“J’Accuse”: dalla Maison Zola l’urlo cosmico per la difesa della libertà e dei diritti dell’uomo

Nel 1878 Émile Zola scrive a Flaubert che, grazie ai proventi derivanti dal successo letterario dell’“Assommoir” “ho comprato una casa, una “cabane a lapins”, tra Poissy e Triel, in un luogo carino al bordo della Senna. 9000 franchi, vi dico il prezzo perché voi non ne abbiate troppo rispetto. La letteratura ha pagato questo modesto asilo campestre”. Lo scrittore era alla ricerca di un posto tranquillo nel quale rifugiarsi e proseguire il ciclo dei “Rougon – Maquart”.

Proprio a Medan vedono, infatti, la luce molti romanzi che rappresentano la massima espressione del naturalismo francese, e ciascuno di questi suoi figli cartacei contribuisce alla costruzione, all’ampliamento, alla ristrutturazione e all’abbellimento del rifugio dello scrittore. In questo “locus amoenus” Zola crea quei personaggi immortali che diventano la personificazione di vizi, difetti e tare che, attraverso l’ereditarietà, si trasmettono alle generazioni successive, influenzandone l’esistenza e condannandoli spesso alla rovina. “Voglio spiegare come una famiglia, un piccolo gruppo d’esseri, si comporti in una società, sviluppandosi, per dare vita a dieci, a venti individui, che appaiono, al primo colpo d’occhio, profondamente dissimili, ma che l’analisi dimostra profondamente legati gli uni agli altri. L’ereditarietà ha le sue leggi, come la gravità” scrive Zola nell’introduzione della “Fortuna dei Rougon”, dando il via a una ricerca e a un’analisi che regaleranno alla letteratura le figure immortali dei “vinti” Gervaise, Lantier e Coupeau, Etienne e Catherine, Nanà, ma anche a Denise, un luminoso esempio di forza, tenacia e riscatto nel “Paradiso delle Signore”.
Dopo la morte dello scrittore, avvenuta nel 1902, nel sonno, a causa delle esalazioni di un camino, la vedova Alexandrine vende, nel 1903, una parte dei mobili della casa di Medan e tre ettari di terreno e, successivamente, nel 1905, decide di donare la casa all’Assistenza Pubblica, esprimendo il desiderio che la dimora dello scrittore sia conservata, per quanto possibile, nel suo stato originario. Soltanto nel 1985, però, la Maison Zola, destinata prima a ospitare un asilo per bambini convalescenti e, successivamente, una scuola di formazione per infermieri, diventa finalmente un museo e viene aperta al pubblico per essere, tuttavia, poi richiusa nel 2011 e sottoposta a 10 anni di restauri e trasformazioni finalizzate a restituirle l’aspetto e il fascino dei tempi dello scrittore.
Una parte della proprietà ospita, oggi, l’esposizione permanente dedicata all’ “Affaire Dreyfus”, un percorso che, attraverso oggetti, testimonianze, documenti, narra quei fatti, ma soprattutto invita il visitatore a interrogarsi su temi che continuano ad essere di grande attualità perché le ingiustizie che colpirono il capitano Dreyfus si ripresentano anche nella nostra società attraverso l’intolleranza per lo straniero e il diverso, attraverso la chiusura di confini, attraverso la costruzione di muri, attraverso la presunzione di possedere una cultura, un credo superiori a quelli degli altri.
“Mon devoir est de parler, je ne veux pas être complice” scrive Émile Zola nella lettera aperta al Presidente della Repubblica francese François-Felix Faure, pubblicata il 13 gennaio 1898 sul giornale “L’Aurore” di Parigi, una delle denunce più forti e significative della storia del giornalismo, meglio conosciuta con il suo incipit “J’Accuse”, un grido di ribellione e di protesta contro il comportamento dell’esercito francese, reo di un complotto antisemita ai danni di Alfred Dreyfus, accusato di alto tradimento e spionaggio a favore della Germania e condannato ai lavori forzati nell’isola del Diavolo.
Il manifesto dello scrittore francese è l’incarnazione di una difesa chiara e netta di quei valori di cui la Rivoluzione francese si era fatta portatrice, violati dal complotto contro un innocente: la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, parole coraggiose che Zola paga con una condanna giudiziaria che lo costringe, per evitare il carcere, a rifugiarsi in Inghilterra, dove, tuttavia, continua a battersi per provare l’innocenza del capitano ebreo e svelare il complotto fino a ottenere che Dreyfus sia scagionato.
Appare, quindi, densa di significati profondi la decisione che proprio una parte della Maison d’ Émile Zola ospiti la sede del Musée Dreyfus, rafforzando così un legame tra due figure i cui destini furono intrecciati dalla storia e dalla vita, ma che non si incontrarono mai.
Nel suo intervento all’inaugurazione dell’esposizione il Presidente Macron ha affermato “Consacrer un musée à la vie d’Alfred Dreyfus, c’est réparer une injustice. Le faire dans la maison de Zola, qui prit tous les risques pour l’innocenter, c’est dire que la République ne tient que par les combats de femmes et d’hommes. Jamais un acquis, toujours à reconquérir”.
E “J’Accuse” continua a essere il manifesto di tutti coloro che, nelle diverse parti del mondo, sono impegnati nella lotta per abbattere le barriere, per realizzare una nuova rivoluzione in difesa della libertà, dell’uguaglianza, della fraternità e della laicità.
“J’Accuse” continua a essere l’urlo che si leva dalla Francia contro le ingiustizie, la creazione di nuovi ghetti, il rifiuto della diversità, un grido che attraversa la storia, le generazioni e i confini, dando il via alla battaglia universale di chi non si arrende e non smette di credere nella possibilità del cambiamento.

Barbara Castellaro

Per visitare la Maison Zola – Musée Dreyfus:
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