Sino al 16 gennaio al Carignano, per la stagione dello Stabile torinese
Credo che abbia avuto davvero ragione Valerio Binasco a varare, nel cuore di un gelido inverno, il suo personalissimo “Midsummer Night’s Dream” shakespeariano, per la stagione dello Stabile di Torino – Teatro Nazionale (in scena al Carignano sino al 16 gennaio). Un “Sogno di mezza estate” per tutte le stagioni. Perché questo “Sogno” è il giusto desiderio di un teatrante di tornare alla normalità e di recuperare gli spazi e il proprio pubblico con un bel sorriso stampato in faccia, di agire con l’invenzione e con l’intelligenza e con il cuore, con un testo che porta in sé tutto il divertimento possibile, con uno spettacolo pieno di colore che gioca con una scenografia a due piani capace di stupire e di catturare, con una compagnia numerosa che diverte e si diverte. Non soltanto una pretesa normalità, non soltanto una gran festa: questa festa facciamola subito, in fretta, visti i chiari di luna che ci attendono e che preannunciano nulla di buono, con un incubo che “è sempre dietro l’angolo”. È un ritorno al Bello, alla finzione come rifugio protettivo, al piacere di entrare tra i velluti rossi di una sala teatrale, di accomodarsi in poltrona e di assaporare un gusto da troppo tempo dimenticato, un meccanismo che gira a meraviglia e non delude mai. Cioè, ce ne fossero di serate come questa in una intera stagione.
Scriveva un critico del secolo scorso: “Il ‘Sogno’ è una grande poetica sbornia piena delle dissonanze, degli stridori, del veder doppio, dei contrattempi e malintesi che sono propri delle grandi sbornie e delle grandi farse”. Non resta che buttarcisi dentro, via alla commedia degli equivoci. Preparare la reggia, dalle bianche sale, il luogo dell’ordine e della freddezza, dove Egeo impone irremovibile alla figlia Ermia di sposare Demetrio anche se la ragazza gli preferisce Lisandro, antico innamorato di Elena: quando Ermia e Lisandro fuggiranno per unirsi lontano in matrimonio, ecco che Elena rivelerà ogni loro progetto a Demetrio, nella speranza che ritorni a lei. Preparare il bosco incantato, il luogo della fantasia e della libertà non soltanto creativa, affondare nell’Eros, che attraversa l’intera commedia, l’Eros dei sentimenti e quello altresì fisico, pervaso dalla più sfacciata sensualità e dalle gelosie più acute e distruttrici, nel suggestivo cambiamento escogitato da Nicolas Bovey (cui si devono anche i raffinati giochi di luci), una landa selvaggia e azzurrina tutta anfratti e luoghi petrosi, entro cui convogliare i sovrani Oberon e Titania, le magie e gli scherzi di Puck, le illusioni e le disillusioni, i falsi risvegli, gli inseguimenti e le baruffe di innamorati, coppie che si formano per poi esplodere all’improvviso, lo zigzagare di innamoramenti e di disinnamoramenti pronti a tramutarsi ancora una volta in innamoramenti, con i matrimoni che ne seguono, per quel mal d’amore che tutti cattura, umani e creature fiabesche. Sino alla recita finale, il dramma di Piramo e Tisbe, allo spettacolo nello spettacolo che mette tutto e tutti d’accordo: i comici e le maschere, un isolotto tutto arancio di pace, sul fondo e di lato, una farsa che tira i remi in barca, un angolo conclusivo di teatro, di atmosfere, di colori, di magico che può riportare alla memoria certi attimi delle messinscene strehleriane.
Binasco – qui, oltre che regista, anche adattatore e traduttore con la collaborazione di Antonio Calenda e tra gli interpreti, nel doppio ruolo di Teseo e di Oberon: un factotum che sa che cosa è un palcoscenico – padroneggia a meraviglia, senza facili soluzioni e con gran divertimento, la materia non facile da sistemare, considerando le tante sottotrame che vi circolano, la scrittura tutta giravolte, lo scomporsi continuo delle situazioni. Lo fa con occhio moderno, a cominciare dal guardaroba degli attori (i costumi sono di Alessio Rosati), risparmiandoci trascrizioni e riletture forzate o assurde quali ormai infestano i nostri palcoscenici, rendendoci pacificamente il plot in un susseguirsi amabilissimo di fuochi d’artificio. Che il pubblico sottolinea in un susseguirsi (in una delle repliche cui ho assistito, ma nulla ha potuto negare il grande successo nelle serate successive: se ancora non s’è capito, uno spettacolo da vedere) di chiamate e applausi. Della compagnia in scena, tutti giocano a costruire il proprio personaggio, nella piena consapevolezza che ognuno per un piccolo istante diventa protagonista, dal Quincey di Nicola Pannelli all’imperdibile Puck di Francesco Russo al Bottom di Michele Di Mauro che, nella voce e nei gesti, dopo l’exploit delle “Sedie”, si guadagna un bello spazio all’interno del nostro Stabile; certamente, le due coppie di innamorati, Giordana Faggiano e Fabrizio Costella come Ermia e Lisandro e Lorenzo Frediani e Dalila Reas nelle vesti di Demetrio ed Elena (forse i giovanotti più a proprio agio, le attrici un po’ troppo vocianti: ma sarebbe voler cercare il pelo nell’uovo), e ancora Olivia Maniscalchi e Franco Ravera.
Elio Rabbione
Le immagini dello spettacolo sono di Luigi De Palma
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