redazione il torinese

Ruspante pasta e fagioli rustica

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Una ricetta genuina, amata da tutti;  tante sono le varianti che si tramandano secondo le ricette di famiglia

Un sano piatto della tradizione dal sapore antico, nutrizionalmente completo, economico e appagante. Una ricetta genuina, amata da tutti;  tante sono le varianti che si tramandano secondo le ricette di famiglia, questa e’ la versione di casa mia.

 

Ingredienti:

 

300gr. di fagioli secchi di Saluggia o Borlotti

1 cipolla

1 carota

1 patata

1 costa di sedano

1 spicchio di aglio

1 pomodoro

1 foglia di alloro

1 crosta di parmigiano

1 rametto di rosmarino

1 ciuffo di prezzemolo

100gr. di tagliatelle all’uovo spezzettate

Sale, olio evo q.b.

 

Mettere in pentola a pressione i fagioli secchi e tutte le verdure precedentemente lavate, coprire con acqua fino alla tacca, aggiungere la crosta di parmigiano e poco sale. Cuocere almeno 1 ora dal fischio. Lasciar raffreddare, eliminare la crosta di parmigiano, passare tutte le verdure e parte dei fagioli al passaverdure. In un tegame, preferibilmente di coccio, mettere il passato allungato con due mestoli di acqua, cuocere la pasta per il tempo necessario, spegnere il fuoco, aggiungere i fagioli rimasti, aggiustare di sale e lasciar riposare per almeno tre ore. Servire calda irrorata con un filo di olio crudo. Una semplice bonta’.

 

Paperita Patty

La street art a Torino

Torino è la capitale del Liberty, una magnifica rappresentante di capolavori in stile Barocco, la sua conformazione a “scacchiera” di origine romana contiene e accoglie capolavori di Juvarra, Guarini, Castellamonte, splendori come il Palazzo Reale, Palazzo Madama ma anche opere dallo stile eclettico più recenti come la Mole Antonelliana, simbolo della città e uno tra i più emblematici d’Italia

Torino tuttavia non è solo un glorioso passato, non ha ispirato esclusivamente artisti lontani nel tempo, è un centro moderno, vivace, colorato, detentore di un patrimonio artistico culturale attuale e contemporaneo.

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La città della Gran Madre è un brillante esempio di Arte Urbana, dopo gli anni 2000 questa espressione artistica infatti, spesso praticata per motivi personali, come critica, manifestazione di dissenso o di rivendicazione sociale, è decollata riqualificando molti aree cittadine, valorizzando superfici grigie e anonime, dando inoltre la possibilità a molti artisti di avere uno spazio espositivo vastissimo, una vetrina enorme dove le immagini parlano, a volte urlano.

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Tra le più famose rappresentazioni di questa giovane arte c’è il Murale Thyssenkrupp – Corso Valdocco – che ricorda la tragedia del 2007: un orologio digitale con la data e l’ora della strage, fiamme, i nomi delle vittime. A Via Farini, al Palazzo Nuovo un collettivo di artisti ne ha realizzato uno immenso e verticale che raffigura attraverso corpi e simboli il malessere attuale della società,

un ex magazzino industriale – in Corso Tortona 52 – trasformato in un Centro Culturale: dallo stato di abbandono all’energia, le bellissime opere di Millo a Barriera di Milano si collocano all’interno dell’iniziativa B.Art “Habitat” , un concept unico che ha come filo conduttore il rapporto tra uomo tessuto urbano.

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La Street Art è una straordinaria espressione artistica capace di regalare emozioni forti, comunicare scontento sociale, regalare vitalità, dipingere le città creando musei a cielo aperto disponibili e visibili da tutti, opere da contemplare senza fretta, manifestazioni di talento puro, di passione, creatività.

Su Inkmap.it, un progetto dell’Associazione Il Cerchio E Le Gocce, troviamo una mappa-percorso che ci indica i murales presenti in città, un suggestivo e interessante viaggio all’interno di una arte adolescente, ma fortemente impattante comunicativa, un linguaggio ecumenico ed intenso che ci racconta storie, entusiasmi e malcontenti.

 

Maria La Barbera

 

(Foto Museo Torino)

 

 

 

 

 

 

 

Il bacio nell’arte, romanticismo e passione

“Il bacio è immortale. Viaggia da un labbro all’altro, da secolo a secolo, di età in età” diceva Guy de Maupassant, da tela a tela potremmo aggiungere, per mano di quegli artisti che hanno voluto ritrarre la magia, la passione e l’incanto del gesto più romantico di sempre. Nella vita di ognuno di noi il bacio rappresenta il suggello di una passione desiderata, di un amore sognato e sofferto, il momento in cui tutto si avvera e la storia ha inizio. Nei musei di tutto il mondo possiamo ammirare opere d’arte famose che raccontano il bacio attraverso immagini e forme, colori e ombre facendoci rivivere così le emozioni   degli innamorati ritratti, degli amanti dipinti, dei corpi raffigurati che si sfiorano appena. Tra i più famosi Il Bacio di Gustav Klimt, dipinto nel 1907 ed esposto a Vienna presso l’Osterreichische Galerie. Colori, mosaici, fiori e il corpo dei due amanti diventano una cosa unica, una fusione multicromatica. Gli Amanti di Magritte, dipinto nel 1928, è stato realizzato in duplice copia, uno si può contemplare alla National Gallery of  Australia e l’altro al MOMA di New York. Quest’opera parla di amore fisico puro, il panno bianco sui volti racconta di un amore a cui non servono molte parole, ma paventa, allo stesso tempo, la mancanza di comunicazione nella coppia. L’autore esprime   un interesse in ciò che è nascosto, ciò che il visibile non ci mostra. Francesco Hayez ha dipinto probabilmente, nel 1859, il quadro più famoso dedicato al bacio. Esposto a Milano alla Pinacoteca Brera, fu il simbolo del romanticismo nell’800. Morbido e teneramente appassionato, racchiude l’attimo di una effusione lieta ma anche di sofferenza per un imminente distacco, l’uomo ha un piede sul gradino, sta per andare via. Il Compleanno di Marc Chagall, dipinto nel 1915, racconta un gesto di quotidianità allegra e festosa di due giovani che festeggiano il compleanno di lei. Un mazzo di fiori, due corpi che lievitano, un bacio, la sorpresa ma anche la normalità, romantica e lieve. Il quadro è a New York al Museum of Modern Art. Due ragazzi che si baciano, una storia tragica, un amore contrastato, due famosi protagonisti: Romeo e Giulietta sono ritratti invece, nel 1844, da Sir Francis Bernard Dicksee. L’autore invita all’armonia e alle cose che ci fanno stare bene, l’amore è una di queste. Al National Museet for Kunst di Oslo troviamo l’opera di Munch Il Bacio con la Finestra, del 1892. I corpi sono fusi ma non c’è tenerezza né gioia, si esprime forte il dubbio tra il desiderio di amare e la paura dell’amore. Come non citare inoltre i famosi Ettore e Andromaca di De Chirico , la passione cubista nel Bacio di Picasso, Bacio a Venezia di Depero, A letto di Toulouse-Lautrec e inoltre le bellissime sculture di Canova Amore e Psiche e Il Bacio di Rodin.

 

Maria La Barbera

 

 

 

 

 

 

Le librerie più belle e singolari

Le librerie sono luoghi incantati, posti meravigliosi, pianeti magici che ci coinvolgono in storie avvincenti, dove sogno e realtà si incontrano, dove il peso e l’importanza di avvenimenti del passato dimorano testimoniando di fatti ed eventi che ancora oggi ci influenzano, dove la fantasia e l’immaginazione di racconti incredibili ci fa volare via dalla realtà creando per noi un rifugio dall’oggettività del vita di tutti i giorni.

La libreria è un territorio sacro, non solo un posto dove i libri vengono venduti, ma una località dalle proprietà terapeutiche. Diceva Montesquieu “Non ho avuto mai un dolore che un’ora di lettura non abbia dissipato”. Le librerie sono luoghi di culto dunque, ma anche vere e proprie attrazioni che per la loro struttura, per la loro storia, per gli arredi e lo stile richiamano molti visitatori, turisti e appassionati di lettura. Girando per l’Italia ma anche per il mondo intero ne troviamo di bellissime e storiche ma anche molte dal design moderno e d’avanguardia. Vediamone alcune davvero particolari.
libreria
Partiamo dalla nostra bellissima Torino che ospita, tra le altre, una meravigliosa e storica libreria, sofisticata e ricercata: La Luxemburg. E’ la più antica di Torino, fondata nel 1872 ed è considerata una tra le più belle del mondo. Catalogo molto fornito, libri in molteplici lingue, riviste internazionali, questo elegante negozio si fa promotore di importanti eventi culturali ed è un punto di riferimento per i lettori della città e non solo.
El Ateneo, a Buenos Aires, era un bellissimo teatro progettato nel lontano 1919. Dopo ben 80 anni cambiò destinazione d’uso divenendo una meravigliosa libreria, un posto unico e scenografico. Il palco è ora un accogliente bar e le tribune laterali delle accoglienti sale di lettura.
A Roma, a Palazzo delle Esposizioni, troviamo il Bookabar. Bianca, minimal e dagli spazi molto ampi. Il catalogo è davvero fornito e i locali molto grandi permettono una mostra dei libri molto estesa con uno ottimo risalto per i titoli. All’interno della libreria, come si evince dal nome, si trova un bar moderno e piuttosto modaiolo.

Nella romanticissima capitale francese troviamo Shakespeare & Company. In questo luogo storico si incontravano i maggiori scrittori della Beat Generation e ad oggi rappresenta un vero e proprio fondamento della vita letteraria parigina. Vengono organizzati importanti eventi settimanali come il sunday tea, presentazioni di libri e letture di poesia.
Spostandoci in un altro continente, nella vivacissima Città del Messico troviamo la libreria più grande del mondo El Péndulo: un giardino e un ristorante in mezzo a migliaia di libri. Grandi piante ornamentali e sedie in vimini. Una riserva del pensiero e della lettura.libreria 2
Atlantis Books si trova a Santorini. Un paesaggio meraviglioso e incomparabile: mare cristallino e cielo azzurro mentre, seduti in terrazza, si legge un libro. Nata nel 2002 dall’idea di alcuni ragazzi che erano nell’isola in vacanza, oggi ospita vari eventi e festival, un cane ed un gatto. Un posto davvero unico.Tornando a casa nostra non possiamo non citare Acqua Alta a Venezia. Un negozio incredibile che, come tutta la città combatte appunto,con l’acqua che spesso diventa invadente e inopportuna. Non ci sono scaffali posizionati in basso, i libri si trovano all’interno di gondole e canoe. Un concentrato di cultura, di amore per i libri e di tenacia. Niente catalogo in digitale, unico supporto un sorridente e gentilissimo proprietario che accompagna nella ricerca del libro desiderato.

libreria 3La Città dei libri di Powell, Portland in Oregon è una delle librerie che vende libri usati più grandi del mondo. Gli avventori vengono accolti con una mappa che li aiuta ad orientarsi all’interno dell’edificio. 1 milione di libri, 200 impiegati, 10.000 visitatori al giorno. La formula vincente? Mettere un libro in vendita nuovo vicino ad uno usato e a bassissimo costo.
Altre bellissime librerie degne di nota ma soprattutto di visita sono: City Lights Books a San Francisco in California, Livraria Lello & Irmão a Porto in Portogallo, dove per entrare è necessario acquistare il biglietto, Daikanyama T-Site a Tokyo, Giappone, meraviglioso luogo tra il verde degli alberi, The Last Bookstore, Los Angeles in California, scaffali particolarissimi in una ex-banca abbandonata, Caverne aux Livres, nei pressi di Auvers-sur-Oise in Francia, allestita all’interno di un treno dismesso e Polare a Maastricht, in Olanda, nell’intimità di una sobria e spiritualissima chiesa domenicana, migliaia di scaffali ospitano altrettanti libri e nell’abside è possibile gustarsi un buon caffè.

Maria La Barbera

 

Quanto è raffinato il risotto al prosecco mantecato al Parmigiano

Raffinato ed elegante, eccovi un primo piatto leggero e raffinato.

Il prosecco dona a questo risotto un profumo piacevolmente insolito, un sapore avvolgente ed aromatico di delicata bontà. Assolutamente da provare!

Ingredienti

300gr.di riso per risotti
2 bicchieri di prosecco Valdobbiadene DOCG
1 scalogno
100gr.di Parmigiano Reggiano grattugiato
Burro, sale q.b.
Brodo vegetale q.b 

Affettare sottilmente lo scalogno e rosolarlo nel burro, aggiungere il riso e lasciar tostare mescolando. Unire il vino prosecco, lasciar evaporare poi, poco alla volta, aggiungere il brodo vegetale caldo sino a cottura. Prima di servire mantecare con il burro, il parmigiano grattugiato e poco prezzemolo.


Paperita Patty

Pioggia, mare e… lavatrice: rumori bianchi per dormire e rilassarsi

Il rumore della pioggia, delle onde del mare e di altri suoni della natura, ma anche della lavatrice, del phon o dell’aspirapolvere possono essere rilassanti, possono aiutare la concentrazione, favorire il sonno e   farci lavorare e studiare meglio

I rumori bianchi, o white noise, sfruttano tutte le frequenze dei suoni, dalla più bassa alla più alta, senza produrre picchi improvvisi o oscillazioni del tono. Questa costanza di ritmo e di cadenza favorisce il rilassamento grazie ad una sorta di sospensione auditiva, di carezza sonora che ci isola da tutti gli altri rumori che provocano fastidio. L’attributo “bianchi” si deve al confronto con l’ omonima luce, detta anche acromatica, che contiene tutti i colori dell’arcobaleno. Ascoltando questi suoni, aiutati da cuffie o auricolari di buona qualità, è possibile coprire rumori molesti come il traffico, schiamazzi, frastuoni all’interno dell’abitazione e persino quei fastidiosi acufeni che inficiano la qualità della vita quotidiana. Sono consigliati anche per conciliare il sonno dei bambini e grazie all’utilizzo di diverse applicazioni scaricabili sui cellulari, come Baby sleep sounds, oltre ai suoni di origine naturale, si possono trovare anche ninne nanne e nenie per loro studiate. Ovviamente ci sono modalità di utilizzo da seguire per il corretto utilizzo e per non esporre i bambini ai suoni troppo a lungo. Per gli adulti invece i rumori bianchi sono facilmente rintracciabili su Spotify o sul sito White Noise definito “l’Instagram dei suoni rilassanti”.
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Sembra che il rumore maggiormente utilizzato   per rilassarsi sia il ventilatore, ben 5 milioni di ascolti, su Box Fan Sound, di Spotify. Altri molto gettonati sono l’aria condizionata, la pioggia e incredibilmente quello dell’aereo. Considerata l’utilità e il supporto che i rumori bianchi possono dare per rilassarsi e aiutare il sonno   è stato creato, in vari modelli,   un vero e proprio dispositivo generatore di questi suoni, che dopo aver rilevato il rumore spiacevole da eliminare, lo converte in una lunghezza d’onda opposta annullandolo del tutto. Ovviamente parliamo di effetti acustici gestibili e non, per esempio, del rumore molto forte di un trapano o della tv a tutto volume. Un altro strumento per l’attenuazione, e a volte la completa rimozione, dei rumori sgradevoli sono le cuffie o le auricolari con il noise cancelling, capaci infatti di eliminare gli antipatici rumori di fondo. E’ molto confortante sapere che se abbiamo bisogno di rilassarci, concentrarci o semplicemente isolarci possiamo farlo ovunque, a casa, in aereo, in treno e persino in ufficio. I rumori bianchi ci permettono, infatti,   di creare la nostra bolla di tranquillità e di non esporci, almeno temporaneamente, a tutti quei rumori che minano quotidianamente la nostra tranquillità e affievoliscono la nostra capacità di concentrazione.

Maria La Barbera

 

Torino città floreale

La prima Esposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna che si tenne a Torino nel 1902 lanciò una nuova era, una rivoluzione nelle varie espressioni artistiche e nel design che segnò una vera e propria rottura con il passato. Il regolamento dell’evento fu molto chiaro, niente imitazioni, niente rievocazioni del passato, solo rinnovamento, originalità sia nelle forme che nei materiali. Questa nuova tendenza aveva come fonte d’ispirazione la natura ed è per questo che oltre ad “Arte Nuova“, Art Nouveau in Francia, Jungendstil in Germania o Modern Style in Gran Bretagna, si chiamò anche “Arte Floreale“. La vocazione di questa nuova espressione era la sua possibile declinazione nel quotidiano, non esistevano quindi soggetti e ambienti privilegiati o solo grandi opere, al contrario ogni oggetto presente nella vita di tutti i giorni in ceramica, in vetro o di stoffa poteva veicolarne la bellezza e lo stile. Torino, seppur in assenza di una vera e propria scuola o corrente propria, divenne un importante centro espressivo di questo movimento anticlassico e critico nei confronti dell’uniformità beneficiando, grazie alla vicinanza geografica, delle influenze francesi e belga. Tra le opere più note del Liberty a Torino abbiamo Casa Fenoglio-La Fleur, Villa Scott (set di Profondo Rosso di Dario Argento), Un intero Isolato, l’unico così grande in città, tra Via Papacino e Corso Matteotti, il Villino Raby . Girando per la città è possibile ammirare altri meravigliosi capolavori di Arte Floreale, itinerari ricchi di particolari, forme e colori che ci riportano in quel preciso periodo storico.

 

1. Borgo Crimea: partendo dal Ponte Umberto I abbiamo la Casa Camusso-Caselli a Corso Fiume 2, la meravigliosa Villa Crimea a Via Casteggio 2, Villa Scott a Corso Lanza 57, la Palazzina a Via Villa Quiete 1-3, Villino Guarlotti in Via Gatti 10 e al n.24 il Villino Antonietta, la Casa del Custode del Villino Filiberti a Corso Moncalieri 83.

2. Corso Francia, Cit Turin: Villino Raby a Corso Francia 8, Palazzina Fenoglio La Fleur in Via Principi d’Acaja 11, i bellissimi edifici di Via Duchessa Jolanda 17,19,21 – Via Collegno 44,45 – Via Susa 31,33 e il famosissimo Palazzo della Vittoria, con il portone decorato da Draghi, a Corso Francia 23.

3. San Donato: Casa dei Fratelli Padrini a Via Balbis 1, Casa Pecco tra Via le Chiuse e Via Cibrario, sempre a Via Cibrario ai civici 15 Casa Florio, 36 Casa Basso, 54 Casa Girardi, 62 Casa Enrieu. Le Palazzine a via Piffetti 3,5,7,10 e 12, Palazzina Ostorero a Via Beaumont 7.

 

4.Centro Città: la Palazzina – Via Bertola 20 e quella sull’angolo opposto a Via Monte di Pietà 26, sempre a Via Monte di Pietà al civico 4 la Casa della Zoppa, l’Isolato San Lazzaro – Via Pietro Micca 4, l’Isolato intero tra via Papacino e Corso Matteotti, l’Edificio di Via Revel 18 e 20.

 

5. Crocetta: la Palazzina a Via Sacchi 40/42, Casa Avezzano a Via Vico 2, Casa Pozzo in Via Massena 81, Casa Mussino in Corso Re Umberto 71, l’Isolato a mezzaluna in Largo Re Umberto 65, Casa Gamna a Corso Galileo Ferraris 78 e al civico 86 Casa Quadri, Palazzo Pellegrini in Corso Montevecchio 38 e al 50 Palazzo Maffei.

 

Torino è una vera e propria vetrina di splendori di Arte Nuova, una esibizione permanente a cielo aperto, una magnifica esponente di una arte che, come diceva Walter Benjamin, è “…un tentativo che mobilita tutte le risorse dell’interiorità….che si oppone al mondo circostante armato della tecnica”.

Maria La Barbera

 

 

Torino, dove “abitano” gli incubi di Dario Argento

Torino e Dario Argento, un sodalizio all’insegna della paura e del mistero. Potremmo iniziare così, parlando dello speciale “feeling” che lega il maestro del brivido, il regista che è stato definito “l’Hitchcock italiano” con la “città magica”, fascinosa e austera, chiamata dal grande Le Corbusier “…la città con la più bella posizione naturale del mondo”.

Dario Argento, nella sua autobiografia ( “Paura” – Einaudi,2014) ha confessato che “Torino è il luogo dove i miei incubi stanno meglio”, rendendo esplicito il suo amore per la città all’ombra delle Alpi . “ Ero giovanissimo, un bambino  -racconta – e venni a Torino con mio padre, che doveva andarci per lavoro. Arrivammo di sera, pioveva e subito la trovai una città bellissima. Aveva appena piovuto, le strade riflettevano le luci di questi lampioni, queste luci gialle… le strade luccicavano. Mi piaceva molto, aveva un’aria malinconica e al tempo stesso inquietante. Non pensavo che avrei mai fatto il regista, ma ero sicuro che Torino sarebbe 

stata una città ideale per girarci dei film ; anche se non conta la città in se stessa per rendere più o meno pauroso il film, perché dipende da come la si inquadra, da come la si illumina”. La sua carriera dietro la macchina da presa iniziò nel 1970 con “L’uccello dalle piume di cristallo”, ma è dal secondo film che il regista scelse Torino come “set naturale”  per dare corpo ai suoi incubi. Ne “Il gatto a nove code” gran parte delle scene vennero filmate nel capoluogo piemontese. I luoghi e i “volti” di Torino emersero nel film: da via Vincenzo Vela, 12, dove abitava l’enigmista Franco Arnò (l’attore Karl Malden) con la piccola Lori, al misterioso Istituto di ricerche genetiche Terzi” che, nella realtà, era il retro della GAM, la Galleria di Arte Moderna, per passare dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova, da via Santa Teresa e da piazza Solferino. Altre scene vennero girate ai piedi della collina torinese, a due passi dal Po, in corso Fiume, 2, per finire tra le tombe del cimitero Monumentale in piazzale Carlo Tancredi Falletti di Barolo (già corso Novara). Torino piacque a Dario Argento a tal punto che, nello stesso anno, la scelse anche per il thriller “Quattro mosche di velluto grigio”. Le “location”, anche in questo caso, furono molte: dal giardino Lamarmora, incastonato tra le vie Cernaia, Stampatori, San Dalmazzo e Bertola, all’Auditorium RAI di piazza Rossaro,angolo Via Rossini; dalla galleria Umberto I all’esterno del Conservatorio Giuseppe Verdi, in piazza Bodoni; dalla galleria Subalpina al  Caffè Mulassano,al numero 15 di piazza Castello. Ma Dario Argento raccoglierà a piene mani l’aurea misteriosa di Torino tre anni dopo, nel 1974, girando le scene più importanti del suo capolavoro, l’inquietante “Profondo rosso” dove si scorgono, oltre alle piazze e alle vie più note del centro, il Teatro Carignano,  la Galleria San Federico e piazza CLN,dove si riconoscono le fontane di fronte alle quali Gabriele Lavia e David Hemmings assistono al primo terribile delitto del film, quello della sensitiva Helga Ullman ( l’attrice Macha Méril). David Hemmings (che nel film interpreta il pianista inglese Marc Daly ),sulla collina torinese,incrocia alcune dimore importanti come Villa della Regina (residenza storica dei Savoia), lungo la Strada Comunale Santa Margherita, per poi raggiungere l’obiettivo della sua ricerca : Villa Scott, in Corso Giovanni Lanza, 57. È quella, infatti,  la lugubre “villa del bambino urlante” che si trova in Borgo Po, sulle colline della città: un edificio bellissimo, uno degli esempi più straordinari dell’art decò.  “L’ho scoperta per caso – ha raccontato  il regista –  mentre giravo in auto in cerca di posti interessanti dove girare il film. La villa era in realtà un collegio femminile diretto dalle monache dell’Ordine delle Suore della Redenzione  e, siccome ne avevo bisogno per un mese, offrii alle occupanti una bella vacanza estiva a Rimini, dove si divertirono tantissimo. Con noi restò una monaca-guardiano, che sorvegliò le riprese con austerità”. Una curiosità va ancora segnalata. Quando Marc, nel film,suonò a casa del suo amico Carlo, si trovò di fronte la madre di lui (Clara Calamai), che lo fece entrare in un appartamento ricco di cimeli e foto d’ogni sorta. La casa era davvero quella dell’attrice e, quindi, ciò che si vede è probabilmente in gran parte ciò che davvero c’era in quell’appartamento nel 1974, diventato set per l’ultima prova cinematografica della grande interprete del cinema italiano. Il film, quinta prova dietro la macchina da presa per Dario Argento, uscì nelle sale il 7 marzo 1975 e lo consacrò, grazie al successo, come il vero  “maestro del brivido made in Italy”. Il ritorno di Dario Argento alle atmosfere tipiche del genere thriller, parecchi anni dopo “Profondo Rosso”, coincise ancora con una pellicola girata a  Torino dove il capoluogo piemontese venne sfruttato per ambientare praticamente tutte le location di “Non ho sonno”. Anche la colonna sonora, firmata dai Goblin, è un trade-union con il capolavoro del 1975. E come dimenticare l’inquietante “filastrocca del fattore”, quella iniziava con “è arrivata mezzanotte, con il letto faccio a botte, ora inizia la mia guerra con le bestie della terra”? Alcune scene furono girate presso i teatri di posa Euphon Communications, a Mirafiori Sud, mentre per gli esterni il primo ciak avvenne alla stazione Dora di Torino, capolinea della Torino-Ceres. Le immagini del film accompagnano luoghi facilmente riconoscibili dalla Crocetta a piazza della Gran Madre, da San Salvario a piazza Carignano, da piazza Castello al vecchio deposito della SATTI di Lungo Dora Agrigento, al cimitero Monumentale, alla Casa di Riposo  ex “Poveri Vecchi” di Corso Unione Sovietica. Per non parlare di due locali “storici” come la celebre discoteca “Big Club” di Corso Brescia e il  pub “Barbican’s”di piazza Vittorio Veneto. In “Non ho sonno” le analogie con “Profondo rosso” sono molte, quasi come se Dario Argento volesse “citarlo” più volte. Gabriele Lavia , ad esempio, interpreta, anche in questa pellicola, il presunto colpevole e, in una scena importante ,sbotta in un “È’ tutta colpa tua”, esattamente come nell’altro film, recitando la stessa identica espressione. La scena dell’omicidio della ballerina venne girata al Teatro Carignano, la stessa location dove la sensitiva Helga  tenne la conferenza nelle scene iniziali di “Profondo rosso” e, infine,  anche in ”Non ho sonno”, si scelse di usare un manichino che ha le sembianze dell’assassino. Dopo questo ritorno al thriller classico, Argento girò sempre a Torino un film per la televisione: “Ti piace Hitchcock?”. Ai giornalisti, confessò: “Questa città è uno stupendo teatro di posa, quando penso a un film lo immagino qui”. Nelle sequenze Torino si vede dappertutto, da via Vincenzo Vela (già nota per aver ospitato la casa di Arnò el’Istituto Terzi ne “Il gatto a nove code”) al Politecnico di Corso Duca degli Abruzzi, dalla fontana dei dodici mesi” al parco del Valentino a Corso Francia, per finire nella videoteca – il luogo d’incontro di tutti i protagonisti – immaginata al n. 26 di via Cesare Balbo.“La terza madre “, diretto nel 2007 da Dario Argento, con protagonista sua figlia Asia (che aveva già lavorato con il padre nei film “Trauma”, “La sindrome di Stendhal” e “Il fantasma dell’Opera” ) è stato il capitolo conclusivo della saga delle tre madri di cui fanno parte Suspiria (1977) ed Inferno (1980), vale a dire la storia delle tre streghe sorelle, madri degli inferi: Mater Suspiriorum, Mater Tenebrarum e Mater Lacrimarum. Anche per questo film Torino  “prestò” se stessa per molte scene, dagli interni della libreria “La Bussola” di Via Po alla villa abbandonata nei sotterranei della quale si rifugiano la Strega e i suoi discepoli, collocata in Viale Thovez, dalle Molinette di corso Bramante a piazza Emanuele Filiberto, per finire nel Quadrilatero romano,  in Via Bellezia, all’altezza del noto ristorante “Le tre galline”. Anche i dintorni della capitale sabauda ospitarono il set del film: dall’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso a Buttigliera Alta alla  chiesa dei Batù e al cimitero di Andezeno, da strada Cenasco a Moncalieri all’aeroporto di Caselle. Nel 2009 Dario Argento ambienta a TorinoGiallo”, un thriller dove una hostess statunitense insieme ad un investigatore italiano deve seguire le tracce della sorella scomparsa, vittima di un terribile serial killer. Il cast vede un protagonista d’eccezione come Adrien Brody mentre la sua partner è Emmanuelle Seigner, moglie di Polanski, il regista con cui Brody  vinse un premio Oscar per Il pianista. Dopo vari problemi distributivi, il film venne commercializzato direttamente in home video. Anche in quel caso è un rincorrersi per le vie e i quartieri della città. Da corso Vercelli  a via Pietro Egidi, dalle parti del Duomo; dal Conservatorio Giuseppe Verdi, in Piazza Bodoni, al Mastio della Cittadella, ai Portici di via Cernaia, al Teatro Regio di piazza Castello al Caffè San Carlo nell’omonima piazza. S’intravedono anche il palazzo dell’Elettricità in via Bertola, il mercato del pesce di Porta Palazzo. Una citazione a parte merita la macelleria Curletti, ormai ex” dopo un secolo di onorata attività. E’ lì che, nel film, viene assassinato il macellaio. In corso Moncalieri, sulla riva destra del Po, ai piedi della collina, questa rinomata macelleria venne aperta all’inizio del Novecento da Oreste Curletti che, al mestiere di macellaio di grande qualità, affiancava la passione per la pittura, arricchendo la sua bottega di una notevole galleria di quadri raffiguranti quarti di bue, costate, bovini d’ogni razza commissionate ad artisti del calibro di Soffiantino, Calandri e  Tabusso. L’ultimo film girato in terra piemontese dal maestro del brivido è del 2012 e non venne accolto molto bene dal pubblico e dalla critica. “Dracula 3D” (conosciuto anche come Dracula di Dario Argento) non è certo annoverabile tra le migliori prove del regista, nonostante il cast impegnato sul set  (il tedesco Thomas Kretschmann nei panni del più famoso “succhiasangue” della storia, il grande Rutger Hauer come interprete di Van Helsing, il cacciatore di vampiri, e Asia Argento). Le riprese del film sono state ambientate nella splendida cornice medievale del Ricetto di Candelo, nel biellese, e nel castello di Montaldo Dora, sull’erta del monte Crovero, nell’anfiteatro morenico di Ivrea. In attesa di vedere se Dario Argento vorrà tornare ancora “sul luogo del delitto” con un altro film da ambientare nella città dei quattro fiumi, per gli appassionati – ai primi di settembre – verrà organizzata la sesta edizione del“Tour Locations Argentiano” , promosso dal regista Alessandro Benna e dagli esperti cinefili Stefano Oggiano e Davide Della Nina. Lo scopo è far conoscere e scoprire una Torino inedita, visitando i luoghi utilizzati nei sette film girati qui dal “maestro del brivido” italiano. Un programma “da urlo” che non va perso per nessuna ragione.

Marco Travaglini

Fiori di zucchine in pastella a modo mio

Croccanti, dorati, saporiti…una bonta’!

Ingredienti:
12 Fiori di zucchine
150 gr. di farina bianca
1 Tuorlo d’uovo
2 cucchiai di Parmigiano grattugiato
200 ml di acqua frizzante
Sale, pepe, olio di oliva per friggere.

Lavare con molta cura i fiori dopo aver tolto il pistillo interno e asciugare tamponando con carta da cucina. Intanto preparare la pastella sbattendo con energia la farina con il tuorlo, l’acqua, il sale, il parmigiano, il pepe. Mettere il preparato in frigo per almeno 30 minuti. Immergere i fiori uno per volta nella pastella, friggere in olio bollente e lasciar dorare da ambo i lati. Consumare caldi.

Paperita Patty

 

Gina Lombroso: quando le donne fanno scienza

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Torino e le sue donne

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce. 

Con la locuzione “sesso debole” si indica il genere femminile. Una differenza di genere quella insita nell’espressione “sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto “sesso forte”, uno stereotipo che ne ha sancito l’esclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa “categoria” appartengono  figure di rilievo come Giovanna D’arco, Elisabetta I d’Inghilterra, Emmeline Pankhurst, colei  che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nell’elenco anche Coco Chanel, l’orfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel “sesso debole” che “non si è addomesticato”, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan. Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il “gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario l’etimologia della parola “donna”: “domna”, forma sincopata dal latino “domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere.  (ac)

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2. Gina Lombroso: quando le donne fanno scienza

Nell’articolo precedente ho voluto ripercorrere, per sommi capi, la storia delle “Venusiane”, (se vogliamo seguire la leggenda secondo cui le donne vengono dal pianeta “Venere” e gli uomini da “Marte”), e sottolineare le numerose battaglie e inauditi sforzi che esse hanno coraggiosamente affrontato in passato e che continuano a fronteggiare a testa alta nell’eterna sfida della vita quotidiana. Moltissime sono state le protagoniste femminili che hanno dato il loro contributo rivoluzionario per modificare il mondo negli ambiti più svariati, dalla politica alla cultura, dalla letteratura alla scienza.  Anche Torino ha avuto le sue paladine coraggiose, le quali hanno lasciato una forte impronta nel tempo, si pensi, ad esempio, a quanto hanno contribuito le Madame Reali per lo sviluppo delle arti e la magnificenza della città, promuovendo costruzioni di chiese, palazzi e residenze. In tempi più recenti le donne torinesi si sono messe in luce anche per il loro intelletto, infatti proprio di Torino era Maria Fernè Veledda, seconda donna laureata del Regno d’Italia in Medicina, nel 1878, e, sempre torinese, è stata la brillante Rita Levi Montalcini, nota per le scoperte nel campo delle neuroscienze, ma che ci ha lasciato anche pensieri profondi e illuminanti sulla condizione femminile, su cui, forse, dovremmo soffermarci a meditare ogni tanto. Un’ultima considerazione in chiave poetico-esoterica sulla nostra città, da sempre divisa in due, in cui alla sfera maschile rappresentata dal Po, ha sempre fatto da contraltare una lunare sfera femminile, silenziosa ma non meno importante, rappresentata dalla Dora. Non a caso a Torino è una delle poche città in cui sorge una chiesa specificatamente dedicata alla Grande Madre: ognuno ne tragga le proprie conclusioni. Le vicende sono molte e bisogna pur scegliere e da qualche parte iniziare. Con piacere mi accingo a raccontare la storia di alcune donne torinesi, con l’intento che le loro vicende possano ispirare la nascita di altre storie. 
Gina Lombroso nasce a Pavia nel 1872 da Nina De Benedetti e Cesare Lombroso. La famiglia appartiene ad una alta e colta borghesia legata alle tradizioni ebraiche, in cui è centrale la figura del padre, Cesare, celebre antropologo, sociologo e filosofo, padre della moderna Criminologia. Già da adolescente Gina partecipa al lavoro scientifico del padre in veste di segretaria e collaboratrice, seguendo la corrispondenza e affiancandolo nel lavoro redazionale della celebre rivista l’“Archivio di psichiatria”, fondata nel 1880. Fondamentale per la crescita di Gina è la figura di Anna Kuliscioff, ospite frequente del salotto di casa Lombroso. E’ grazie all’influenza di Anna che Gina si avvicina agli ideali socialisti, che si concretizzeranno poi in alcuni studi svolti insieme alla sorella Paola, su temi quali la condizione di vita degli operai, il problema dell’analfabetismo e gli scioperi. Sempre nello stesso periodo Gina collabora alle riviste “Critica sociale” e “Il socialismo”. Nel 1895 Gina si laurea in Lettere presso l’Università di Torino e, successivamente, si iscrive alla Facoltà di Medicina. Pubblica poi alcuni saggi, tra i quali “L’atavismo nel delitto” e “L’origine della specie”. Nel 1901 conclude gli studi di medicina a pieni voti discutendo una tesi intitolata “I vantaggi della degenerazione” davanti ad una commissione che includeva l’igienista Luigi Paliani e il Fisiologo Angelo Mosso. L’argomento della tesi si dimostra estremamente rilevante per il dibattito scientifico dell’epoca, tant’è che verrà approfondito in un volume dallo stesso titolo pubblicato nel 1904. La giovane Lombroso affronta il tema della degenerazione in modo nuovo, avvicinandosi all’ottica biologica con una prospettiva sociologica. I caratteri della degenerazione vengono letti non tanto come un progressivo deterioramento dell’umanità, quanto come la capacità di adattamento dell’uomo alla conseguenze dell’industrializzazione, con particolare attenzione alla relazione uomo-ambiente.

 

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Dopo la laurea prosegue la sua attività di ricerca con il ruolo di assistente volontaria nella clinica psichiatrica dell’Università di Torino, tale incarico verrà portato avanti fino a i primi anni del matrimonio avvenuto nel 1901 con Guglielmo Ferrero, collega di Cesare Lombroso, con cui egli aveva collaborato per scrivere nel 1893 la monografia “La donna delinquente, la prostituta, la donna normale”. Sempre in questo periodo Gina svolge studi clinici sulla pazzia morale, sull’epilessia e sulla criminalità, non tralasciando mai l’intensa collaborazione con la rivista del padre. Nel 1907 segue il marito in un viaggio in sud America, visitando carceri, scuole e manicomi. Le sue riflessioni su tale esperienza verranno stampate l’anno successivo in un volume intitolato “Nell’America meridionale (Brasile Uruguay Argentina)”. Gina, per non farsi mancare nulla, è anche studiosa di lingue straniere, e, grazie a tale competenza, rimane a stretto contatto con l’ambiente scientifico internazionale oltre che italiano. Alla morte del padre, nel 1909, Gina si dedica con affetto alla risistemazione e ripubblicazione delle opere paterne, nell’intento di mantenerne vivo il pensiero nella comunità accademica. Nel 1916 lascia Torino e si trasferisce con la famiglia a Firenze, qui la sua casa diviene sede di incontri e scambi con l’ambiente intellettuale cittadino. Tra i frequentatori più assidui i Salvemini e i Rosselli. In questi anni la Lombroso si dedica allo studio della condizione femminile, teorizzando l’“alterocentrismo” della donna, cioè un innato altruismo fondato biologicamente e legato alla “missione” della maternità. Nei numerosi scritti su tale argomento, Gina intende negare la convinzione imperante dell’inferiorità femminile, in nome di una forte differenziazione dei sessi, che dovevano essere concepiti non in un rapporto gerarchico ma in uno di “complementarietà”. Nel 1917 pubblica l’“Anima della donna”, testo che vede diverse traduzioni e ristampe in Italia e all’estero; nello stesso anno fonda con Amalia Rosselli e Olga Monsani la “Associazione divulgatrice donne italiane”(ADDI) con lo scopo “indurre la donna italiana a prendere parte allo sviluppo scientifico, sociale, politico, filosofico del paese”. A seguito delle persecuzioni politiche da parte del Regime, nel 1930 Gina e il marito Guglielmo sono obbligati a trasferirsi a Ginevra, rimanendo però in contatto con l’ambiente antifascista. Durante l’esilio, Gina approfondisce la problematica del rapporto uomo-macchina, affrontando gli sviluppi della nuova epoca industriale in una prospettiva sociologica. In “Le tragedie del progresso” e “Le retour à la prosperité”, di fronte alle profonde trasformazioni introdotte dalla industrializzazione, viene messa in discussione la fiducia positivista in un progresso indefinito. 
La storia di Gina non ha un lieto fine, l’amore per la scienza che dalla giovinezza l’accompagna non riesce a salvarla né a riportarla a casa. Gli anni dell’esilio vedono la morte del figlio Leo Ferrero, giovane poeta e intellettuale. Gina Lombroso morirà nel 1944 due anni dopo il marito, assistita dalla sorella Paola che l’aveva raggiunta nella città Svizzera. L’ignoranza violenta della guerra ogni tanto vince e l’oscurantismo allarga di un po’ la sua ombra, ma non dobbiamo dimenticarci che “senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla.” (Albert Camus). Gina ha contribuito a estirpare le erbacce, anche da lontano.

 

Alessia Cagnotto