Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Valérie Perrin “Cambiare l’acqua ai fiori” -Edizioni e/0- euro 18,00
I fiori da innaffiare sono quelli sulle tombe, chi lo fa è la custode di un piccolo cimitero della Borgogna… e questo romanzo è bellissimo! Oscilla tra presente e passato, interseca più destini, ha sfumature gialle e sonda con profondità -ma anche leggerezza- vita, amore e morte.
L’autrice è la moglie del regista Claude Lelouche e forse la sua familiarità col mondo del cinema ha contribuito ad ammantare il libro di una levità che trascende la corposa mole di oltre 470 pagine. Protagonista è la guardiana di riposi eterni Violette Toussaint, donna complessa e affascinante, segnata da una vita difficile. Abbandonata alla nascita, sballottata tra più famiglie, ha sposato l‘avvenente scansafatiche e tombeur des femmes Philippe Toussaint. Dal loro infelice matrimonio è nata la piccola Leonine, dal tragico destino. Violette dopo aver fatto la casellante ferroviaria ha deciso di andare a vivere nella casetta del custode di un cimitero. Il marito, che odia tutto di quel posto, finisce per abbandonarla, scomparendo dal suo orizzonte. Lei invece diventa il punto fermo dell’umanità dolente che ha lutti da elaborare, e la guardiana di chi riposa nelle tombe limitrofe al giardino e all’orto (che cura con amore). Pochi luoghi -come quelli di sepoltura- sono crocevia privilegiati di innumerevoli vite e di persone che Violette accoglie nel suo salotto, offrendo tè e dosi massicce di conforto. Nelle sue stanze transitano uomini e donne, giovani e anziani, schiantati dal lutto, dai rimpianti o invischiati in rese dei conti con chi non c’è più. O, ancora, con ceneri di amanti segreti da spargere sulla lapide del grande amore, la cui vita è stata tarpata dal destino infausto. E Violette finirà per far pace con il suo immenso dolore proprio grazie agli incontri con personaggi la cui bellezza lascio a voi scoprire. E….fidatevi non è per niente un libro triste.
Andra e Tatiana Bucci “Noi bambine ad Auschwitz” -Mondadori- euro 17,00
La loro è una storia che non va dimenticata, perché non si parlerà mai abbastanza dell’orrore dell’Olocausto. Le sorelle Bucci, Liliana (detta Tatiana) e Alessandra (detta Andra), sono fra i pochissimi bambini sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz. Catturate a Fiume insieme ai familiari nel 44, quando avevano 6 e 4 anni, precipitarono nell’inferno. La loro salvezza forse è dovuta all’ imperscrutabile ruota del destino, al fatto che il padre fosse cattolico o alla forza protettrice della madre internata in un’altra baracca del loro campo. O più probabilmente al fatto che furono scambiate per gemelle, dunque soggetti interessanti per gli studi del dottor Mengele. E’ così che scamparono alle selezioni sulla rampa che decidevano chi viveva e chi finiva subito nelle camere a gas. Insieme al cuginetto Sergio vengono spedite nel Kinderblock dei bambini destinati alle più atroci sperimentazioni mediche. Il lager delle piccole cavie, di cui le sorelle Bucci raccontano tutto l’orrore. Il freddo, la fame, i giochi nel fango, le fugaci visite della mamma. Ma soprattutto le cataste di cadaveri ammassati in attesa di “passare per il camino”, l’unico modo di uscire dal campo di concentramento. Come si cresce circondate da tanto orrore? Finendo per pensare che questa quotidianità sia “normale”; ci si abitua alla morte e in qualche modo la paura si alleggerisce. Diverso sarà il destino del cugino, vittima di uno spietato inganno. Le SS radunarono i bambini chiedendo loro chi voleva rivedere la mamma: 20 piccoli fecero un passo avanti nella speranza, tra loro anche Sergio. Scomparvero nei sotterranei della scuola Bullenhuser Damm di Amburgo, dove subirono prima le iniezioni di bacilli tubercolari, poi l’asportazione chirurgica dei linfonodi ascellari (documentate da foto orripilanti), e finirono per essere tutti impiccati. Nei campi della morte di Auschwitz – Birkenau furono deportati più di 230.000 bambini; solo poche decine di loro sono sopravvissuti. Le sorelle Bucci sono tra questi e oggi non si stancano mai di raccontare l’indicibile, pregando che non si ripeta.
Bret Easton Ellis “Bianco” -Einaudi- euro 19,00
Ci sono tante cose in questo libro: ricordi, aneddoti, film, gay, femminismo, ossessioni anti-Trump… sostanzialmente una critica della società odierna. E Bret Easton Ellis non è certo uno che le manda a dire. Diventato famoso a soli 21 anni, nel 1985 con “Meno di zero”, a cui sono seguiti altri romanzi di successo (come “American Psycho”), ora mette a ferro e fuoco l’America con le sue mille contraddizioni; e in senso più globale, il mondo odierno avvitato su se stesso in una bieca omologazione.
Ellis segue una freccia temporale e parte dagli anni 70, quando il mondo era ancora a misura degli adulti e non ruotava, come oggi, intorno ai bambini. Lui era un ragazzino californiano che cresceva a Sherman Oaks:, tipica infanzia della classe medio-alta bianca. Andava a scuola da solo, leggeva i romanzi che voleva e guardava impunemente film horror, non aveva bisogno che un grande gli tenesse sempre la mano. Cresceva con i suoi coetanei scoprendo il mondo insieme a loro, lontano dai genitori (che in pratica non esistevano) e non c’erano suicidi di ragazzi fragili e bullizzati sui social. Non necessariamente un’adolescenza più dorata; ma sicuramente più sensata di quella imperante oggi.
Poi ci sono le incursioni nel mondo del cinema, a partire da “American Gigolo” che vide a 14 anni, seguito da altre pellicole come “In cerca di Mr. Goodbar che solleticarono la sua sensibilità adolescenziale. Ma anche Premi Oscar più recenti, di cui commenta trame, regie e recitazione.
Poi arriva agli anni 80 newyorkesi in cui abitò nello stesso palazzo di Tom Cruise. E ancora, il periodo successivo al primo successo letterario, i rigidi orari di scrittura per pubblicare altri libri, gli incontri e le relazioni con altri gay, i suoi rapporti con la millenial generations e tanto altro ancora. Compreso quell’11 settembre in cui Ellis era a Manhattan e “Tutta la città era stata inghiottita da quella tragedia….potevi letteralmente annusarla nell’aria…” .
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