ilTorinese

Covid, mercoledì 25 agosto: la situazione in Piemonte

COVID PIEMONTE: IL BOLLETTINO DELLE ORE 16

LA SITUAZIONE DEI CONTAGI

Oggi l’Unità di Crisi della Regione Piemonte ha comunicato 262 nuovi casi di persone risultate positive al Covid-19 (di cui 18 dopo test antigenico), pari all’1,9% di 14.013 tamponi eseguiti, di cui 9.157 antigenici. Dei 262 nuovi casi, gli asintomatici sono 83 ( 4%).

I casi sono così ripartiti: 39 screening, 143 contatti di caso, 80 con indagine in corso; 6 Rsa/Strutture Socio-Assistenziali.

Il totale dei casi positivi diventa quindi 375.190 così suddivisi su base provinciale: 30.583 Alessandria, 17.726 Asti, 11.810 Biella, 54.006 Cuneo, 29.227 Novara, 200.220 Torino, 14.029 Vercelli, 13.406 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 1.547 residenti fuori regione, ma in carico alle strutture sanitarie piemontesi. I restanti 2.636 sono in fase di elaborazione e attribuzione territoriale.

I ricoverati in terapia intensiva sono 11 (+2 rispetto a ieri).

I ricoverati non in terapia intensiva sono 137 (-5 rispetto a ieri).

Le persone in isolamento domiciliare sono 3311.

I tamponi diagnostici finora processati sono 6.312.746 (+ 14.013 rispetto a ieri), di cui 1.991.498 risultati negativi.

I DECESSI RIMANGONO 11.711

Nessun decesso di persona positiva al test del Covid-19 è stato comunicato dall’Unità di Crisi della Regione Piemonte.

Il totale è quindi 11.711 deceduti risultati positivi al virus, così suddivisi per provincia: 1.567 Alessandria, 713 Asti, 433 Biella, 1.454 Cuneo, 945 Novara, 5.597 Torino, 528 Vercelli, 374 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 100 residenti fuori regione ma deceduti in Piemonte.

360.020 GUARITI

I pazienti guariti sono complessivamente 360.020(+312 rispetto a ieri), così suddivisi su base provinciale: 28.708 Alessandria, 16.929 Asti, 11.226 Biella, 52.157 Cuneo, 28.028 Novara, 192.805 Torino, 13.367 Vercelli, 12.901 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 1.452 extraregione e 2.447 in fase di definizione.

Pinerolo: Caffaratto (Lega), da 5Stelle ennesima proposta insensata. No a fusione comuni

“Dal sindaco pentastellato arriva l’ennesima proposta insensata: favorire politiche finalizzate alla fusione dei comuni. Qualcuno, evidentemente, si diverte a giocare con le carte geografiche facendo credere che lo fa per una migliore gestione territoriale, fregandosene del fatto che questo andrebbe a cancellare una parte della nostra identità, della nostra storia, delle nostre tradizioni. D’accordo con la necessità che Pinerolo debba avere un ruolo centrale e che debba diventare seriamente capofila nel territorio, giustissimo anche fare squadra con i comuni contermini ma sarebbe assolutamente sbagliato fondere realtà diverse tra loro, borghi con priorità ed esigenze differenti. E non lo sostengo solo io ma anche diversi sindaci e amministratori pinerolesi, oltre al candidato sindaco Giuseppino Berti che, a differenza di Luca Salvai, sa benissimo che ogni territorio ha le proprie specificità. Chi porta avanti questi ragionamenti evidentemente non ama il proprio comune, il proprio territorio, le proprie tradizioni, le bellezze uniche che ogni comune riesce a produrre e conservare, diverse comune per comune. Sicuro di condividere il pensiero e la linea dei 24 candidati consiglieri: questo assurdo progetto va fermato. La storia ci insegna che i grandi comuni la faranno da padrone e i piccoli comuni verranno dimenticati”.

Così il deputato Gualtiero Caffaratto, commissario della Lega Pinerolese.

Fuga di gas, crolla palazzina alla periferia di Torino. Morto bimbo di quattro anni

Questa mattina è crollata una palazzina di due piani a Torino, sono quattro  gli estratti  vivi, tra i quali la mamma del bambino 

La vittima è un bimbo di 4 anni

La tragedia è avvenuta prima delle 9 quando è crollato un edificio  di due piani in strada Bramafame 42, nella periferia della città.

Si è udita una forte esplosione, si è trattato di una fuga di gas da una bombola.

Notizia in aggiornamento

 

Il bollettino Covid di martedì 24 agosto

COVID PIEMONTE: IL BOLLETTINO DELLE ORE 16,30

LA SITUAZIONE DEI CONTAGI

Oggi l’Unità di Crisi della Regione Piemonte ha comunicato 240 nuovi casi di persone risultate positive al Covid-19 (di cui 31 dopo test antigenico), pari all’1,4% di 17.244 tamponi eseguiti, di cui 11.286 antigenici. Dei 240 nuovi casi, gli asintomatici sono 119 ( 49,6%).

I casi sono così ripartiti: 55 screening, 140 contatti di caso, 45 con indagine in corso; 10 Rsa/Strutture Socio-Assistenziali; casi importati : 6 ( di cui 4 dall’estero, 2 da altre regioni italiane)

Il totale dei casi positivi diventa quindi 374.928 così suddivisi su base provinciale: 30.568 Alessandria, 17.726 Asti, 11.804 Biella, 53.947 Cuneo, 29.201 Novara, 200085 Torino, 14.019 Vercelli, 13.399 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 1.546 residenti fuori regione, ma in carico alle strutture sanitarie piemontesi. I restanti 2.633 sono in fase di elaborazione e attribuzione territoriale.

I ricoverati in terapia intensiva sono 9 (- rispetto aieri).

I ricoverati non in terapia intensiva sono 142 (- rispetto a ieri).

Le persone in isolamento domiciliare sono 3.358.

I tamponi diagnostici finora processati sono 6.298.733(+ 17.244 rispetto a ieri), di cui 1.987.710 risultati negativi.

I DECESSI RIMANGONO 11.711

Nessun decesso di persona positiva al test del Covid-19 è stato comunicato dall’Unità di Crisi della Regione Piemonte.

Il totale è quindi 11.711 deceduti risultati positivi al virus, così suddivisi per provincia: 1.567 Alessandria, 713 Asti, 433 Biella, 1.454 Cuneo, 945 Novara, 5.597 Torino, 528 Vercelli, 374 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 100 residenti fuori regione ma deceduti in Piemonte.

359.708 GUARITI

I pazienti guariti sono complessivamente 359.708(313 rispetto a ieri), così suddivisi su base provinciale: 28.659 Alessandria, 16.927 Asti, 11.207 Biella, 52.135 Cuneo, 27.995 Novara, 192.635 Torino, 13.358 Vercelli, 12.894 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 1.451 extraregione e 2.447 in fase di definizione.

Le donne dell’Età dei lumi, libere e ignorate

LIBRI / Massimo Novelli “Donne  libere” Interlinea  18 euro

Di Pier Franco Quaglieni

Massimo Novelli è uno dei  migliori giornalisti  torinesi  della sua generazione, figlio dell’ indimenticabile Piero, grande firma della “Gazzetta del Popolo“.  E ‘ stato firma autorevole di ”Repubblica“ ed oggi scrive sul “Mattino“. La sua città, come sempre capita ai grandi torinesi, non gli è stata finora sufficientemente grata. I maggiori riconoscimenti li ha avuti come scrittore non sotto la Mole, ma in tutta Italia. Novelli è un rarissimo esempio di giornalista con una vasta ed approfondita cultura storica. Di norma i giornalisti che scrivono di storia sono leggibili (pensiamo a Montanelli), ma poco approfonditi ed a volte poco attendibili. Cosa opposta si può dire per gli storici che seguono criteri metodologici più o meno rigorosi, ma sono riescono a raggiungere il vasto pubblico con il loro periodare trascurato ed a volte persino contorto (pensiamo a De Felice). Novelli riesce ad essere leggibile, pur affrontando i temi con rigore storico che lo rende un giornalista anomalo. In questo nuovo libro, l’ultimo di una lunga e fortunata serie, affronta un tema di particolare interesse: le donne dell’Eta’ dei lumi: amanti, patriote, eroine e pensatrici settecentesche  in molti casi quasi del tutto sconosciute. L’autore ha sicuramente fatto un lungo e disagevole lavoro di ricerca per consentire ai lettori di conoscere un mondo femminile che fa parte dell’Illuminismo anche se non ha mai contato abbastanza . La Rivoluzione Francese che fu la fase che affermò i principi dell’Illuminismo e li tradì quando scelse il giacobinismo, non fu abbastanza attenta alla parità tra i due sessi perché i suoi protagonisti furono quasi interamente ed esclusivamente uomini. Il cammino della parità non è neppure concluso oggi a distanza di secoli. Le figure femminili che Novelli indaga sono state ignorate da una storia scritta al maschile. Anche un maestro come Franco Venturi che ha scritto pagine conclusive sul ”Settecento riformatore“ e sui diversi Illuminismo, malgrado la militanza politica della giovinezza in G.L., ha rivolto la sua attenzione ai Verri, ai Beccaria, al Passerano amato da Gobetti  e a tanti altri personaggi maschili. Un illuminista sui generis, uomo controcorrente anche lui molto amato da Gobetti, il Baretti manifestò una incomprensione astiosa verso il mondo femminile, malgrado le aperture internazionali della sua vita e della sua cultura. Novelli sembra rispondere a Baretti dimostrando che l’universo femminile settecentesco che passa dai cicisbei e dalle parrucche incipriate alle ghigliottine e alle trichoteuses, è ricco di personalità diverse in tutta Europa che attraversano le classi  sociali, rivelandosi protagoniste capaci di battersi per le loro idee. Novelli  scrive di un  amore del principe Eugenio di Savoia, di una margravia di Brandeburgo, dell’amica di Lord Byron, delle ballerine di Casanova, ma scrive anche di donne che non vivono di luce riflessa. La stessa  moglie del Conte Passerano è un esempio di donna con una sua precisa e forte personalità. Ci sono donne di umili origini, cortigiane, persino soldatesse. Se l’Illuminismo fu una sfida ai pregiudizi, questa sfida andrebbe declinata soprattutto al femminile. E’ un libro obbligatoriamente da leggere da parte di chi chi ritiene il Secolo dei Lumi la grande stagione del rinnovamento  civile e kantianamente  lo sente come l’uscita dallo stato di minorità.  Quello di Novelli è un libro che avrebbe dovuto scrivere Venturi o anche solo Ricuperati. Ma succede che gli storici trascurino elementi importanti e siano i giornalisti a colmare le lacune. Non voglio far arrabbiare l’autore, ma mi sia consentito di ricordare cosa scrisse il giornalista  Pansa su temi ignorati dagli storici. Tra Pansa e Novelli c’è però una grande differenza : il primo non andò mai oltre il giornalismo , mentre Novelli si rivela corazzato di una cultura storica che gli consente di scrivere libri di significativo ed originale spessore storico.

Pane e talebani

IL PUNTASPILLI di Luca Martina

 

Da alcune settimane le notizie provenienti dall’Asia centrale sono il pane quotidiano di tutti gli analisti, anche di quelli che si concentrano sulle sue ripercussioni economiche.

 

Dopo la presa del potere da parte dei talebani la Cina si è detta subito disponibile a intraprendere con loro relazioni “cooperative ed amichevoli” e l’agenzia di comunicazione ufficiale di Pechino ha sottolineato come ora l’ Afghanistan potrà finalmente beneficiare degli investimenti previsti dalla “Nuova via della seta”, la “Belt and Road Initiative (BRI)”.

 

Si tratta dell’ imponente progetto che viene descritto per esteso nel sito governativo cinese come “Silk Road Economic Belt and the 21st-Century Maritime Silk Road”.

 

​La “cintura (belt)” è costituita dalla rete di collegamenti via terra tra la Cina e l’Europa mentre la “strada (Road)” circumnaviga le terre emerse, dal Mare Cinese meridionale al Mediterraneo.

 

Alcuni analisti lo ritengono un tentativo di esportare la globalizzazione in stile cinese assumendo il controllo economico di regioni sempre più ampie.

E’ curioso come ad innescare questa iniziativa siano stati proprio i loro attuali maggiori critici, gli Stati Uniti, quando nel 2011 l’allora segretario di Stato Hillary Clinton propose la creazione di una Nuova Via della Seta con al centro proprio l’Afghanistan.

 

Pungolata (e irritata) da una intrusione in quella che percepiva la propria area di influenza, la leadership cinese decise proprio allora di unire i singoli progetti intrapresi in giro per il mondo in una strategia ad ampio respiro.

 

Due anni dopo, nel 2013, il presidente Xi Jinping, annunciava ufficialmente la BRI, un gigantesco progetto di rafforzamento dei collegamenti e delle comunicazioni che andava ben oltre la regione euroasiatica, estendendosi sino al continente africano (al centro da tempo degli interessi del Celeste impero, sempre alla ricerca di fonti di approvvigionamento di materie prime per le proprie industrie).

 

L’obiettivo dichiarato, dettato da una visione globale del mondo che consentirà, a progetto completato, di dotare delle infrastrutture fondamentali (strade, oleodotti, ferrovie, ponti…) i Paesi in via di sviluppo, sarebbe quello di consentire una riduzione della povertà e delle disuguaglianze.

 

Inoltre saranno ridotti i costi ed i tempi richiesti al trasporto e questo si tradurrà in una maggiore crescita economica.

 

Pur se non esplicitamente menzionati innumerevoli sono i vantaggi per la stessa Cina che sarà così in grado di beneficiare, con le proprie aziende, di grandi commesse (finanziate in buona parte dai Paesi coinvolti) per i progetti da realizzare, potrà aprire nuovi mercati per la proprie aziende (sempre alla ricerca di nuovi mercati di sbocco che ne riducano la dipendenza da quello americano) ed avrà accesso all’esplorazione di vasti bacini di risorse naturali (delle quali è il principale consumatore mondiale).

 

Proprio questo ultimo aspetto risulta un evidente corollario del passaggio del testimone a Kabul.

Negli ultimi vent’anni le ricche miniere afghane hanno prodotto per il governo locale ingenti perdite (qualche centinaia di milioni di dollari ogni anno) e la precaria sicurezza (atti di violenza e intimidazione hanno impedito la messa in produzione della maggior parte delle miniere) ha scoraggiato gli investitori internazionali (con l’eccezione della Cina).

 

Il mese scorso il co-fondatore (con il mullah Mohammed Omar, morto di tubercolosi nel 2013) del ricostituito Emirato islamico dell’Afghanistan e Presidente de facto di quest’ultimo, Abdul Ghani Baradar, ha incontrato il ministro degli esteri cinesi Wang Yi.

 

Uno dei temi del vertice sino-talebano è stato sicuramente la “normalizzazione” della situazione afghana e la messa in sicurezza delle attività minerarie (la cinese Metallurgical Corporation of China, MCC, è il principale operatore del settore nel Paese) oltreché la garanzia di non intervenire in aiuto della minoranza islamica uigura in Cina.

 

Si preannuncia per i Paesi occidentali una sempre più sgradita dipendenza nelle preziose “terre rare”, indispensabili per la produzione di prodotti ad alta tecnologia (dai superconduttori ai motori per veicoli elettrici), dalla Cina (principale produttore) e dai suoi alleati.

 

A volere riscuotere il dividendo talebano c’è poi, oltre alla “solita” Russia (storicamente molto attiva nella regione) anche il Pakistan (Paese che, pur ricevendo enormi quantità di denaro dagli Stati Uniti, si è dimostrato assai poco affidabile nel contenere il terrorismo internazionale), nelle cui “madrase” hanno studiato molti dei nuovi governanti afghani, che già nel 1996 aveva fornito il suo supporto al governo degli “studenti” e questo potrebbe tradursi in accresciute tensioni con l’odiato vicino: l’India.

 

Dal punto di vista economico le conseguenze immediate di tutto ciò sono limitate ma l’ombra degli eventi di questi giorni si allungherà sicuramente nei prossimi anni ed è opportuno valutarle sin da ora per poterne prevenire gli effetti.

 

Nei giorni e mesi che verranno il principale rischio è quello umanitario e occorrerà che tutti i Paesi si attivino affinchè non si ripetano i fenomeni che hanno portato in passato allo sterminio e alla sottomissione di tutti coloro che si opponevano al regime.

 

L’Afghanistan ha una vasta superficie, pari a quella dell’Italia e della Germania, per lo più montuosa e desertica, insieme ed una popolazione (circa 38 milioni) di poco superiore ad un quarto alla nostra sommata a quella tedesca.

La capitale Kabul ha calamitato negli ultimi anni una fetta crescente di afghani sino agli attuali 5 milioni, che sono anche quelli più “occidentalizzati” e proprio perciò a rischio più elevato di subire persecuzioni e ritorsioni.

 

Solo uno stretto controllo della situazione da parte del mondo civilizzato, in questo momento alla finestra, potrà mantenere alta l’attenzione ed evitare le conseguenze più estreme.

 

Fondamentale sarà la pressione nei confronti della Cina: essendo l’unico Paese ad avere le carte in grado di influenzare l’esito della partita dovremo scongiurare il rischio che decida di tenerle in mano, giocandole solo quando lo riterrà ed a proprio unico vantaggio.

 

Non sarà certo un compito facile perché, come amava dire il segretario di Stato americano Henry Kissinger:  “I Cinesi, avendo fatto a meno di noi per 5.000 anni, pensano di potere continuare a farne a meno.”

 

Ritornano i workshop della Pinacoteca Albertina con il PAV Parco Arte Vivente

PAESAGGIO A TRATTI DI MATITA

Ritornano gli appuntamenti con i workshop organizzati dalla Pinacoteca Albertina in collaborazione con il PAV Parco Arte Vivente.

 

Il Parco Arte Vivente è un Centro sperimentale d’arte contemporanea, concepito dall’artista Piero Gilardi e diretto da Enrico Bonanate. Il PAV comprende un sito espositivo all’aria aperta e un museo interattivo inteso quale luogo d’incontro e di esperienze di laboratorio rivolte al dialogo tra arte e natura, biotecnologie ed ecologia, tra pubblico e artisti.

I partecipanti ai laboratori avranno la possibilità di sperimentare il disegno in tutte le sue forme più gestuali (grafite, carboncino, sanguigna, inchiostro, su piccoli e medi formati) e la pittura ad acquerello.

 

Sabato 28 agosto

Disegno a inchiostro, matita e acquerello

 

Materiali (a cura dei partecipanti):

matita HB, penne grafiche (esempio penne fineliner) con punta di diversa grandezza mm 04, 05, 06, acquerelli godet, tavolozza, fazzoletti, carta acquerello 300 grammi liscia, pennelli per acquerello n. 12 o n. 14, bicchiere per acqua, scotch di carta, supporto rigido su cui disegnare (esempio cartone, masonite formato A4/A3).
Sgabello per sedersi ed eventuale cavalletto pieghevole.

Domenica 5 settembre

Disegno a carboncino fusaggine, sanguigna in stick

Materiali (a cura dei partecipanti):

matita HB, 2B, 4B, gomma pane, carboncino matita, carboncino fusaggine, sanguigna stick, fogli spolvero 50×70 cm (da tagliare all’occorrenza), fissativo, supporto rigido su cui disegnare (esempio cartone, masonite formato A4/A3).
Sgabello per sedersi ed eventuale cavalletto pieghevole.

COSTO: 10 euro + biglietto di ingresso al PAV (2 euro, gratuito con l’Abbonamento Musei)

 

ORARIO: dalle 15 alle 18

 

DOVE: PAV Parco Arte Vivente, via Giordano Bruno 31, Torino

Prenotazione obbligatoria.

Ciascun partecipante userà esclusivamente il proprio materiale personale.

Le nostre proposte si rivolgono a tutti, anche ai principianti assoluti.

In applicazione del DL 23 luglio 2021, n. 105, articolo 3, all’ingresso saranno richiesti il GREEN PASS COVID-19 (in formato digitale o cartaceo) e un documento di riconoscimento.

 

 

Per informazioni e prenotazioni:

PINACOTECA ALBERTINA

pinacoteca.albertina@coopculture.it

tel. 0110897370 (tutti i giorni dalle 10 alle 18, escluso il mercoledì)

Gestione dei cinghiali: in definizione le linee guida regionali

Dopo mesi di accurato lavoro e confronti sul tema della gestione degli ungulati che hanno coinvolto anche le Province e le Prefetture dell’intero territorio regionale, l’Assessore all’Agricoltura, Cibo, Caccia e Pesca della Regione Piemonte, accompagnato dal Presidente della Commissione Agricoltura, Caccia e Pesca del Consiglio regionale e dai funzionari dell’assessorato, nei prossimi giorni si recherà a Roma presso la sede dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), al fine di definire le linee guida atte a contrastare l’emergenza ungulati che ha messo particolarmente sotto scacco nell’ultimo anno Covid l’intero Piemonte.

L’Assessore evidenzia che il documento sarà una risposta concreta all’impegno preso in Consiglio Regionale su due ordini del giorno di maggioranza e dell’opposizione e lo sarà nei confronti dei Sindaci e soprattutto degli agricoltori della nostra regione, sperando in una totale condivisione con l’ISPRA e mettendo come priorità lo stato emergenziale in cui ci troviamo.

L’Assessore aggiunge che quanto proposto ed elaborato faciliterà la gestione dei cinghiali ed uniformerà sul territorio regionale il modo di affrontare la calamità che sta colpendo duramente il settore agricolo e la sicurezza stradale.

Il testo successivamente sarà trasmesso alle associazioni venatorie e agricole prima della definitiva approvazione della Giunta Regionale.

 “Gli infermieri,  ridotti all’osso, non possono fare  i controllori del green pass”

“Con la disposizione che impone il controllo del Green Pass e contestualmente del documento di identità, oltre alla rilevazione della temperatura e alla raccolta dei fogli dell’indagine clinico anamnestica, per accedere alle strutture sanitarie e agli ospedali, in molte aziende sanitarie Piemontesi è stato demandato il controllo di tali documenti al personale infermieristico”, afferma il sindacato Nursing Up.

 Accade ad esempio all’Asl di Asti e all’Asl di Alessandria dove tale incombenza rischia di generare un sovraccarico ingestibile su personale già ridotto all’osso, diminuito anche per i turni ferie in atto, che sicuramente sottrae tempo all’assistenza dei pazienti e alle normali incombenze del reparto.

Il Nursing Up, sindacato degli infermieri e delle professioni sanitarie, chiede che venga immediatamente messa in atto una strategia diversa, organizzando in modo alternativo tali controlli, liberando di conseguenza gli infermieri in modo che essi possano tornare a dare seguito in modo continuativo alle necessità di cura e assistenza dei pazienti per le quali sono qualificati.

Il Segretario regionale del Nursing Up Piemonte, Claudio Delli Carri assieme al Segretario provinciale del Nursing Up di Alessandria e Segretario Aziendale di Asti, Enrico Mirisola, sottolineano: “Bisogna essere chiari fin da subito: non si tratta di una questione di ruolo o di mansioni e nemmeno una critica al Green Pass. I colleghi continuano e continueranno a operare per quanto loro possibile, con il massimo impegno per garantire livelli di cura eccellenti nelle strutture e un accesso sicuro di coloro che entrano negli ospedali. Ma, semplicemente, viste le enormi carenze di personale che colpiscono le aziende sanitarie piemontesi, e visti i carchi di lavoro su turni sempre più massacranti per le incombenze legate alle necessità di assistenza e cura dei pazienti, che già normalmente vengono affrontati da personale enormemente risicato nei numeri, ci piacerebbe sapere in che modo gli infermieri e i professionisti della sanità possano trovare il tempo di fare anche i controllori. Attendiamo fiduciosi che presto questa situazione venga risolta con la programmazione di alternative che non facciano ricadere anche l’onere dei controlli del green pass con le relative incombenze burocratiche, sugli infermieri e i professionisti della sanità”.

Il Grifo e il Leone, Genova e Venezia in guerra nel Mediterraneo

Fu l’abile mediazione di Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde, a far tacere le armi tra Genova e Venezia. La pace, che concluse la guerra di Chioggia, fu siglata a Torino l’8 agosto 1381. A fare il padrone di casa nell’attuale Palazzo Madama fu proprio il Conte Verde che ricevette le numerose delegazioni per la firma del trattato di pace che poneva fine a quattro anni di ostilità tra le due città, super potenze navali e commerciali del Mediterraneo, rivali da almeno due secoli.

Entrambe uscirono sfinite dalla guerra di Chioggia che fu uno dei numerosi conflitti che scoppiarono tra le due Repubbliche marinare. Alla lunga lotta tra Genova e Venezia per l’egemonia nel Mediterraneo orientale è dedicato il libro “Il Grifo e il Leone” di Antonio Musarra, editori Laterza.
Passano le epoche, trascorrono i secoli ma le caratteristiche geopolitiche di quell’angolo di mare non mutano. Anche oggi il Mediterraneo è un luogo di incontri, di scambi culturali e commerciali ma anche di violenti scontri tra potenze rivali. Accadeva nel pieno Medioevo tra Genova e Venezia che per controllare le rotte marine nel Mediterraneo orientale si sono combattute per due secoli e accade oggi tra turchi e greci, con le cannoniere del sultano di Ankara schierate contro le navi ateniesi in una sfida senza respiro per assicurarsi le ricchezze energetiche sottomarine. Una contesa che infiamma l’intero Mediterraneo dell’est coinvolgendo anche Cipro, Israele, il Libano e l’Egitto. Sette-otto secoli fa il commercio era fiorente tra un porto e l’altro dove attraccavano galee e imbarcazioni cariche di merci e prodotti ma poi improvvisamente il Mediterraneo si incendiava e gli scambi lasciavano il posto alla guerra. Genova e Venezia furono protagoniste di una lotta furiosa e feroce per assicurarsi il controllo delle vie marittime. Per imporre la propria egemonia sulle principali rotte commerciali “Genova e Venezia, scrive l’autore, ricorrevano a ogni mezzo, lecito o illecito, pur di sopravanzare l’avversario e dimostrare al mondo la propria superiorità”. Un po’ come oggi la lotta nelle stesse acque tra turchi, greci e ciprioti per controllare gas e petrolio nascosti nei fondali del Mediterraneo orientale affollando quel tratto di mare con navi da esplorazione e da guerra. A convincere veneziani e genovesi a deporre le armi fu, come detto, la mediazione del Conte Verde. Il conflitto nell’Adriatico tra Genova e Venezia, che con “la pace di Torino” si chiuse definitivamente, sancì l’inizio della fine dell’influenza genovese sul Mediterraneo orientale lasciando alla Serenissima il dominio delle rotte commerciali marittime. Fin dalla fine dell’XI secolo le due potenze moltiplicarono i propri insediamenti guardando in modo particolare all’Egitto e alla costa siro-palestinese. La conquista di Costantinopoli nel 1204 ad opera dei crociati veneziani sconvolse il contesto politico e mise Genova e Venezia una contro l’altra. Il primo scontro armato fu la “guerra di San Saba”, combattuta tra la Repubblica di Venezia e la Repubblica di Genova nella seconda metà del XIII secolo per il controllo del commercio nel Vicino Oriente. Scoppiò per il possesso del monastero di San Saba nella città di Acri (oggi l’israeliana Akko) diventato il nuovo centro politico e religioso della regione dopo la caduta di Gerusalemme nel 1187. Si concluse con la sconfitta e l’espulsione dei genovesi da Acri e “da questo momento, annota Musarra, il Grifo e il Leone esprimeranno un’accesa rivalità, scandita da innumerevoli battaglie navali che si protrarrà per oltre un secolo e mezzo”. All’interno della lunga guerra di San Saba, il 14 agosto 1264, si svolse la battaglia di Saseno, attorno all’isola omonima, di fronte alla costa albanese, tra la flotta genovese e un convoglio commerciale veneziano. La prima delle quattro guerre veneto-genovesi fu vinta dalla Repubblica marinara di Genova. Il momento cruciale della seconda guerra fu la battaglia di Curzola, al largo della Dalmazia, l’8 settembre 1298. Anche qui vinsero i genovesi e Marco Polo fu fatto prigioniero. La terza guerra vide la conquista genovese dell’isola di Chio nel Mar Egeo e la guerra per il controllo degli Stretti sul Bosforo nel 1352, uno dei più grandi e sanguinosi scontri navali del tardo Medioevo. La quarta e ultima guerra veneto-genovese si concluse con la pace di Torino.
Filippo Re