COSA SUCCEDE(VA) IN CITTA’
Finisce Luglio, e il primo giro di boa delle vacanze iniziava ad Agosto. Ecco le doverose ferie con i nostri genitori. Dal 1 agosto per 4 settimane secche Torino si svuotava.
Bolgia dantesca per raggiungere le località al mare o ai monti. Addirittura i più impazienti e temerari, finito il turno del mattino partivano con la famiglia. Quei Barachin erano fortunati nell’avere le proprie mogli con patente. Allora non si usava tanto. Il primo turno staccava alle 14. Giusto il tempo di uscire attesi dalla famiglia e dalla 850 stracarica di bagagli. Obbiettivo il paese natale che molto spesso era del Sud. Barachin erano detti gli operai. Per la stragrande maggioranza lavoravano alla Feroce, alias Fiat. Barachin perché allora non si usavano le mense e i rimasugli della cena servano per il giorno dopo. Tre turni: dalle 6 alle 12 . Dalle 14 alle 22. Dalle 22 alle 6. La catena di montaggio non si poteva fermare.
Operai specializzati e manutentori più fortunati con il turno centrale dalle 8. 30 alle 17. 30.
Sempre un’ora di pausa, giusto il tempo per mangiare. I tempi della città erano cadenzati.
Comprese le ferie. Luglio lo avevamo passato tra oratorio e piscina Sempione. Erano le nostre estate ragazzi. Intorno alla piscina c’era il nulla. Dopo l’inizio anni 70 un piccolo parco sulle destra e campi di calcetto sulla sinistra. Nell’ottanta le prime piscine coperte.
Le vacanze con i miei iniziarono nel 1963 con una camera affittata a Tuberghengo, poi camera e cucina al Versino e Casetta a Mular Tisier. Tutte frazioni di Viu’ in val di Lanzo.
Anche qui vacanze cadenzate da ritmi precisi e relativi piccoli riti. Il lunedì a Viù c era il mercato. Si raggiungeva sempre a piedi perché mio padre non aveva mai voluto prendere la patente. Le gite previste: una al Colle del Lys ed una al lago artificiale di Malciaussia.
Ovviamente andata e ritorno in corriera. Soffietti. Nella seconda piazzetta di Viù il garage dei pullman rigorosamente blu. E poi Ferragosto. I miei si vestivano di tutto punto. Addirittura mio padre con la cravatta e mia madre quell’abitino carta da zucchero. Obbiettivo la trattoria in fondo alla frazione . Talmente naif che la cucina, il pavimento fatto do terra battuta dove razzolavano le galline. Putage’ per cucinare con la mitica buseca: minestrone con trippa, dopo coniglio al forno con verdure dell’orto appena colte. Spettacolare. Ora sicuramente i Nas avrebbero molto da eccepire. Ma che ricordi! Ed è proprio vero: più vai in là con gli anni, più ti ritornato addosso i ricordi di quando giravi in calzoncini corti. E Dopo la mangiata mio padre taroccava. E da quello che capivo era proprio bravo. Soprattutto nel mischiare le carte. Da qui la battuta: hai sbagliato la coppata. Tagliando il mazzo di carte, se sbagliavi tutte le carte buone finivano in mano agli avversari. Giustappunto altri tempi. Con quel pizzico di nostalgia che non guasta mai. Certamente perché avevamo tutta una vita davanti. C’era anche il gusto della semplicità. Di totale libertà. I miei mi vedevano solo per pranzare e cenare. Ed il branco ti proteggeva. Amici di città in vacanza ed amici nativi. Li rivedervi ogni anno quel tanto cresciuti. Poi i locali sparirono perché, oramai erano d’età giusta per per aiutare i loro genitori nel lavoro.
Un tempo che non ritorna, un tempo che ” rinasce ” nella nostra memoria. E non finiva ad Agosto. Ci aspettava un settembre pieno di impegni ancora vacanzieri. Con il 1 ottobre ancora tanto lontano. Compiti delle vacanze? Poca roba risolvibile in dieci giorni alla fine di settembre. Si cresceva. Oggi “paghiamo il nostro debito” con la memoria. Ci ricordiamo di cosa eravamo facendo oggi i conti su cosa siamo diventati.
Patrizio Tosetto