Capitale della cultura, luogo privilegiato dove storia, letteratura e arte si incontrano, Torino è un punto di riferimento intellettuale, un magico scenario che ha ispirato penne illustri dando vita a opere meravigliose e famose, scritture dove vite celebri e comuni si incrociano
La città ha ispirato autori celebri come Primo Levi, Erasmo da Rotterdam, Torquato Tasso, Jean-Jacques Rousseau, Emilio Salgari, Natalia Ginzburg, Italo Calvino, Cesare Pavese, ha incantato personaggi come Nietzsche: “E l’aria: secca, energizzante, allegra… il primo luogo in cui sono possibile!”, letterati come Italo Calvino: “Torino è una città che invita al rigore, alla linearità, allo stile. Invita alla logica, e attraverso la logica apre alla follia”. L’eleganza della città, le sue piazze signorili e imponenti, i caffè raffinati, il fermento garbato, il Liberty, il Barocco, la magia, il mistero, tutto a Torino ispira, crea suggestioni positive, slanci creativi che inevitabilmente portano alla produzione di grandi opere. “Profonda” diceva De Chirico, “seconda a nessun’altra per magnificenza” secondo Gogol, uno dei più grandi autori della letteratura russa. Questo fervore ha dato vita a numerosi testi che vedono Torino come sfondo, come scenografia di storie che ci hanno appassionato, emozionato e fatto guardare la città con occhi diversi.
Il Libro Cuore di Edmondo De Amicis, il suo capolavoro, un libro per ragazzi ma apprezzato da tutti, in una Italia appena unita il diario di un bambino racconta l’amore per la patria, il rispetto per i genitori, lo spirito di sacrificio, la carità, l’obbedienza.
La solitudine dei numeri primi è il libro di debutto di Paolo Giordano, giovane autore torinese e vincitore del Premio Strega e Campiello. Un romanzo che racconta la storia di due giovani le cui vite sono state segnate da dolorose vicende della loro infanzia. Torino non è menzionata, ma tanti sono i luoghi citati come la Gran Madre o la Basilica di Superga. Al libro è ispirato l’omonimo film.
Il cimitero di Praga. Ambientato tra Torino, Parigi e Palermo è il sesto romanzo di Umberto Eco. Il capitano Simone Simonini, il protagonista di fantasia dell’opera e trait-d’union con gli altri personaggi, è un falsario cinico del XIX secolo, gli altri attori sono invece figure storiche del Risorgimento realmente esistite. Un libro che racconta di insurrezioni, rivolte, congiure.
La Casa in Collina Ambientato a Torino e nelle zone circostanti è uno dei più bei romanzi di Cesare Pavese. Una storia che affronta il problema della solitudine durante Seconda Guerra Mondiale, ma anche l’impegno civile, la pace interiore, la fuga, i sensi di colpa di Corrado il protagonista. Può essere considerato l’espressione del momento più maturo professionalmente dello scrittore piemontese.
Lessico Famigliare Gesti, comportamenti, episodi e soprattutto frasi della vita quotidiana dei Levi una famiglia ebrea e antifascista che vive nella Torino degli anni ’30. I ricordi, la lontananza, il disperdersi della famiglia a causa della guerra raccontati dall’interno da Natalia Ginzburg. Un libro-testimonianza che si è aggiudicato il Premio Strega nel 1963.
La giornata d’uno scrutatore. Italo Calvino narra la storia di Amerigo Ormea, intellettuale comunista, il cui scopo è quello di impedire che le persone incapaci di intendere e di volere vengano influenzate da religiosi a votare per la DC, si svolge tutto in un giorno in una sede unica: il Cottolengo di Torino. E’ un libro autobiografico il cui protagonista è l’alter ego dell’autore. Calvino ha impiegato molto tempo per scrivere questo libro, dal ’53 al ’63, non per una ricerca della perfezione, ma per l’impossibilità di scrivere sull’argomento in piena libertà.
Torino è casa mia. “Torino è Torino. Non è una città come un’altra” dice l’autore Giuseppe Culicchia e “aprire questo libro è un po’ come entrare in casa nostra. Mia. Vostra”.
Lo scrittore paragona Torino alla sua casa con “un ingresso, la stazione di Porta Nuova, una cucina, il mercato di Porta Palazzo, un bagno, il Po, e poi naturalmente il salotto di Piazza San Carlo, e quel terrazzo che è il Parco del Valentino, e il ripostiglio del Balon, e una quantità di altre cose e di altre storie”.
Oltre a questi opere, sicuramente tra le più note, ce ne sono molte altre che vedono la Città della Mole come meravigliosa protagonista:
Il Fantasma di Piazza Statuto, di Massimo Tallone, La Donna della domenica e A che punto è la notte di Fruttero – Lucentini, Torino Parallela di Baricco – Sterling, La Fratellanza della Sacra Sindone di Julia Navarro, La Commedia Torinese: Vicende di una eredità letteraria di Michael Krüger e davvero tanti altri.
Maria La Barbera

Non si trattava solo dell’eco del movimento studentesco e della percezione, quasi palpabile, del montante malessere operaio che sarebbe poi esploso nell’autunno caldo. A scuotere le fronde del partito che Luigi Longo aveva ereditato da Togliatti era un certo venticello di dissenso che già si era manifestato con alcune battaglie per la democrazia interna al partito e una diversa idea sul “modello di sviluppo“, mosso da un gruppo di compagni più a sinistra, vicini a Pietro Ingrao, in contrapposizione alla componente più “moderata” del partito, capeggiata da Giorgio Amendola. Da poco era uscita una rivista mensile, diretta da Lucio Magri e da Rossana Rossanda: “Il Manifesto”. Il contrasto con la linea del partito diventò piuttosto forte, al punto che il PCI ne chiese la sospensione delle pubblicazioni. Ma ormai il treno de Il Manifesto era in piena corsa e non poteva più essere fermato. Così, durante una drammatica riunione del Comitato Centrale, in una fredda giornata di fine di novembre del 1969 , il gruppo dirigente comunista deliberò la radiazione per Rossana Rossanda, Luigi Pintor e Aldo Natoli con l’accusa di “frazionismo“. Nei confronti di Lucio Magri venne adottato solo un provvedimento amministrativo mentre a Massimo Caprara (che dal 1944 e per vent’anni era stato il segretario personale di Togliatti), Valentino Parlato e Luciana Castellina non venne rinnovata la tessera. Ciò che si muoveva dentro e attorno al giornale, che diventò successivamente un “quotidiano comunista”, si trasformò in breve in formazione politica autonoma alla sinistra del PCI. Anche in Val d’Ossola la battaglia politica generò scontri molto duri, dividendo e mettendo gli uni contro gli altri compagni e amici da lunga data. Per i due fratelli Bentinelli di Villadossola si trattò di un vero dramma famigliare. Da una parte Libero, il maggiore tra i due, militante severo e indisponibile a critiche e compromessi, e dall’altra Nandino, un pò più giovane, testardo come un mulo e “scaldatissimo” nel sostenere le ragioni del dissenso. Tanto tuonò che piovve e così anche il più giovane dei Bentinelli si trovò espulso da quella che era la sua seconda famiglia. I due fratelli arrivarono al punto d’ignorarsi e se proprio capitava che si trovassero uno di fronte all’altro, facevano finta di non conoscersi. Per alcuni mesi andarono avanti così, ignorandosi e tenendosi il broncio.Libero continuava a frequentare le riunioni della sezione del Pci, alla Lucciola.Nandino, a parte qualche serata con due o tre compagni di Domodossola e Varzo che condividevano le stesse idee, usciva raramente da casa. Con il tempo però la nostalgia per quelle discussioni che infiammavano le serate tra le quattro mura della sede per poi trasferirsi alla Casa del Popolo o al bar “Monte Rosa” si fece sentire. A Libero rodeva l’anima pensare ai suoi ormai ex-compagni che si riunivano anche due volte alla settimana, mentre lui era lì, solo con il suo orgoglio che non gli consentiva di recedere dalle posizioni che aveva preso anche se non era poi del tutto convinto di aver fatto la scelta giusta. Il dubbio s’insinuava e l’umore ne risentiva. Ogni giorno che passava Nandino s’adombrava sempre più, assumendo l’atteggiamento scontroso di chi aveva, come s’usava dire, “le balle girate” e questo lo rendeva quasi irriconoscibile anche agli occhi di chi gli era più vicino .Libero, interpellato da sua cognata sulla possibilità del rientro del fratello nelle file del partito, rispose che la cosa era fattibile ma che occorreva da parte di Nandino una “bella autocritica”, per dare ragione dell’errore fatto e del conseguente ravvedimento.Il fratello però non ne voleva sapere di cospargersi il capo di cenere. “Piuttosto che ammettere l’errore vado da Don Gaspare ad offrirmi come sacrestano”,diceva rosso in volto, alzando il tono della voce. E l’esempio, per un mangiacristiani come lui, doveva bastare a tacitare ogni supplica di ravvedimento. Ma ben presto la nostalgia si trasformò in invidia e quel tarlo si mise a lavorare nella sua testa finché decise che era giunto il momento di agire.Una sera di metà luglio, armato di cacciavite, s’avvicinò allo stabile della Lucciola senza farsi notare. Nel caseggiato che ospitava il magazzino delle attrezzature della Festa de L’Unità e al piano superiore la sezione del Pci, era in corso la riunione settimanale. Nello spiazzo erano posteggiate sette o otto auto, un paio di Vespe e la bicicletta di Libero. Nandino, avvelenato da un misto d’invidia e rancore per il fatto che “quelli” si riunivano mentre a lui toccava rimaner fuori, decise di bucar loro tutte le gomme. L’aria della sera era ancora calda e le finestre della sezione aperte. Renato, affacciatosi per fumare una sigaretta, udì degli strani fischi provenire dal basso. Si sporse un po’ di più e, intravvedendo un’ombra aggirarsi tra le auto, avvertì gli altri. “C’è qualcosa che non va di sotto. Ho sentito dei rumori strani e mi è parso di vedere qualcuno”, disse allarmato. Scesero rapidamente le scale e lo spettacolo che si presentò agli occhi dei militanti del Pci lasciò tutti senza parole: le auto avevano le gomme a terra, bucate dal cacciavite. E così anche le Vespe. Nandino, colto alla sprovvista, si era nascosto nella siepe ma venne scovato quasi subito. Condotto sotto il porticato, finì con il trovarsi proprio davanti al fratello e non trovando niente di meglio da dire per giustificarsi gli sussurrò con voce affranta “A te la bici però non l’ho neanche toccata”. Una bugia che mostrò subito d’avere le gambe corte poiché la vecchia Atala di Libero aveva subito la stessa sorte, con entrambe le gomme sgonfie, tristemente afflosciate. Solo l’autorevolezza del fratello maggiore impedì a Nandino di buscarsi un sacco di legnate. E la spiegazione che accompagnò il risarcimento dei danni, placò gli animi. In fondo l’invidia di Nandino, figlia dell’orgoglio e della sua testa dura, era frutto di un disperato bisogno di stare con gli altri, con i suoi compagni di sempre e non trovando il modo giusto per tornare sui suoi passi senza rimetterci la faccia,aveva pensato di “punirli” con quella bravata. La storia finì con il ritorno del “figliol prodigo” per il quale non venne sacrificato il vitello più grasso ma assegnato il compito gravoso di fare i turni di vigilanza notturna all’imminente Festa de L’Unità. Così avrebbe avuto modo di pensare a ciò che aveva fatto e, già che c’era, far buona guardia affinchè nessuno – a mani nude o con qualche cacciavite- potesse aveve la tentazione di giocare qualche brutto scherzo.



