redazione il torinese

Rai per molti ma non per tutti. Ecco dove manca il segnale

Sono circa 150mila gli abitanti del Piemonte che ad oggi non riescono a ricevere il segnale Rai Piemonte, circa il 13% della popolazione regionale considerata nell’indagine. Una cifra che sale al 19% per le aree montane e collinari

 

 Questo il dato emerso dall’ultimo monitoraggio promosso dal Corecom Piemonte e al quale hanno risposto 423 Comuni, in rappresentanza di 1.157.237 abitanti. L’indagine rivela inoltre che le aree più critiche sono rappresentate dal Cuneese (in particolare l’Alta langa), la Valle Elvo (nel Biellese) e le Valli del Monviso.  “Il Corecom, anche attraverso monitoraggi periodici, continua ad essere il punto di riferimento per i cittadini e per gli enti locali che lamentano la mancanza di un servizio pubblico fondamentale. L’incontro di oggi vuole essere quindi l’occasione per confrontarci con la Rai e i rappresentanti del territorio allo scopo di trovare possibili soluzioni”. Questo il punto di partenza per il presidente del Comitato regionale per le Comunicazioni (Corecom) del Piemonte Alessandro De Cillis, anche vice presidente nazionale Corecom e delegato al tavolo Tv 4.0 presso il Mise, aprendo a Palazzo Lascaris la conferenza stampa “Segnale Rai: segnali di speranza?” in merito alla terza indagine sulla qualità percepita del segnale Rai in Piemonte. “In una epoca in cui siamo costantemente impegnati sul fronte della lotta alle fake news – spiega De Cillis – il servizio giornalistico di qualità garantita diventa un punto di riferimento necessario. La rai sul territorio rappresenta una sentinella della corretta informazione” Un problema importante sottolineato anche dal presidente del Consiglio regionale Nino Boeti, che ritiene “incomprensibile come nel mondo interconnesso di oggi a livello globale esistano ancora dei territori che non riescono a vedere le trasmissioni Rai regionali”. I dati illustrati riguardano il terzo monitoraggio condotto dal Corecom con l’obiettivo di conoscere le aree del territorio con problemi di ricezione del segnale Rai, in particolare quelle legate alla ricezione dei canali diffusi dagli impianti multiplex della televisione digitale terrestre (Mux 1) che permettono di trasmettere Rai 1, Rai 2, Rai 3 – Piemonte, Rai News. Dalla ricerca emerge che gli impianti di diffusione comprendenti l’offerta completa dislocati sul territorio sono ventotto, centodieci quelli che diffondono il segnale regionale. Gli impianti gestiti da Comuni e Unioni di Comuni dedicati esclusivamente alla diffusione del segnale regionale ammontano a centocinquantanove. Obiettivo finale della ricerca è stato quello di fornire una mappatura pubblica delle zone di copertura del segnale e degli impianti proponendo in sinergia a Regione, Enti locali e Rai un piano di interventi volto ad ampliare la copertura del segnale. Filippo Lucci, presidente coordinamento nazionale dei Corecom e del CorecomAbruzzo, ha ricordato come la tematica riguardi la democrazia di un Paese e la possibilità di sviluppo di un territorio e ha ribadito: “siamo in una fase sociale nella quale l’informazione è il fondamento su cui costruire la democrazia – ha spiegato Lucci, presidente coordinamento nazionale dei Corecom e del Corecom Abruzzo – La centralità dell’informazione qualificata rende sempre più necessario il ruolo di una emittente autorevole, ma non è secondaria la necessità di individuare le risorse, anche a livello regionale, per sostenere i Comuni nella sostituzione o nel rinnovo degli impianti.” Roberto Serafini, Arturo Baglioni e Valerio Santoro (servizi broadcast e gestione frequenze Rai) hanno invece confermato che entro il 2020 le coperture del segnale Rai regionale sono destinate a migliorare grazie al passaggio al digitale terrestre. Hanno inoltre partecipato all’incontro Roberto Colombero (Uncem Piemonte), Alberto Avetta (Anci Piemonte) ed Ezio Torasso (Ray Way). A conclusione della conferenza è intervenuto il consigliere regionale segretario Gabriele Molinari che si è detto pronto ad accogliere le istanze provenienti dal territorio ma ha rilevato anche come la crescita tecnologica non abbia ancora trovato una equivalente risposta sul piano normativo.

 

(foto:  il Torinese)

I Negramaro e il supergruppo I Hate My Village

Gli appuntamenti musicali della settimana

Lunedì. Al Milk suona il gruppo jazz l’Icefire 4 tet.

Martedì. Al Camarillo Brillo si esibisce il Max Gallo Trio.

Mercoledì. Al Jazz Club è di scena il trio dell’armonicista Big Harp. All’Osteria Rabezzana, Sergio Berardo dei Lou Dalfin suona in coppia con Simone Campa leader de La Paranza del Geco.

Giovedì. Al Circolo della Musica di Rivoli suona il supergruppo I Hate My Village, formato da membri dei Calibro 35 , Verdena e Bud Spencer Blues Explosion. Al Blah Blah si esibiscono i Larsen mentre al Folk Club è di scena il quartetto del sassofonista statunitense Rick Margitza. All’Off Topic si esibisce An Early Bird. Al Jazz Club suona l’Omnisphere Quartet.

Venerdì. Al Magazzino di Gilgamesh si esibisce il bluesman Rollo Markee. Al Concordia di Venaria è di scena Noyz Narcos. Al Blah Blah suona Lu Silver con la String Band mentre all’Hiroshima Mon Amour si esibiscono i Manitoba. Al Jazz Club è di scena il Gospel Book Revisited.

Sabato. Al Pala Alpitour arrivano i Negramaro. Al Jazz Club suona il Gumbos Jazz Trio. Al Teatro Colosseo I Musicanti tributano in chiave teatrale le canzoni di Pino Daniele. Alla Suoneria di Settimo si esibisce l’ex Modena City Ramblers Cisco. Da segnalare fuori zona ad Aosta al Teatro Splendor, la cantante del Mali Fatoumata Diawara.

Domenica. All’Hiroshima Mon Amour è di scena il rapper Ketama 126.

 

Pier Luigi Fuggetta

Sui binari verso le Alpi

I binari del treno ghiacciati si protendono in direzione Alpi. La foto, scattata nei pressi del parco Ruffini di Torino, è di Mario Alesina.

Il “breviario Jugoslavo” di Predrag Matvejević

I Balcani sono la polveriera d’Europa, ma restano anche il barometro di quello che è l’Europa… Resto convinto che ora che i nazionalisti hanno portato tutti i popoli alla rovina, toccherà a noi salvare il salvabile

 

 Parole nette e chiare, tratte da uno dei colloqui di Predrag Matvejević con il giornalista Tommaso Di Francesco, pubblicati in “Breviario Jugoslavo” da Manifestolibri. Scrittore e accademico, nato a Mostar da padre russo di Odessa e da madre croata, Matvejević amava definirsi jugoslavo. Intellettuale finissimo e dalla scrittura chiara e potente, ha insegnato letteratura francese all’Università di Zagabria, letterature comparate alla Sorbona di Parigi ed è stato ordinario di slavistica all’Università la Sapienza di Roma e al Collège de France. Era una delle menti più lucide e appassionate, europeo dei Balcani fino al midollo. Il destino terribile della sua Jugoslavia, dissoltasi nel sangue dei conflitti dell’ultima “decade malefica” del ‘900. era probabilmente il dolore più grande che avvertiva la sua coscienza. E non fece mai nulla per nasconderlo. In una intervista diceva, tra le altre cose “la Jugoslavia semplicemente non doveva esistere più,non contava più. E perché non contava? Per loro ( Europa e Occidente, ndr) era stato “solo” un paese non allineato, che poteva rappresentare un equilibrio che conveniva agli uni e agli altri. Troppo al di sopra delle parti. Così questo paese tampone, questo mondo-tampone è stato azzerato nella percezione dell’Europa occidentale. Eppure finché esistevano questi paesi non allineati non esisteva nei paesi arabi il fondamentalismo feroce, non esistevano nell’ex Jugoslavia i nazionalismi micidiali. Era un mondo che veniva dalla subalternità al colonialismo, compresa la ex Jugoslavia sottoposta all’Austria come una parte dell’Italia nel corso della sua storia. Erano paesi che avevano un’esperienza storica comune, aspiravano ad un socialismo diverso. Facevano insieme l’equilibrio del mondo. Finito il non allineamento la Jugoslavia non serviva più. Lasciamola ai suoi demoni, devono aver pensato in Europa e negli Usa, ai demoni del peggior nazionalismo. E’ quello che è stato fatto”. Un “J’Accuse” lucido, duro. In “Breviario Jugoslavo” i pensieri di Matvejevic sul destino e i drammi del suo Paese vengono ripercorsi attraverso il lungo rapporto che lo scrittore, autore del fondamentale Breviario mediterraneo, ha avuto con il manifesto, quotidiano del quale Tommaso Di Francesco è condirettore. Dall’incontro personale con Rossana Rossanda, ai suoi contributi diretti sul giornale, alle tante interviste in occasione della pubblicazione dei suoi preziosi testi, tra cuiTra asilo ed esilio (1998), Il Mediterraneo e l’Europa (1999), Pane nostro (2010). Fino ai molti colloqui sui difficili momenti della crisi che si è consumata nei Balcani: dalla beatificazione del cardinale Stepinac alla proclamazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo nel febbraio 2008, all’arresto di Milosevic e poi di Karadzic, all’incredibile assoluzione del criminale croato Ante Gotovina, alla piena del Danubio dell’aprile 2006. Un libro piccolo nel formato ma grande nei contenuti e nelle riflessioni che propone. Si legge d’un fiato ma poi obbliga alla rilettura, al ripensamento di tante e tali vicende che – come molta parte della storia balcanica – parlano non tanto a quei lembi di terra ma all’intera Europa di oggi. A patto che non si rimanga sordi ai moniti e ciechi di fronte alla realtà. Quando conobbi Matvejević parlammo a lungo di Mostar, dell’Erzegovina, della storia della città del ponte che unisce le due rive della Neretva. E di quanto era cambiata, delle speranze che non erano morte, delle possibilità che rimanevano per un riscatto della convivenza sul delirio delle divisioni imposte da chi disprezzava la vita badando solo al potere. Era in una certa misura ottimista, un ottimismo della volontà di un uomo che vedeva nell’Europa una madre che avrebbe ridato ai suoi figli rissosi la giusta collocazione all’interno della grande famiglia del continente. L’Europa. Come qualcuno ha scritto con acume “ non era solo il futuro, ma la costruzione politica che avrebbe risolto i problemi del passato. E lui insisteva sul fatto che il Mediterraneo ed i suoi simboli, come appunto il pane, potevano essere il punto di partenza per una nuova cultura dell’uomo veramente europeo”. E immaginava un’ Europa ben diversa da quella che erige muri, srotola fili spinati, rifiuta l’altro senza pensare, egoisticamente, che in fondo è solo l’immagine di se stessa con più disperazione, fame e paura. 

Marco Travaglini

Il "breviario Jugoslavo" di Predrag Matvejević

I Balcani sono la polveriera d’Europa, ma restano anche il barometro di quello che è l’Europa… Resto convinto che ora che i nazionalisti hanno portato tutti i popoli alla rovina, toccherà a noi salvare il salvabile
 
 Parole nette e chiare, tratte da uno dei colloqui di Predrag Matvejević con il giornalista Tommaso Di Francesco, pubblicati in “Breviario Jugoslavo” da Manifestolibri. Scrittore e accademico, nato a Mostar da padre russo di Odessa e da madre croata, Matvejević amava definirsi jugoslavo. Intellettuale finissimo e dalla scrittura chiara e potente, ha insegnato letteratura francese all’Università di Zagabria, letterature comparate alla Sorbona di Parigi ed è stato ordinario di slavistica all’Università la Sapienza di Roma e al Collège de France. Era una delle menti più lucide e appassionate, europeo dei Balcani fino al midollo. Il destino terribile della sua Jugoslavia, dissoltasi nel sangue dei conflitti dell’ultima “decade malefica” del ‘900. era probabilmente il dolore più grande che avvertiva la sua coscienza. E non fece mai nulla per nasconderlo. In una intervista diceva, tra le altre cose “la Jugoslavia semplicemente non doveva esistere più,non contava più. E perché non contava? Per loro ( Europa e Occidente, ndr) era stato “solo” un paese non allineato, che poteva rappresentare un equilibrio che conveniva agli uni e agli altri. Troppo al di sopra delle parti. Così questo paese tampone, questo mondo-tampone è stato azzerato nella percezione dell’Europa occidentale. Eppure finché esistevano questi paesi non allineati non esisteva nei paesi arabi il fondamentalismo feroce, non esistevano nell’ex Jugoslavia i nazionalismi micidiali. Era un mondo che veniva dalla subalternità al colonialismo, compresa la ex Jugoslavia sottoposta all’Austria come una parte dell’Italia nel corso della sua storia. Erano paesi che avevano un’esperienza storica comune, aspiravano ad un socialismo diverso. Facevano insieme l’equilibrio del mondo. Finito il non allineamento la Jugoslavia non serviva più. Lasciamola ai suoi demoni, devono aver pensato in Europa e negli Usa, ai demoni del peggior nazionalismo. E’ quello che è stato fatto”. Un “J’Accuse” lucido, duro. In “Breviario Jugoslavo” i pensieri di Matvejevic sul destino e i drammi del suo Paese vengono ripercorsi attraverso il lungo rapporto che lo scrittore, autore del fondamentale Breviario mediterraneo, ha avuto con il manifesto, quotidiano del quale Tommaso Di Francesco è condirettore. Dall’incontro personale con Rossana Rossanda, ai suoi contributi diretti sul giornale, alle tante interviste in occasione della pubblicazione dei suoi preziosi testi, tra cuiTra asilo ed esilio (1998), Il Mediterraneo e l’Europa (1999), Pane nostro (2010). Fino ai molti colloqui sui difficili momenti della crisi che si è consumata nei Balcani: dalla beatificazione del cardinale Stepinac alla proclamazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo nel febbraio 2008, all’arresto di Milosevic e poi di Karadzic, all’incredibile assoluzione del criminale croato Ante Gotovina, alla piena del Danubio dell’aprile 2006. Un libro piccolo nel formato ma grande nei contenuti e nelle riflessioni che propone. Si legge d’un fiato ma poi obbliga alla rilettura, al ripensamento di tante e tali vicende che – come molta parte della storia balcanica – parlano non tanto a quei lembi di terra ma all’intera Europa di oggi. A patto che non si rimanga sordi ai moniti e ciechi di fronte alla realtà. Quando conobbi Matvejević parlammo a lungo di Mostar, dell’Erzegovina, della storia della città del ponte che unisce le due rive della Neretva. E di quanto era cambiata, delle speranze che non erano morte, delle possibilità che rimanevano per un riscatto della convivenza sul delirio delle divisioni imposte da chi disprezzava la vita badando solo al potere. Era in una certa misura ottimista, un ottimismo della volontà di un uomo che vedeva nell’Europa una madre che avrebbe ridato ai suoi figli rissosi la giusta collocazione all’interno della grande famiglia del continente. L’Europa. Come qualcuno ha scritto con acume “ non era solo il futuro, ma la costruzione politica che avrebbe risolto i problemi del passato. E lui insisteva sul fatto che il Mediterraneo ed i suoi simboli, come appunto il pane, potevano essere il punto di partenza per una nuova cultura dell’uomo veramente europeo”. E immaginava un’ Europa ben diversa da quella che erige muri, srotola fili spinati, rifiuta l’altro senza pensare, egoisticamente, che in fondo è solo l’immagine di se stessa con più disperazione, fame e paura. 

Marco Travaglini

Venezia armena

Cielo grigio e foschia avvolgono l’oasi armena davanti a Venezia, là dove anche Lord Byron soggiornò per studiare l’armeno. È l’isola di San Lazzaro degli Armeni, a venti minuti di vaporetto da San Marco, un pezzo d’Oriente trapiantato in laguna

È domenica: alle 11 del mattino nove monaci cattolici, siriani, libanesi e georgiani, negli abiti sacri orientali, celebrano la messa nel rito armeno cattolico. Sono i monaci discendenti degli armeni che fuggirono dalla propria terra all’inizio del Settecento a causa dell’invasione dei turchi ottomani. Giunti a Venezia, il doge donò loro un’isola di 7000 metri quadrati, un fazzoletto di terra che da tre secoli è l’isola degli armeni. Anticamente era un lebbrosario, un lazzaretto, da cui l’isola prese il nome e nel 1717 fu regalata dalla Repubblica di Venezia a un gruppo di religiosi fuggiti dall’Armenia a Modone in Morea (Peloponneso) che i turchi stavano strappando al dominio veneziano. Costretti a scappare anche dalla Morea raggiunsero Venezia. Per alcuni anni si sistemarono nei dintorni dell’Arsenale e in seguito ottennero l’isolotto davanti al Lido. Con l’abate Mechitar, fondatore della Congregazione mechitarista, dell’Ordine Benedettino, l’isola divenne un centro di cultura e di scienza con l’obiettivo di preservare la lingua, la letteratura e le tradizioni del popolo armeno. Furono costruiti un monastero, una chiesa, un chiostro, e poi sorsero una tipografia che stampa in 35 lingue diverse e una grande biblioteca che contiene oggi decine di migliaia di volumi, di cui 4.500 antichissimi manoscritti, quadri e arazzi fiamminghi, oggetti arabi, assiro-babilonesi, indiani ed egiziani, tra cui la mummia di Nehmeket del 10 secolo avanti Cristo. Un cortile interno, tappezzato di fotografie e diapositive, ricorda il terribile genocidio del 1915, quando un milione e mezzo di armeni furono deportati e sterminati dai turchi. Neppure Napoleone osò ferire l’oasi armena. Il complesso sopravvisse all’arrivo del generale francese che fece distruggere i monasteri veneziani ma salvò quello di San Lazzaro perchè lo considerò un’accademia di scienze. Venezia è molto legata alla cultura armena. Per esempio, l’albicocca è chiamata anche “armelin”, frutto armeno, e i frati isolani coltivano in giardino molte rose usate per produrre la “vartanush”, una marmellata di petali di rosa, tipica ricetta dell’Armenia. A Venezia c’è anche un altro luogo di culto armeno: è la chiesa di Santa Croce degli armeni (sestiere San Marco), con funzioni religiose celebrate solamente l’ultima domenica di ogni mese. Arrivare a San Lazzaro è facile, senza bisogno di prenotare. Dall’imbarco di San Zaccaria, lungo Riva degli Schiavoni, vicino a San Marco, si prende la linea 20. Ogni giorno alle 15,30 c’è la visita guidata al monastero, con partenza alle 15.00 da San Zaccaria. Chi vuole assistere alla messa della domenica in lingua armena, per curiosità e per scoprire il fascino della spiritualità di questi padri, deve prendere il vaporetto alle 10,30 (la funzione comincia alle 11.00). In quest’ultimo caso capita di essere soli sul vaporetto, insieme al comandante e ai gabbiani che ci accompagnano sull’isolotto. Soli anche in chiesa, tra le antiche e misteriose mura del monastero, insieme ai monaci arrivati dall’Oriente e all’infinito silenzio della laguna.

Filippo Re

 

Avvisaglie di primavera ma c’è il rischio valanghe

Avvisaglie di primavera in Piemonte, con massime tra venerdì e sabato di quasi  20 gradi in pianura e collina. In montagna lo zero termico è a quota 3.000.  Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale)  informa che l condizioni sono favorevoli all’aumento del rischio di valanghe di neve bagnata. Venerdì a  Saliceto (Cuneo)  si è registrata una massima di 18.8 gradi, a Verolengo (Torino) 17.9, a Front Canavese 17. A Torino città il termometro è salito a 16.3. Il bel tempo con temperature al di sopra della norma dovrebbe durare almeno fino all’inizio di marzo, secondo le previsioni.

Avvisaglie di primavera ma c'è il rischio valanghe

Avvisaglie di primavera in Piemonte, con massime tra venerdì e sabato di quasi  20 gradi in pianura e collina. In montagna lo zero termico è a quota 3.000.  Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale)  informa che l condizioni sono favorevoli all’aumento del rischio di valanghe di neve bagnata. Venerdì a  Saliceto (Cuneo)  si è registrata una massima di 18.8 gradi, a Verolengo (Torino) 17.9, a Front Canavese 17. A Torino città il termometro è salito a 16.3. Il bel tempo con temperature al di sopra della norma dovrebbe durare almeno fino all’inizio di marzo, secondo le previsioni.

Volpiano, 20mila euro di libri

Disposto l’acquisto di volumi per ragazzi e per il patrimonio librario generale

Il Servizio culturale del Comune di Volpiano ha disposto l’acquisto di libri per la biblioteca comunale e l’Informagiovani, per un importo di 20mila euro nel biennio 2019-2020, con l’obiettivo di soddisfare le esigenze della popolazione attraverso l’aggiornamento dei testi da destinare al prestito e alla consultazione. Gli acquisti sono destinati a volumi per la sezione ragazzi, per 2mila euro all’anno, e per il patrimonio librario generale, da selezionare in base alle novità, alle statistiche di lettura e gradimento, e alla possibilità di disporre di materiali per ipovedenti e per la comunicazione aumentativa. La sede di via Carlo Botta ospita le sezioni ragazzi, giovani e adulti della biblioteca, lo spazio dedicato all’Informagiovani con libri per la preparazione a test universitari e concorsi, le guide di viaggio e due postazioni Internet; il patrimonio librario ammonta a25mila volumi, nel 2018 i prestiti sono stati poco meno di 14mila e gli utenti attivi 1.800.