Ho girato il mondo ma non ho visto nulla

Nel titolo dell’articolo si riassume la filosofia della maggior parte dei turisti: viaggio, sto nei villaggi, mangio cucina internazionale, parlo la mia lingua perché gli animatori sono miei connazionali, se va bene (e se non sono pigro) effettuo un’escursione extra, dopodiché torno nel mio Paese e posso, orgogliosamente, dire di avere visitato i Caraibi piuttosto che le Maldive, Capo Verde piuttosto che il Kenya e così via.

La vacanza, per la stragrande maggioranza delle persone, consiste nel soggiorno in un villaggio che, visto dall’interno, è identico a quelli presenti in 100 altri Paesi, con gli stessi svaghi, gli stessi slogan per cui di realmente tipico c’è poco, a parte i dipendenti della struttura reclutati sul posto.

Un giorno, infatti, qualcuno decise di creare il turismo dei vari club o resort o come li volete chiamare, con formula all inclusive,dove il turista viene prelevato all’aeroporto e riportato lì al termine della vacanza e nel frattempo viene mentalmente obbligato a fare attività sportive o ludiche in nome di una non ben definita vacanza, dove potresti essere ai Caraibi, in Kenya o in Sardegna ma se non incontri qualche indigeno ti viene difficile capire l’unicità di quel luogo.

Ovviamente, al ritorno a casa, la vacanza verrà decantata (o denigrata, dipende) per il clima, per il cibo e per la simpatia degli animatori ma se chiedi se abbiano visto tracce del popolo Taino o se abbiano imparato l’adumu masai ti risponderanno che erano lì per riposarsi, non per studiare.

Fino all’avvento della fotografia digitale, era prassi (noiosa per chi la subiva, ad onore del vero) mostrare agli amici ed ai parenti le diapositive della vacanza appena conclusa, ma era comunque un modo di erudire chi non era mai stato nel luogo, per mostrare i paesaggi o gli animali locali e, dunque, svolgeva una funzione istruttiva; ora, in un’epoca in cui all’arrivo al casello dell’autostrada abbiamo già scattato il numero di foto che allora scattavamo in un’intera vacanza, le teniamo nel pc e non le guarderemo più. affetti da una forma compulsiva di catturavirtuale di ciò che ci circonda.

Le distanze sempre maggiori delle nostre mete sembrano più una sfida alle proprie capacità di viaggio, alla propria resistenza, che alla volontà di scoprire qualcosa, di conoscere, di incontrare, di imparare; il fatto, poi, che alcune destinazioni siano praticamente scomparse dai nostri itinerari (Capo Nord, Scandinavia, Botswana, Nepal e molte altre) e che altre siano sempre più gettonate per 2-3 anni (Albania, USA, Croazia, Giappone) fa capire come viaggiare segua le indicazioni della moda, esattamente come l’acquisto di un’auto o del colore degli abiti; se non vai in vacanza in un certo posto sei “out”, sei demodé.

Il fatto, inoltre, che ci si accontenti di andare nei villaggi, anziché chiedere l’organizzazione di un viaggio su misura o che non si voglia organizzare un viaggio per proprio conto indica inequivocabilmente che si viaggia per muoversi, non per vedere cosa vi sia in quel luogo; io ho viaggiato in quasi tutta l’Europa, Balcani compresi, Capo Verde, Rep. Dominicana, Israele, Tunisia, Marocco, Turchia ma in ogni luogo ho sempre cercato di andare nei posti non turistici (quelli frequentati dagli indigeni, per intenderci) per bere e mangiare cosa e come mangiano loro, per acquistare oggetti tipici senza farmi spennare perché turista.

In uno dei viaggi a Tunisi, mentre i miei compagni di viaggio andavano ad acquistare essenze di profumo, tabacco per narghillè o vestiti, io mi sono seduto in un bar (allora fumavo ancora) per prendere un caffè fumando una sigaretta e, intanto, parlare con alcuni avventori del luogo che mi hanno spiegato un po’ di storia della Tunisia e alcuni precetti dell’Islam. Chi, tra i miei compagni di viaggio e me, è uscito più arricchito da quel tour?

E cosa dire del tour nella Repubblica Dominicana quando, decidendo di noleggiare un fuoristrada, sono andato a pranzo in una casa di indigeni e un’altra volta a cena in una capanna sulla spiaggia, mangiando aragosta appena pescata? Scopriì così che a Santo Domingo vent’anni fa praticamente mancava l’energia elettrica quasi ovunque, salvo generatori appositamente installati da hotels, scuole, ecc e che l’arrivo degli emigrati da Haiti, Paese che confina con la Repubblica Dominicana, ha fatto impennare i casi di HIV nel Paese.

Un esempio classico di come molti italiani dovrebbero stare a casa, anziché fare figuracce in giro, lo si vede all’ora dei pasti: ricerca ansiosa della pasta, se trovano i cannelloni o le lasagne (magari in Vietnam) poi si lamentano che non erano granché, piuttosto insipide o scotte; se siamo il Paese che ha minore dimestichezza con le lingue straniere e con la geografia, un motivo ci sarà; se concepiamo solamente un mondo italocentrico, dove al centro di tutto c’è l’Italia e intorno qualche altro Paese ci sarà una spiegazione, e non è certo l’importanza del nostro Paesenell’assetto mondiale.

Salvo poi conoscere benissimo le formazioni di calcio di almeno 6-7 squadre, i risultati dei mondiali di almeno 12 edizioni e saper spiegare perché l’Italia è stata esclusa da alcune recenti competizioni: l’importante però è chiudersi per due settimane l’anno in qualche resort, uguale a quelli degli anni precedenti.

Sergio Motta

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