Alla Mole, sino al 9 marzo
“Osservate, indagate, decifrate il significato intenso di ogni proposta consegnata da Angelo Frontoni. La fotografia è più complessa del cinema che inganna l’occhio con il movimento dell’oggetto e il suono della parola; la fotografia è un furto breve, è un istante di rapimento posseduto dal quale l’operatore sottrae alla vittima la sua muta confessione”, parole di Alberto Lattuada, anno 1990. Ed è una ampia carrellata, che s’inerpica su e su per la scala elicoidale, all’interno della Sala del Tempio della Mole di Antonelli, di queste fanciulle in fiore – in questi termini avrebbe parlato il regista -, quella che srotola immagini e immagini, sotto il titolo di “Pazza idea”, prodotta in proprio e realizzata dalla Fondazione del Museo del Cinema e attingendo da quel vasto patrimonio che è l’archivio Frontoni – 546.000 immagini acquisite vent’anni fa dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e dalla Cineteca Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma: per la mostra se ne sono scelte 200 in rappresentanza di 62 artisti nazionali e internazionali. Chissà quante diverse mostre e differenti titoli potranno nascere da tutto quel ben di dio. Curata dal direttore Carlo Chatrian con Roberta Basano e Elena Boux, la mostra ha il giusto sottotitolo di “Oltre il ’68: icone pop nelle fotografie di Angelo Frontoni”, dove sono indicate la volontà e la scelta di restringere il campo visivo, di focalizzare una dozzina d’anni, di interessare lo sguardo esclusivamente al corpo – femminile soprattutto ma anche maschile che quegli anni di digressione e rivoluzionari avevano sdoganato -, di guardare alla carta patinata e no, alle riviste che con quelle immagini quasi triplicavano le loro vendite, agli spazi occupati su Stern, Paris Match, Sunday Times, Photo e persino Playboy americano, magari mescolando – sempre con il gusto dell’ironia una provocazione più o meno accentuata – il clima della Swinging London con i panorami agresti delle campagne intorno a Roma. Uno sguardo a fissare un’epoca piena di personaggi, taluni a consolidare un successo altri alla ricerca di una fama, obiettivi e sguardi ben lontano sempre dal voyeurismo.
“L’immagine mi ha sempre attirato. Vivo d’immagini, la bellezza delle immagini le luci, le espressioni del volto umano…La realtà; la vita. Faccio il fotografo per cogliere, fissare, rubare la vita… Abbellirla, quando mi riesce”, parole di Frontoni, anno 1989, che richiamano le parole di Roberta Basano, in conferenza stampa, circa “la sua grande libertà con il mezzo espressivo”. A lui, nei decenni che vedevano attentati e sangue e atti rivoluzionari, che incrociavano gli anni di piombo, non interessavano i cortei che sfilavano per le strade e davanti ai cancelli delle fabbriche, la Storia stava da tutt’altra parte, lui continuava a cercare le luci e i volti e i corpi. Il presidente Enzo Ghigo esprime “il livello di soddisfazione altamente significativo” per l’operazione come tiene a sottolineare “l’interesse che produrrà nelle persone che quegli anni e le vicende, personali e no, delle tante interpreti di quelle immagini hanno vissuto: e anche quelli che non erano ancora nati, la mostra è in ogni modo uno spaccato della storia di casa nostra. Mentre il direttore e curatore Carlo Chatrian guarda alla “valorizzazione del patrimonio del fotografo come all’aspetto umano” nell’intento di continuare a fare ricerca, secondo le direttive della Fondazione. “Tante le immagini ma quella che guida la mostra è l’immagine di Patty Pravo, icona tra le principali del mondo di Frontoni, emblema di creatività e trasgressione, davvero artefice di una continua “pazza idea”, lei scelta un giorno, in tutta la sua fierezza, per essere avvicinata o inghiottita tra i dentoni di uno squalo, a pubblicizzare il film di Spielberg.
Era nato Frontoni nel marzo del ’29, ma altre fonti anticipano al ’26, a Roma, dove scomparve nel 2002. Primo di nove figli, abbandonò ben presto quel familiare forno Frontoni che era celebre per la “pizza romana” e sfamava l’intera famiglia, non ne sentiva alcun aggancio. Se ne volò a Parigi e dopo poco in America, sperimentando la propria tecnica del bianco e nero che lo portò al primo successo di una lunga professione: la foto di Gina Lollobrigida. Dopo quell’immagine sarebbero arrivati i tanti servizi, “firma ben riconoscibile per il suo stile barocco ai limiti dell’eccesso” – sempre concepiti nella villa di Zagarolo o nell’ampio studio di via dei Monti di Pietralata 90, nella capitale – a immortalare, con la Patty, Elsa Martinelli e Marisa Mell (anche i film di serie B andavano a pennello, l’attrice austriaca sul set di “Una sull’altra” di Lucio Fulci, 1969, ne è un esempio) e una piratesca o campagnola Loredana Bertè, le più gettonate, ma pure Jane Fonda, metallizzata sul set di “Barbarella”, Claudia Cardinale e Ornella Vanoni impellicciata, le proteste degli animalisti erano ancora di là da venire, Rossella Carrà e l’androgina Jane Birkin, Catherine Spaak avvolta nelle piume e la dimenticata Maria Grazia Buccella, il caschetto nero di Rossana Podestà (1966), all’apice del successo con “Il grande colpo dei 7 uomini d’oro” ma pronta di lì a poco ad abbandonare il marito regista Marco Vicario per le montagne e per Walter Bonatti. E ancora Raquel Welch e Mariangela Melato fotografata in abito arancio tra le scogliere di “Travolti da un insolito destino”, le sorelle Kessler ed Edvige Fenech elegante negli abiti di Rocco Barocco o nature come mamma l’ha fatta (primi anni Ottanta), sotto il segno del Capricorno – una serie legata ai segni zodiacali assolutamente da non perdere -, le sorelle Bandiera di arboriana memoria e Ira von Fürstenberg di nobili natali e Renato Zero, che forse non aveva ancora raccolto le orde dei sorcini attorno a sé ma che ci teneva a mostrarsi trasognato ai margini di una solitaria spiaggia con la “storica fidanzata” Lucy Morante. Era, più o meno, il 1979 e lui ci blandiva con “il carrozzone riprende la via / facce truccate di malinconia / tempo di piangere, no, non ce n’è / tutto continua anche senza di te”. Fine di un grande amore?
Chiuso nel capitolo “Dancing Queen” troviamo Enzo Avallone – poi Truciolo, dal nomignolo che gli affibbiò il non ancora pentastellato Beppe Grillo -, conquistatore di un quarto d’ora di successo grazie a Heather Parisi che lo volle nel ’79 accanto a sé per “Fantastico”, qui slanciato in abito immacolato contro uno di quei fondali metallici che maggiormente permettevano a Frontoni di giocare con la luce e i suoi tanti effetti. Proseguendo alla voce maschietti, l’efebiche forme di Helmut Berger tra le fresche frasche di Ischia, Visconti finissimo occhio osservatore e protettore, Fabio Testi issato poderoso su un bianco cavallo, lo sguardo di Lawrence d’Arabia prima della battaglia ma con assai meno paludamenti, Jean Sorel mollemente adagiato. A dirla tutta – sono le ospiti di due delle sei “cappelle” (più o meno “votive” ad un mondo che mostrava già parecchi scricchiolii) approntate al temine del tragitto artistico, Ilona Staller (con tanto di sussurri, e poche grida, a matrice erotica) e Moana Pozzi immersa nella tinozza; nonché Luciana Turina, che mette in (bella?) mostra il proprio fisico over size, con una (grande) tonnellata d’ironia ma certo con una qualche caduta di gusto cui anche il maestro della fotografia non ha potuto sottrarsi.
Alla Mole sino al 9 marzo, gli occhi di tutti hanno tempo e modo di sbizzarrirsi. Si prevede, nelle intenzioni degli organizzatori, una festa anni ’80, chissà dove chissà quando chissà se, e altrettanto “certo certissimo anzi probabile”, l’arrivo della icona Patty Pravo e del nipote di Frontoni, Daniele, felicissimo – ha detto – che il Museo del Cinema abbia ricordato in maniera così significativa lo zio.
Elio Rabbione
Presenze, nei lunghi anni di lavoro di Frontoni, sono stati Brigitte Bardot, Helmut Berger, Jane Fonda e Patty Pravo che della mostra “Pazza idea” è l’immagine principe.
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