Nelle sale “C’era una volta… a Hollywood” con Di Caprio e Brad Pitt
Pianeta Cinema a cura di Elio Rabbione
A chi non ha mai avuto un debole per l’idolatria e s’è sempre rivelato un pallido tarantiniano, veder usati all’indomani della proiezione a Cannes o oggi in occasione dell’uscita in casa nostra termini come “capolavoro” o espressioni come “colpo di fulmine” o ancora qua e là cascate di stelline e pallini neri, beh, tutto questo ben di dio a proposito di C’era una volta… a Hollywood risulta un po’ inspiegabile. Senza far sì che ti vengano a travolgere troppo facili entusiasmi, l’ultimo Tarantino è un divertente, irriverente quanto accattivante prodotto da seguire normalmente in sala con un buon carico di disponibilità da parte dello spettatore, ormai abituato alle gradassate del rampollo doré del cinema d’oltreoceano, ai suoi punti di riferimento irrinunciabili e ai suoi divertimenti fuori misura, alla sua convinzione in un cinema inteso come pillola miracolosa capace di stravolgere anche la storia, alla sua cinefilia che lo ha nutrito fin qui e che affonda le proprie radici più intime in un B-movie di stampo italiano da altri a lungo snobbato. Essendo qui palpabile in primo luogo che la scrittura dell’autore non ha l’invenzione, la finezza e l’irruenza che ad esempio ti faceva pochi anni fa maggiormente sospirare per Bastardi senza gloria.
Siamo nella Mecca del cinema, la grande macchina dell’industria cinematografica va a meraviglia, l’anno è il 1969, l’anno in cui Neil Armstrong posa il piede sulla luna ma anche della strage di Cielo Drive 10050 a Bel Air (era il 9 agosto), Sharon Stone e i suoi quattro ospiti trucidati dalla mano di Charlie Manson e dalle sue giovanissime adepte. Anche gli anni dove già s’intravede il tramonto degli studios e l’alba di un cinema americano che sarà diverso. È la storia di Sharon (Margot Robbie), stellina venuta da Dallas, giovane moglie di Roman Polanski, della sua allegria, della sua voglia di farsi conoscere e riconoscere, di andarsi a rivedere su di uno schermo (danno un film della serie “Matt Helm” con Dean Martin) e inorgoglirsi divertita alle risate del suo pubblico; è la storia di Rick Dalton (un Leonardo DiCaprio in gran vena, tra la presunzione e la frustrazione, alla ricerca della battuta dimenticata e della grande prova del riscatto), attore televisivo di seguitissime serie western, stella di successo ma ormai irrimediabilmente relegato in un secondo firmamento, che nel cinema vero e proprio non ha mai saputo sfondare, già consapevole (e frustrato: mai avrebbe attraversato il red carpet, mai “winner is…” lo avrebbe sentito in attesa del suo nome) di essersi incamminato sulla strada di un non lontano viale del tramonto (se uno straordinario manager Al Pacino non gli facesse sentire il profumo dei quattrini e della fama (oh quanto passeggera!, quattro film e a casa) nel cinema italiano di Sergio Corbucci e Anthony Dawson al secolo Antonio Margheriti. È la storia di Cliff Booth (Brad Pitt, che a tratti sembra prendere spazio al collega per diventare il vero eroe di tutta la storia), suo sincero amico, controfigura di sempre e a tempo libero autista e confidente e pronto anche alla riparazione dell’antenna di casa, allegro e disinvolto, qualche macchia alle spalle (un processo con il sospetto d’aver fatto fuori la moglie), pronto a dire pure pane al pane mentre si scazzotta con Bruce Lee. Mai vuote macchiette ma personaggi autentici come i tanti che hanno costruito una certa storia a Hollywood.
In una ricostruzione esatta e parcellizzata e simpaticamente vivificata che è il punto di forza e più convincente dell’intera operazione nostalgica di Tarantino – ci sono i vecchi villaggi western e le sparatorie, le roulotte scalcagnate, il bianco e nero quasi d’obbligo, le feste a bordo piscina tra le conigliette di Hugh Hefner con Steve McQueen a fare da guest star, ci sono i drive in e le grandi insegne luminose dei cinema a reclamizzare quei titoli che abbiamo visto e che oggi compiono cinquant’anni, ci sono i figli dei fiori e le audaci e spericolate ragazzine con le avances a portata di mano -, la storia di Rick e Cliff s’incrocia con quella di Sharon, con una ventata di buonvicinato che non può che aiutare, là dove (Hitler ha finito di sghignazzare mentre si guardava le immagini di Orgoglio della nazione nel cinema parigino in Bastardi senza gloria) ancora una volta Tarantino si diverte ancora una volta a dare un nuovo corso alla storia. È l’atto di ribellione di Rick Dalton che va inaspettatamente a segno, forse la sua consacrazione, il frustrato perdente che si appresta a diventare un astro. Forse. La potenza del cinema, la passione di Tarantino per il cinema, inarrivabile.
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