Dal 26 novembre al 4 dicembre
“Uno strappo, un rapido movimento, una scossa, un’emozione, uno squarcio su un futuro tutto da ripensare e da re-immaginare”. La spianata di piazza Vittorio in una vecchia immagine (credits Maicol Casale e Davide Oberto), il tram d’un tempo che sferraglia lungo il fiume, macchine da presa microfoni e piccoli set, King Kong sulla cupola della Gran Madre, Anna Magnani che nell’ultimo istante urla dietro la camionetta che le sta portando via Francesco, un omaggio al godardiano Jean Paul Belmondo; ma anche una platea di spettatori, Buster Keaton con il suo cappellino schiacciato e il bicchiere di popcorn in mano, Orson Welles con l’eterno sigaro, il robot di “Metropolis”, forse il coltellaccio di “Psyco”, forse Marylin. È l’immagine che accompagnerà dal 26 novembre al 4 dicembre la 39ma edizione del Torino Film Festival, un panorama quantomai colorato del cinema mondiali, un concorso ufficiale con premiazione di rito, una giuria capitanata dalla regista ungherese Ildikò Enyedi, Caméra d’or a Cannes, Orso d’oro a Berlino e nomination agli Oscar (“per molto tempo ho guardato da lontano e desiderato incontrare questa ‘persona’ intrigante, audace e nobile nelle proprie scelte, orgogliosa dei suoi valori e umile nei confronti dei registi – il Torino Film Festival”), una madrina che ha la simpatia di Emanuela Fanelli (la vedremo a breve in “Siccità”, l’ultimo film di Paolo Virzì), la presenza del giurato Alessandro Gassmann, la masterclass della diva Monica Bellucci insignita quest’anno del Premio Stella della Mole per l’Innovazione Artistica, a riconoscimento “per la sua versatilità artistica, per la disponibilità a promuovere l’opera di autori emergenti permettendo così la realizzazione di progetti poliedrici con contenuti e linguaggi nuovi, per la sua capacità di padroneggiare magnificamente una potenzialità creativa che può arricchire enormemente l’arte cinematografica”. In ultimo, ma non ultimo, un budget provvidenziale di un milione e 750mila euro che non sarà quello della pre-pandemia ma che non è nemmeno da buttar via.
Nello sconquasso generale, nelle incertezze e nelle precauzioni necessariamente prese, appare come una importante novità il ritorno in sala, la normalità delle proiezioni in sale (quest’anno Greenwich Village, Massimo e Lux) dove il pubblico può essere accolto al 100%, dove si torna a chiacchierare e a scambiarci giudizi. Persino le code all’entrata, nel loro sciogliersi a passi lenti, vanno benedette. La riconferma sono le opere prime e seconde di autori che lo sguardo del TFF si spinge a “proteggere e promuovere”, come sottolinea il direttore Stefano Francia di Colle, “fortemente convinti che dare risalto a questo lavoro possa essere un utile contributo all’industria dello spettacolo e alla produzione culturale italiana e internazionale”.
Inaugurazione e chiusura sull’onda della musica. La prima è affidata a “Sing 2 – Sempre più forte” diretto da Garth Jennings (uscita natalizia il 23 dicembre), coloratissima commedia musicale d’animazione, sequel del “Sing” di cinque anni fa, storia di successo di un gruppo di animali pronti a organizzare una gara canora per riportare il Moon Theatre al suo vecchio splendore e salvarlo così dalla chiusura. “Mi rendo conto – ha affermato di recente il regista – che le nostre ambizioni per il film sono sempre state allineate con quelle del nostro amato Buster Moon: raggiungere le stelle e dare al pubblico la più meravigliosa, la più strabiliante e più sentita celebrazione del cinema e della musica possibile. Non potremmo essere più orgogliosi del nostro film e siamo tutti felici di portare “Sing 2” al Torino Film Festival”. Anche un’occasione per ascoltare le voci originali di Matthew McConaughey (il koala Buster), Reese Witherspoon (la maialina Rosita), Scarlett Johansson (la porcospina rocker Ash) e Bono (il leone Clay Calloway). La serata finale vedrà sullo schermo Valerie Lemercier, interprete e regista di “Aline”, dedicato alla voce e alla vita di Céline Dion, il pubblico e il privato, l’incontro con il produttore Guy-Claude Kamar e il successo planetario.
181 i film presentati al festival (18 lungometraggi, 68 anteprime mondiali, 14 anteprime internazionali, 4 anteprime europee e 53 anteprime italiane, su un totale di 4500 opere visionate), 12 le proposte nel concorso ufficiale, ospiti tra gli altri Corea del Sud, Canada, Argentina, Svezia, Germania, Cina, Francia, Austria, Germania, Usa. Unico titolo italiano “Il muto di Gallura” di Matteo Fresi, quasi un western ambientato tra i monti e i boschi della Gallura, dove, tra il 1849 e il 1856, si consumò una feroce faida tra le famiglie Mamia, Pileri e Vasa, che causò decine di morti: tra gli artefici c’era Bastiano Tansu, detto il Muto, divenuto protagonista di una leggenda ancora, in parte, avvolta nel mistero. Dalla Turchia (coproduzione Romania/Francia/Spagna) arriva “Between two dawns”, storia del giovane Kadir che conduce felicemente con il resto della famiglia una fabbrica tessile; quando un operaio si ustionerà, per lui le cose cambieranno decisamente. Il tema purtroppo attualissimo della sicurezza sul lavoro, gli incidenti sempre più numerosi e le loro conseguenze, l’annullarsi di ogni certezza nello spirito e nella vita del protagonista. “Clara sola” di Nathalie Alvarez (Svezia/Costa Rica/Belgio/Germania) narra di una ragazza, sofferente per dolori a ossa e muscoli, usata dalla madre superstiziosa come guaritrice in raduni religiosi; di “Feathers” di Omar El Zohairy (Francia/Egitto/Olanda/Grecia) è protagonista una donna, totalmente asservita ai suoi doveri di moglie e madre, decisa ad affrontare un cambiamento radicale dopo che ad una festa un prestigiatore ha trasformato suo marito in un pollo: il gusto della nuova libertà, con conseguenze davvero eclatanti. L’austriaco Sebastian Meise porta “Great freedom”, la storia di Hans, dall’immediato secondo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta condannato per omosessualità: anche qui una ricerca continua di libertà, ma altresì anni che trascorrono tra silenzi e sguardi, tra dolore e speranza. Da sottolineare ancora due film di produzione francese: “Une jeune fille qui va bien” di Sandrine Kimberlain, Irène nella Parigi del 1942, giovane ebrea francese con il desiderio di studiare recitazione, un futuro sognato sulle tavole del palcoscenico, la persecuzione che cambierà ogni cosa; e “La traversée” di Florence Miailhe, due fratellini, nella dura realtà dell’Europa dell’Est, allontanati dai genitori e pronti ad affrontare un drammatico viaggio per scappare dalle persecuzioni perpetrate nel loro paese d’origine.
Altri appuntamenti da segnalare, “Jane par Charlotte”, ovvero Jane Birkin vista da Charlotte Gainsbourg, una madre vista dalla figlia, un confronto che serve anche a ristabilire anni fatti di incomprensioni e di deboli riavvicinamenti, un momento per rimettersi in gioco, l’una e l’altra parte; ancora la Gainsbourg in “Suzanna Andler” di Benoît Jacquot dal testo omonimo di Marguerite Duras, un’unica giornata all’insegna di sentimenti, menzogne e tradimenti, l’attesa di un amante, una villa affacciata sul mare della Costa Azzurra. “Bangla – La serie” di Phaim Bhuiyan e Emanuele Scaringi, gli stessi autori del film rivelazione del 2019, la storia del ragazzo di origini bengalesi che vive nel quartiere romano di Torpigrattara, che ha formato con gli amici un gruppo musicale e che ama Asia, una ragazza che è il suo esatto contrario, ribelle e scapestrata; “Cry Macho” di e con Clint Eastwood, un anziano cowboy allevatore di cavalli ed ex star del rodeo, incaricato dal suo capo di riportare in Texas dal Messico il figlio allontanato dalla madre alcolizzata: sarà l’occasione perché s’instauri tra il ragazzo e il vecchio (Eastwood è arrivato ai 91 anni!) un’insolita amicizia; Monica Bellucci rivede tra documentario e finzione il mito di Anita Eckberg in “The girl in the fountain”, quattro storie che s’intrecciano in “La notte più lunga dell’anno”, esordio di cui si dice un gran bene di Simone Aleandri, interpreti tra gli altri Ambra Angiolini, Massimo Popolizio e Alessandro Haber. Un omaggio a Giovanna Marini con “Giovanna, storie di una voce” firmato da Chiara Ronchini, l’immagine di una indimenticata icona della musica folk italiana, una coppia in “Bergman island” di Mia Hansen-Løve che si trasferisce per sei settimane sull’isola di Faro per scrivere ciascuno la sceneggiatura di un nuovo film, immersa nel paesaggio caro al grande regista svedese (il film esce sugli schermi il 7 dicembre).
Per gli appassionati, una felicissimo improvvisata del festival, la sezione “Tracce di teatro/Il respiro della scena”, immagini e tavole del palcoscenico dove si allineano il pucciniano “Gianni Schicchi” con la regia di Damiano Michieletto, “Strehler, com’è la notte?” di Alessandro Turci, suggestioni e riflessioni da non perdere, Gabriele Lavia con il pirandelliano “Uomo dal fiore in bocca” e i due titoli di Eduardo, di prossima programmazione televisiva, “Non ti pago” e “Sabato, domenica e lunedì”, interprete Sergio Castellitto e Edoardo De Angelis regista. Un programma nutritissimo, dentro cui, per molti, per i tanti appassionati, spiccheranno “Le stanze di Rol” (media partner Rai 4), ovvero una sezione “magica” nella certezza che “un mondo parallelo e un altrove al cinema tradizionale esistano”, una sezione che “vuole costruire ponti, non barriere protettive; cerca il dialogo tra realtà diverse, non il conflitto”.
Elio Rabbione
Nelle immagini: il manifesto del 39mo TFF; scene da “Il muto di Gallura”, unico film italiano, e “Une jeune fille qui va bien” di Sandrine Kimberlain (Francia); Clint Eastwood in una scena di “Cry Macho” e Monica Bellucci in “The girl in the fountain”
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