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Torino e il suo patrimonio verde: tra ricchezza e sfide di gestione

Torino è una delle città italiane con la maggiore estensione di aree verdi: sul territorio comunale se ne contano circa 47 chilometri quadrati, dei quali quasi venti rientrano direttamente nella gestione pubblica. Le alberate stradali percorrono oltre 300 chilometri e il censimento comunale indica la presenza di circa 147 mila alberi, patrimonio che contribuisce in modo decisivo alla qualità ambientale e paesaggistica della città. I parchi sono numerosi e diffusi nei diversi quartieri: tra i più noti spiccano il Parco della Pellerina, con i suoi oltre ottanta ettari che lo rendono il polmone verde più ampio della città, il Parco del Valentino lungo il Po, il Colletta, il Ruffini e il Colonnetti, senza dimenticare la cornice collinare che arricchisce ulteriormente la dotazione naturale.Platano Tesoriera Alberi Monumentali

Questo patrimonio, però, comporta anche sfide significative. Una parte non trascurabile delle alberate è costituita da esemplari maturi o molto anziani, che richiedono cure costanti e monitoraggi regolari per ridurre i rischi legati alla stabilità. I tecnici del settore verde della Città effettuano sopralluoghi visivi e, quando serve, indagini più approfondite con strumenti come resistografi e tomografi, al fine di individuare eventuali criticità. In alcuni casi si procede con potature di contenimento, consolidamenti o abbattimenti mirati, sempre seguiti da nuove piantumazioni. Le interferenze con la rete stradale, i sottoservizi o l’illuminazione pubblica rappresentano un ulteriore fronte di gestione, così come la necessità di affrontare gli effetti di eventi meteorologici estremi, che negli ultimi anni si sono fatti più frequenti e intensi. In queste situazioni il Comune non di rado dispone la chiusura preventiva di giardini e parchi o interdizioni temporanee di alcune aree per garantire la sicurezza dei cittadini.

La regolamentazione delle attività di cura e manutenzione fa capo al Regolamento comunale del verde, che stabilisce principi e procedure di intervento sia per il patrimonio pubblico sia per il verde privato. Nel confronto con le altre grandi città italiane, Torino si colloca su valori medi di dotazione di verde pubblico pro capite, attorno ai venti-ventiquattro metri quadrati per abitante. Non raggiunge dunque i livelli di quei comuni che inglobano vaste aree naturali entro i propri confini, ma mantiene comunque un’offerta significativa e ben distribuita, che rappresenta un punto di forza in termini di vivibilità.

Torino possiede una rete di parchi e giardini capace di qualificare il paesaggio urbano e di offrire spazi di svago e socialità diffusi in tutta la città. La vera sfida per il futuro è rendere questo patrimonio più resiliente di fronte ai cambiamenti climatici, rinnovando gradualmente le alberate più vetuste, migliorando la connessione ecologica tra le diverse aree e ampliando la quota di verde fruibile a distanza ravvicinata dalle abitazioni, così da rafforzare la funzione ambientale e sociale del verde urbano.

Luca Bonfanti, l’anatomista veterinario che sta cambiando le Neuroscienze

RITRATTI TORINESI

Una ricerca pubblicata in agosto sulla prestigiosa rivista Plos Biology rivela l’esistenza di grandi quantità di “neuroni immaturi” nell’amigdala dei primati, a differenza dei topi che, invece, ne hanno pochissimi. L’evoluzione avrebbe quindi dotato questa regione cerebrale nota per gestire le emozioni con una forma di plasticità (capacità del cervello di cambiare la propria struttura) sino a poco tempo fa sconosciuta.

Ma non è la prima volta che i neuroni immaturi fanno notizia. Ė da circa un decennio che a Torino si studiano queste cellule usando un approccio di anatomia comparata.

A condurre questa indagine è Luca Bonfanti, professore di Anatomia Veterinaria dell’Università di Torino che da sempre studia la plasticità cerebrale nei cervelli di specie molto diverse, dai topi agli scimpanzé. Dal 2010 il prof. Bonfanti coordina un gruppo di ricerca al NICO (Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi), il centro torinese per lo studio delle Neuroscienze, di cui è tra i fondatori.

Per capirne di più, Il Torinese lo ha intervistato.

Professore, possiamo iniziare spiegando cosa sono i neuroni immaturi?

Il nome si riferisce a un tipo particolare di cellule nervose che restano bloccate in uno stato di immaturità per lungo tempo, per poi “risvegliarsi” nella vita adulta e integrarsi come nuovi neuroni. Pur generati nella vita fetale come tutti gli altri neuroni, riescono però a fermare la loro maturazione (non sappiamo ancora come), rimanendo “congelati” nel secondo strato della corteccia cerebrale fin quando riprendono a maturare (neanche qui si sa come) per entrare a funzionare nei circuiti nervosi.

Lo strano fenomeno è stato dimostrato da ricercatori austriaci creando un topo transgenico in cui è possibile seguire nel tempo le cellule immature. Ė diverso dalla genesi di nuovi neuroni derivanti dalla divisione di cellule staminali (neurogenesi adulta): i neuroni immaturi esistono in regioni cerebrali prive di nicchie staminali, come la corteccia cerebrale, in cui avviene una “neurogenesi senza divisione”.

Trattandosi di scoperta recente, si sa ancora ben poco, sia sui meccanismi che controllano queste cellule, sia sui ruoli che possono svolgere nel cervello umano. Infatti, a differenza della neurogenesi adulta da staminali, su cui esistono 14.000 articoli scientifici, nel caso dei neuroni immaturi possiamo contare solo su alcune decine di articoli. Insomma, il tema è tutto da scoprire.

Come sono stati scoperti?

In realtà, ci si è accorti della loro presenza poco per volta, nell’arco di più di vent’anni, perché erano ben nascosti. Li abbiamo visti per la prima volta indipendentemente io e un ricercatore giapponese all’inizio degli anni ’90, entrambi studiando una molecola di immaturità che li marcava molto bene rispetto ai comuni neuroni, ma senza sapere che cosa fossero in realtà. Ben 17 anni dopo, un ricercatore spagnolo ha dimostrato che, pur restando molto giovani, questi neuroni vengono generati in epoca fetale. Ė come se un nostro compagno delle elementari, per magia, fosse rimasto un ragazzino e ora si trovasse in mezzo a noi adulti, ancora con possibilità di crescere.

Ho quindi scritto un articolo insieme allo spagnolo, in cui si ipotizza una nuova forma di plasticità: neuroni nuovi ma senza divisione. Va detto infatti che in quel periodo si era in piena corsa all’oro delle staminali cerebrali e l’intera comunità scientifica (noi compresi) si dedicava a quello. E, ironia della sorte, i neuroni neo-generati da staminali e quelli immaturi esprimevano le stesse molecole di immaturità, creando così una confusione notevole nell’interpretazione dei risultati. Tant’è vero che il nome “immaturi” è tutt’ora improprio, non distinguendo realmente le due categorie di “cellule giovani”, e bisognerà accordarsi per cambiarlo.

Solo nel 2018 gli austriaci, che usavano il topo transgenico, sono riusciti a dimostrare che quei neuroni si “risvegliavano” e iniziavano a funzionare. Possiamo considerarlo una sorta di trucco della natura per avere nuovi neuroni in regioni cerebrali che non li possono generare, perché prive di cellule staminali (come è, appunto, la corteccia cerebrale).

Veniamo dunque alle sue scoperte

Sebbene coinvolti anche noi nella corsa alle staminali, avevamo intuito che potevano esistere notevoli differenze tra le specie animali. Il che non è banale, visto che il modello animale più usato in ambito biomedico è il topo (o il ratto), ovvero roditori da laboratorio che presentano indubbie differenze rispetto alla specie umana, che rappresenta l’obiettivo a cui trasferire i risultati della ricerca. Sulla base di quell’intuizione, ipotizzammo che le differenze potessero interessare proprio la plasticità.

In un lungo studio condotto su cervelli di delfino (mammifero acquatico privo di olfatto, avendolo sostituito con l’eco-localizzazione in milioni di anni di evoluzione) non abbiamo trovato neurogenesi nella principale nicchia staminale degli altri mammiferi, cioè quella che produce neuroni proprio per il bulbo olfattivo. Nasceva così l’idea che la plasticità, pur rappresentando una costante nel mondo animale, sia legata per tipo e intensità alla nicchia ecologica della specie, trovandosi prevalentemente nelle regioni cerebrali più “utili” alla sopravvivenza. Infatti il topo vive e sopravvive principalmente grazie all’olfatto, mentre noi, pur usando il naso per qualcosa, sopravviviamo soprattutto grazie alla corteccia cerebrale!

Studi effettuati da altri gruppi di ricerca direttamente sul cervello umano hanno confermato questa ipotesi: nell’uomo la nicchia staminale legata all’olfatto si esaurisce intorno ai due anni di età (mentre nei topi rimane attiva per l’intera vita dell’animale).

Ipotizzammo quindi che la stessa cosa potesse accadere per i neuroni immaturi, ma al contrario. Già nel 2018 trovammo grandi quantità di neuroni immaturi nel cervello della pecora, più simile al nostro che non a quello del topo. Nel 2020, il nostro gruppo ha eseguito una mappatura sistematica di queste cellule nella corteccia cerebrale di 10 mammiferi, dai topi ai primati (dati pubblicati sulla rivista eLife; vedi link al fondo dell’articolo), dimostrando che la loro quantità aumenta a dismisura nei cervelli grandi e con corteccia espansa, essendo invece ridotta nel cervello piccolo e “liscio” del topo. Addirittura, nei roditori i neuroni immaturi sono limitati a una parte antica (paleocorteccia, anch’essa legata agli stimoli olfattivi) mentre nelle specie con molte circonvoluzioni cerebrali si estendono all’intera superficie della neocorteccia, la parte più nobile del cervello.

Appare quindi chiaro che l’evoluzione ha piazzato i neuroni immaturi nella regione che, pur priva di cellule staminali, conferisce ai cervelli grandi e complessi quelle proprietà cognitive e quelle capacità computazionali che li contraddistinguono!

E il recente lavoro riguardante l’amigdala?

L’amigdala è una regione cerebrale importante in quanto gestisce le emozioni e molti aspetti della vita di relazione, soprattutto in specie con socialità complessa, come i primati. Studi precedenti, sempre a causa di quella confusione sopra citata, avevano concluso che vi fosse neurogenesi anche in questa regione. Riprendendo le nostre analisi comparative tra le specie animali, abbiamo caratterizzato le cellule immature dell’amigdala con una serie di esperimenti che hanno confermato trattarsi di cellule dormienti, come quelle della corteccia. Inoltre, eseguendo conteggi accurati e analisi filogenetiche in più di 80 cervelli molto diversi tra loro, anche questa volta abbiamo visto che i cervelli grandi e complessi dei primati hanno quantità enormi di neuroni immaturi in confronto ai topi, confermando una scelta evolutiva legata alle dimensioni del cervello.

La recente scoperta, pubblicata su Plos Biology (vedi link al fondo dell’articolo), ha inoltre rivelato qualcosa di sorprendente: anche se l’amigdala non aumenta di dimensioni dal topo all’uomo, come avviene invece per la corteccia cerebrale, i neuroni immaturi sono contenuti nell’unica parte che si è espansa nei primati (il nucleo basolaterale), proprio perché strettamente connessa con la corteccia! Esiste quindi una logica evolutiva che accomuna corteccia cerebrale, amigdala e neuroni immaturi.

A cosa potrebbe servire tutto ciò e cosa cambia nelle Neuroscienze?

Premesso che si tratta di una ricerca ancora giovane e che sappiamo poco o nulla sui meccanismi cellulari, sul ruolo fisiologico o eventuali ruoli in situazioni patologiche dei neuroni immaturi, ciò che si può dire è che abbiamo rivelato una potenziale fonte di plasticità strutturale in regioni cerebrali cruciali per lo sviluppo e il funzionamento del cervello. Un fatto, questo, che sta spostando l’attenzione della comunità scientifica dalla neurogenesi delle cellule staminali a questa forma particolare di cellule dormienti.

Il dato davvero nuovo è la prevalenza del fenomeno nei cervelli di specie affine alla nostra. L’enorme lavoro di mappatura svolto in cervelli molto eterogenei tra loro conferma la tendenza evolutiva secondo cui i cervelli grandi e complessi prediligono i neuroni immaturi associandoli ad aree nobili coinvolte in funzioni cerebrali complesse, come la pianificazione delle azioni e le emozioni.

Questa plasticità può avere un ruolo fondamentale nel corretto sviluppo e affinamento del cervello dei giovani (con tutte le implicazioni nella sfera della pedagogia) e nella prevenzione dell’invecchiamento. Infatti, un altro risultato dei nostri studi comparativi rivela che i neuroni immaturi rimangono abbastanza stabili anche nell’adulto e ad età avanzate, mentre sappiamo che altre forme di plasticità sono prevalentemente giovanili. Potrebbe essere un altro trucco della natura per mantenere la plasticità in specie longeve. Studi successivi dovranno quindi indagare il comportamento di questa “riserva di neuroni giovani” nell’invecchiamento, nonché un eventuale ruolo nei disordini neurologici e nelle malattie neurodegenerative.

Progetti futuri?

Le idee sono innumerevoli. Le possibilità di realizzarle sono tuttavia limitate dalla complessità di questi studi e dalle risorse disponibili, umane e finanziarie. Attualmente stiamo studiando la possibile modulazione dei neuroni immaturi in diverse condizioni ambientali. Ė noto, infatti, che lo stile di vita e l’ambiente circostante possono modificare la plasticità del cervello. Andremo quindi a vedere se (e come) aspetti quali l’ambiente arricchito, lo stress, l’attività fisica, e così via, andranno a condizionare la maturazione di queste cellule. Se così fosse, si potrebbero pianificare strategie per favorire un corretto sviluppo del cervello nelle fasi giovanili di affinamento dei circuiti (coinvolgendo scuola, famiglia, amicizie, ambiente in cui vivono i giovani), o prevenire eventuali danni legati a invecchiamento o deficit neurologici legati a patologie. La strada in questa direzione è però ancora lunga, anche perché la nostra scoperta sposta l’attenzione dai topi alle specie con cervello grande e complesso, con implicazioni pratiche ed etiche tutt’altro che semplici.

A chi è grato per i risultati conseguiti?

La ricerca è un lavoro di squadra che non richiede solo collaboratori e finanziamenti, ma un ambiente costruttivo in cui possano circolare le idee, gli scambi di opinioni, e anche le critiche, se volte a migliorare la qualità della ricerca stessa. Sono certamente in debito con molte persone, in primis i dottorandi e i tesisti che svolgono quotidianamente il lavoro di laboratorio, un compito complesso che richiede qualità professionali e umane di altissimo livello (tra cui la dedizione, un valore che sembra anacronistico).

Poi sono grato al NICO, in tutte le figure, dal Direttore, ai colleghi, ai tecnici, per aver creato e mantenuto nel tempo un ambiente favorevole alla ricerca di alto livello e in continua evoluzione. E anche al Dottorato in Scienze Veterinarie, di cui faccio parte sia dalla sua istituzione, e nel cui rigore sono cresciuti i giovani dottorandi che hanno prodotto i risultati delle nostre pubblicazioni.

Infine, sono riconoscente nei confronti di tutte le Istituzioni, italiane e straniere, che hanno fornito i cervelli per i nostri studi e tutta una serie di expertise importanti nella discussione dei dati, in primis il Dipartimento di Antropologia della George Washington University, negli Stati Uniti, dove i nostri dottorandi hanno libero accesso per studiare i cervelli dei primati.

Link agli articoli originali:

eLife: https://elifesciences.org/articles/55456

Plos Biology: https://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.3003322

Mara Martellotta

 

 

 

 

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Dal 1° settembre aperti tutti gli uffici postali a Torino

 Poste Italiane comunica che, a partire da lunedì 1° settembre, tutti gli uffici postali della città di Torino riaprono secondo i consueti orari dopo la pausa che ha interessato alcune sedi nel mese di agosto.

Per risparmiare tempo ed evitare possibili attese superiori alla media che possono verificarsi al rientro in città, Poste Italiane ricorda la possibilità di prenotare l’operazione allo sportello tramite sito www.poste.it,  tramite la nuova APP Poste Italiane e, per chi ha meno familiarità con gli strumenti digitali tramite telefonata al numero 06 45264526.

A Torino sono 66 le sedi postali abilitate al servizio di prenotazione da remoto.

Prenotare dal sito e dall’APP Poste italiane è semplice: dopo l’accesso con le credenziali e la scelta del servizio (“Bollettini”, “Versamenti, prelievi, F24, ricariche e altri pagamenti”, “Posta e Pacchi”, “Carta PostePay, Energia e Telefonia”, “Buoni e Libretti”, “Assicurazioni RC Auto”, “Conto corrente, Finanziamenti, Investimenti e assicurazioni” “SPID” e “Tutte le altre operazioni”) si seleziona l’ufficio, il giorno e l’orario. Verrà generato un QRCode che, in caso di arrivo in ritardo o in anticipo rispetto all’orario della prenotazione, andrà “convalidato” all’arrivo in Ufficio Postale avvicinandolo al lettore ottico del totem Gestore delle Attese presente in sala per essere chiamato dal primo sportello libero.

La prenotazione telefonica al n. 06 45264526 è supportata dall’Intelligenza Artificiale di Poste Italiane che permette ai clienti di descrivere con poche e semplici parole il motivo della visita, giorno e orario preferiti. L’IA elabora ciascuna richiesta e propone soluzioni compatibili, offrendo loro la possibilità di accettare o modificare gli appuntamenti.

Il servizio è disponibile per oltre 337.000 torinesi dotati di numero telefonico certificato sul sito poste.it o associato a strumenti di pagamento dell’azienda. Dopo la conferma dell’appuntamento proposto, il servizio riepiloga i dati della prenotazione e invia un promemoria via e-mail e sms. Qualora il cliente abbia già installato l’app Poste Italiane troverà la card dell’appuntamento nella pagina iniziale, dalla quale gestire in autonomia la prenotazione.

 

Diana&Co, una visita guidata per famiglie tra miti e leggende

Domenica 31 agosto, ore 15.45. Palazzina di Caccia di Stupinigi (TO)

 

 

Diana, dea della luna e della caccia, occupa un posto di rilievo nell’immaginario delle corti europee e della Palazzina di Stupinigi. Il “Mito di Diana” è dipinto nella volta dell’Anticamera del Re, il “Trionfo di Diana” nel Salone d’Onore, le storie di Diana cacciatrice negli Appartamenti Reali e due sculture in marmo di Diana e Atteone si trovano nell’Atrio di Levante a ricordare la leggenda secondo cui Atteone fu trasformato dalla dea in cervo e dato in pasto ai suoi stessi cani per averla spiata mentre faceva il bagno. Storie e miti di Diana&Co saranno raccontati domenica 31 agosto in una visita guidata a misura di bambino che trasforma in suggestive pagine illustrate di un antico libro, quadri, dipinti e stucchi della Palazzina di Caccia di Stupinigi.

 

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Domenica 31 agosto, ore 15.45

Diana&Co

Visita guidata

Prezzo attività: 5 euro + biglietto di ingresso

Biglietto di ingresso: intero 12 euro; ridotto 8 euro

Gratuito minori di 6 anni e possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Royal Card

Prenotazione obbligatoria per l’attività entro il venerdì precedente

(Per prenotazioni via e-mail attendere sempre una conferma scritta, controllare anche lo spam)

Info: 011 6200601 stupinigi@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Per tutto il mese di settembre torna la raccolta “cartoleria sospesa” della Fondazione AIEF

Al via in questi giorni l’edizione 2025 della campagna solidale ‘Cartoleria  Sospesa’, giunta alla sua quinta edizione, promossa dall’Associazione AIEF per l’infanzia e adolescenza per sostenere concretamente il diritto allo studio di bambini e ragazzi in difficoltà economica.
In molte cartolibrerie  di Torino e provincia sarà possibile donare materiale scolastico con la formula della “Spesa sospesa”, quaderni, astucci, colori ed altri articoli utili che verranno raccolti nelle scatole AIEF, già presenti nei punti vendita aderenti.
Così per tutto il corso del mese di settembre chi lo desidererà potrà aderire alla campagna della Cartoleria sospesa, contribuendo a riempire le scatole che, a ottobre, verranno trasformate dai volontari AIEF in pacchi di cartoleria mista e distribuiti a famiglie in difficoltà con figli in età scolare, grazie alla rete di associazioni e parrocchie con cui la Fondazione opera sul territorio.
A sostenere l’iniziativa AIEF l’azienda Cart Srl, storica realtà piemontese nella distribuzione di materiale scolastico, la Fondazione Paolo Vitelli e altri enti del Terzo Settore che, anche quest’anno, rinnovano l’impegno al fianco della Fondazione.
Nel 2024 la campagna ha raccolto 500 buste di materiale scolastico di qualità, poi redistribuito presso cinquecento famiglie torinesi in situazioni di difficoltà.

“Il ritorno a scuola rappresenta,  per molte famiglie – spiega Tommaso Varaldo, presidente della Fondazione AIEF – un momento economicamente faticoso. Anche nel 2025, con i costi che lievitano e le crescenti difficoltà nel garantire il necessario, questa iniziativa vuole essere un gesto concreto di vicinanza e solidarietà. Grazie di cuore a chi parteciperà, alle cartolibrerie che aderiscono con entusiasmo, ai sostenitori e ai volontari AIEF che rendono possibile tutto questo”.
Per informazioni info@fondazioneaief.org 3292966487.

Mara Martellotta

Perchè la sicurezza è divisiva?

LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo

Il tema della sicurezza era e continua ad essere divisivo. Fortemente divisivo. E tutti conosciamo
oramai il copione. Anche perchè si ripete in modo quasi meccanico. E cioè, il centro destra
cavalca tutto ciò che è riconducibile alla sicurezza, alla difesa delle forze dell’ordine, alla
salvaguardia dei confini nazionali e territoriali, alla bonifica dei luoghi simbolo dell’illegalità e
dell’abusivismo – l’ultimo episodio lo sgombero del Leoncavallo a Milano – e, in ultimo ma non per
ordine di importanza, l’esaltazione della “tolleranza zero” nei confronti dell’immigrazione illegale e
clandestina.

Sul fronte opposto, e specularmente, questi sono temi che vengono sistematicamente respinti o
messi in discussione dalla sinistra nelle sue multiformi espressioni. Anche qui seguendo un
copione alquanto noto e collaudato. E cioè, poco e scarsa convinzione – se non addirittura
contestazione – nella difesa delle forze di polizia, forti distinguo sul capitolo dell’immigrazione
clandestina, respingere senza appello il tema della delimitazione dei confini e, dulcis in fundo,
strenua opposizione di tutto ciò che sa di bonifica o regolamentazione dei cosiddetti ‘centri’
abusivi ed illegali.

Ora, e al di là di questo confronto, stanco e ripetitivo, che ormai è diventato una sorta di gioco
delle parti, si tratta di capire come sia possibile che anche il tema della sicurezza posa essere
strumento di battaglia politica e di profonda ed insanabile divisione tra i rispettivi schieramenti.
Ma, di grazia, com’è possibile che anche la sicurezza – che è poi, molto semplicemente, la difesa
e l’incolumità dei cittadini, di tutti i cittadini – possa diventare una sorta di perenne scontro
ideologico? Certo, è difficile, molto difficile che posizioni come quelle espresse dal trio Fratoianni/
Bonelli/Salis o quelle accarezzate dalla Schelin o, sul versante opposto, da Salvini, possano
diventare oggetto di una comune intesa politica e convergenza democratica e costituzionale. Ma
è indubbio che se anche la sicurezza diventa un elemento di profonda e plateale spaccatura
politica, e quindi legislativa, non lamentiamoci se poi vengono a mancare alcuni tasselli
fondamentali di uno stato di diritto. E cioè, e soprattutto, la sfiducia nello Stato e nei suoi storici
presidi di legalità; la messa in discussione del ruolo e della stessa ‘mission’ delle forze dell’ordine
e, infine, la sensazione crescente che ormai non c’è più alcuna difesa da parte degli organismi
preposti a quel compito delicato ed essenziale per uno Stato democratico.

Ecco perchè, quando parliamo della difesa dei cittadini, della sicurezza dei paesi e delle città e,
soprattutto, dell’incolumità delle persone, i fanatismi ideologici, settari e faziosi dovrebbero
cedere il passo ad un sano e e trasparente realismo politico. Fuorchè qualcuno pensi realmente
che possiamo fare a meno delle forze dell’ordine, che l’immigrazione clandestina ed illegale sia
una opportunità ed un valore aggiunto per il nostro sistema economico e produttivo e che la
sicurezza dei nostri centri abitati sia solo e sempre un atto di propaganda. Insomma, quando sulla
sicurezza avremo una seria e credibile convergenza politica dei vari partiti e dei rispettivi
schieramenti, potremmo dire di avere a che fare con una democrazia adulta, matura e
responsabile.

 

Riparte l’attività agonistica della ValleBelbo Sport

 

La pianificazione dei vari gruppi e il Camp di Baceno

Paparazzi

Chi di noi non ricorda il film “Ecco noi per esempio”, dove Clic (Adriano Celentano) scatta fotografie in qualsiasi situazione giungendo, durante una rapina, a perdere un occhio perché preso di mira mentre scattava?

Un altro film, “Paparazzi” in chiave diversa mostra anch’esso come alcuni soggetti, per lavoro, fotografino di continuo qualsiasi scena si pari loro davanti, con tutto ciò che questo comporta.

Ho scritto volutamente “per lavoro” perché per alcuni versi potrebbe essere un’attenuante, un giustificativo del fatto che questi professionisti fotografano ogni situazione da loro ritenuta interessante, vendibile, adatta al gossip senza preoccuparsi di cosa ne pensi chi viene fotografato.

A me succede spessissimo, soprattutto durante eventi religiosi o caratterizzanti aventi luogo nel Comune che amministro, o in quelli dove vengo invitato come Amministratore, dove i cittadini (particolarmente le donne, ad onore del vero) fotografano ciò che forma oggetto dell’evento (ciclisti, processione, alpini, auto d’epoca, ecc) ma anche chi si trova nei paraggi, così per essere sicuri di non perdersi nulla.

A me personalmente, anche in ossequio al fatto che i personaggi pubblici sono fotografabili (in ambito pubblico) senza particolari restrizioni, non da fastidio, anzi è bello potersi rivedere negli scatti poi pubblicati, ma non sarebbe un’idea malvagia chiedere se una persona gradisca essere fotografata o no.

Ricordo che un anno, alla parata del 2 giugno a Torino, mentre mi accingevo a fotografare i reparti in formazione (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, ecc.)  chiedendo ad alcuni poliziotti il consenso, una di essi mi fece segno che non gradiva essere fotografata e, doverosamente, la esclusi dall’inquadratura.

E’ pur vero che se ho qualcosa da nascondere non vado in un luogo affollato, specie in un Comune dove si conoscono tutti, ma è pur vero che vorrei sapere quale fine faranno gli scatti che mi riprendono, per quale motivo tu stia scattando.

Solitamente, se non si tratta di personaggi pubblici (politica, spettacolo), o per motivi di ricerca scientifica o per diritto di cronaca, la pubblicazioni di foto e video deve essere autorizzata da una liberatoria che il soggetto fotografato rilascia al fotografo e/o a chi diffonderà l’immagine. Va notato che, anche in presenza di una liberatoria, l‘immagine non può ledere l’onorabilità di una persona: se mi fotografi con i pantaloni macchiati e metti, come didascalia, “così povero da non avere i soldi per il detersivo” è palese che tale foto mi stia offendendo e, dunque, potrà partire da parte mia una richiesta di risarcimento.

E’ anche vero che ultimamente le persone hanno un livello di litigiosità mai visto in precedenza, per cui se uno pensa di essere fotografato, pur in un contesto più ampio, prima si infuria e, eventualmente, solo dopo chiede di visionare gli scatti fatti (ledendo a sua volta la privacy del fotografo).

Sostengo che, in ogni ambito, la tolleranza e l’educazione sono in grado di dirimere il 90% delle contestazioni, usando buon senso, empatia, ironia e autoironia e, in ultima analisi, non pensando che gli altri vogliano sempre fregarti o che siano tutti più scemi di te, perché spesso chi ti dimostra il contrario è alto 2 metri e picchia come un fabbro.

Se io dovessi impedire ai miei amici di pubblicare le foto che mi scattano in gita, in vacanza, a cena ridurrei a tutti il piacere dirivivere l’evento anche nei giorni successivi, magari ridendo dell’espressione ebete di qualcuno o dei chili in più di qualcun altro, me compreso si intende.

Questo, a mio parere, si inserisce in un quadro molto più ampio di intolleranza in generale che nasce dal non sopportare il cane che abbaia 3 volte di fila, spazientirsi se la comanda al ristorante tarda 5 minuti, passa per il cartello “Divieto di giocare nel cortile” che va di moda da alcuni anni nei condomini, per arrivare alle aule giudiziarie intasate di cause, promosse quasi sempre da chi non conosce la legge e si stupisce, dopo anni di iter, che il giudice gli abbia dato torto.

Sicuramente “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria non è stato letto a sufficienza; di certo è ora di riscriverlo. 260 anni fa il libro venne inserito nell’indice dei libri proibiti a causa della distinzione che esso indicava tra reato e peccato. Ora il vero peccato è fomentare i reati.

Sergio Motta