De Rosa decifra “Edipo”, il “suo” sovrano antieroe

Da venerdì 8 a domenica 17 marzo

Seduto al tavolino del vecchio caffè, Andrea De Rosa decifra il “suo” “Edipo re”, sul palcoscenico dell’Astra da venerdì 8 a domenica 17 marzo, accanto a tutti i suoi attori e ai collaboratori che lo hanno coadiuvato nel costruire la tragedia greca, “considerata uno dei testi teatrali più belli di tutti i tempi”, “a ritrovare un senso, il senso di se stessi, delle parole, delle cose”. Guardando con occhi nuovi il testo di Sofocle, “la mia impressione è che Edipo sappia sin dall’inizio di conoscere la verità e quella conoscenza deriva dalle parole – “Sei tu”: sei tu l’assassino, sei tu che hai ucciso tuo padre, sei tu a giacere con tua madre e ad essere allo stesso tempo padre e fratello dei tuoi stessi fratelli – che Tiresia, il dito puntato con decisione, gli pronuncia. Entro immediatamente nella storia, con più immediatezza di quanto normalmente succeda. Come ho affidato ad un unico attore il ruolo di Tiresia e di tutti i messaggeri: non si tratta solo di uno stratagemma registico, ma di mettere in scena un personaggio che, di volta in volta, rappresenti una manifestazione del dio Apollo, della sua voce oscura, dei suoi oracoli. Questo spettacolo sarà per me un proseguimento del lavoro iniziato con “Le baccanti”. Se in quello tutto ruotava intorno alla figura e alla voce di Dioniso, in questo il protagonista nascosto sarà Apollo.”

Sottolineando fortemente come non sia lo spettacolo a inserirsi nei venti e più titoli della stagione del TPE ma al contrario tutto quanto ruoti dalla necessità di impaginare in scena “Edipo” da parte di De Rosa, sei attori stanno al centro dell’adattamento del regista (reduce del successo ottenuto al Regio con il verdiano “Ballo in maschera” diretto da Riccardo Muti) che si è avvalso della traduzione di Fabrizio Sinisi – drammaturgo, poeta e scrittore, collaboratore di De Rosa per il “Processo Galileo” della scorsa stagione e dei maggiori teatri nazionali, del quale vanno almeno ricordati la menzione dell’American Playwrights Project, il Premio Testori per la Letteratura e il Premio Nazionale dei Critici di Teatro -: il protagonista è Marco Foschi, un Edipo antieroico, spaventato dai lati oscuri della vicenda e schiacciato dagli eventi, Frédérique Loliée (già sbalorditiva Elettra e Maria Stuarda e lady Macbeth: “c’è sempre una rilettura, rapportata all’oggi, ci deve essere, sia che tu metta in scena Sofocle o Shakespeare”) assume tutta la disperazione di Giocasta, Roberto Latini è Tiresia, Francesca Cutolo e Francesca Della Monica il coro, Fabio Pasquini Creonte. A Daniele Spanò si devono gli specchi in plexiglas, diversamente ambientati, magari in via di definizione in questi ultimi giorni di prove (“quello realizzato è un allestimento spaziale dal carattere fortemente installativo che dichiara con crudezza la sua funzionalità: dare luce”), di Graziella Pepe i costumi (un tempo) regali che a poco a poco, allorché la verità verrà svelata, perdono la loro ricchezza. Estremamente importanti nella costruzione della tragedia le luci di Pasquale Mari (felicissimo collaboratore di Martone e Moretti, Sorrentino e Bellocchio e Ferzan Ozpeteck), un ruolo fondamentale nel porsi di fronte alle cecità di Edipo, esiliato a Colono e di Tiresia, colpevole d’aver visto la nudità di Athena: entrambi hanno guardato troppo dappresso e si sono confrontati con il dio, con Apollo che “porta vita e conforto agli umani ma può anche annientarli.”

Verità e non verità, annientamento e salvezza, il vedere e il non vedere, colpa e fato, differenti strade s’incrociano in “Edipo”: al regista è questo intersecarsi a interessare maggiormente, anche a costo di mettere in secondo piano il rapporto tragico tra madre e figlio e le teorie freudiane. Si va alla ricerca della “aletheia” che in greco non è soltanto la verità, quanto piuttosto l’atto di togliere il velo da qualcosa per scoprirla: atto di protezione prima, atto di distruzione poi, perché la verità acceca. Ma è della natura umana ricercare, andare addentro a ogni cosa, e Edipo vuole sapere, vuole conoscere: farà di quella conoscenza la propria grandezza ma anche la propria rovina. Ogni azione vissuta nella paura in una città che sta morendo, colpita dalla peste, dalla pandemia ci sarebbe più facile dire oggi, ogni azione mentre si arriva alla lettura e alla scoperta di un passato, che si fa con dolore presente: “Non dite mai di un uomo che è felice, finché non sia arrivato il suo ultimo giorno”, reciterà in ultimo il coro.

A completamento dello spettacolo – continuiamo a definirlo così, ma ci aspettiamo “altro”, lontano dai canoni che siamo abituati a incontrare a teatro -, Daniele Spanò ha inventato “Ultimo movimento”, una installazione visibile nell’Astra Room, “riflessione sulla bulimia odierna di immagini e sulla paradossale indifferenza che ne scaturisce”. Mentre domenica 10 marzo la replica è destinata a spettatori non udenti, tramite l’aiuto di uno speaker che guiderà in cuffia lo spettatore attraverso una descrizione riassuntiva della vicenda.

Elio Rabbione

Immagini delle prove di “Edipo re”

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