Al Gobetti, repliche sino al 30 ottobre
Melania Mazzucco è una delle voci eccellenti del panorama letterario contemporaneo, è la scrittrice che ha vinto lo Strega con “Vita”, storia di emigrazione familiare, nel 2003, che ha dato a Ferzan Özpetek materia per la storia corale di “Un giorno perfetto”, che ha rovistato tra le glorie e i peccati di Jacopo Tintoretto e che soprattutto, tre anni fa, ha dato alle stampe uno dei romanzi – tra cronaca e reinvenzione – più avvincenti degli ultimi anni, un carico di ricerche senza eguali durate una decina d’anni, “L’architettrice”, ovvero la vita e l’ascesa di Plautilla Bricci, donna e artista che volle sfidare il secolo di Bernini, di Borromini, di Pietro da Cortona. Tra il 1997 e il 2001 scrisse atti unici e radiodrammi per Radio Rai, Radio 2 e Radio 3, uno di questi fu “Dulan la sposa” (2000), con la regia di Wilma Labate e l’interpretazione di Valerio Binasco, vincitore del prestigioso Prix Italia per il miglior radiodramma europeo e diffuso in 7 paesi.
S’è ricordato oggi di questa sua esperienza Valerio Binasco, volendo riproporre per la stagione dello Stabile torinese, al Gobetti, in versione regista/interprete, quel testo. Un dramma iniziale, il suicidio, presunto, di una ragazza nella piscina di un condominio in cui due promessi sposi stanno per prendere dimora. Nell’ampio sviluppo che si aprirà, la confessione dell’uomo di non averla mai conosciuta, come lui nessuno se ne ricorda, una ragazza venuta da chissà dove, certo straniera, senza documenti, sola. Al contrario l’uomo l’aveva incontrata, nell’androne di casa, durante i lavori di ristrutturazione dell’alloggio, l’aveva ospitata imponendole una presenza segreta al limite della clausura, se ne era innamorato in maniera selvaggia e forte senza nasconderle il proprio futuro matrimonio. Aggiungendosi, un giorno, la visita della futura moglie, in un generale imbarazzo e in un emblematico silenzio: senza alcun seguito, quella specie di convivenza era continuata, eguale e ossessiva.
Un’ossessione che sulle tavole del Gobetti si traduce in un continuo, esasperante e alla fine banalmente ripetitivo esercizio di contorsioni erotiche – lunghe pressoché 80’, quanto la lunghezza dell’intero spettacolo, calcolando anche gli approcci tra marito e consorte -, di sfacciato possesso, specchio di una carnalità estrema, di una ginnastica amatoria oltre ogni limite consentito (salvo poi mimare rigorosamente il nudo), dove ogni atto sfocia nel sopruso, nella violenza, nella rabbia, nel soffocato attimo finale. Nella banalità della situazione, nella drammaticità del femminicidio qui esplorata con dialoghi certo non incisivi, forse mentre ci domandiamo perché il testo, questo testo, abbia trovato posto nella programmazione annuale, giocano i loro virtuosismi ginnici Valerio Binasco, Mariangela Granelli e Cristina Parku, forse la più convincente, in quel misto di giovinezza senza pudori, di innamoramento e di bugiarderie da cui non è certamente esente. Bella l’essenzialità della scena firmata da Maria Spazzi, due riquadri, un divano e una poltrona, una porta sul fondo. Repliche sino a domenica 30 ottobre.
Elio Rabbione
Le immagini dello spettacolo sono di Luigi De Palma
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