Uno dei fenomeni più interessanti del mercato borsistico è sicuramente quello degli ETF (Exchange traded fund), fondi comuni che hanno la caratteristica di essere quotati in Borsa, come qualunque titolo obbligazionario od azionario.
Il primo ETF è stato lanciato sul mercato americano nel 1992 e aveva come riferimento l’indice S&P 500; in Italia sono stati introdotti a partire dal settembre del 2002.
Ricordiamo sinteticamente le caratteristiche peculiari di questi strumenti:
Quest’ultima caratteristica ha frenato il successo dello strumento, poiché le banche per anni hanno fatto in modo che i clienti non si orientassero verso gli ETF (definiti “pericolosi perché quotati in borsa”…) e continuassero a sottoscrivere i loro fondi.
Ma l’oggettiva bontà degli ETF, la diffusione dell’home banking e del trading on line (che ha svincolato i clienti dalla “tutela” delle banche, dando loro la piena libertà di operare sui mercati), hanno consentito di portare al successo anche in Italia i fondi quotati ed indicizzati, che oggi sono presenti nell’apposita sezione del sito di Borsa Italiana con migliaia di offerte ed animano scambi per cifre imponenti.
Tutto bene dunque?
Sì, ma…
Ma gli “stregoni del denaro” hanno messo gli occhi sugli ETF e ne hanno trasformato la natura, rendendoli potenzialmente rischiosi.
Come?
Manipolando il loro modo di operare. Quello “naturale” è comprare titoli nella stessa misura in cui compongono l’indice: rischio teorico massimo l’azzeramento del valore che può verificarsi solo nel caso in cui tutti i titoli dell’indice si azzerino (fatto assolutamente impossibile).
Quello “artificiale” che si è diffuso da qualche tempo è comprare un indice da un intermediario attraverso un derivato o una serie di future: rischio teorico massimo perdere tutto per insolvenza del venditore dell’indice (anche se la Borsa di riferimento sale!), caso non solo teorico, ma purtroppo pratico (basti pensare che uno degli operatori più attivi sul mercato era Lehman…).
Un altro modus operandi di alcuni ETF è quello di prestare i titoli detenuti in portafoglio ad operatori che speculano al ribasso ed hanno bisogno dei titoli da consegnare all’acquirente. In pratica l’ETF presta il proprio patrimonio a terzi, in cambio di un profitto più o meno elevato. Ma in questo caso si introduce un altro elemento di forte rischio potenziale, rappresentato dall’eventualità che chi ha ricevuto i titoli in prestito non li restituisca alla scadenza, provocando la perdita integrale del controvalore dell’operazione. Fra l’altro, questo tipo di agire è lesivo degli interessi dei possessori delle quote dell’ETF, perché consente agli speculatori di vendere azioni sul mercato deprimendone le quotazioni. Insomma, è come se un condannato a morte per fucilazione sentisse dire dal sergente che comanda il plotone di esecuzione: “Non possiamo procedere, non abbiamo le pallottole!” e facesse un passo avanti sorridendo e dicendo: “Niente paura, ho qui una manciata di pallottole in tasca, ve le posso dare io!”. Comportamento suicida…
Consiglio per i lettori: continuate ad orientarvi sugli ETF più che sui fondi, ma facendo bene attenzione al loro regolamento.
Se appare la dicitura “sintetico” o se nel prospetto è scritto che l’ETF può ricorrere a strumenti derivati ed a contratti dai nomi strani come “swap based” statene alla larga.
Se appare la dicitura “prestito titoli” statene alla larga, perché vi comportereste come il condannato alla fucilazione che offre le pallottole al plotone d’esecuzione.
Preferite ETF “normali”, quelli con la dicitura “portafoglio fisico”, che prevedono l’operatività basata esclusivamente sull’acquisto di titoli “veri”, e non di “aria fritta”…
Gianluigi De Marchi
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