In difesa della libera ricerca storica alla vigilia del giorno del Ricordo

La caccia alle streghe, di qualsiasi colore, è  sempre incompatibile con la democrazia liberale

Di Pier Franco Quaglieni 
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Ascoltando Antonio  Scurati  che in modo serio ed accigliato stabilisce un confronto tra Mussolini e Salvini, si rimane stupiti degli elementi di somiglianza politica  tra i due  che lo scrittore – che non è uno storico – riesce a trovare
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In effetti ambedue si possono considerare a loro modo dei populisti, ma il confronto, ammesso che si possa fare, va a tutto vantaggio di Mussolini che fu un vero politico. Salvini rivela il fiato corto sia  tattico che strategico. I pieni poteri uno li chiese in Parlamento da presidente del Consiglio, l’altro bevendo un mohito a Milano Marittima. Questi confronti, se vengono considerati storicamente e  non sotto un profilo meramente politicante, finiscono di avvantaggiare Mussolini che seppe realmente perseguire un fine  politico e personale molto preciso che sfociò nella dittatura. Rappresentano quasi un’apologia del Duce di cui Scurati non si rende conto.
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Creare allarmismo perché Salvini sarebbe un potenziale dittatore è totalmente sbagliato. Salvini, sia pure con l’aiuto di qualche Sardina, si è dimostrato un avversario che è  possibile battere anche per le sue ingenuità che appaiono, a volte, forme di intollerabile  arroganza. La fobia del fascismo e’ incompatibile con una seria ricerca storica. Dai tempi di  Renzo De Felice in poi – al di là delle scomuniche di Nicola Tranfaglia – le vulgate non sono vera  storia, ma interpretazione politica della storia, se non  addirittura uso politico della medesima.
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Forse stiamo smarrendo per strada  questi ragionamenti a cui si era giunti faticosamente. Prima i governi Berlusconi con lo sdoganamento dei neo fascisti e adesso Salvini  hanno messo indietro l’orologio della ricerca storica. Uno storico come  Gian Enrico Rusconi, ad esempio, non ha  più spazio neppure sui giornali. E’ un segno allarmante del conformismo che si sta delineando all’orizzonte. In passato Claudio Pavone, pur sollevando polemiche, poté scrivere di  Resistenza come guerra civile. Forse oggi questi discorsi non si potrebbero più  fare. Eppure stiamo parlando di temi legati alla prima metà del secolo scorso e quindi ampiamente storicizzabili  ed anche già  storicizzati.
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Le cose che si potevano scrivere liberamente in passato, oggi non è più possibile  scriverle perché si rischia la scomunica, se non il linciaggio mediatico. I libri di Giampaolo Pansa vennero astiosamente criticati perché considerati non storici da campioni dell’antifascismo gramsciano come Angelo d’Orsi che si accanì  con poverissime argomentazioni contro lo scrittore  che si limitava a fornire dei dati incontrovertibili sulla guerra civile e sul dopo, senza pretendere di fare lo storico . Invece di confutare Pansa si fece di Pansa  un fantoccio polemico contro cui accanirsi.
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Oggi lo storico  dell’arte Tomaso Montanari  può permettersi di dileggiare Pansa a cadavere caldo senza una effettiva presa di distanza, se non da parte del critico televisivo del “Corriere della Sera”Aldo Grasso a cui va reso merito per il suo articolo di condanna per un atto orrendo, oltre che ingiustificato, compiuto da Montanari, eroe di un antifascismo gladiatorio e vistosamente illiberale. Nessun altro si è dissociato dal volgare oltraggio al cadavere di Pansa, idealmente esposto al ludibrio in una sorta di un nuovo piazzale Loreto mediatico.
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Se si parte dall’idea che il fascismo è un reato, si cade obbligatoriamente sul  piano giudiziario, impedendo la libera  ricerca.  La ricerca storica non ha mai fine, mi diceva Franco Venturi, il grande storico che fu anche un fermissimo antifascista, ma che si oppose alla contestazione studentesca che voleva riallacciarsi alla Resistenza per giustificare il ricorso  alla violenza. E quindi non ci si può scandalizzare della revisione storica che è il sale della ricerca storiografica. La storia, in ogni caso, va discussa nelle aule universitarie, non in quelle giudiziarie. La caccia alle streghe, di qualsiasi colore, è  sempre incompatibile con la democrazia liberale.  Forse può essere compatibile con le pseudo- democrazie illiberali dei paesi dell’ Est che hanno convissuto con la dittatura comunista e sono poco avvezze alla libertà.
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Lo abbiamo scritto tante volte e lo ripetiamo anche oggi: le idee vanno confutate con  valide argomentazioni, non vanno vietate soprattutto quando le valide argomentazioni non mancano. Altrimenti si cade in un regime  che in nome della salvaguardia della  libertà impedisce  paradossalmente la libera espressione delle idee. Le democrazie assistite o protette che tanto piacevano, ad esempio, a Scelba e a Sogno, improntate a certi furori ideologici del secondo Dopoguerra,   non erano vere democrazie. Questo dato storico va riconosciuto, sia che si parlasse di comunisti che di fascisti.
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Se a distanza di decenni ci ritroviamo costantemente a parlare di fascismo e di antifascismo, non è un buon segno. Alla vigilia del Giorno del ricordo del 10 febbraio sento una brutta aria che tira. Con la scusa del contestualizzare e del voler  capire c’è quasi  un tentativo in atto, se non di  riabilitare, almeno di  giustificare, gli  infoibatori che avrebbero agito così, reagendo alla dominazione fascista. La storia non è mai giustiziera, ma non può neppure essere sempre giustificatrice. La storia delle foibe non è questa  e nessuno ha  il diritto di tentare di giustificare dei criminali, fermo restando che va condannato, senza distinguo,  il regime fascista per le sue violenze nei territori dell’Adriatico orientale.
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Meno che mai ha senso confrontare i profughi Giuliano-Dalmati  con quelli della Prussia Orientale  dopo la fine della II Guerra Mondiale. Sono storie diverse che non possono essere confrontate  e il tentativo di paragonarle e’ storicamente fuorviante ed è volto a ridimensionare il dramma dell’Esodo in Italia dopo  le violenze  e la pulizia etnica di Tito.
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Speravamo che il Giorno del Ricordo fosse un punto fermo ed invece temiamo che non sia più così. Occorre di nuovo che Gianni Oliva ripubblichi i suoi libri per far capire una realtà che solo Rifondazione comunista si rifiutava di riconoscere. Io vorrei rivendicare il valore  più che mai attuale dell’antifascismo liberale di  Benedetto Croce che nel 1949, rivolgendosi ai giovani dell’ istituto per gli studi storici di Napoli disse che, essendo stato lui un fiero  antifascista, non avrebbe mai potuto scrivere una storia del fascismo. Uno dei miei maestri, Alessandro Galante Garrone, mi disse la stessa cosa. Si trattava di uomini  di alto livello innanzi tutto morale di cui oggi si è smarrito anche il ricordo .
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