redazione il torinese

Rifondazione comunista risponde a Chiamparino

Su La Stampa Sergio Chiamparino dichiara che “dopo la manifestazione di sabato nulla può essere come prima… che quella manifestazione ha segnato uno spartiacque”. Dove vuole andare a parare è presto detto: “il Si alla Tav è condizione necessaria e imprescindibile per fa parte di un’alleanza di centrosinistra che lavori per il futuro del Piemonte…questo vale anche per i miei amici Airaudo e Grimaldi”. Più chiaro di così il Presidente della Regione Piemonte non poteva essere. La stessa chiarezza, almeno allo stato attuale, non si può dire di Sinistra Italiana e forze affini che, al di là di continuare a stare in maggioranza col Pd e Chiamparino, hanno finora pensato di ripresentarsi con il centrosinistra Si Tav alle prossime elezioni regionali. Com’è possibile? Una domanda che rivolgo in particolare a Giorgio Airaudo il quale, in un intervista rilasciata a il Manifesto, sostiene che “Torino non è andata in declino perché non c’era la Tav… il vero treno perso è quello dei motori, delle carrozzerie, della fabbrica, della mobilità sostenibile. Il treno perso è quello del lavoro”. E più oltre: “la piazza Si Tav configura un tentativo di restaurazione…grazie a questa manifestazione la regione viene spinta nelle mani del centrodestra a guida leghista”. Concordo pienamente. Sergio Chiamparino, al pari di Piero Fassino, ha un’idea distorta, direi arcaica dello sviluppo e della crescita, nient’affatto distinguibile da quella del centrodestra e per molti aspetti anche del M5S, Tav a parte. Un’idea basata su privatizzazioni, finanziarizzazione dell’economia, precarizzazione del lavoro, grandi opere, polarizzazioni commerciali. Nella fattispecie pensare di risollevare le sorti di una città in sofferenza e declino tramite la realizzazione di un’opera inutile e costosissima è pura follia. Il risultato è di fare il gioco di gruppi di potere e di interesse che oggi hanno come riferimento privilegiato le forze di destra a trazione leghista. Stando così le cose bisogna essere conseguenti. Non si può continuare a tenere i piedi in due scarpe. Le forze che vogliono dirsi di alternativa, antiliberiste, antifasciste facciano una scelta chiara di programmi, di autonomia e collocazione politica prima di essere messe in un angolo dagli aut aut di un partito, il Pd, e di un Presidente di Regione politicamente avviati sul viale del tramonto per manifesta incapacità di aprire una prospettiva di sviluppo che non sia a ricalco degli interessi dei poteri forti e delle élites della città.

 Ezio Locatelli segretario provinciale Prc-Se

Dramma familiare: 35enne accoltella madre e zia

DAL PIEMONTE Un dramma familiare a Pianfei, nel Cuneese, dove un 35enne con problemi psichici è accusato di tentato omicidio della madre. Dopo una discussione avuta con lei e la zia, l’uomo ha ferito le due donne con un coltello da cucina e si è barricato in casa minacciando il suicidio. Al termine di due ore di trattative i carabinieri sono riusciti a entrare nell’alloggio e ad arrestarlo. La madre, 65 anni, è  ferita al costato ed è ricoverata all’ospedale di Mondovì. La zia, di  57 anni, si è ferita ad una mano mentre cercava di disarmarlo.

Diagnosi del moderno di Albino Galvano

La GAM di Torino presenta il volume dedicato all’intellettuale torinese

Mercoledì 14 novembre, ore 18

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A vent’anni, fu fra i frequentatori a Torino della “scuola di via Galliari” animata dall’allora maestro dei maestri Felice Casorati; qualche anno dopo fonda, insieme a Franco Antonicelli, l’Unione Culturale torinese e nel ’48 promuove il MAC – Movimento Arte Contreta, fondato a Milano da Atanasio Soldati insieme a Gillo Dorfles, cui aderirono artisti (illuminati da un libero astrattismo geometrico) i cui nomi vanno da Bruno Munari, a Filippo Scroppo e a Gianni Monnet, fino a Nino Di Salvatore. Pittore, storico e critico d’arte nonché filosofo (fu docente di Filosofia, dopo esserlo stato di Pittura all’Accademia Albertina, ai Licei “Gioberti” e “Galileo Ferraris” di Torino) e intellettuale di levatura europea non sufficientemente conosciuto – né riconosciuto – neppure in Italia, ad Albino Galvano (Torino, 1907 – 1990), l’Editrice “Nino Aragno” dedica meritevolmente un volume dal titolo “Diagnosi del moderno”, a cura di Alessandra Ruffino, attenta studiosa dei rapporti fra arte e letteratura, già docente all’Università di Torino con Marziano Guglielminetti e giornalista collaboratrice de “Il Giornale dell’Arte”, nonché consulente di varie istituzioni pubbliche e privata e nell’editoria. Articolato in 33 testi, suddivisi in otto sezioni, il volume sarà presentato il prossimo mercoledì 14 novembre, alle ore 18, presso la Sala Uno, al piano terra della GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, in via Magenta 31, a Torino. Al dibattito, interverranno (oltre alla curatrice dell’opera), Riccardo Passoni, direttore della GAM e Maria Teresa Roberto, docente all’Accademia Albertina. Obiettivo del libro: Offrire a lettori e studiosi la possibilità di accedere a una significativa parte degli scritti di un autore capace di spaziare tra estetica, filosofia, critica d’arte, letteratura, psicoanalisi, storia dell’arte orientale. Senza mai temere la marginalità e l’inattualità, Galvano è stato un lucido testimone del suo tempo e un acuto interprete di quella ‘genesi per opposizione’ che, attraverso il passaggio Simbolismo-Art Nouveau-Astrattismo, ha aperto all’età contemporanea e alle sue tante contraddizioni, illusioni, disillusioni”.

g.m.

Foto
– Albino Galvano: “Santi Anargiri”, olio su tela, 1950, Collezione GAM-Torino

Il comitato per il Sì risponde ad Appendino: “Prima Mattarella”

Alle sette promotrici del Comitato “Sì, Torino va avanti”, che sabato ha organizzato il grande raduno in Piazza Castello, oggi è giunto l’ invito del Sindaco di Torino, Chiara Appendino, a incontrarla.

“Siamo disposti a dialogare con chiunque ce lo chieda e voglia ascoltarci – rispondono – ma la priorità rimane l’ incontro col Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, cui porteremo le istanze dei 40 mila di Piazza Castello, espressione della Torino che non si rassegna, che vuole andare avanti, che vuole costruire un futuro di progresso e di benessere per la città e per il Piemonte. Gli porteremo anche le 40 mila adesioni raccolte attraverso il web, un appello fatto in modo fermo e gentile, perché siamo convinte che ciascuno può difendere le proprie idee rispettando le regole della convivenza civile”.  Per l’ incontro con il Presidente Mattarella  il Comitato ha fatto i primi passi. Al Capo dello Stato “Sì Torino va avanti” chiederà di farsi garante che qualsiasi decisione sulla Tav sia frutto di giudizi non di parte o espressione di pregiudizi ideologici,  che le valutazioni si basino su considerazioni di carattere tecnico, tenendo presente che c’ è già una grande mole di studi effettuati dai quali emerge chiaramente la validità dell’ opera. Il Comitato farà anche presente che la grande maggioranza degli italiani vuole la Tav, perchè giustamente la considera essenziale per non tagliare fuori il Paese dall’ Europa e dall’ Asia e pregiudicarne le possibilità di sviluppo e di lavoro. Dopo l’ incontro col Presidente della Repubblica, “Sì, Torino va avanti” chiederà colloqui con tutte le istituzioni torinesi e piemontesi per illustrare il Manifesto dei Sette Sì.  Sette Sì, a cominciare da quello per la Tav, perché Torino continui a essere una grande città della manifattura, delle imprese innovative, un polo di attrazione turistico e culturale. Una grande città del lavoro e della solidarietà, della ricerca, dell’ università, con un respiro europeo e internazionale.

 

(foto: il Torinese)

 

Nel cuore dei Balcani

DAL PIEMONTE – Poco più di due decenni fa finiva la guerra in Bosnia, lasciando cumuli di macerie e tanti, troppi morti. Alla tragedia è seguita una pace imperfetta, fatta di prevaricazione e di giustizia negata, di dolore e di speranze strappate via dal disastro di una quotidianità spesso fatta di umiliazioni e privazioni.

Nel cuore dei Balcani al tramonto del secolo breve”. Questo è il titolo dell’incontro pubblico che si terrà giovedì 15 novembre, dalle 15.00 alle 18.00, nella Sala Scimé di Mondovì (Cn). L’evento è organizzato dalla Città di Mondovì, l’Anpi, il Centro studi Monregalesi, l’Associazione culturale “Gli Spigolatori”, il liceo “Vasco Beccarla Govone”, l’Associazione italiana di Cultura Classica e l’Unidea di Mondovì. Dopo l’introduzione del prof. Stefano Casarino interverranno lo storico Gigi Garelli, direttore dell’Istituto della Resistenza di Cuneo ( “Come ti costruisco il nemico. La regione dei Balcani dal sogno di Tito all’incubo di Srebrenica”) e il giornalista e scrittore  Marco Travaglini , nella foto (“Bosnia, l’Europa di mezzo. Un viaggio tra guerra e pace, tra Oriente e Occidente”). Poco più di due decenni fa finiva la guerra in Bosnia, lasciando cumuli di macerie e tanti, troppi morti. Alla tragedia è seguita una pace imperfetta, fatta di prevaricazione e di giustizia negata, di dolore e di speranze strappate via dal disastro di una quotidianità spesso fatta di umiliazioni e privazioni. Un incontro per capire non solo le ragioni del conflitto, generato dal demone del purismo etnico e del nazionalismo esasperato, ma anche la forza enorme che permette al popolo bosniaco di non scomparire.Durante l’evento saranno proiettate immagini relative alla Bosnia, tra guerra e pace. 

“Burattino senza fili”

Oggi vorrei parlarvi di una delle voci più autorevoli nel panorama musicale italiano degli anni ’70 ed ’80: Edoardo Bennato.

Sono figlia di quegli anni e ricordo della sua discografia, I buoni e i cattivi, La torre di Babele per dirne due, nei quali Edoardo toccava temi importnti che a molti artisti dell’epoca erano ancora sconosciuti. Ma nel 1977, a parer mio, si supera con un concept -album, “burattino senza fili” tramite il quale trasponendo il Pinocchio di Collodi, lega una favola per bambini (molto profonda direi) con il rigido e difficile mondo degli adulti, sbattendoci in faccia le difficoltà cui si è sottoposti a causa dei conformismi e delle convenzioni che ci vengono imposti per “adeguarci” agli schemi sociali. La mia canzone preferita in questo album (che ho ascoltato milionate di volte n.d.r.) è “ E’ stata tua la colpa”. È Stata Tua La Colpa è l’incipit di questo grandissimo disco: mesta e quasi rassegnata, si basa sulla chitarra acustica e l’armonica del cantante, che tratteggia uno scenario amaro sulle costrizioni che la società impone attraverso i suoi “fili”. Trovo Burattino senza fili un album geniale, ben suonato e splendido sotto ogni punto di vista. Burattino Senza Fili mostra un’artista in grandissimo spolvero, in grado di rileggere i personaggi e le situazioni di Collodi e di trasporre attraverso loro la sua visione delle tante storture della società degli “adulti”, piena di approfittatori, burattinai e cialtroni: Pinocchio diventa umano e paga duramente questa decisione, finendo in balia dei vari Mangiafuoco che decidono per lui, manipolando la sua vita con dettami piovuti dall’alto. Una canzone assomiglia a un rebus. È una specie di tragitto invisibile e intricato da portare a termine. In certi casi è matematica, e segue determinate leggi o convenzioni. In altri è soltanto magia, mistero, evocazione. È proprio come sbrogliare il nastro di una musicassetta che si è intrecciato in mille nodi e grovigli inestricabili. È necessario seguire il proprio istinto, ma allo stesso tempo occorre applicare una logica ferrea. Buon ascolto

https://www.youtube.com/watch?v=8Y448Q_G0O4

Chiara De Carlo

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Chiara vi segnala i prossimi eventi …mancare sarebbe un sacrilegio!

La sindaca scrive alle “madamin” e vola da Di Maio

Dopo la manifestazione di piazza Castello Chiara Appendino incontrerà  le organizzatrici dell’evento di sabato scorso , le sette signore torinesi del gruppo Sì, Torino va avanti. L’appuntamento si terrà venerdì. Ha scritto la sindaca nella lettera inviata loro: “Alla luce delle istanze emerse dalla manifestazione di sabato scorso e dei richiami all’operato dell’amministrazione comunale, desidero invitarvi ad un primo confronto il 16 novembre a Palazzo Civico”. Appendino è stata a Roma questa mattina per un incontro con il vicepremier Luigi Di Maio, durante il quale, immaginiamo, si sarà parlato soprattutto di Tav.

 

(foto: il Torinese)

MESSE DI GUARIGIONE, SCANDURRA ALLA CEP: “CARI VESCOVI, OBBEDIENZA NON E’ SOTTOMISSIONE”

Il Padre Generale del Cottolengo: “Il Vangelo abbonda di preghiere di intercessione. Don Adriano svolge ministero di consolazione e ascolto”

Riceviamo e pubblichiamo un nuovo, argomentato intervento del giornalista cattolico e saggista Maurizio Scandurra, in prima linea sulla querelle apertasi in Piemonte e Valle D’Aosta sull’importanza delle cosiddette ‘preghiere di domanda e intercessione’, spesso anche dai vescovi erroneamente scambiate per ‘messe di guarigione’. Di seguito il testo integrale della lettera che è stata inviata dall’autore ufficialmente anche all’Ufficio Liturgico della Curia di Torino “perché sia di esempio a tutti quei fedeli innamorati del Signore Gesù ancora convinti che, per dirla con una felice espressione dell’ottimo ed esemplare Ernesto Ferrero del Sermig, sia ancora possibile il dialogo con una chiesa scalza“, dichiara Scandurra.

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LETTERA APERTA – “Dal 18 settembre scorso, giorno del varo del discusso e controverso documento intitolato ‘Disposizioni disciplinari circa le cosiddette messe di guarigione’ promulgato – soltanto, in tutta Italia, fatto a dir poco curioso e singolare – dalla Conferenza Episcopale Piemontese e Valdostana (la locale CEI), è giunto il momento di tirare le fila del discorso.Ho chiesto più volte e ad altrettante riprese per tutto il mese di ottobre 2018 un incontro personale a Monsignor Franco Lovignana, Segretario della CEP: me l’ha negato, però quantomeno ha avuto il garbo di farmi una telefonata personale, rifiutando di pronunciarsi in merito al tema oggetto di domanda ma indicandomi comunque con precisione i nomi e i ruoli rispettivi dei due vescovi piemontesi relatori e ostensori del dibattuto provvedimento, qualora desiderassi approfondire maggiormente. Idem con l’Arcivescovo di Torino, Monsignor Cesare Nosiglia: appuntamento negato (e neanche, al contrario del collega valdostano, una telefonata), che mi ha fatto invece ricevere in sua vece da Don Paolo Tomatis, Responsabile dell’Ufficio Liturgico della Curia di Torino il 9 novembre scorso. Il prelato in oggetto riferisce di alcune pratiche in auge per lo più in alcune realtà del Rinnovamento dello Spirito (che avrebbero, tempo fa, dovuto essere oggetto di visite pastorali ad hoc da parte dei Vescovi della CEP, come si sente dire in ambienti ecclesiastici e di informazione a essi vicini), in cui taluni sacerdoti passerebbero persino il Santissimo di mano in mano ai fedeli, come fosse un comune biscotto: e allora, perché non agire soltanto lì?

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E dal colloquio edificante e producente con il Tomatis è emerso che la vexata quaestio, il ‘problema’ vero e proprio parrebbe consistere non tanto in se e per sé nel passaggio del Santissimo tra i fedeli (cosa che di fatto avviene tranquillamente e reiteratamente ab illo tempore anche a Lourdes, così come ho anche dichiarato sulle pagine del quotidiano ‘LA STAMPA’), ma più che altro in una sorta di “distanza di prossimità” – riferisce sempre in appuntamento Don Tomatis – che si richiede ai fedeli dall’ostensorio con la particola consacrata, quale atto di riverente e composto rispetto devozionale. Una questione che sembra quasi più da ‘Codice della Strada’, un po’ come la metratura che occorre mantenere dall’auto che precede innanzi in caso di frenata brusca. Un tempo Gesù passava in carne e ossa fra le folle, e le sue vesti erano appiglio speranzoso delle mani di poveri, sbandati, malati, vedove e lebbrosi: e Il Signore, quando riteneva che ciò fosse nella Volontà del Padre, guariva e rispondeva spesso “Va’, la tua fede ti ha salvato“. Questo è Vangelo. Oggi, invece, Gesù Eucaristia passa nel pane transustanziato lungo la chiesa in processione, ma ad aspettarlo ci sono sempre gli stessi: gli sguardi e le mani dei miseri supplici di cui tutti, indistintamente, siamo parte. Dal tempo del Risorto a oggi non è cambiato nulla: tale è, e resta, l’umanità bisognosa di un contatto – talvolta anche tangibile, nell’Eucaristia (ma con i dovuti accorgimenti e modi, certo) – con la realtà materico-misterica di Gesù Sacramentato. Un fatto incontrovertibile sottolineato in maniera inequivocabile anche dalle dichiarazioni pubbliche tranchant dello stimato Professor Alessandro Meluzzi, intervenuto a favore della missione di fede di Don Adriano Gennari, che ha ricordato espressamente come Santa Teresa della Croce, cresciuta in ambiente protestante e luterano, abbia scelto di farsi cattolica proprio grazie al contatto ravvicinato con la dimensione materiale dell’Eucaristia.

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Quindi, dov’è il problema, Signori Vescovi? L’ostia consacrata è o non è il Corpo di Cristo? Posso affermare e testimoniare (e con me, anche ben più di un migliaio abbondante di persone disposte a fare altrettanto) che Don Adriano Gennari ha sempre fatto almeno tre passi indietro, per evitare che mani e fotografie venissero a contatto con il Santissimo debitamente esposto. Sarebbe pertanto cosa buona e giusta che i Signori Vescovi venissero anch’essi in loco a vedere, prima di sentenziare a vuoto, e unilateralmente. Perché ragionino a buon diritto in una prospettiva escatologica. In sintesi, alcune considerazioni che, cari Pastori, e in particolare rivolte a Sua Eccellenza Monsignor Nosiglia, intendo esporre e sottoporre direttamente, oltre che all’attenzione dei diretti interessati, anche dell’opinione pubblica:

 

  • Davvero singolare che innanzi a temi di così attuale, primario e diffuso interesse ben due vescovi (i Vertici della CEP) rifiutino di incontrare un fedele, un giornalista, un personaggio pubblico che altrettanto pubblicamente chiede confronto e spiegazioni ben precise. A Nosiglia ho persin scritto una lettera aperta ripresa da autorevoli e innumerevoli media, che ancora giace in attesa di risposta.
  • Quando il Sottoscritto ha chiesto alla Collega Maria Teresa Martinengo de ‘LA STAMPA’ di venire a conoscere da vicino la splendida realtà di Don Adriano Gennari, a toccare con mano la differenza sostanziale che passa tra le tanto (anche, giustamente) osteggiate e controverse ‘messe di guarigione’ e invece una solenne celebrazione eucaristica seguita da un tempo di adorazione eucaristica con preghiere di domanda e intercessione per poveri, malati, bisognosi e sofferenti, la giornalista in oggetto con immensa disponibilità e altrettanta evidente correttezza e specchiata onestà intellettuale si è recata personalmente a Casanova di Carmagnola una domenica pomeriggio. Ha pregato, si è commossa, ha scritto un dettagliato reportage dal titolo significativo che dice di tutto e di più: “Preghiamo per i malati, ma ai vescovi non piace“, apparso il 30 ottobre 2018 sull’edizione torinese dello storico quotidiano. I vescovi Nosiglia e Lovignana che figura ci fanno? Quando tutti e due a messa da e con Don Adriano? Li stiamo ancora aspettando, e speriamo di vederli anche al più presto. Loro, come i restanti 15 episcopi della CEP, all’unanimità asserviti e favorevoli al documento oggetto di questa lettera.
  • Dalle medesime pagine de ‘LA STAMPA’, Monsignor Nosiglia ha indicato e supposto la radice dell’origine del conclamato provvedimento in alcuni presbiteri provenienti da fuori – a sua detta, dalla Toscana – ‘rei’ di recarsi in Piemonte a celebrare presunte messe di guarigione: e allora, mi domando, perché Monsignore per prima cosa non ha contattato i locali vescovi avvertendoli del fatto? E se l’ha fatto, perché generalizzare? Dunque, per quale motivo non ha preso provvedimenti diretti verso i responsabili certi (con tanto di nomi e cognomi ben precisi) di tal confuse situazioni ecclesiastiche, anziché firmare un documento che colpisce urbi et orbi tutto e tutti indistintamente, preti buoni e non, impedendo di fatto nella nostra regione ecclesiastica la Processione Eucaristica nelle chiese? Ma scherziamo?
  • Monsignor Nosiglia, mi domando, sa che anche da Torino partono flotte di bus carichi di fedeli pronti ad assistere ricorrentemente alle adunate di Ironi Spuldaro, il noto e discusso membro del Rinnovamento carismatico cattolico del Brasile che registra presenze da capogiro, sui cui incontri di preghiera credo varrebbe fermarsi un attimo oggettivamente a riflettere? Perché, di questo, l’incuria della locale Curia non si cura?
  • A fine settembre 2018, come previsto dal nuovo documento della CEP sulle ‘messe di guarigione’, Don Adriano Gennari ha scritto di suo pugno una missiva a Monsignor Nosiglia per chiedere una deroga: risposte? Speriamo arrivino. Per ora, zero.
  • E l’Arcivescovo di Torino, quando nel 2008 espresse pubblicamente il desiderio di avere una nuova ‘Mensa dei poveri’ nel cuore di una Torino difficile, chi trovò subito ben pronto a realizzarlo? Uno dei suoi diocesani di allora, o invece il buon e caritatevole Don Adriano Gennari sempre dalla parte degli ultimi, che è invece un religioso dell’Ordine di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, e Superiore dei Sacerdoti della locale loro Comunità torinese?
  • Un’ultima domanda: Monsignor Nosiglia, Lei che fa? Fa come Ponzio Pilato? Se ne lava le mani, come recitava la réclame di quella nota marca di distributori automatici per sapone? Prima getta l’amo e poi ritira la canna? Nel dicembre 2017 riconosce ufficialmente quale Comunità di preghiera di fedeli in cammino il ‘Cenacolo Eucaristico della Trasfigurazione Onlus’ fondato da Don Adriano Gennari ventun anni orsono, va persino personalmente con lui a servire ai tavoli dei poveri nella sua Mensa a San Salvario (con tanto di foto-promo apparse sui locali quotidiani), e poi in seguito al varo del documento sulle ‘messe di guarigione’ invita tutti i vescovi della nostra regione ecclesiastica (già invitati e a loro volta calendarizzati per tempo da Don Adriano) a non tenere più insegnamenti sul Vangelo e sulla vita di Gesù il primo venerdì del mese nelle solenni funzioni officiate da Don Gennari stesso alla Chiesa della Salute di Torino, che richiama puntualmente non meno di 3.000 fedeli a funzione? Mi scusi, Sua Eccellenza, ma a che titolo, e con che autorità Lei fa questo? E poi, perché? Da ultimo caldeggio e consiglio attentamente a Monsignore la lettura del volume, qualora ne ignorasse l’esistenza, dal titolo ‘Preghiere di guarigione, consolazione, liberazione’ edito dalla cattolica ‘Shalom’: 512 pagine di ottimi e preparati Autori vari per la modica cifra di soli 10 euro.

 

A questi ‘cari e amati’ vescovi rispondo e chiarisco una volta per tutte che l’obbedienza non è sottomissione: e che essa, nella Chiesa, spesso è stata impiegata un po’ come la fiducia al governo, alias il ricorso a un istituto convenzionale e convenzionato nato per ottenere largo consenso strategico in maniera forzata, e per lo più illiberale. Forse che si voglia risolvere ex ante, liquidandolo sotto silenzio, il ‘fenomeno Don Adriano’ (mi si passi l’espressione e mi si consenta il legittimo dubbio) a Chi eventualmente verrà dopo di Lei nel 2019, Sua Eccellenza Nosiglia? Noi non lo permettiamo per nessun motivo e in alcun modo, sia ben chiaro. Se gli episcopi del Piemonte e Valle D’Aosta emanano una disciplina, abbiano almeno il coraggio di metterci la faccia, senza lavorare sottotraccia. E fino in fondo anche, anziché tirare la coperta già sbrindellata a coprire questo o quell’angolo del letto rimasto nudo. Sappiano altresì incontrare chi chiede delucidazioni e lumi, anziché fare scudo l’uno con l’altro, e rifugiarsi dietro tenui e inutili paraventi e tendine fatti per lo più di segretari e funzionari curiali sprovvisti della dovuta autorità per comporre la vicenda con buonsenso e altrettanto buongusto. Abbiamo bisogno di pastori antiasettici, perché la Chiesa ritrovi centralità nel mondo e nei cuori.

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Concludo pertanto riportando le sagge e benedette parole di Don Carmine Arice, Sacerdote appassionato e cordiale, nonché Padre Generale dell’Ordine di San Giuseppe Benedetto Cottolengo (incontrato a Torino di persona dal Sottoscritto il 9 Novembre 2018 proprio nel cortile centrale della sua Casa Madre) che interviene sulla questione, e su Don Adriano Gennari così riferisce: “Il Vangelo abbonda di preghiere di intercessione e di altrettante, straordinarie guarigioni. La storia della Chiesa ne è piena. Credo che la preoccupazione della CEP vada letta e inquadrata soprattutto nell’evitare che nella gente più semplice e fragile scatti l’equazione ‘preghiera uguale salute sempre riacquistata’, trasformando così di fatto le messe di guarigione in una sorta di effetto stimolo-risposta. Del confratello Don Adriano, che mi siede accanto a tavola ogni giorno, al di là delle solenni funzioni partecipate che correttamente officia, quel che più apprezzo è il ministero di consolazione. L’attenzione a coloro che nessuno più considera. Un ministero di ascolto che ha per oggetto in special modo gli ultimi più ultimi, la frangia più estrema dell’emarginazione della nostra società moderna che invece lui ascolta, consola, e indirizza nuovamente riportandoli tutti al Signore, e ricevendoli personalmente e singolarmente uno a uno come nessun altro fa“. Vescovi Illustrissimi, prendete esempio. E’ giunto il momento, questa volta, di un sano scatto d’orgoglio. Per ripartire, sulla scia del perdono cristiano, più forti e uniti di prima nel Signore Gesù. Per il bene della Chiesa e della comunità dei credenti. Lasciate dunque che il Santissimo passi ancora fra la gente. Proprio come al tempo del Vangelo.

Ossequioso,

Maurizio Scandurra.

 

 

Flash mob #GiùLeMani DallInformazione

Basta attacchi ai giornalisti. Gli insulti e le minacce di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista non sono soltanto l’assalto alla nostra categoria, ma rappresentano anche e soprattutto il tentativo di scardinare l’articolo 21 della Costituzione e i valori fondamentali della democrazia italiana. Una prima risposta pubblica agli attacchi del vicepremier Di Maio e di quanti pensano di poter ridurre al silenzio l’informazione italiana è fissata per domani, martedì 13 novembre 2018

La Federazione nazionale della Stampa italiana promuove il flash mob #GiùLeManiDallInformazione, aperto non soltanto ai giornalisti, ma anche a cittadini e associazioni che considerano l’informazione un bene essenziale per la democrazia. All’iniziativa ha già aderito il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Il flash mob si terrà in contemporanea, dalle 12 alle 13, nelle piazze dei capoluoghi di regione: a Torino l’appuntamento è alle 12 in piazza Castello, sotto i portici di fronte alla Prefettura. 

«Ritrovarsi in piazza contemporaneamente – spiega Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi – significa respingere tutti insieme attacchi volgari e inaccettabili contro l’informazione e i giornalisti. Ormai non si tratta più di episodi isolati, ma di azioni mirate a screditare una categoria di professionisti con lo scopo di disorientare l’opinione pubblica. Una forza politica, il Movimento 5 Stelle, che teorizza il superamento del Parlamento e della democrazia liberale ha messo nel mirino i giornalisti e gli editori perché per realizzare questo progetto bisogna togliere di mezzo tutti gli organismi intermedi e impedire ai cittadini di conoscere. Soltanto un’informazione debole, docile o assente può consentire alla disinformazione di massa, veicolata attraverso gli algoritmi e le piattaforme digitali, di prendere il sopravvento e di manipolare il consenso e le coscienze dei cittadini. È un disegno al quale bisogna opporsi con forza». 

Anche lo stakanovista Lulù Massa prima o poi raggiunge il paradiso

(Ri)parlare, teatralmente, di lavoro, che cosa strana. Andare a ricercare l’antica classe operaia, oggi affievolita, qualcuno azzarderebbe inesistente, prendere fiato e spinta e costruzione da quella Classe operaia va in paradiso – il punto centrale della “trilogia della nevrosi” – che Elio Petri (con in testa la sempiterna coppola) con l’aiuto fidato di Ugo Pirro scrisse e diresse nel 1971, premiato a Cannes con il Palmarès l’anno successivo – ex aequo con Il caso Mattei di Francesco Rosi: era l’epoca dei grandi nomi, dei nomi importanti e forti, del cinema che avvolgeva e faceva discutere, che si rispecchiava necessariamente nella società – e sgradito al pubblico e a molta critica all’uscita sui nostri schermi, giudicato eccessivo e sgradevole, sgradito a molta parte della sinistra più ferrea, tanto esasperante che “qualcuno non mancò addirittura di invocare il rogo di tutte le copie della pellicola”. Ritornare a quell’affresco di circa cinquant’anni fa, ha deciso Emilia Romagna Teatro, affidando la nuova scrittura a Paolo di Paolo e la regia a Claudio Longhi, rifotografare un’epoca senza incorrere (troppo) nell’uso dello spazio angusto dell’operazione archeologica, che non ci interesserebbe davvero più, ma controllare con gli occhi di oggi (con la nostra società) se vi possano essere dei ricordi, delle piccole tragedie, dei momenti grotteschi, delle scorie che ci ricordino quel Lulù Massa che aveva la faccia indimenticabile di Gianmaria Volonté.

Un racconto di operai e di pezzi prodotti, di pugni alzati e di scioperi, di padroni e di impiegati messi ad una spanna da te a contarti il tempo, di ideologie contrastanti, di un buongiorno dato dall’altoparlante ma solo per ricordarti che il sole non lo hai visto entrando in fabbrica e nemmeno lo vedrai uscendo, ore e ore chiuso lì dentro. Un sacerdote del cottimo, quel Lulù Massa lì, produrre produrre produrre, la sua personale lotta con il sindacato, i dissidi con i compagni di lavoro, la sua non vita con la Vanda, gli amplessi straveloci in macchina, con i piedi incollati contro il parabrezza, l’incidente con il dito mozzato, un’altra visione della vita e del lavoro, la consapevolezza di essere un ingranaggio tra i tanti, tra i tutti, di far parte della grande Macchina che ti schiaccia. La figura del crumiro, dello stakanovista a tutti i costi che abbraccia i diritti dei lavoratori. E in fondo al tunnel c’è il vecchio Militina, che ha già percorso tutta quanta la vecchia strada, con i suoi sogni di lucidità e di pazzia, con il suo paradiso intravisto e forse alla fine raggiunto. C’è la politica chiusa lì dentro, ma c’è anche la storia di un paese che non è scampata anche oggi a quei ritmi, magari li nasconde nei “lindi, asettici uffici dell’odierno proletariato dei call center” o nelle corse in bicicletta di quei ragazzi che armati di zaino ti recapitano la pizza a casa. E allora bisogna raccontarlo tutto quel mondo antico che si riallaccia con il presente – si è detto Paolo di Paolo, che certo abbandona l’idea della sintesi in questa sua Classe vista al Carignano per la stagione dello Stabile torinese e in scena sino al 18 novembre -, anche con il pericolo bulimico di immettere a forza immagini e suggestioni oltre il dovuto, di creare nuove scene o rimandi a una letteratura che scomoda il Memoriale di Volponi o il selezionatore Donnarumma di Ottieri, di ripercorrere più e più volte i titoli di coda del film o gli apporti della critica non benevola, le discussioni (con gli autori seduti su quelle poltrone care a Fantozzi) e la preparazione e la realizzazione del film, le atmosfere da cineforum, il “Rischiatutto” di Mike o i Tg del tempo, la chitarra e le canzoni, giù giù sino all’immancabile (e come potrebbe essere diversamente?) Charlot che tra un imbullonamento e l’altro scivola tra gli ingranaggi della macchina di Tempi moderni. Ma al di là dei disturbanti sottofinali, lo spettacolo, brechtiano come non se ne vedevano da anni, regge intelligentemente e lo si ammira sino in fondo, nel gioco colorato dei dialetti, per come Longhi si serve della macchina teatrale ideata da Guia Buzzi, con quel tapis roulant dove scorre la catena di montaggio, per come detta il ritmo dell’azione, per come regge la compagine degli attori, mai portati sul terreno instabile della macchietta o del già visto. A cominciare da Lino Guanciale. Che lontanissimo dagli exploit televisivi, qui costruisce il suo Lulù con tutta la maschera e il concreto della sfrontatezza, dell’idea sicura e affermata, della disperazione, della realtà agra e del sogno. È un tutt’uno con il personaggio, si annulla e si riafferma, piange e diverte, usa mezzi che non gli conoscevamo da attore dell’oggi e sicuramente del domani. Accanto a lui si segnalano la prove Franca Penone, visionaria Militina, di Diana Manea, la Vanda che nel film fu una strepitosa Melato, tutta ardori e recriminazioni, e di Simone Francia che con altri ruoli incide a tutto tondo soprattutto quello del crudele impiegato preposto a prendere i tempi di produzione: con Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Eugenio Papalia, Simone Tangolo e Filippo Zattini autore delle musiche e degli arrangiamenti compongono il successo della serata.

 

Elio Rabbione

 

Le immagini dello spettacolo sono di Giuseppe Distefano