LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo
Insomma, per dirla con Mino Martinazzoli, “nella politica della prima repubblica c’erano i leader
mentre nella seconda ci sono solo più i capi”. Una riflessione antica e per una volta molto secca,
senza le note iperboli care al leader democristiano bresciano. Una nota, però, che riassumeva in
modo straordinariamente efficace la profonda differenza che c’era tra la prima repubblica – l’intera
prima repubblica – e la cosiddetta seconda repubblica. Cioè quando sono arrivati i partiti
personali, la personalizzazione della politica, l’azzeramento delle tradizionali culture politiche e,
soprattutto, il tramonto di una classe dirigente che aveva contribuito a dare lustro, credibilità ed
autorevolezza alla politica del nostro paese. Per queste ragioni, semplici ma oggettive, non
possiamo non recuperare il vecchio ed antico monito di Martinazzoli. Perchè in quel monito si
nasconde non solo la qualità di una classe dirigente ma anche, e soprattutto, il profondo
cambiamento della politica italiana. E, di conseguenza, la qualità della nostra democrazia. Perchè
proprio in quella distinzione c’è il tramonto di una leadership che anticipa i problemi, che sa
governare i processi politici, che amministra un paese con le armi di un progetto e di una visione
di società e che, in ultimo, non teme il confronto con gli avversari perchè lo ritiene decisivo ed
essenziale per perseguire il “bene comune” di un paese. Una leadership che, invece e al contrario,
è stata sostituita con una serie di capi che dispensano ordini da eseguire, che trasformano i partiti
in cartelli elettorali alle strette dipendenze dell’azionista di riferimento e che, soprattutto,
impoveriscono il merito delle questioni sul tappeto. Appunto, dai leader ai capi.
Ora, se vogliamo che la politica recuperi la sua dignità e che i partiti – o ciò che resta di loro –
ritornino ad essere strumenti che producono politica e non contenitori grigi ed insignificanti per
nominare i “fedeli” nei luoghi della rappresentanza istituzionale, la selezione della classe dirigente
è un passaggio fondamentale e decisivo. E questo perchè il ritorno dei leader – nazionali o locali
che siano non c’è differenza alcuna – è il frutto e la conseguenza di una selezione democratica dal
basso della classe dirigente e la promozione di chi sul campo dimostra di avere maggior carisma,
capacità di guida ed autorevolezza culturale e politica.
Insomma, la politica ha delle sue regole, semprechè non voglia diventare una succursale del
peggior populismo grillino o leghista in salsa salviniana. Due derive che confliggono apertamente
con la funzione e il ruolo della buona politica in una società democratica e plurale. Due derive che
vanno combattute ed isolate prima sul versante culturale e poi su quello politico. Certo, se si
pensa di stringere alleanze solide ed organiche con simili partiti e le rispettive sub culture
politiche, è inutile poi lamentarsi se dobbiamo convivere con un contesto di profondo degrado
democratico e costituzionale. Perchè, appunto, quel monito di Martinazzoli resta il vero nodo da
sciogliere per continuare a rinnovare la politica, per ridare qualità alla democrazia e, infine, per
conferire una nuova credibilità ai partiti e alle istituzioni.