L’arte di Marina Monzeglio, dai vetri artistici agli acquerelli

Mostra ad Avigliana, sino al 20 luglio

Oltre cinquanta opere, tra vetri artistici e acquerelli, dell’artista Marina Monzeglio ospitate sino al 20 luglio nella mostra “Percorsi”, organizzata da Luigi Castagna e Giuliana Cusino, della Associazione Culturale “Arte per Voi”, nell’ex chiesa di Santa Croce, nel suggestivo scenario medievale della piazza Conte Rosso ad Avigliana. Il desiderio di sperimentare, la curiosità a percorrere strade nuove, il mettersi a confronto con materiali inusitati, il disegno e il colore che rafforzino un’idea: questo e altro ancora sono gli “affetti” non soltanto umani che sorreggono l’attività di un’autentica “artista”, reclamando appieno quell’antica radice che è in “artifex”, il portatore di un’ars capace di raccogliere in sé l’eccellenza di un mestiere e di una tecnica innegabile, strettamente legata a un’azione e a un sentimento di valore intellettuale sempre costanti e immersi in quella stessa curiosità. Questa è Marina Monzeglio, questo è il sentimento che di lei continuiamo a conservare, da quando l’abbiamo conosciuta. Curiosa e instancabile. Capace di mettere da parte, all’occorrenza, dietro una spinta inavvertita o in tempo diverso meditata, certi terreni in precedenza attraversati e coltivati. Disposta a guardare sempre verso altri mondi. Verso un “altrove” che è la parte più intima di quei “percorsi”. “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo io non lo so, ma dobbiamo andare”, scriveva Kerouac in “Sulla strada”, un sentire e uno stile di vita, una religione laica per Monzeglio. Una incessante ripartenza, d’obbligo, quotidiana e temporale, di occasione in occasione.

Tre sono essenzialmente quei percorsi, che guardano all’interpretazione di elementi quali il segno, il colore e la forma. Laddove il primo è simile a un viaggio che tenda a ricollegare l’individuo verso l’infinito, dove coabitano oscurità e squarci di colore, la memoria e la poesia, “valore simbolico ed estetico della civiltà del tempo”. Il secondo è il voler ricavare un nuovo aspetto della materia, una dinamicità che nasca prepotente nell’immaginazione e che rintracci la propria corposità nello spazio, documento non secondario della presenza umana. Nella brochure che è presentazione alla mostra, ci soccorre Alessandro Baricco: “Bisogna cercare di capire lavorando di fantasia, dimenticando quel che si sa, in modo che l’immaginazione possa vagabondare libera correndo lontana dentro le cose fino a vedere come l’anima non è sempre diamante ma, alle volte, velo di seta trasparente.” L’ultimo percorso segna l’indagine “sul significato del segno come la forma di identificazione più antica”, avendo nella mente quello stesso segno come il mezzo più abituale e preciso per collegarsi e confrontarsi, per allargare gli ambienti della nostra comunicazione, nel mondo antico come in quello più prossimo a noi, il segno che si fa appartenenza e civiltà, un mosaico variopinto “di piccoli elementi staccati dall’insieme, piccole visioni e micromondi”, frammenti d’oggetti pronti a ricomporsi.

Possiede un fervente laboratorio, un personalissimo Studio d’arte, “una stanza tutta per sé”, a Nichelino, Marina Monzeglio (le sue mostre più recenti: “Viaggio nell’universo femminile”, galleria Venti, Torino, 2017; “Compagni di viaggio” (2017), “Lo sguardo degli altri” (2018) e “Allegri, gente…” (2022) presso il palazzo Lomellini a Carmagnola; “L’altra metà degli angeli” (2017) e “Frammenti” (2018) presso Arte per Voi ad Avigliana; “Emozioni d’Artista” (2022) presso la galleria La Conchiglia e “Leggerezze” (2023) al MIIT di Torino; ancora al MIIT “Fabbricatori di favole” e “Fabbricatori di favole 2”, entrambe nel 2024) – diplomata in scenografia presso l’Accademia di Belle Arti torinese -, per dare vita ai suoi universi, immaginifici e geometrici (il proseguire e lo spezzarsi delle linee, l’intrigo di certi profili, le linee ondulate che sfuggono e vengono in seguito ricomposte) al tempo stesso, la vitalità e i cromatismi più tenui e belli. Una discrezione, un passo dopo l’altro senza alcun disturbo, un farsi avanti senza troppo apparire. Ma anche un’irruenza che ti convince appieno nell’arditezza della forma. Mentre t’incantano quei toni sommessi. Una dicotomia poi, l’area laboriosa e faticosa del vetro, inteso come scultura, intessuta di morbidezze e di sinuosità, tra i margini e le intelaiature di stagno che fanno da legatura e sono lì, ad esempio, ad accompagnare verso l’alto (il ricordo è lo splendido “Sinuosità, in un’altezza di 120 cm) una foglia o un lembo di spazio socchiuso, con le sue suddivisioni e i tanti piccoli quasi impercettibili pezzi vitrei che la compongono.

Una raffinatezza, un liberty elegante e antico. Il susseguirsi, con l’avanzare della superficie, di colori che sono bruni e un variegare composito di azzurri e di blu più o meno intensi, e di verdi variamente intesi, e di forme ancora, che s’esprimono in circolarità e in corni sfuggenti, in porzioni appena carezzate dal colore e in altre nelle quali quello s’insinua con forza. Forze che non perdono certo tutto il loro status ma che si stemperano – dicevamo, un altro “altrove”, le superfici senza delimitazioni dei cieli e degli astri, gli incanti di Orione, frammenti sognati e reinventati, miti e suggestioni, realtà lontanissime posizionate sul foglio di carta, l’abbandono di nature morte e di paesaggi e di volti: ancora una volta, il sempre identico desiderio a spingersi oltre, a inventare giorno dopo giorno un linguaggio nuovo – in acquerelli filosoficamente astratti, grumi di colore che riprendono e riassumono all’interno di leggi tutte proprie le composizioni precedenti.

Elio Rabbione

Nelle immagini, vetri artistici (“Tabit”, diametro cm 50, 2007, vetro dipinto grisaglie e smalti cottura gran fuoco e legatura stagno) e acquerelli di Marina Monzeglio in mostra nell’ex chiesa di Santa Croce ad Avigliana.

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