PIR: un’opportunità da rilanciare

 

I Piani individuali di risparmio: strumento “dimenticato”

Lanciati nel 2017, i piani individuali di risparmio a lungo termine (PIR) sono una forma di investimento finanziario pensata per stimolare i risparmiatori ad investire i loro risparmi in maniera innovativa e conveniente, generando contemporaneamente un flusso di capitali a favore delle piccole e medie aziende.

Non si tratta quindi di nuovi titoli o di nuovi strumenti, ma di un modo di entrare nel mondo dei titoli quotati in maniera simile a quella già esistente da tempo nel settore del “risparmio gestito” (gestioni individuali, fondi comuni, ETF).

I PIR hanno avuto un forte successo al momento del loro lancio, soprattutto per la forte agevolazione fiscale prevista dalla legge istitutiva (vedi il paragrafo successivo), ma da alcuni anni stanno conoscendo una crisi, evidenziata da un esodo di capitali che supera largamente le nuove sottoscrizioni.

Come aprire un PIR

I Piani possono essere attivati solo presso una banca, aprendo un dossier titoli a parte, appositamente denominato “Deposito PIR”.

All’interno si possono collocare esclusivamente strumenti che rispettano le norme di composizione dei portafogli; le modalità con cui costituire un PIR sono molto flessibili. I risparmiatori possono ricorrere a strumenti del risparmio gestito come fondi comuni, contratti di assicurazione e gestioni patrimoniali, per i quali sono gli intermediari a occuparsi del rispetto delle condizioni necessarie a ottenere il beneficio fiscale. La forma più diffusa di PIR è quella dei fondi di investimento (i cosiddetti fondi PIR o fondi “PIR compliant”), sia nella forma tradizionale di fondo gestito, sia in quella di fondo “passivo” (ETF).

La sottoscrizione è riservata a persone fisiche, ed ognuno può essere intestatario di un solo PIR (non è consentito aprirne in più banche); inoltre è vietata la cointestazione. Per patrimoni di proprietà di coniugi o parenti, è necessario quindi aprire un deposito per ogni componente il nucleo familiare.

Sono fissati limiti massimi di investimento, pari a 40.000 euro annui, con una vita massima di cinque anni; ogni sottoscrittore quindi potrà sottoscrivere al massimo 200.000 euro.

Il portafoglio dei fondi PIR

Poiché la finalità dei piani è quella di avvicinare i risparmiatori all’investimento, la legge ha fissato parametri stringenti per la composizione del portafoglio.

E’ previsto infatti che:

– almeno il 70% del piano sia investito in strumenti finanziari emessi da società italiane (o europee con stabile organizzazione in Italia);

– di questo 70% almeno il 30% deve essere investito in società non incluse nell’indice azionario della Borsa principale e il 5% in società non incluse nell’indice FTSE Mid Cap (o equivalente).

– su una singola società emittente, inoltre, non può essere investito più del 10% del PIR.

E’ chiaro che la legge ha voluto costruire uno strumento che offra il massimo della diversificazione al fine di contenere il rischio insito in un investimento che è prevalentemente azionario.

Significativo, nell’ottica dello stimolo alle piccole e medie impresa, il peso riservato ad aziende non inserite nell’indice principale, che devono rappresentare almeno il 21% del patrimonio totale.

Le agevolazioni a favore dei sottoscrittori

Il progetto PIR, studiato per stimolare gli investimenti nell’economia italiana, è stato accompagnato da agevolazioni fiscali per assicurarne il successo.

E’ previsto infatti che i sottoscrittori non paghino l’imposta sul capital gain (attualmente pari al 26%) purché la posizione sia mantenuta per almeno cinque anni (la durata è calcolata per ogni tranche versata). Peraltro l’investimento non è vincolato, ma liquidabile in qualunque momento, con l’unica avvertenza che il disinvestimento effettuato prima dei cinque anni comporta il pagamento del capital gain.

Inoltre il PIR è esente dall’imposta di successione, unico caso nella legislazione fiscale italiana (esenzione finora prevista esclusivamente per i BTP e simili).

A chi interessano i PIR

I PIR sono utili per i risparmiatori che intendono investire a lungo termine su titoli di aziende italiane ottenendo un’agevolazione fiscale unica. Data la struttura, possono essere considerati strumenti a rischio medio, grazie alla forte diversificazione del portafoglio ed alla componente dei titoli di Stato (30% del totale).

Ma sono anche utili per le imprese italiane (soprattutto quelle medio-piccole) perché garantiscono un ampliamento del mercato dei loro titoli che, senza l’intervento dei PIR, correrebbero il rischio di generare transazioni ridotte, fatto che ne limita l’appeal.

Non bisogna per contro sottovalutare che, a fronte di rendimenti tendenzialmente interessati grazie all’esenzione fiscale, i costi medi sono piuttosto alti (le commissioni di sottoscrizione e di gestione sono tra le più care nel comparto del risparmio gestito). Però, grazie al lancio degli ETF “formato PIR” si sono aperte nuove interessanti opportunità riducendo del 70-80% i costi e rendendo il prodotto molto conveniente.

Va tenuto inoltre presente che la liquidità potrebbe non essere totale, perché la quota destinata alle PMI è negoziabile per importi modesti.

PIR: strumento da rilanciare

Nel complesso il giudizio sui PIR è positivo.

Purtroppo, come accennato, dopo l’exploit iniziale, le sottoscrizioni si sono fortemente ridotte ed i rimborsi (chiesti da coloro che avevano ottenuto consistenti guadagni negli anni precedenti ed hanno monetizzato la plusvalenza) sono cresciuti.

Sarebbe opportuno quindi avviare un’ampia azione di rilancio dei PIR nell’interesse del mercato finanziario.

Azione che dovrebbe coinvolgere le banche (che da tempo hanno smesso di inserire i PIR fra gli strumenti suggeriti alla clientela), lo Stato (che potrebbe lanciare una campagna informativa e pubblicitaria per stimolarne la conoscenza e rilanciare le sottoscrizioni), e le associazioni di tutela dei risparmiatori (che dovrebbero evidenziare i vantaggi dei PIR fra i loro associati).

 Gianluigi De Marchi 

demarketing2008@libero.it

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