È torinese la prima opera LGBTQ+ in italiano

Di Renato Verga

Nel melodramma le amicizie virili non sono certo una rarità: da Achille e Patroclo e poi Oreste e
Pilade nelle due Ifigenie gluckiane, fino a Zurga e Nadir dei Pescatori di perle, passando per Carlo e
Rodrigo del Don Carlos. Molto più rari, invece, i casi in cui l’amore omosessuale diventa motore
esplicito della vicenda: gli esempi recenti come il folgorante Lessons in Love and Violence di
George Benjamin (2019) o gli Edward II firmati da Cilluffo (2006) e Scartazzini (2017). Poi c’è
Britten, naturalmente, che meriterebbe un capitolo a parte.

In questo solco s’inserisce Davide e Gionata, di Marco Emanuele che tre anni fa aveva presentato la
sua “tragédie biblique” italiana proprio a Torino, nel giorno dedicato alla storia del movimento
omosessuale credente e ai cinquant’anni del F.U.O.R.I. Ora l’opera torna al Teatro Vittoria, anche
questa volta in forma di concerto. Si tratta un soggetto antichissimo — l’amicizia/amore tra Davide
e il figlio del re Saul – già affrontato nel 1688 da Charpentier in David et Jonathas, ma qui la
rilettura è esplicita, contemporanea, dichiarata: «Amo te solo…» cantano i protagonisti, e raramente
nel repertorio italiano tali parole si sono udite così nitide.

Il libretto, dello stesso Emanuele, parte dal Saul del Romani per montare con abilità un collage
poetico che attraversa i secoli: Metastasio, Landi, Goldoni, Cernuda, Testori. Un pastiche colto e
spregiudicato che trova nella musica un equivalente estetico: il compositore guarda al belcanto
primo Ottocento, con recitativi, pezzi chiusi, cabalette, strette, ma si diverte a disseminare echi
vivaldiani, ombre settecentesche e perfino pulsazioni da Piazzolla in un’opera “antica” ma
pienamente di oggi.

La storia è nota, ma assume qui una forza diversa. Il re Saul ha allontanato Davide, sospettoso del
suo legame col figlio Gionata, che intanto tenta di conformarsi al volere paterno sposandosi e
generando eredi. Davide torna, vuole smettere di nascondersi. Saul, accecato dalla gelosia politica e
paterna, trama di eliminarlo. In battaglia Gionata scambia l’armatura con l’amato e paga con la vita:
è il padre stesso a colpire suo figlio credendolo Davide. Solo davanti al cadavere, Saul comprende la
tragedia.

Emanuele costruisce una drammaturgia vocale di grande intelligenza. Davide e Gionata sono due
controtenori: timbri chiari, Davide più sopranile, Gionata più contraltile. Un omaggio al teatro
barocco e alla coppia soprano/contralto del belcanto rossiniano. Abner è un basso “villain”, mentre
la figura contprta del re Saul è affidata a una voce femminile en travesti, scelta che introduce un
gioco di rispecchiamenti e ambiguità molto contemporaneo: l’amante e il Padre condividono,
simbolicamente, lo stesso registro.

La partitura, per quattro voci e otto strumenti, è un cantiere di idee. Simone Lattes dirige con
precisione e trasporto l’Accademia dei Solinghi formata da Flavio Cappello al flauto, Gianluca
Calonghi al clarinetto, Stefano Arato alla fisarmonica, Lucia Caputo e Paola Nervi ai violini, Magda
Vasilescu alla viola e Massimo Barrera al violoncello. Al clavicembalo, festeggiatissima, Rita
Peiretti. I venti numeri musicali offrono una tavolozza sorprendente: cavatine rossiniane, arie “di
tempesta”, recitativi secchi, canzoni pastorali. Spicca la pagina tanghera dell’aria «Fra l’orror della
tempesta», con la fisarmonica in veste di bandoneón: un lampo ironico e geniale.

Fra i momenti più intensi, la scena del sonno di Saul, vegliato con struggimento da Gionata, che
intona l’aria metastasiana «Mentre dormi». Nel finale, la follia del re — un turbine virtuosistico —
e il lamento sul corpo del figlio portano l’opera verso un epilogo di sorprendente pathos.
Il soprano Marina Degrassi delinea un Saul complesso e sofferto, brillano i controtenori Angelo
Galeano (Gionata) e Maurice Beack (Davide), mentre il basso Yulin Wang (Abner) mostra margini
di crescita. Pubblico calorosissimo per tutti, e soprattutto per Marco Emanuele.

Questa seconda esecuzione in forma di concerto — arricchita dalla sobria mise en espace di Pietro
Giau — lascia il sospetto che Davide e Gionata meriterebbe una piena realizzazione scenica. Per
idee, qualità musicale e coraggio drammaturgico, sarebbe ora che la trovasse.

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