Prosegue fino al 25 ottobre prossimo, presso la galleria Weber & Weber di via San Tommaso 7, a Torino, la mostra dell’artista Sylvie Romieu, dal titolo “Apnea”. Sylvie Romieu nasce nel 1960 Sigean, vive e lavora a Portel des Corbieres, in Francia. La sua prima mostra di fotografia fu allestita presso la Weber & Weber nel 2005, a seguire le personali del 2008-2012 e 2015. Ai loro esordi pochi artisti affrontano la sfida di descriversi e, soprattutto, quella di rappresentarsi dipinti. Diverso è il caso di Sylvie Romieu. Probabilmente è vivo nella maggior parte degli artisti il timore che l’immagine dello specchio rifletta solo una giovinezza che si mette alla prova, ma non l’intimità di un mondo già affermato. Essi dipingono, disegnano per offrire agli altrui sguardi dei paesaggi, degli oggetti, delle mistificazioni visive. La presenza di adulti e bambini, spesso mescolate con parentele reali e inventate, paesaggi, abitazioni famigliari rinnegati e graffiati sono una costante nell’opera di Romieu. Un altro aspetto che ritorna è il territorio che delinea la coscienza, l’idea di guardare qualcosa di bello con l’idea che possa nuocerci. Il percorso dell’artista è probabilmente influenzato da un processo di lutto o, più probabilmente, da un processo di lutti accumulati. Nelle opere dell’artista il movimento è ascendente, a spirale, a ondate successive, il centro è sospeso, vi è una spinta mobile che forza la nuvola di immagini verso un percorso a spirale. Sylvie Romieu è consapevole che l’arte non consista nel riprodurre categorie, non è né pensiero né sogno puro, ma quel buio o penombra che apre alla veggenza.
“Alcuni fotografi sono sul terreno dell’azione, altri stanno alla finestra ha commentato il curatore Claudio Isgrò – Sylvie Romieu é una di queste.
Da sempre ci ha abituati a viaggi ed incontri statici. Dalla finestra il mondo non lo vede, lo risente e da questa lontananza ne percepisce gli echi, gli stati d’animo. Le immagini le si impsonono e chiedono visibilità. Rappresenta «l’assurdità umana» con l’arte della bellezza, del mistero, della delicatezza e della poesia. Costruisce materialmente e poi fotografa un mondo in miniatura, popolato da brandelli, rametti, soffi di polvere colorata e semi strappati al vento e alla natura del suo paesaggio natale.
Semi/Umani si affollano, si riparano, si proteggono come possono, con brandelli del pianeta che si sgretola, si scompone e si ricompone, spazzati dal vento violento che regna su questa pianura polverosa. Folle di umani spauriti di fronte alla tragedia? Utopia e distopia si affrontano. Qualcosa salverà il mondo?
Arthur Schopenhauer, il più pessimista tra i filosofi, trova un piccolo appiglio. L’Arte, la Morale della compassione e l’Ascesi.
Nell’Idiota di Fëdor Dostoevskij c’é una frase «La bellezza cambierà il mondo». Questa espressione, spesso citata come affermazione e non come questione, ne limita la complessità. Nel testo Ippolit si rivolge al principe Myškin «È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza? […]. Il principe afferma che il mondo sarà salvato dalla bellezza! […]. Quale bellezza salverà il mondo? […] Il principe, che lo osservava attentamente, non rispose.»
Sylvie Romieu osserva il movimento umano. Costruire, distruggere e ricostruire. Camminare, cadere e rialzarsi mille e più volte in forma ipnotica come Pina Baush in «Café Muller»”.
Gian Giacomo Della Porta
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