fondatrici per approfondire questo tema così importante.

Come è nata l’iniziativa e per quali ragioni?

Arianna Montorsi: “L’iniziativa è nata formalmente a ottobre, ma è in embrione da più tempo e personalmente mi occupo di questo tema da diversi anni. Ciò che vogliamo per il capoluogo piemontese è portare avanti un piano che abbia come punto di riferimento una città per le donne. È un’iniziativa importante che va a coinvolgere cambiamenti auspicabili che puntano su una città inclusiva a 360 gradi”.

Laura Orestano: “Il progetto è nato come tessitura perché Antonella Parigi ha messo insieme sensazioni e riflessioni che ognuna di noi aveva già condiviso con lei. Lei ha creato la tela e siamo contente di essere state incluse in questa tessitura”.

Maria Claudia Vigliani: “L’iniziativa è nata dopo la prima ondata del Covid-19 perché la pandemia ha cambiato il modo di vedere le cose e ha stressato le grandi differenze di genere, di età, di possibilità educative e culturali mostrando che le donne, in quel periodo come in questa seconda fase dell’emergenza sanitaria, si sono impegnate per gestire tutte le situazioni. Che si trattasse di cassiere, infermiere, dottoresse, insegnanti o imprenditrici, tutte hanno dovuto gestire figli, casa, scuola, anziani e lavoro. Questo ci ha fatto capire che è importante porre attenzione alle caratteristiche femminili che, purtroppo, sono troppo poco messe in luce. In questo momento storico le donne vogliono fare, ma anche apparire per dimostrare che un mondo retto da loro può fare bene agli anziani, ai bambini e agli uomini. Il Covid-19 ha messo in evidenza soprattutto la mancanza di respiro e Torino oggi è asfittica. Per questo vorremmo raccogliere il respiro dei Torinesi ed essere delle catalizzatrici per portare il nostro contributo in modo da ridare voce a questa città”.

Antonella Parigi: “Per me l’iniziativa nasce da una visione più complessiva perché da tempo guardo una serie di dati che fanno pensare ad una difficoltà delle donne in Italia. Considerando i numeri, ho visto che noi siamo sotto la media europea per quanto riguarda lavoro, leadership e altri temi. Siamo a 20 punti da nazioni quali Gran Bretagna, Francia e i Paesi nordici. In Italia le donne fanno ancora molta fatica ad emergere e questo è un grosso limite per la nostra società e per lo sviluppo del paese, perché metà della popolazione non viene valorizzata. Questa considerazione parte anche dalla vita di tutte noi e questo progetto nasce dal fatto che tra amiche si parla di questioni femminili irrisolte e si evidenziano i nodi cruciali. Le donne possono portare un approccio diverso per concimare il terreno di questo paese e di questa città, un approccio che porta con sé valori di comunità, solidarietà e cura. Riguardo a Torino, credo che ci sia molto da fare, ma che ci sia una forza vivace che va messa in rete e valorizzata perché è nel pensiero e nella volontà che abbiamo una grande opportunità. La Programmazione europea 2014-2020 dovrebbe avere anche il punto di vista femminile per rendere la città a misura di donna e quindi a misura di chi ruota attorno alle donne: figli, anziani, compagni”.

Qual è la vostra mission?

Arianna Montorsi: “Vorremmo arrivare a scrivere il progetto raccogliendo le idee della città in modo da presentarlo ai futuri candidati Sindaco/a nel febbraio del 2021. Le proposte specifiche verranno arricchite nei prossimi mesi coinvolgendo chi crede che la chiave del cambiamento sia al femminile. L’interazione avverrà attraverso la rete e i social”.

Laura Orestano: “Essere da lente per riflettere e far riflettere sul ruolo chiave del mondo femminile. Fare delle cose a misura di donna in una città significa fare delle cose a misura dei più perché il nostro modo di pensare e il nostro modo di essere multitasking permea molto di ciò che succede in ogni contesto urbano”.

Maria Claudia Vigliani: “La nostra mission è cercare di coagulare delle forze e arrivare a proporre una visione di Torino al femminile per i prossimi candidati Sindaco/a perché crediamo che una città per le donne possa essere più adatta a tutti”.

Antonella Parigi: “Vogliamo fare un cambiamento culturale perché la società è pensata per un maschio bianco, facoltoso, cattolico ed eterosessuale, mentre oggi tutto è più variegato e dunque si deve pensare ad una società diversa”.

Avete sviluppato un programma che punta su 8 verbi: lavorare, abitare, decidere, educare, amministrare, convivere, curare, promuovere benessere. Cosa rappresentano?

Arianna Montorsi: “La scommessa è dimostrare che le donne, così come ogni tipo di diversità, sono una risorsa per Torino ed escluderle dalle decisioni significative per la città significa far girare un motore in modalità ridotta. Questi 8 verbi sintetizzano i nostri obiettivi”.

Laura Orestano: “Gli 8 verbi sono delle caratterizzazioni, degli step nella vita delle persone. Sono gli ambienti che attraversiamo nella giornata e nelle fasi della vita. Per noi era importante individuare ciò che conta realmente”.

Maria Claudia Vigliani: “Il programma inizialmente era partito dal verbo curare e poi, attraverso il contributo delle oltre 50 persone che fanno parte della lista, lo abbiamo implementato”.

Antonella Parigi: “Volevamo arrivare con delle proposte concrete e mettere in rete questa forza viva che c’è a Torino. Il nostro sito e i social sono già mission, programma e risultato”.

Quali saranno i prossimi step?

Arianna Montorsi: “Dopo la Maratona delle idee dello scorso 28 novembre, per 2 mesi i diversi tavoli di lavoro opereranno per elaborare i contenuti da presentare a febbraio.  Voglio ricordare che l’iscrizione ai tavoli di lavoro è gratuita, ma limitata e che saremo aperte alle diverse proposte che perverranno”.

Laura Orestano: “Il mio punto di vista, che è complementare a quello delle altre, è creare la consapevolezza di un’opportunità. Come queste possano essere colte dai più o accelerate da noi in modo che diventiamo tanti, è ancora tutto da capire. Il tema vero è: Torino Città per le Donne è una lente che ci rende meno monofocali rispetto a ciò che normalmente accade ed è un’opportunità che l’amministrazione cittadina può cogliere”.

Maria Claudia Vigliani: “I prossimi step sono catalizzare energie, motivare le persone e mostrare che c’è speranza. Vorremmo raggiungere tutta la città e non solo un gruppo di donne che possono accedere facilmente a tante cose. I tavoli sono aperti a tutti e naturalmente speriamo di avere il contributo anche degli uomini. Ogni tavolo lavorerà per sviluppare il progetto legato al verbo scelto tra gli 8 perché più affine al proprio sentire”.

Antonella Parigi: “L’obiettivo è arrivare ad una proposta programmatica e a confrontarci con i candidati Sindaco/a. Spero che la rete si mantenga viva e già adesso abbiamo incontrato persone fantastiche. Per me gli step sono anche verificare e monitorare che il programma abbia continuità”.

Torino per voi significa?

Arianna Montorsi: “Per me la parola che la caratterizza è understatement, in positivo e in negativo. Questa città ha tante risorse poco utilizzate ed è un peccato, anche se con le Olimpiadi invernali era riemersa e aveva mostrato le sue qualità nascoste”.

Laura Orestano: “Per me significa moltissimo. Sono nata a Roma e in molti mi presentarono Torino come buia e gelida. In effetti quando arrivai fu così, ma da subito ebbi un’accoglienza fantastica. Questo per me è un luogo di opportunità ed è per questo che credo in Torino come generatrice di possibilità anche per chi non è nato qui. A Torino c’è sempre fermento sotto la cenere, inoltre è una città di avanguardie e di scoperte”.

Maria Claudia Vigliani: “Sono arrivata a 18 anni da Trieste e a Porta Nuova mi ha accolta una città umida e piena di nebbia. Subito sono stata presa dallo scoramento, ma non ho mai rimpianto la scelta di trasferirmi qui per gli studi. Avevo appena compiuto 18 anni e per fortuna una zia che mi ha ospitata mi ha dato la possibilità di inserirmi in questa città, che ho sempre trovato accogliente. È molto seria, ma sa essere vicina nei momenti di difficoltà”.

Antonella Parigi: “Sono totalmente torinese e molto radicata nella mia città. Io stessa penso di avere i pregi e i difetti tipici della torinesità. Il nostro capoluogo non sa esprimere i propri valori, ma ha una vena di originalità e follia che serpeggia in maniera nascosta. Noi Torinesi siamo abituati a lottare sin da quando abbiamo perso la capitale d’Italia, ma saper combattere ci ha permesso di avere sempre un punto di vista originale rispetto alle cose”.

Un ricordo legato alla città?

Arianna Montorsi: “La sorpresa e l’orgoglio di mostrare Torino agli amici durante le Olimpiadi e dopo il 2006. È la stessa sorpresa che ho provato durante la prima riunione tra le partecipanti a Torino Città per le Donne che si è tenuta al Circolo dei Lettori. Eravamo 30 donne e non ci conoscevamo tutte, ma ognuna di noi ha detto ciò che aveva in mente circa il progetto e per ore abbiamo discusso su temi altissimi”.

Laura Orestano: “Con la mia famiglia arrivai a Torino da Los Angeles, dove avevamo vissuto. Era febbraio e la città ci accolse con la neve e davvero sembrava un luogo sconosciuto e freddo. Di Torino ricordo soprattutto i contrasti tra la narrazione che avevo avuto e ciò che mi accadde realmente”.

Maria Claudia Vigliani: Non sono torinese, ma l’ho scelta all’epoca dell’università perché credo che le città siano come le persone che ami e scegli. L’ho frequentata sin da bambina ed ho deciso di viverci perché è una fucina di idee, un laboratorio che ha portato a molti risultati: dall’unione nazionale alla nascita della Rai. Torino è in grado di proporre grandi progetti, è una città di pensiero e sa rinascere dalle proprie ceneri. Ecco perché spero che iniziative ambiziose come la nostra possano attecchire”.

Antonella Parigi: “Il mio ricordo è di una Torino che c’è stata e che rievoca quella attuale: un luogo desolato e solitario, ma con una grande energia che ha permesso di farla diventare la città olimpica che tutti hanno amato. Spero che in questo momento, sotto i portici vuoti e le serrande chiuse, stia covando la stessa energia di allora, anche se oggi abbiamo perso i giovani e purtroppo non li abbiamo rimpiazzati. Uno degli obiettivi di Torino Città per le Donne è proprio far emergere i giovani che ci sono all’ombra della Mole”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

Dove trovare il miglior panettone artigianale a Torino

Il panettone artigianale è un dolce che non può mancare sulle nostre tavole natalizie. Ecco una selezione dei migliori panettoni artigianali a Torino.

Stratta, il panettone con la farcitura più buona del mondo

Ebbene sì, uno dei migliori panettoni al mondo nasce nel cuore di Torino, in piazza San Carlo. Il panettone artigianale di Stratta è stato premiato dalla Federazione Internazionale Pasticceria Gelateria Cioccolateria per il concorso “Il miglior panettone al mondo”. E ha portato a casa non poche medaglie: oro per la farcitura, argento per il panettone e bronzo per il panettone farcito. La specialità? Il panettone con la crema al vermouth.

Il Pantorrone della Pasticceria Scalenghe

Più che un panettone si tratta di un Pantorrone, e potete trovarlo a Trofarello, in provincia di Torino. Un panettone realizzato con torrone e glassa al torrone, soffice e dall’impasto ricco e profumato. Un pantorrone che conquisterà tutti. E una nota di merito va anche all’imballo, che è interamente compostabile.

Il panettone artigianale di Giovanni Dell’Agnese

La pasticceria Giovanni Dell’Agnese sforna dal 1950 una delizia dopo l’altra. Dopo essersi trasferito da Borgo Vittoria in zona Mirafiori, continua a rimanere una tappa fissa per i torinesi. Tra le sue proposte degne di nota c’è il Pinerolese, un panettone classico con uvetta, canditi e classa alle mandorle.

Galùp, la storia del panettone piemontese

Galùp ha fatto la storia del panettone piemontese. Propone ricette classiche arricchiete con gusti particolari e abbinamenti sempre sorprendenti. Tra le proposte più golose spiccano il Gran Galup Classico, la ricetta originale con glassa fatta a mano alle nocciole IGP con l’aggiunta di mandorle intere… oppure l’intramontabile pere e cioccolato.

Casa Vicina e l’attenzione alle materie prime

Si può degustare presso il ristorante Casa Vicina (ad Eataly Lingotto). Il panettone è preparato dallo chef Claudio Vicina con farine del Mulino Marino biologiche e il lievito madre, una lievitazione di 48 ore e tutte materie prima di alta qualità. Il panettone è arricchito da scorzette di arancia candita, uvetta e cioccolato fondente, e abbinato ad una crema chantilly all’arancia. Ma attenzione: la produzione del prodotto è limitata, se ne producono circa 200.

Il panettone artigianale della Farmacia del Cambio

Tra le eccellenze della nostra città è impossibile non citare il panettone de La Farmacia del Cambio del maestro Fabrizio Galla. La Farmacia del Cambio lo propone sia in versione tradizionale che nella variante cioccolato e arancia candita. 

Protagoniste di Valore: chi è Roberta Ceretto, Presidente di Ceretto srl

Protagoniste di Valore LogoProtagoniste di Valore, rubrica a cura di ScattoTorino

170 ettari di vigneti di proprietà che si estendono tra Langhe e Roero, 4 cantine, 17 vini prodotti, 150 collaboratori tra vigna, cantina e ufficio, 5.000 clienti suddivisi in enoteche e ristoranti italiani, 60 paesi d’esportazione: questi i numeri della Ceretto, l’Azienda vitivinicola che dal 1937 pone la terra e le persone al centro della propria attività. Sia i fondatori sia le generazioni successive hanno infatti adottato una filosofia aziendale che punta sulla valorizzazione della tipicità del territorio e dei suoi vini e sul coinvolgimento dei collaboratori. Il risultato è noto a tutti: da sempre Ceretto è sinonimo di eccellenza e la cantina è riconosciuta per l’elevata qualità dei prodotti, considerati ambasciatori del Piemonte e dell’Italia nel mondo. La tradizione nei metodi di vinificazione e maturazione, il rispetto per la natura e l’innovazione che punta sull’agricoltura biologica e biodinamica sono le keywords che spiegano il successo enologico della Famiglia. Ma Ceretto è anche sinonimo di arte. Dall’antico casolare ottocentesco di proprietà, che è stato trasformato in una cantina dalle geometrie e dal design moderno, alla celebre Cappella del Barolo dipinta da Tremlett e LeWitt, sono tante le opere promosse da questi mecenati contemporanei.

CerettoProtagoniste di Valore ha incontrato Roberta Ceretto, Presidente e Responsabile comunicazione dell’Azienda vitivinicola che dal 2004 al 2007 è stata Consigliere del Consorzio del Barolo e Barbaresco e dal 2005 al 2008 ha ricoperto il ruolo di Vice Presidente del Gruppo Giovani di Confindustria di Cuneo. Tra i suoi incarichi anche quelli di Consigliere d’Amministrazione della Fondazione Nuovo Ospedale Alba-Bra onlus, Consigliere d’Amministrazione del Consiglio per le relazioni tra Italia e Stati Uniti, Consigliere d’Amministrazione dell’Agenzia di Pollenzo, Membro del Consiglio generale della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, ente non profit che ha scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico del territorio e Vice Presidente di Confindustria Cuneo. In sintesi, una donna competente, dinamica, determinata e amante dell’arte in tutte le sue forme.

Quando si parla di Ceretto si parla di enologia sostenibile. I risultati sono premianti?

“Negli Anni 2000 abbiamo acquistato una vigna a Cannubi con un’età media di 80 anni e abbiamo visto che era perfetta, mentre vigne più giovani non trattate allo stesso modo avevano fallanze. Mio cugino, che si occupa della parte enologica, si è informato e ha così ragionato sul tema della sostenibilità e del rispetto dei decorsi della natura. Non abbiamo mai voluto convertire tutto al biologico per moda, ma per una questione etica e morale, perché noi 4 cugini, che rappresentiamo la nuova generazione dei Ceretto, volevamo promuovere un’agricoltura più consapevole. Secondo noi è uno sguardo diverso al contemporaneo, visto con gli occhi della tradizione. Gestendo un’azienda con un discreto successo, noi figli per certi versi abbiamo avuto la vita privilegiata, ma non ne abbiamo approfittato. Anzi, abbiamo voluto studiare e lavorare per produrre innovazione di qualità. Abbiamo sentito la necessità di attuare delle modifiche che fossero più compatibili con i tempi attuali. Se negli Anni ’60 mio padre e mio zio dovevano investire per creare l’azienda che oggi è Ceretto, noi abbiamo la responsabilità di intervenire per migliorarla dove è possibile. I vantaggi, quindi, non sono legati alla qualità, perché questo tema risale agli Anni ’60 con i fondatori che avevano scelto terre con ottime esposizioni. Produrre vino biologico e biodinamico ha dei costi notevoli, soprattutto su dimensioni come le nostre, per cui facciamo attenzione a lavorare con attenzione perché le vigne sono delicate e vanno trattate con cura. I risultati sui vini sono ottimi, ma siamo anche favoriti dalle annate particolarmente calde che aiutano la qualità”.

Avete numerosi collaboratori. Cosa significa per voi responsability?

“La responsabilità della terrà è un tema che sentiamo nostro, come la responsabilità verso i collaboratori. Un tema caro a mio padre e a mio zio, ma anche a noi cugini. Il lavoro agricolo è faticoso abbiamo sempre cercato di tenerci vicino i dipendenti dando loro le case, seguendoli e accogliendoli, anche perché molti di loro sono stranieri. Le vigne sono delicate e occorre curarle con costanza, ma è un lavoro faticoso per cui cerchiamo di fidelizzare i collaboratori, che sono una fonte preziosa. Il rispetto per il lavoro e per chi lo fa sono valori che appartengono alla nostra famiglia da sempre”.

Dalle etichette dei vini alla Cappella del Barolo, il design e l’arte sono parte della vostra storia. Un connubio vincente?

Le nostre etichette sono state realizzate da Silvio Coppola, famoso designer degli Anni ’80. Abbiamo mutuato un pensiero simile sui piatti che vengono utilizzati nel ristorante La Piola di Alba, sempre di nostra proprietà, dove abbiamo coinvolto 12 artisti e i tavoli sono variegati e decorati con questi piatti. Abbiamo cercato di mettere un po’ di arte contemporanea in ogni nostro nuovo progetto per renderlo più significativo e la Cappella del Barolo ne è un esempio. Con l’amico David Tremlett nacque l’idea di realizzare qualcosa insieme, poi mio padre gli diede l’input di coinvolgere un secondo artista e così Sol LeWitt si unì al progetto. Agli artisti piacque l’idea di recuperare l’edificio in rovina e Tremlett si occupò delle decorazioni interne e LeWitt di quelle esterne. Il risultato è che 50.000 persone la visitano ogni anno. Da quell’esperienza del 1999 abbiamo capito che l’arte è un incredibile strumento di comunicazione perché ha la capacità di riempire di contenuti un luogo. Con il vino coinvolgiamo un mondo straordinario di persone che amano sia l’arte sia il vino e in questo modo offriamo contenuti per attrarle e far conoscere il territorio. Per noi è fondamentale che sia mantenuto vivo il discorso culturale e vogliamo arricchire di nuove esperienze le nostre cantine e i nostri luoghi. Spesso i progetti che promuoviamo non sono legati al mondo vitivinicolo, ma quando conosci un artista e ti innamori delle sue opere, non puoi non accoglierle”.

CerettoPassione e valorizzazione del territorio sono nel vostro DNA. In che modo li declinate?

“Negli Anni ’80 mio padre unì i suoi prodotti al nascente concetto del made in Italy. Allora il Piemonte e le Langhe non erano conosciuti e il Barolo non era un vino famoso, ma lui decise di abbinare il cibo al vino. Promuovere il Barolo assieme ai prodotti del nostro territorio è stato un gioco di squadra fenomenale che ha portato a grandi risultati. Abbiamo anche notato che chi veniva nelle Langhe rimaneva stupito dalla loro bellezza e se poi si fermava a mangiare, era estremamente gratificato. Visto che il vino è legato alla terra d’origine, giocare con una squadra composta dal territorio e dagli elementi che lo coinvolgono è quindi fondamentale. Per noi lavorare in queste zone è importante e le iniziative che realizziamo sono gratuite perché ci piace che la gente venga nei nostri luoghi. Dal 2014 le Langhe sono Patrimonio dell’Unesco come paesaggio vitivinicolo. Questa è una natura domata: è la dimostrazione che se l’intervento dell’uomo è condotto in maniera sensata, i benefici ci sono”.

Donna per lei significa?

“Secondo me noi donne, io per prima, siamo delle equilibriste perché, dall’alba al tramonto, ci districhiamo tra numerosi impegni e pensiamo a tante cose contemporaneamente. Per noi, inoltre, il cuore è più forte della testa e ritengo che sia un plus perché talvolta con una parola gentile si risolvono tante questioni”.

Il Focus di Progesia

I valori dell’Azienda Vitivinicola Ceretto sono:

  • Sviluppo sostenibile: sostenibilità ambientale, sociale e di governance;
  • Valorizzazione dei dipendenti;
  • Iniziative di conciliazione famiglia e lavoro e agevolazione della gestione del tempo in azienda.

Un’azienda, una famiglia

“Si chiama Azienda Vitivinicola Ceretto, ma siamo una famiglia” afferma Roberta Ceretto quando racconta del suo rapporto con i dipendenti. “Ci sono persone che sono state con noi dalla fine della scuola alla pensione, persone con grandi valori, che condividono le nostre idee e le portano avanti. Alcuni sono arrivati con una valigia e null’altro. Noi abbiamo ristrutturato delle cascine e ne abbiamo fatto dei luoghi accoglienti dove costruire un futuro”. Tutto ciò non è stato studiato a tavolino, ma è stata l’evoluzione naturale dell’azienda che ha voluto da sempre costruire un rapporto di fiducia con i suoi collaboratori e collaboratrici. L’azienda ha quindi saputo valorizzare e fortificare il rapporto con i dipendenti da cui traspare un grande senso d’appartenenza, fondamentale per l’efficienza e per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

L’azienda conta in totale ottanta lavoranti, in vigna sono metà donne e metà uomini, mentre in cantina, luogo in cui vi è generalmente la sola presenza maschile, grazie al supporto dell’innovazione tecnologica oggi sono entrate nel team anche alcune donne. “In azienda siamo due eredi femmine e due maschi, quindi per noi è assolutamente normale ragionare e confrontarci alla pari e questo si riflette su tutta l’azienda”.

Il gusto e l’arte

“In un periodo in cui nessuno aveva ancora scommesso sulle Langhe, Bruno e Marcello Ceretto sono andati controcorrente, puntando sulle materie prime del territorio” racconta Roberta Ceretto, ricordando quando negli anni ’80 cominciava a prendere forma l’idea del Made in Italy, grazie agli stilisti di moda e al cibo e ai vini sempre più riconosciuti come elementi distintivi della nostra nazione. L’intuizione di mio padre e di mio zio è stata quella di puntare sulla qualità del prodotto e sulla sua valorizzazione attraverso un packaging di alto livello, che potesse rispecchiare la preziosità del vino.

Nell’Azienda Vitivinicola Ceretto quindi, il gusto è associato all’arte, perché nel vino si ritrovano elementi che hanno molto in comune con le opere d’arte “duro lavoro, passione, emozione e soddisfazione, si parla al cuore delle persone” spiega Roberta Ceretto.

“La scelta dell’azienda è quella di investire sempre prima di tutto sulla qualità a prescindere. La valorizziamo con la creatività e la giusta dose d’estetica, senza dimenticare l’attenzione al territorio che per noi è particolarmente prezioso e lo rispettiamo innovando in modo sostenibile”. Questi valori sono condivisi dai collaboratori e anche dai nostri clienti, che desiderano vivere un’esperienza unica legata non solo alla qualità del vino, ma anche alle visite alle cantine, ogni anno numerosissime, e alla consapevolezza che l’azienda rispetta il territorio e i suoi frutti.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino

Brodarìa, una parola piemontese oggi poco in uso

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

Brodarìa: Termine oggi poco in uso. Si traduce in italiano con ricamo, ornamento. Diverse le parole collegate: brodà, ricamato; brodé, ricamare, lavorare di ricamo; arricchire con ornamenti; brodeur, ricamatore; brodeusa, ricamatrice. E quel che vorremmo tutti: un cel brodà dë stèile: un cielo trapuntato di stelle!. Per saperne di più vedi: Camillo Brero, Vocabolario Italiano-Piemontese/Piemontese Italiano, Torino, Editrice Il Punto/Piemonte in Bancarella, 2001; per l’etimologia REP-Repertorio Etimologico Piemontese, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2015

Chi è Aristide Artusio, Presidente di Witt Italia group

Rubrica a cura di ScattoTorino

Volere è potere. Sembra essere questo il mantra di Aristide Artusio, imprenditore che ha fatto dell’attenzione verso la natura e le persone la propria mission. Professionalmente nasce come agente di commercio e lavora con successo per marchi come Montefarmaco, Farmitalia – Carlo Erba, Phas, Domenico Ulrich, Vestebene – Miroglio e Brummel. A 31 anni diventa dirigente, ma la voglia di costruire qualcosa di suo è un retropensiero costante. Nel 2001 acquista così Witt Italia, azienda di Poirino fondata nel 1970 da Vittorio Adaglio che produce linee per la pulizia domestica e per la cura della persona nel rispetto della natura. Sei anni dopo acquisisce la storica Erboristeria Magentina. Con il brand Armonie di bellezza fonda un gruppo industriale che, oltre alla produzione, gestisce anche un centro benessere e un punto vendita, mentre con il marchio IAiAOH! si specializza nell’igiene e nella cura di cani, gatti e cavalli. Oggi Witt Italia è leader su tutto il territorio nazionale nel settore della detergenza ecologica, in quello della cosmesi naturale e dei prodotti per il benessere della famiglia e dal 2013 aderisce al disciplinare VeganOk che certifica l’assoluta assenza di elementi animali in tutte le fasi della lavorazione delle proprie referenze.

Siccome volere è potere, nonostante i numerosi impegni professionali Aristide Artusio consegue anche la laurea in Management dell’informazione e della comunicazione aziendale presso la Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino e pubblica il libro L’artigiano della natura scritto con Adriano Moraglio ed edito da Rubbettino. Uomo sensibile e attento al benessere dei dipendenti e delle persone in generale, questo imprenditore lungimirante ha fatto costruire Baby Natura, il micro-nido all’interno dell’azienda che è aperto a tutti i bimbi dai tre mesi ai tre anni e la cui peculiarità è l’utilizzo di cibi biologici, arredo in legno, musicoterapia e pet-therapy. Inoltre Witt Italia sostiene la fondazione dell’ospedale di Alba-Bra e l’associazione Amici di Ndugu Zangu a Nanyuki, in Kenia.

WITT ITALIAWitt Italia ha una storia affascinante legata al rispetto per la natura e per le persone. Ce la racconta?

“La Witt era stata fondata da Vittorio Adaglio per creare prodotti di detergenza naturali per le industrie. La mia esperienza come venditore di referenze farmaceutiche mi aveva portato a conoscere i prodotti green e ad innamorarmene. Per 10 anni ho lavorato nell’abbigliamento, ma avevo voglia di mettermi in proprio così, sapendo che lui voleva vendere perché era anziano, l’ho acquistata. La Dott.ssa Gloria Giussani, farmacista, era già in azienda e abbiamo deciso di entrare in società. Il suo ruolo è quello di Direttore tecnico e formulatore ed è molto preparata. Da poco ha pubblicato il libro Oli essenziali – Per corpo, mente e spirito, una guida che spiega le caratteristiche, la storia, le potenzialità e il loro utilizzo a seconda della necessità e del modo d’uso. La Witt produceva detersivi e cosmetica, mentre noi abbiamo sviluppato il settore del benessere naturale che oggi, con i detersivi, è quello trainante”.

Oltre a Witt Italia avete altri brand. Quali?

“Anche se con Witt Italia siamo cresciuti, volevo entrare nel mondo farmaceutico e con la Dott.ssa Giussani abbiamo comprato Erboristeria Magentina e abbiamo spostato la sede da Milano a Poirino, alle porte di Torino. Armonie di bellezza è invece un marchio di prodotti professionali pensati per la bellezza oltre che un centro estetico concepito per prendersi cura del corpo e dello spirito e un punto vendita, entrambi situati a Poirino. C’è poi IAiAOH! la linea di prodotti naturali per il benessere e la cura degli animali. La nostra attenzione verso la natura e le persone è stata chiara anche quando è iniziata la pandemia: abbiamo infatti messo in produzione un gel igienizzante che è anche un cosmetico e che abbiamo dato in omaggio ad alcuni ospedali e alle Forze Armate. Il prodotto è subito piaciuto ed oltre ad esso abbiamo prodotto lo spray e un formato da 50 e 100 ml da borsetta, più altre referenze. Inoltre abbiamo regalato ai bambini del Piedibus di Alba un sacchetto di Erboristeria Magentina con il necessario per igienizzarsi”.

WITT ITALIA prodottoLei ha introdotto il concetto di prodotti green ben prima che diventasse un trend. Come è nato l’interesse?

“Mio nonno e mio zio erano contadini e io sono nato in campagna per cui l’amore per la terra era insito in me. L’attenzione verso la natura, in Witt Italia, nasce già durante la produzione infatti, per dare una carica energetica ai prodotti, utilizziamo mandala colorati, cromoterapia e i tubi in cui passa l’acqua hanno dei cristalli con delle scritte positive, inoltre ci siamo fatti comporre da Simona Colonna una musica a 432 Hz che colpisce il cuore e non la mente. In questo modo tutte le nostre referenze si caricano di energia positiva”.

Quanto è importante l’eCommerce per Witt Italia group?

“Per la distribuzione non ci avvaliamo della GDO per cui per noi l’eCommerce è fondamentale. Con Erboristeria Magentina da 10 anni abbiamo adottato un sistema che si chiama Pick and Pay: il cliente ordina online e seleziona il punto vendita nel quale ritirare il prodotto con pagamento in negozio. In automatico inviamo un’email al venditore e al cliente in modo che entro 24 ore questi possa acquistarlo in farmacia o parafarmacia. Il metodo fa sì che i venditori abbiano garantita la provvigione e il cliente sia soddisfatto perché il rapporto umano non viene eliminato. Per Witt Italia stiamo invece sviluppando e lanciando un’App che profila i consumatori e ne monitora i consumi affinché le venditrici-consulenti possano anticipare le loro richieste.

Anche con l’acquisto on-line stiamo creando un sistema che contempli il ruolo della consulente come intermediaria della vendita per salvaguardare il rapporto umano e di fiducia su cui si basa la vendita diretta.

Dal micro-nido aziendale di matrice ecologica all’impegno sociale, Witt Italia dimostra che oltre al business c’è il cuore

“I bambini sono uno spettacolo e così abbiamo deciso di costruire un nido all’interno dello stabilimento: questo significa che abbiamo una produzione talmente sicura che possiamo ospitare anche i lattanti! Baby Natura ha una cucina a vista con la cuoca che prepara cibi con prodotti a km zero, ci sono i giochi in legno, i piccoli fanno pilates, pet-terapy, pigiano l’uva, coltivano la terra e hanno una palestrina. L’asilo, l’unico della zona che accoglie i bimbi dai tre mesi ai tre anni, non è solo per i dipendenti, ma per gli abitanti di Poirino e Carmagnola e abbiamo anche una lista d’attesa. La scelta di supportare l’associazione Amici di Ndugu Zangu a Nanyuki, in Kenia, nasce invece dal fatto che una collaboratrice è andata là per vedere come operava l’associazione e, data la serietà, abbiamo adottato dei bambini, costruito una scuola e un pozzo per l’acqua”.

Come è nato il libro L’artigiano della natura?

“Il Professor Vercelli, famoso psicologo che collabora con noi, e il consulente di amministrazione che ha una cattedra all’Università di Torino mi hanno spinto a scrivere questo libro per spiegare ai giovani che si può essere imprenditori anche se non si è nati in una famiglia di imprenditori. La mia esperienza può essere un messaggio positivo per le nuove generazioni”.

Torino per lei è?

“Sono di Corneliano d’Alba, ma ho studiato a Torino e già a 14 anni la visitavo spostandomi in tram. Qui mi sono laureato ed ho svolto il primo lavoro. Per me è stata la seconda città del cuore e la considero bellissima”.

Un ricordo legato alla città?

“La Torino delle Olimpiadi, finalmente bella e ridente. Purtroppo sta diventando nuovamente cupa come negli Anni ’80, ma spero che possa tornare allo splendore del 2006”.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

 

Protagoniste di Valore: Valentina Parenti, founder di GammaDonna

Protagoniste di Valore LogoRubrica a cura di ScattoTorino

Valentina Parenti incarna alla perfezione il concetto di multitasking. Imprenditrice, gestisce con successo l’agenzia Valentina Communication con la quale ha ideato GammaDonna e il GammaForum internazionale dell’Imprenditoria Femminile e Giovanile. È co-fondatrice del tavolo interassociativo Yes4TO a cui aderiscono i Gruppi Giovani di 24 associazioni del territorio torinese, in rappresentanza di oltre 20.000 imprenditori e professionisti, e la cui finalità è formulare proposte unitarie sul futuro della Città. Fortemente impegnata in ambito associativo, è stata Consigliere e referente per l’organizzazione del Convegno annuale di Santa Margherita Ligure dei Giovani Imprenditori di Confindustria, ha ricoperto il ruolo di Consigliere Regionale FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) per 2 mandati e nel 2017 è stata nominata componente dell’Advisory Board di Assolombarda del progetto STEAMiamoci per la riduzione del gender gap nei settori economici a più alto valore aggiunto, con particolare riferimento alle materie STEAM. What else? È laureata in tedesco e spagnolo, è iscritta all’Ordine dei Giornalisti, è moglie e mamma, e Startupitalia! Magazine l’ha inserita tra le 150 donne dell’innovazione da conoscere e seguire nel nostro paese. L’ultimo anno l’ha vista impegnarsi come attivista contro le disparità di genere, contribuendo alla nascita di Movimenti come Dateci Voce e Il Giusto Mezzo.

Da sempre vi occupate dell’integrazione di genere e dei giovani nel mondo del lavoro. Come è nata l’Associazione GammaDonna e su quali valori è cresciuta?

GammaDonna è nata nel 2004 con lo scopo di valorizzare l’iniziativa imprenditoriale di donne e giovani, la loro capacità di affrontare il cambiamento e di innovare, superando difficoltà e ostacoli.

Lavoriamo per il cambiamento culturale del Paese, attraverso lo scouting e la promozione di iniziative imprenditoriali innovative e incentivando il networking fra startup, imprenditori esperti e investitori. Promuovendo, in sostanza, una community virtuosa dell’innovazione applicata al business. Il Premio GammaDonna, è la sintesi di tutto questo: si rivolge alle imprenditrici – non solo di prima generazione – che abbiano innovato con prodotti, servizi, processi e/o modelli organizzativi nuovi. Il nostro riconoscimento rappresenta un formidabile moltiplicatore di visibilità, che spesso coincide con un’improvvisa accelerazione di business: siamo convinti che le imprenditrici abbiano bisogno anzitutto di comunicazione, ma anche di creare o fortificare la propria rete di relazioni di business, e avere l’opportunità di accedere a nuove opportunità di formazione e aggiornamento professionale.

GammaDonnaLa XII edizione del PREMIO GAMMADONNA si è tenuta in live streaming. Quali sono stati i temi?

La contingenza drammatica ci ha spinto a ripensare alla nostra attività, a rafforzare ulteriormente la nostra partnership con QVC Italia e a trasformare il Premio nel primo format televisivo italiano dedicato alle donne che fanno impresa e innovazione. Siamo doppiamente entusiasti, perché all’orgoglio per il nostro debutto televisivo si aggiunge la soddisfazione per i temi trattati e per averli portati ad un pubblico molto più ampio. Dall’industria del ferro al coding, passando per le nanotecnologie, le piattaforme per la vendita online e lo smaltimento ecologico dei rifiuti: le storie imprenditoriali delle 5 finaliste della 12a edizione del Premio smentiscono, con i fatti e con il sorriso, quegli stereotipi che vedono le donne escluse da determinati ambiti, considerati tradizionalmente di appannaggio maschile.

Ci sono azioni che occorre intraprendere per un futuro di parità e inclusione dove non si ragioni per stereotipi, ma sulla base dei talenti?

L’aspetto più critico e implacabile della disparità, che è stata ulteriormente aggravata dalla pandemia, inizia dal salario: il pay gap resta del 10% in più a favore degli uomini a parità di mansione. In pratica, è come se per lo stesso lavoro una donna cominciasse a guadagnare dalla seconda metà di febbraio rispetto a un collega. Senza dimenticare la grave questione dell’occupazione femminile (il cui tasso è sceso al di sotto del 50% in Italia, ultimo in Europa) e l’accesso femminile alle posizioni apicali.

In questo scenario, la nostra Associazione fa del suo meglio per contribuire al cambiamento verso una maggiore equità sociale. Di cui, in ultima analisi, beneficerà l’intera società, non solo le donne. Il nostro impegno a raccontare e promuovere storie di innovazione al femminile vuole essere di stimolo e ispirazione per tutti: una testimonianza di come capacità, determinazione e costanza possano condurre a grandi risultati. Esiste un tessuto imprenditoriale al femminile, spesso poco noto ma diffuso in tutti gli angoli del Paese, che contribuisce ogni giorno, in maniera significativa, all’economia. La difficoltà più grande sta nel portare alla luce queste storie, nel convincere le donne a mettersi in gioco, a dimostrare il proprio valore. Perché se è vero che le donne hanno bisogno di rappresentanza nei luoghi decisionali, è altrettanto vero che c’è un grande bisogno di una rappresentazione femminile che demolisca gli stereotipi così profondamente radicati nella nostra cultura.

Qual è il valore della relazione come acceleratore di sviluppo e generatore di impatto sociale?

In un mondo caratterizzato da crescente complessità e da rapidi e continui cambiamenti, il nostro futuro come esseri umani e come imprese dipende dal numero, ma soprattutto dalla qualità, delle connessioni virtuose che saremo riusciti ad instaurare.

Mio padre definiva queste connessioni “strategiche”, per distinguerle per utilità e peso da quella moltitudine che ci travolge senza portare valore. Grazie alla preziosa eredità della mia famiglia, sono cresciuta credendo e praticando l’impegno a favore del territorio e di chi non ha avuto le mie stesse possibilità.

“Molte piccole persone che, in molti piccoli luoghi, fanno molte piccole cose possono cambiare la faccia della terra” recita una scritta sul muro di Berlino. Credo ci sia una profonda verità in questa frase e credo che l’unione di queste persone possa avere un impatto che è spesso grandemente sottovalutato. Ne sono testimonianza iniziative straordinarie, di cui sono stata tra le co-promotrici quest’anno, come #DateciVoce – per la rappresentanza femminile nei luoghi decisionali – e #GiustoMezzo – per la destinazione della metà del Recovery Fund a politiche integrate che tengano conto dell’impatto di genere.

GammaDonnaDonna per lei significa?

“Insisti e persisti, raggiungi e conquisti”, questo è il mantra che mia madre ripeteva a me, quando ero piccola e che ora ripeto a mia figlia.  E a mio figlio. Perché, in realtà, questo consiglio vale per tutti.

Non è cosa siamo, ma cosa scegliamo di diventare che conta. Lavorare sodo per migliorarsi e credere in se stessi è una sfida che appartiene a ognuno di noi. Forse per una donna il cammino è più impervio, a causa del retaggio culturale, ma ci anima una visione del mondo che è rigeneratrice: la capacità di assorbire traumi, delusioni, urti, guardando avanti senza accartocciarsi e immaginando sempre qualcosa di nuovo. Alcuni la chiamano resilienza, io preferisco definirla predisposizione ad amare la vita incondizionatamente.

IL FOCUS DI PROGESIA

I valori di GammaDonna sono:

  • Sviluppo sostenibile;
  • Valorizzazione di genere, competenze e carriere femminili.

Premio GammaDonna: innovazione e consapevolezza

Le imprenditrici che decidono di partecipare al Premio GammaDonna sono ogni anno di più e, in particolare, in questo 2020 così difficile e complesso sono state addirittura il 30% in più rispetto all’anno precedente. “Si tratta di donne che nella loro esperienza imprenditoriale fanno innovazione, ne hanno consapevolezza e credono fortemente in ciò che fanno” afferma Valentina Parenti “e questi tre step non sono assolutamente scontati”. Esiste inoltre un filo conduttore che caratterizza le vincitrici, che secondo Valentina Parenti è “l’attenzione all’impatto ambientale e sociale. Tutte desiderano rendere il mondo un posto migliore”.

Una cosa che accomuna tutte le partecipanti del Premio GammaDonna è il bisogno di ampliare e migliorare la rete di conoscenze e la comunicazione, nonché la formazione e l’aggiornamento professionale. Tali esigenze sono state rilevate dalle ricerche realizzate in collaborazione con le università (Unitelma Sapienza e Tor Vergata), nelle numerose survey online e dai feedback raccolti durante gli eventi nelle undici edizioni del Premio. La business community GammaDonna, appena lanciata su Facebook, andrà incontro a questi bisogni e permetterà alle imprenditrici di moltiplicare le occasioni di conoscenza e di confronto delle esperienze.

Valentina Communication

GammaDonna e GammaForum nascono da una realtà solida, altamente dinamica e che ha saputo innovarsi nel tempo: Valentina Communication, l’agenzia di comunicazione di cui Valentina Parenti è la Presidente.

Valentina Communication è stata fondata negli anni ‘80 dalla madre di Valentina Parenti, Giuliana Bertin, che è stata una pioniera del settore. Inizialmente l’agenzia si occupava di consulenza sulla comunicazione e PR esclusivamente per il settore dell’economia e della finanza. “Nel tempo è diventato un family business;” racconta Valentina Parenti “è entrato prima mio padre Mario, e in seguito io e mio fratello Marco. Ognuno di noi ha portato il suo personale contributo. Il mio ad esempio è legato al mio innato interesse per le tematiche sociali”. Attualmente l’Agenzia si occupa di comunicazione in modo innovativo offrendo servizi di ufficio stampa, PR, eventi e strategie di comunicazione, rivolgendosi a realtà eterogenee, dalle startup ai grandi gruppi e alle multinazionali.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino

Chi è Fabrizio Turina, fondatore di FIT-MILK, latte da erba

Fabrizio Turina - Fondatore di FIT-MILKRubrica a cura di ScattoTorino 

Il fare come una volta, l’alimento sano, il gusto autentico, il rispetto dell’ambiente e degli animali: sono questi i punti chiave della Famiglia Turina, fratello e sorella che hanno ereditato dai genitori il rispetto per la natura e la passione per il proprio lavoro. Produttori dei formaggi Carlo del Clat e Montoso, conducono un caseificio artigianale con oltre 90 anni di storia. I figli hanno fondato FIT-MILK, una gamma di prodotti da latte genuini e digeribili che vengono consumati dagli sportivi e non solo. Contrari alla massimizzazione della produzione di latte che stressa le bovine e non assicura un’elevata qualità nutrizionale, Fabrizio Turina e sua sorella Valentina selezionano capi che pascolano nel verde della zona pedemontana e montana delle Valli Pellice e Infernotto, in Piemonte. Il risultato? Un latte da erba di colore giallo con un profilo nutrizionale e organolettico superiore allo standard che viene consigliato da DietaGIFT, il regime alimentare che si basa sulla stimolazione naturale del metabolismo e sul conteggio calorico. Operativi dal 2018, attualmente le aziende agricole che producono il latte FIT-MILK sono quattro, tutte situate poco distanti dal caseificio per garantire la massima freschezza del prodotto.

Cos’è FIT-MILK?

“L’azienda raggruppa un insieme di alimenti a base di latte che seguono le ricette di un tempo perché le nostre bovine si nutrono di erba o fieno e i formaggi sono prodotti a mano. Proprio perché pascolano il più possibile all’aria aperta e si alimentano in modo naturale, le mucche vivono 17-18 anni, quindi molto a lungo. Ognuna produce quotidianamente dai 5 ai 10 litri di latte: meno rispetto agli allevamenti intensivi in cui se ne estraggono dai 40 ai 60 litri giornalieri, ma gli studi dimostrano che il latte FIT-MILK è digeribile, ha effetti anti infiammatori e ha una migliore composizione di acidi grassi rispetto a quello di altre aziende del mercato piemontese o italiano”.

I nostri prodotti si possono acquistare online sul sito e da dicembre, salvo diverse segnalazioni dettate dal Covid-19, verrà inaugurato lo spaccio aziendale di via Bibiana 54 a Bagnolo Piemonte, in provincia di Cuneo.

Perché questo nome?

“Perché i nostri prodotti contribuiscono a migliorare la forma fisica e vengono utilizzati anche in ambito sportivo in quanto aiutano un recupero veloce dopo la fatica. La prova è data dal fatto che da tempo lavoriamo con un team di consulenza scientifica che include medici, preparatori e altri esperti e tra il 2018 e il 2019 abbiamo condotto uno studio ufficiale su 6 atleti nazionali, tra cui 2 olimpionici, che per 6 mesi hanno usato nella dieta prodotti FIT-MILK: formaggi, yogurt e latte. I risultati sono stati sorprendenti e tutti hanno realizzato la miglior prestazione della carriera, sono dimagriti e hanno aumentato la massa muscolare, hanno ridotto gli infortuni e hanno dichiarato di aver raggiunto uno stato di benessere”.

Come è nato FIT-MILK?

“Otto anni fa con il Caseificio Montoso avevo iniziato la produzione di yogurt e alcuni clienti mi segnalarono che erano più digeribili di quelli dei competitor. Abbiamo così condotto degli studi e abbiamo appurato che il nostro latte aveva una composizione del grasso diversa da quella di chi produceva con allevamenti intensivi; dal 2012 abbiamo lavorato per portare queste caratteristiche ai migliori livelli possibili”.

FIT-MILK bovineCosa rende diversi questi alimenti a base latte?

“Le referenze FIT-MILK sono ad alto contenuto di proteine, hanno un ridotto apporto di grassi saturi e infatti, rispetto ad un latte convenzionale, il nostro ha il 14% di grassi saturi in meno. Contiene però grassi positivi come gli omega-3, la cui percentuale è +170% media sull’anno, e l’acido linoleico coniugato. Il rapporto omega-3/omega-6 è pari a 1 per cui, ogni grammo di omega-3 c’è un grammo di omega-6, come consigliato dalla ricerca medica. Nel latte convenzionale il rapporto è 4 o 6 e non va bene perché dobbiamo limitare l’assunzione di omega-6. Il nostro latte da erba è più ricco in β-carotene e Vitamine A e E: ne contiene infatti fino al 100% in più rispetto a quello derivato da bovine nutrite a mais da foraggio e mangimi. Questi carotenoidi sono antiossidanti naturali utili per la salute e sono presenti nell’erba verde. Quando le bovine se ne cibano, li trasferiscono al latte conferendo ai nostri prodotti caseari da pascolo una tipica colorazione gialla”.

Le vostre referenze sono avvalorate dalla ricerca?

“Dal 2012 collaboriamo con il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino e con l’Associazione Regionale Allevatori Piemonte per offrire agli agricoltori un servizio di consulenza e di ricerca applicata, in termini soprattutto di produzione foraggera”.

FIT-MILK è approvato da DietaGIFT. Cosa significa?

“DietaGIFT è uno stile alimentare ideato dal Dottor Luca Speciani che fa capo ad un gruppo di medici dell’AMPAS, l’Associazione Medici per un’Alimentazione di Segnale. GIFT è un acronimo che significa Gradualità, Individualità, Flessibilità, Tono. Si tratta di un regime alimentare molto equilibrato che induce cambiamenti salutari negli assi ormonali più importanti come tiroide, surrene, apparato osteomuscolare, apparato genitale e sistema immunitario, favorendo un rapido ripristino degli squilibri esistenti attraverso il riequilibrio dei segnali che raggiungono l’ipotalamo, una parte importante del nostro cervello più antico. DietaGIFT è impiegata in ambito sportivo, ma non solo, e prevede il non utilizzo di zuccheri raffinati. Nei nostri prodotti non zuccheriamo o usiamo una quantità di miele tale che non causi picchi glicemici”.

Torino per lei è?

“A livello personale credo che sia la città più bella che conosco. Tutti dovrebbero scoprirla. Dal punto di vista lavorativo, per me rappresenta un’opportunità commerciale perché dista solo 50 km dalla nostra azienda”.

Un ricordo legato alla città?

“L’attività di FIT-MILK è molto legata al capoluogo piemontese. Collaboriamo infatti con il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari dell’Università degli Studi di Torino, con il CNR e con alcuni ospedali, per cui ho molti ricordi legati al mondo professionale”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

Il nuovo corso di cucina di beneficenza con La Cuoca Insolita

la cuoca insolita corso cucinaRubrica a cura de La Cuoca Insolita

Insieme a La Cuoca Insolita torniamo a parlare di Help Olly Onlus. La sua costituzione è dell’inizio di quest’anno e ha lo scopo di aiutare la piccola Olivia Aversa, che tutti chiamano Olly. È una bimba di tre anni, di Torino, affetta da una malattia genetica rara: la paraparesi spastica ascendente ad esordio infantile. Si contano solo 30 casi al mondo e si conosce ancora poco di questa malattia. La diagnosi è arrivata circa un anno fa e mamma e papà di Olivia, Sara e Simone Aversa, si sono attivati da subito per raccogliere fondi che possano finanziare la ricerca scientifica finalizzata ad una cura.

Hanno già intrapreso moltissime iniziative: una è sulla ricerca proteomica, coordinata dalla Dott.ssa Ozdinler della North Western University di Chicago. Un secondo importante progetto è con Telethon: esso coinvolge il Dipartimento di Ingegneria Biomedica del Politecnico di Torino (con il Prof. Marco Deriu) e il Dipartimento di Biotecnologie e Neuroscienze dell’Università di Torino (rispettivamente con la Prof.ssa Giulia Caron e il Prof. Maurizio Giustetto) che hanno formato un’equipe di lavoro multidisciplinare. Con Telethon sono già stati impegnati 50.000 €, ma questo è solo il primo step. Perché la ricerca è molto lunga e le fasi sperimentali sono molto costose: si stima che la spesa da sostenere per la famiglia Aversa sia di circa 100.000 € all’anno, per almeno sei anni.

La piccola Olivia intanto ha iniziato a frequentare con grande entusiasmo Scuola Materna Asilo Onorato Morelli ed è seguita dalla Fondazione Stella Maris di Pisa e dall’equipe medica dell’ASL 1 di Torino per l’attività di fisioterapia e logopedia.

Non c’è quindi tempo da perdere e in tanti si impegnano per dare un aiuto, anche piccolo. Perché anche un piccolo gesto, sommato agli altri, può fare la differenza. E così, con il desiderio di aiutare la famiglia, è stata promossa una nuova iniziativa di beneficenza da parte di Elsa Panini, La Cuoca Insolita . Anche lei di Torino, amica di gioventù di Simone Aversa, organizza un secondo corso di cucina online per Olly (“Neve e farina: per Olly in cucina!”), mercoledì 11 novembre dalle 18.30 alle 20.30.

Il primo corso è stato a giugno scorso e si intitolava “Con le mani in pasta per Olly”: in quella occasione hanno partecipato 35 persone e sono stati raccolti 750 €, donati totalmente alla Help Olly Onlus. Anche questa volta, chi si iscrive aiuterà Olly e sa con certezza dove andrà il denaro donato.

Ognuno da casa propria, preparerà in due ore, con il supporto continuo (collegamento tramite la piattaforma Zoom) de La Cuoca Insolita, due ricette, questa volta a tema natalizio: i Raviolacci colorati al salmone e gli Alberi di Natale al cioccolato. Con il solito approccio volto al pensiero di mangiare con gusto, ma in modo salutare (perché questa è la filosofia de La Cuoca Insolita), saranno due ricette della tradizione, ma con alcuni accorgimenti per renderle più leggere, più ricche di fibre e adatte anche a chi soffre di allergie. Così tutti saranno soddisfatti. Un’iniziativa dedicata quindi ad aiutare la piccola Olivia, ma anche un modo per regalare a sé stessi un poco di divertimento e di evasione (e di questi tempi ne abbiamo tutti tanto bisogno…) e per preparare la cena!

È possibile iscriversi al corso di cucina con una donazione di 15 €: basta cliccare su questo link. E… se proprio la cucina non interessa… si può aiutare Olivia anche andando direttamente sul sito della Help Olly Onlus e versare un contributo tramite bonifico bancario alla Banca Reale di Torino, IBAN IT24D0313801000000013289426, intestato ad Associazione Help Olly Onlus, C.F. 97855900011 o tramite Satispay (cercando Help olly onlus) o con carta di credito. Per conoscere di più su Olivia e su tutte le sue attività è possibile anche andare su Facebook ((@helpollyonlus) e Instagram (help_olly_onlus).

Protagoniste di Valore: Serena e Chiara Bonfanti di Fratelli Bonfanti

Protagoniste di Valore Logo

Protagoniste di Valore: rubrica a cura di ScattoTorino

Non semplici oggetti che completano il look, ma piccoli pezzi d’arte da indossare. Sono questi i bottoni firmati Fratelli Bonfanti. La loro storia ebbe inizio a Torino nel dopoguerra, quando Walter Bonfanti fondò una fabbrica dedicata alla loro produzione, coinvolgendo i fratelli e reclutando un’eccellente manodopera locale. A lui succedettero i figli Elio e Mario, grazie ai quali l’azienda divenne sinonimo di qualità superiore non solo in Italia, ma nel mondo. Da più di 70 anni questi importanti accessori dall’estetica esclusiva si trovano nei migliori negozi di mercerie, negozi di lane, negozi per sarti e hobbistica e hanno impreziosito capi di brand del calibro di Armani, Etro, Nina Ricci, Escada, Brooksfield.  Da San Francisco a New York, da Londra a Monaco di Baviera, da Parigi a Roma, da San Pietroburgo a Osaka, ad ogni latitudine i bottoni Bonfanti sono riconosciuti sono riconosciuti come un’eccellenza del made in Italy. Le due collezioni che ogni anno vengono realizzate includono fino a 200 nuovi modelli, ciascuno dei quali può essere declinato in funzione delle esigenze dei clienti senza trascurare la qualità, la selezione attenta dei materiali e il design. Chiara e Serena Bonfanti, figlie di Mario, costituiscono la terza generazione di questa famiglia che lavora con cura, etica e impegno nel rispetto della tradizione senza dimenticare di guardare al futuro. E a proposito di innovazione, su iniziativa del Direttore creativo Elio Bonfanti è stato ideato il laboratorio Button Clinic in cui la clientela – dagli atelier degli stilisti emergenti agli uffici stile delle Maison di moda nazionali e internazionali – può customizzare i propri bottoni. Tra le novità firmate dalle sorelle Bonfanti c’è anche la collaborazione con l’artista torinese Paolo Gillone, in arte Jins, che ha realizzato una capsule che si ispira e prende il nome dal titolo del libro dell’autore francese Louis Pergaud La guerra dei bottoni: si tratta di t-shirt sulle quali si possono applicare i bottoni.

Protagoniste di Valore ha intervistato le sorelle Bonfanti: Serena, che si occupa della gestione dei clienti esteri e siede inoltre nel consiglio di Apid, e Chiara che ha rapporti con i fornitori e con il cliente finale per quanto concerne gli ordini e le spedizioni ed è consigliera in API di Uniontessile. Due donne intelligenti, lungimiranti, solari e dalla forte personalità che, insieme, scrivono una nuova pagina di storia nel mondo dei bottoni.

Dal 1945 ad oggi, com’è cambiata l’azienda nel tempo?

Chiara Bonfanti: “Per stare al passo con i tempi abbiamo dovuto cambiare anche noi. Da quando è stata fondata dal nonno, e poi con mio zio e mio padre, l’impresa ha vissuto un cambio epocale ed è passata da una realtà di vendita piemontese e italiana ad una struttura internazionale che non dimentica la propria matrice e punta sul made in Italy, nostro punto di forza all’estero. Negli anni l’internazionalizzazione si è consolidata sempre più e ancora oggi il 70% del nostro fatturato è realizzato con l’estero. Questo perché in tante culture il bottone non è solo un oggetto di utilizzo nel vestiario, ma è anche craft e hobbistica. Serena ed io abbiamo apportato delle novità in azienda legate al rapporto con il cliente finale, che oggi forzatamente deve essere diretto e veloce. Ad esempio, abbiamo puntato sui social network e attraverso le nostre pagine Instagram e Facebook presentiamo le collezioni e le ultime novità in modo che la clientela possa vederle e contattarci in tempi brevi”.

In un settore tradizionale come quello in cui operate, come una politica improntata alla sostenibilità vi permetterà di affrontare le sfide del futuro?

Serena Bonfanti: “Nelle nostre collezioni abbiamo sempre avuto materiali naturali come la madreperla, il corno, il cocco, il corozo e il legno. Tutti di ottima qualità e durevoli nel tempo. Il nuovo trend è inserire bottoni riciclati o di origine ecologica e ne stiamo realizzando in canapa, in polvere di corozo, ma anche in carta riciclata mescolata con poliestere. Produrre con un’attenzione spiccata all’ecologia fa parte del cambiamento ed è un nuovo modo di vedere la moda. Molti stilisti stanno puntando su materie che rispettino l’ambiente e anche noi stiamo dando un’impronta più marcata in tal senso”.

Quali pratiche attuate nel rispetto dell’ambiente nel processo produttivo?

Chiara Bonfanti: “Fratelli Bonfanti è nata e cresciuta in Barriera di Milano e fino a 20 anni fa producevamo tutto qui. Successivamente, per motivi legati al nostro modello di business e per avere un’ampia collezione da offrire ai clienti, abbiamo spostato la produzione nella bergamasca. A Torino risiede il polo logistico e centralizziamo la fase finale del lavoro. Siamo legati al quartiere che ci ha visto nascere e che in questi anni è cambiato molto e siamo certi che ci saranno ulteriori positivi cambiamenti, come l’incremento della raccolta differenziata a cui noi già partecipiamo ad esempio con il recupero della carta. Per noi è fondamentale essere attenti all’ambiente e alle persone in ogni fase del processo produttivo. Per questo dedichiamo una parte della collezione ai bottoni realizzati con materiali riciclati. Attualmente stiamo studiando anche come sostituire o affiancare il nostro storico packaging in plastica con sacchettini di carta nell’ottica di avere un sempre minore impatto ambientale”.

Fratelli BonfantiLa vostra impresa ha legami con il mondo accademico. Un valore aggiunto?

Serena Bonfanti: “Mia sorella ed io crediamo nell’importanza di aprire le porte al mondo universitario perché per noi questo tipo di scambio è fondamentale. La nostra azienda ha un respiro internazionale, ma noi siamo concentrate a lavorare con impegno e spesso abbiamo la sensazione di perderci le novità o i nuovi spunti. Ecco che allora il mondo accademico per noi rappresenta anche questo. Grazie a progetti realizzati tramite APID di Alternanza Scuola Lavoro abbiamo accolto e lavorato con studenti che si sono occupati di tecnologia, grafica, ricerca e sviluppo di mercati esteri. In questo modo loro hanno portato avanti concretamente un progetto e noi abbiamo potuto conoscere meglio gli strumenti del futuro. Con l’Istituto Tecnico Majorana di Grugliasco nel 2019 abbiamo partecipato ad un progetto della Camera di Commercio di Torino e con il nostro bottone intelligente siamo arrivati terzi. L’ultima esperienza l’abbiamo avuta con lo IAAD: una studentessa la scorsa estate si è laureata portando come tesi la nascita e la crescita della nostra azienda e l’evoluzione dei bottoni nella storia della moda. È stato un piacere ed un onore seguirla”.

Donna per voi significa?

Chiara Bonfanti: “Nel nostro caso vuol dire essere madri, compagne, imprenditrici e cercare di trovare il tempo per noi stesse. Personalmente ritengo che sia una sfida giornaliera enorme perché provo ad affrontare al meglio tutto ciò che devo fare quotidianamente. Secondo me, però, è un valore aggiunto perché noi donne abbiamo sensibilità, visioni e forze non banali. È un plus che dobbiamo conquistare giornalmente e tenere stretto con unghie, denti e sorriso. È una dura lotta, ma bella. Se dovessi rinascere vorrei essere di nuovo donna”.

Serena Bonfanti: “Per me significa essere madre in tanti modi: verso mio figlio e verso tutti. Noi donne ci prendiamo cura di un progetto e ci mettiamo in gioco a costo di togliere tempo ad altro. È un approccio agli obiettivi molto femminile. Io faccio parte del consiglio direttivo di Apid e questa caratteristica la riscontro in tutte le consigliere con cui ho il piacere di lavorare. Per me significa anche essere sorella e con Chiara ci diamo forza e, nella nostra diversità, siamo l’esempio che essere donne non vuol dire essere nemiche. Nella nostra azienda, tranne papà e zio, siamo tutte donne e collaboriamo senza tensioni o problemi. Abbiamo invece circa 50 rappresentanti nel mondo e quasi tutti sono uomini, questo perché hanno più possibilità di viaggiare e di gestire il loro tempo lontano dalla famiglia. In Piemonte però inizieremo a breve una nuova collaborazione con una rappresentante e siamo molto contente di questa new entry”.

IL FOCUS DI PROGESIA

Il Sistema di Valori della Fabbrica di Bottoni Fratelli Bonfanti comprende:

  • Sviluppo sostenibile;
  • Progetti di economia circolare;
  • Azienda human centric.

L’importanza della cura del cliente

Per Chiara e Serena Bonfanti è fondamentale “mantenere sempre un rapporto diretto e umano” con tutti i clienti, sia in Italia che all’estero. Per questo motivo in azienda viene curato con particolare attenzione tutto il processo d’acquisto, dal primo contatto con l’agente fino all’arrivo della merce in negozio, offrendo sempre la migliore soluzione a ogni esigenza del cliente. Afferma Chiara: “facciamo di tutto per far vivere ai nostri clienti un’esperienza d’acquisto autentica e affascinante, e ci impegniamo ad essere presenti su più canali, da quelli tradizionali ai social”.

Nonostante la pandemia abbia messo in difficoltà il mercato, la Fratelli Bonfanti ha deciso di reagire accelerando la realizzazione di progetti innovativi, su cui stava già lavorando, finalizzati a migliorare l’esperienza del cliente, accorciando le distanze e valorizzando la cultura del bottone. “Abbiamo studiato insieme ai nostri clienti la user experience più idonea a far sfogliare i nostri cataloghi online, come se li avessero tra le mani” racconta Serena “abbiamo rilevato i loro bisogni e i loro suggerimenti, costruendo online dei cataloghi tradizionali in modo non tradizionale”.

La stessa cura è stata adottata per lo studio di un espositore ideato per valorizzare i bottoni di materiale naturale e di materiale riciclato, che viene fornito ai clienti associato a una formazione specifica. Un vero e proprio servizio di supporto alla vendita e di cultura della sostenibilità ambientale.

Tradizione e innovazione

“Quando i giovani entrano nella nostra realtà hanno sempre una reazione di stupore, meraviglia e curiosità. Restano affascinati dalla storia dell’azienda e del bottone, una vera e propria scoperta di un mondo sconosciuto” racconta Chiara Bonfanti, riferendosi agli studenti che entrano in contatto con l’azienda attraverso i progetti di Alternanza Scuola e Lavoro.

Insieme agli studenti sono stati portati avanti molti progetti, tra cui la realizzazione dell’attuale sito aziendale e di diversi flyer. Secondo Serena Bonfanti il tempo dedicato ai giovani è prezioso: “è uno scambio di esperienze: noi raccontiamo la nostra tradizione e loro ci raccontano come la tradizione sta cambiando e si evolve”. Per Chiara e Serena il lavoro con i giovani è una risorsa importante, perché permette di valorizzare le radici e la storia dell’azienda, e allo stesso tempo di stare al passo con il cambiamento, grazie alle idee e alle proposte innovative delle nuove generazioni.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino